[Gulli] caratteri accentati
enricoxy@gmail.com
enricoxy@gmail.com
Mer 8 Lug 2015 13:12:09 CEST
Buongiorno a tutti,
ho il problema di visualizzare in maniera non corretta (caratteri
speciali) i file di testo provenienti da altri sistemi operativi.....
vi lascio indovinare quale :-)
sono andato subito a vedere il mio charset che con il comando locale da:
> enrico14@enrico-Superdesktop:~$ locale
> LANG=it_IT.UTF-8
> LANGUAGE=it:en
> LC_CTYPE="it_IT.UTF-8"
> LC_NUMERIC=it_IT.UTF-8
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> LC_ALL=
> enrico14@enrico-Superdesktop:~$
e
> enrico14@enrico-Superdesktop:~$ set | grep LANG
> GDM_LANG=it_IT
> LANG=it_IT.UTF-8
> LANGUAGE=it:en
mi sembra tutto a posto...ma allora?
chi come me ha ubuntu 14.04 riesce a visualizzare bene il file che ho
allegato???
Saluti Enrico
-------------- parte successiva --------------
Traduzioni telematiche a cura di
Rosaria Biondi, Nadia Ponti, Giulio Cacciotti, Vincenzo Guagliardo
(Casa di reclusione - Opera)
Oscar Wilde.
IL RITRATTO DI DORIAN GRAY.
INDICE.
Profilo di Oscar Wilde (di James Joyce): pagina 4.
Prefazione: pagina 12.
Capitolo primo: pagina 15.
Capitolo secondo: pagina 37.
Capitolo terzo: pagina 63.
Capitolo quarto: pagina 85.
Capitolo quinto: pagina 111.
Capitolo sesto: pagina 131.
Capitolo settimo: pagina 145.
Capitolo ottavo: pagina 165.
Capitolo nono: pagina 189.
Capitolo decimo: pagina 206.
Capitolo undicesimo: pagina 221.
Capitolo dodicesimo: pagina 254.
Capitolo tredicesimo: pagina 266.
Capitolo quattordicesimo: pagina 278.
Capitolo quindicesimo: pagina 299.
Capitolo sedicesimo: pagina 315.
Capitolo diciassettesimo: pagina 330.
Capitolo diciottesimo: pagina 340.
Capitolo diciannovesimo: pagina 356.
Capitolo ventesimo: pagina 372.
OSCAR WILDE. (Articolo di James Joyce apparso sul "Piccolo della
Sera" di Trieste (24 marzo 1909) e scritto in italiano
dall'autore.
Oscar Fingal O'Flahertie Wills Wilde. Tali furono i titoli
altisonanti ch'egli, con alterigia giovanile, volle far stampare
sul frontespizio della sua prima raccolta di versi e con quel
medesimo gesto altiero con cui credeva nobilitarsi scolpiva forse
in modo simbolico, il segno delle sue pretese vane e la sorte che
gi? l'attendeva. Il suo nome lo simboleggia: Oscar, nipote del re
Fingal e figlio unigenito di Ossian nella amorfa odissea celtica,
ucciso dolorosamente per mano del suo ospite mentre sedeva a
mensa: O'Flahertie, truce trib? irlandese il cui destino era di
assalire le porte di citt? medievali, ed il cui nome, incutendo
terrore ai pacifici, si recita tuttora in calce all 'antica
litania dei santi fra le pesti, l'ira di Dio e lo spirito di
fornicazione "dai feroci O'Flahertie, libera nos Domine". Simile a
quell'Oscar egli pure, nel fior degli anni, doveva incontrare la
morte civile mentre sedeva a mensa coronato di finti pampini e
discorrendo di Platone: simile a quella trib? selvatica doveva
spezzare le lance della sua facondia paradossale contro la schiera
delle convenzioni utili: ed udire, esule e disonorato, il coro dei
giusti recitare il suo nome assieme a quello dello spirito
immondo.
Il Wilde nacque cinquantacinque anni fa. Suo padre era un valente
scienziato, ed ? stato chiamato il padre dell'otologia moderna:
sua madre partecip? al movimento rivoluzionario letterario del
'48, collaborando all'organo nazionale sotto lo pseudonimo di
Speranza con le sue poesie e con articoli incitanti il popolo alla
presa del castello di Dublino. Ci sono delle circostanze
riguardanti la gravidanza di Lady Wilde e l'infanzia del figlio
che, al parer di alcuni, spiegano in parte la triste mania (se
cosi ? lecito chiamarla) che lo trasse pi? tardi alla rovina, ed ?
certo almeno che il fanciullo crebbe in un ambiente di
sregolatezze e di prodigalit?.
La vita pubblica di Oscar Wilde si aperse all'Universit? di Oxford
ove, all'epoca della sua immatricolazione, un solenne professore
di nome Ruskin, conduceva uno stuolo di ef?bi anglosassoni verso
la terra promessa della societ? avvenire, dietro una carriola.
Il temperamento suscettibile di sua madre riviveva nel giovane; ed
egli risolse di mettere in pratica, cominciando da se stesso, una
teoria di bellezza in parte derivata dai libri di Pater e di
Ruskin ed in parte originale. Sfidando le beffe del pubblico
proclam? e pratic? la riforma estetica del vestito e della casa.
Tenne dei cicli di conferenze negli Stati Uniti e nelle province
inglesi e divent? il portavoce della scuola estetica, mentre
intorno a lui andava formandosi la leggenda fantastica
dell'apostolo del bello. Il suo nome evocava alla mente del
pubblico un'idea vaga di sfumature delicate, di vita illeggiadrita
di fiori: il culto del girasole, il suo fiore prediletto, si
propag? fra gli oziosi ed il popolo minuto ud? narrare del suo
famoso bastone d'avorio candido luccicante di turchesi e della
acconciatura neroniana dei suoi capelli.
Il fondo di questo quadro smagliante era pi? misero di ci? che i
borghesi immaginavano. Medaglie, trofei della giovent? accademica,
salivano di quando in quando il sacro monte che ha il nome di
piet?; e la giovane moglie dell'epigrammatico dovette qualche
volta farsi prestare da una vicina il danaro per un paio di
scarpe. Il Wilde si vide costretto ad accettare il posto di
direttore di un giornale molto insulso; e solo colla
rappresentazione delle sue commedie brillanti egli entr? nella
breve fase penultima della sua vita: il lusso e la ricchezza. Il
"Ventaglio di Lady Windermere" prese Londra d'assalto. Il Wilde,
entrando in quella tradizione letteraria di commediografi
irlandesi che si stende dai giorni di Sheridan e Goldsmith fino a
Bernard Shaw, divent?, al par di loro, giullare di corte per gli
inglesi. Divent? un arbitro d'eleganze nella metropoli e la sua
rendita annua, provento dei suoi scritti, raggiunse quasi il mezzo
milione di franchi. Sparse il suo oro fra una sequela di amici
indegni. Ogni mattina acquist? due fiori costosi, uno per s?,
l'altro per il suo cocchiere; e persino il giorno del suo processo
clamoroso si fece condurre al tribunale nella sua carrozza a due
cavalli col cocchiere vestito di gala e collo staffiere
incipriato.
La sua caduta fu salutata da un urlo di gioia puritana. Alla
notizia della sua condanna la folla popolare, radunata dinanzi al
tribunale, si mise a ballare una pavana sulla strada melmosa. I
redattori dei giornali furono ammessi all'ispettorato ed,
attraverso la finestrina della sua cella, poterono pascersi dello
spettacolo della sua vergogna. Strisce bianche coprirono il suo
nome sugli albi teatrali; i suoi amici lo abbandonarono; i suoi
manoscritti furono rubati mentre egli, in prigione, scontava la
pena inflittagli di due anni di lavori forzati. Sua madre mor?
sotto un nome d'infamia: sua moglie mor?. Fu dichiarato in istato
di fallimento, i suoi effetti furono venduti all'asta, i suoi
figli gli furono tolti. Quando usc? di carcere i teppisti
sobillati dal nobile marchese Queensberry l'aspettavano in
agguato. Fu cacciato, come una lepre dai cani, da albergo in
albergo. Un oste dopo l'altro lo respinse dalla porta,
rifiutandogli cibo ed alloggio, e al cader della notte giunse
finalmente sotto le finestre di suo fratello piangendo e
balbettando come un fanciullo.
L'epilogo volse rapidamente alla sua fine e non vale la pena di
seguire l'infelice dalla suburra napoletana al povero albergo nel
quartiere latino, ove mor? di meningite nell'ultimo mese
dell'ultimo anno del secolo decimonono. Non vale la pena di
pedinarlo come fecero le spie parigine: mor? da cattolico romano,
aggiungendo allo sfacelo della sua vita civile la propria smentita
della sua fiera dottrina. Dopo aver schernito gli idoli del foro,
pieg? il ginocchio, essendo compassionevole e triste chi fu un
giorno cantore della divinit? della gioia: e chiuse il capitolo
della ribellione del suo spirito con un atto di dedizione
spirituale.
Questo non ? il luogo di indagare lo strano problema della vita di
Oscar Wilde n? di determinare fino a che punto l'atavismo e la
forma epilettoide della sua nevrosi possano scagionarlo di ci? che
a lui si imput?. Innocente o colpevole che fosse delle accuse
mossegli, era indubbiamente un capro espiatorio.
La sua maggior colpa era quella di aver provocato uno scandalo in
Inghilterra; ed ? ben noto che l'autorit? inglese fece il
possibile per indurlo a fuggire prima di spiccare contro di lui un
mandato di cattura. A Londra sola, dichiar? un impiegato del
ministero dell'interno, durante il processo, pi? di ventimila
persone sono sotto la sorveglianza della polizia, ma rimangono a
piede libero fintantoch? non provochino uno scandalo. Le lettere
di Wilde ai suoi amici furono lette dinanzi alla Corte ed il loro
autore venne denunziato come un degenerato, ossessionato da
pervertimenti erotici. "Il tempo guerreggia contro di te; ? geloso
dei tuoi gigli e delle tue rose." "Amo vederti errare per le
vallate violacee, fulgido colla tua chioma color miele." Ma la
verit? ? che Wilde, lungi dall'essere un mostro di pervertimento
sorto in modo inesplicabile nel mezzo della civilt? moderna
d'Inghilterra, ? il prodotto logico e necessario del sistema
collegiale ed universitario anglosassone, sistema di reclusione e
di segretezza. L'incolpazione del popolo procedeva da molte cause
complicate; ma non era la reazione semplice di una coscienza pura.
Chi studi con pazienza le iscrizioni murali, i disegni franchi, i
gesti espressivi del popolo, esiter? a crederlo mondo di cuore.
Chi segua dal di presso la vita e la favella degli uomini, sia
nello stanzone dei soldati, che nei grandi uffici commerciali,
esiter? a credere che tutti coloro che scagliarono pietre contro
il Wilde furono essi stessi senza macchia. Difatti ognuno si sente
diffidente nel parlare con altri di questo argomento, temendo che
forse il suo interlocutore ne sappia pi? di lui. L'autodifesa di
Oscar Wilde nello "Scots Observer" deve ritenersi valida dinanzi
alla sbarra della critica spassionata. Ognuno, scrisse, vede il
proprio peccato in Dorian Gray (il pi? celebre romanzo di Wilde).
Quale fu il peccato di Dorian Gray nessun lo dice e nessun lo sa.
Chi lo scopre l'ha commesso.
Qui tocchiamo il centro motore dell'arte di Wilde: il peccato. Si
illuse credendosi il portatore della buona novella di un
neopaganesimo alle genti travagliate. Mise tutte le sue qualit?
caratteristiche, le qualit? (forse) della sua razza, l'arguzia,
l'impulso generoso, l'intelletto asessuale al servizio di una
teoria del bello che doveva, secondo lui, riportare l'evo d'oro e
la gioia della giovent? del mondo. Ma in fondo in fondo se qualche
verit? si stacca dalle sue interpretazioni soggettive di
Aristotele, dal suo pensiero irrequieto che procede per sofismi e
non per sillogismi, dalle sue assimilazioni di altre nature,
aliene dalla sua, come quelle del delinquente e dell'umile, ?
questa verit? inerente nell'anima del cattolicesimo: che l'uomo
non pu? arrivare al cuor divino se non attraverso quel senso di
separazione e di perdita che si chiama peccato.
Nell'ultimo suo libro "De Profundis", si inchina davanti ad un
Cristo gnostico, risorto dalle pagine apocrife della "Casa dei
melograni" ed allora la sua vera anima, tremula, timida e
rattristata, traluce attraverso il manto di Eliogabalo. La sua
leggenda fantastica, l'opera sua, una variazione polifonica sui
rapporti fra l'arte e la natura anzich? una rivelazione della sua
psiche, i libri dorati, scintillanti di quelle frasi
epigrammatiche che lo resero, agli occhi di alcuno, il pi? arguto
parlatore del secolo scorso, sono ormai un bottino diviso.
Un versetto del libro di Giobbe ? inciso sulla sua pietra
sepolcrale nel povero cimitero di Bagneux. Loda la sua facondia,
"eloquium suum", il gran manto leggendario che ? ormai un bottino
diviso. Il futuro potr? forse scolpire l? un altro verso, meno
altiero, pi? pietoso: "Partiti sunt sibi vestimenta mea et super
vestem meam miserunt sortes."
JAMES JOYCE.
Prefazione.
L'artista ? il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte e nascondere l'artista ? la scopo dell'arte.
Il critico ? colui che pu? tradurre in una maniera diversa o in un
materiale nuovo l'impressione che le cose belle suscitano in lui.
La pi? alta e la pi? bassa forma di critica sono tutte e due una
maniera di autobiografia.
Quelli che trovano nelle cose belle significati brutti sono
corrotti senza essere attraenti. Questo ? una colpa.
Quelli che trovano nelle cose belle significati belli sono persone
colte. Per questi c'? speranza.
Gli eletti sono quelli per i quali le cose belle significano
soltanto bellezza.
Non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono o scritti
bene o scritti male: nient'altro.
L'antipatia del Diciannovesimo secolo verso il Realismo ? la
rabbia di Calibano che vede nello specchio il proprio volto.
L'antipatia del Diciannovesimo secolo verso il Romanticismo ? la
rabbia di Calibano che non vede nello specchio il proprio volto.
La vita morale dell'uomo ? per l'artista una parte del soggetto, o
materia; ma la moralit? dell'arte consiste nell'impiego perfetto
di un mezzo imperfetto. Nessun artista vuole dimostrare alcunch?.
Anche le cose vere possono essere dimostrate.
Nessun artista prova simpatie di tipo etico. Una simpatia etica in
un artista ? un'imperdonabile affettazione stilistica.
Nessun artista ? mai morboso. L'artista pu? esprimere qualunque
cosa.
Pensiero e linguaggio sono per l'artista strumenti di un'arte.
Vizio e virt? sono per l'artista materiali di un'arte. Dal punto
di vista della forma il prototipo di tutte le arti ? l'arte del
musicista. Dal punto di vista del sentimento il prototipo ? l'arte
dell'attore.
Tutta l'arte ? insieme superficie e simbolo.
Quelli che penetrano al di sotto della superficie lo fanno a
proprio rischio e pericolo.
Quelli che interpretano il simbolo lo fanno a proprio rischio e
pericolo.
E' lo spettatore, non la vita, che l'arte, in realt?, rispecchia.
La divergenza di opinioni a proposito di un'opera d'arte dimostra
che l'opera ? nuova, complessa e vitale.
Quando i critici sono discordi, l'artista ? d'accordo con se
stesso.
Un uomo pu? esser perdonato se fa una cosa utile, a patto che non
l'ammiri. L'unica scusa per chi fa una cosa inutile ? che egli
l'ammiri intensamente.
Tutta l'arte ? perfettamente inutile.
OSCAR WILDE.
Capitolo primo.
Lo studio era pieno dell'odore intenso delle rose, e quando il
venticello estivo passava tra gli alberi del giardino, penetrava
dalla porta aperta il profumo greve del glicine o la fragranza pi?
delicata del biancospino.
Dall'angolo del divano di cuscini persiani sul quale stava
disteso, fumando, com'era sua abitudine, numerose sigarette, Lord
Henry Wotton poteva appena intravedere lo splendore dei fiori di
citiso, che hanno la dolcezza e il colore del miele. I rametti
fragili sembravano quasi incapaci di sostenere il peso di tanta
scintillante bellezza. Le ombre fantastiche degli uccelli in volo
penetravano ogni tanto attraverso le lunghe tende di seta cruda,
che, aperte davanti alla grande finestra, producevano quasi un
temporaneo effetto giapponese e facevano pensare a quei pallidi
pittori di Tokyo, con la faccia di giada, che, impiegando come
strumento un'arte che ? per forza di cose statica, cercano di
darci il senso della velocit? e del movimento. Il ronzio testardo
delle api che si facevano strada attraverso l'erba lunga, non
rasata, o giravano con insistenza monotona intorno alle punte
dorate e impolverate del caprifoglio rampicante, pareva rendere il
silenzio ancora pi? opprimente. Il rombo confuso di Londra
sembrava l'accompagnamento di un organo lontano.
Nel centro della camera, posto su un cavalletto verticale, c'era
il ritratto in piedi di un giovane di una straordinaria bellezza
fisica; e davanti, a una certa distanza, era seduto l'artista
stesso, Basil Hallward, la repentina scomparsa del quale, qualche
anno fa, suscit? tanto scalpore quando avvenne e fece nascere
parecchie strane congetture.
Mentre il pittore ammirava la forma graziosa e attraente che aveva
cos? abilmente riflessa nella sua arte, passava e pareva
soffermarsi sul suo viso un sorriso di piacere. Improvvisamente
per? si alz? in piedi e, chiudendo gli occhi, si mise le dita
sulle palpebre, come se volesse imprigionare nel proprio cervello
qualche sogno strano dal quale avesse paura di esser svegliato.
- E' la tua opera migliore, Basil, quanto di meglio tu abbia fatto
- disse languidamente Lord Henry. - Devi mandarla senz'altro al
Grosvenor l'anno prossimo. L'Accademia ? troppo grande e troppo
volgare. Tutte le volte che ci sono andato c'era tanta gente che
non ho potuto vedere i quadri, cosa tremenda, oppure c'erano tanti
quadri che non ho potuto vedere la gente, ci? che era anche
peggio. Il Grosvenor ? veramente l'unico posto.
- Non credo che lo mander? da nessuna parte - rispose lui,
piegando la testa all'indietro, in quel suo strano modo che a
Oxford faceva sempre ridere i suoi amici. - No, non lo mander? in
nessun posto.
Lord Henry inarc? le sopracciglia e lo guard? meravigliato
attraverso i sottili anelli di fumo che salivano dalla sua grossa
sigaretta oppiata. - Non lo manderai in nessun posto? E perch?? E
perch?, mio caro? Hai qualche motivo? Che tipi strani siete voi
pittori! Fate tutto il possibile per conquistarvi la fama e appena
l'avete conquistata sembra che vogliate gettarla via. E' sciocco,
perch? in questo mondo c'? una sola cosa peggiore del far parlar
di s?, ed ? il non far parlar di s?. Un ritratto come questo ti
metterebbe molto al disopra di tutti i giovani in Inghilterra e
ingelosirebbe terribilmente i vecchi, se pure i vecchi sono capaci
di un'emozione qualsiasi.
- So che riderai di me - rispose l'altro, - ma proprio non posso
esporlo. Ci ho messo dentro troppo di me stesso.
Lord Henry si allung? sul divano, ridendo.
- S?, lo sapevo che avresti riso; per? ? esattamente la verit?.
- Troppo di te stesso! Parola d'onore, Basil non ti credevo tanto
vanitoso. Non riesco davvero a vedere la minima somiglianza fra
te, colla tua faccia forte e angolosa, e questo giovane Adone che
pare fatto d'avorio e di petali di rosa. Andiamo, caro Basil, lui
? un Narciso e tu - certo, naturalmente, tu hai un'espressione
intellettuale e tutto il resto; ma la bellezza, la vera bellezza,
finisce l? dove l'espressione intellettuale inizia. L'intelletto ?
per sua natura una forma di esagerazione e distrugge l'armonia di
qualsiasi volto. Appena uno si mette a pensare, diventa tutto naso
o tutta fronte, o qualche cosa di orribile. Guarda gli uomini che
hanno avuto successo in una qualsiasi delle professioni dotte. Non
fanno perfettamente schifo? Eccetto che nella Chiesa,
naturalmente; ma nella Chiesa non pensano. A ottant'anni un
Vescovo continua a dire quello che gli hanno insegnato a dire
quando ne aveva diciotto, e naturalmente ne deriva che mantiene un
aspetto assolutamente delizioso. Il tuo giovine amico, del quale
non mi hai mai detto il nome, ma il cui ritratto mi affascina per
davvero, non pensa mai, ne sono assolutamente certo. E' un essere
senza cervello, bello, che dovrebbe essere sempre qui d'inverno,
quando non abbiamo fiori da contemplare e sempre qui d'estate,
quando ci serve qualcosa che raffreddi la nostra intelligenza. Non
lusingarti, Basil; tu non gli somigli per niente.
- Non mi capisci, Harry - rispose l'artista. - Certo che non gli
assomiglio, lo so benissimo. Ti dir? che mi dispiacerebbe
assomigliargli. E' inutile che tu scrolli le spalle: quello che ti
dico ? la pura verit?. Su qualsiasi distinzione, fisica o
intellettuale che sia, pesa una fatalit?, la stessa fatalit? che
sembra che accompagni nella storia i passi incerti dei Re. E'
meglio non essere diversi dai propri simili. In questo mondo i
brutti e gli stupidi hanno la sorte migliore; possono starsene
comodamente seduti a guardare la commedia. Non conoscono la
vittoria, ma in compenso non sono costretti a conoscere la
sconfitta; vivono come dovremmo vivere tutti, indisturbati,
indifferenti e senza fastidi. La tua ricchezza e il tuo rango,
Harry, il mio talento, qualunque esso sia, la mia arte, per quel
che pu? valere, la bellezza di Dorian Gray - noi soffriremo per
quello che gli D?i ci hanno donato, soffriremo terribilmente.
- Dorian Gray? Si chiama cos?? - chiese Lord Henry, dirigendosi
attraverso lo studio verso il pittore.
- S?. Non volevo dirti il suo nome.
- E perch??
- Oh, non saprei spiegartelo. Quando voglio enormemente bene a
qualcuno non ne dico mai il nome a nessuno. E' come cederne una
parte. Mi sono abituato ad amare la segretezza; mi pare la sola
cosa che possa rendere misteriosa e meravigliosa la vita moderna
per noi. La cosa pi? ordinaria diventa deliziosa quando ? tenuta
nascosta. Quando mi allontano dalla citt? non dico mai ai miei
dove vado; se lo dicessi mi rovinerei tutto il piacere. Sar?
un'abitudine sciocca, lo ammetto, ma a me sembra che introduca
nella vita un grande elemento romanzesco. Sono sicuro che mi trovi
terribilmente sciocco, non ? vero?
- Proprio per niente - rispose Lord Henry - proprio per niente,
mio caro Basil. Mi sembra che tu dimentichi che ho moglie; e
l'unico pregio del matrimonio ? di rendere assolutamente
necessaria per tutti e due una vita di inganno reciproco. Io non
so mai dove sia mia moglie e mia moglie non sa mai quello che
faccio io. Quando ci incontriamo, poich? qualche volta ci
incontriamo, quando siamo invitati a pranzo insieme, oppure quando
andiamo dal Duca, ci raccontiamo a vicenda le storie pi? assurde
con la faccia pi? seria del mondo. In questo mia moglie ?
bravissima, molto pi? brava di me. Lei non confonde mai le date,
io sempre; per? quando mi coglie in fallo non fa mai scene. A
volte mi piacerebbe che ne facesse; e invece si limita a ridere di
me.
- Non mi piace sentirti parlare cos? della tua vita matrimoniale,
Harry - disse il pittore, dirigendosi lentamente verso la porta
che dava sul giardino. - Credo che in realt? tu sia un ottimo
marito, ma che tu ti vergogni della tua virt?. Sei un tipo
straordinario; non dici mai una cosa che sia morale e non fai mai
una cosa che non sia giusta. Il tuo cinismo ? semplicemente
un'atteggiamento.
- Essere naturale ? semplicemente un'atteggiamento, e il pi?
fastidioso che io conosca - esclam? ridendo Lord Henry. I due
giovani uscirono insieme in giardino e si sedettero su una lunga
panchina di bamb?, all'ombra di un alto cespuglio di alloro. I
raggi del sole scivolavano sulle foglie lucide e nell'erba
tremolavano bianche le margheritine.
Lord Henry, dopo una pausa, tir? fuori l'orologio. - Basil
mormor?, - ho paura di dovermene andare, e prima di andare via
insisto perch? tu risponda a una domanda che ti ho fatto poco fa.
- Che cosa? - disse il pittore, con gli occhi fissi a terra.
- Lo sai benissimo.
- No, Harry, non lo so.
- Va bene, ti dir? di che si tratta. Voglio che tu mi spieghi
perch? non vuoi esporre il ritratto di Dorian Gray. Voglio sapere
la vera ragione.
- Te l'ho detta.
- No, non l'hai detta. Hai detto che era perch? in esso c'era
troppo di te stesso, e questo ? puerile.
- Harry - disse Basil Hallward guardandolo dritto in faccia, ogni
ritratto dipinto con sentimento ? il ritratto dell'artista, non
del modello. Questi non ? che l'accidente, l'occasione; non ? lui
che viene rivelato dal pittore, ma ? il pittore che, sulla tela
dipinta, rivela se stesso. La ragione per cui non voglio esporre
quel ritratto ? che in esso ho messo a nudo il segreto della mia
stessa anima.
Lord Henry scoppi? in una risata. - E qual ?? - domand?.
- Te lo dir? - disse Hallward; ma sul suo volto apparve
un'espressione di perplessit?.
- Pendo dalle tue labbra, Basil - riprese il suo compagno,
guardandolo.
- Oh, Harry, c'? proprio ben poco da dire - replic? il pittore e
temo che non lo capiresti e forse nemmeno lo crederesti.
Lord Henry, sorridendo, si chin?, colse dal prato una margherita
dai petali rosei e la esamin?. - Sono sicurissimo che lo capir?,-
rispose, fissando intensamente il dischetto d'oro incorniciato di
piume bianche, - e, quanto a credere, posso credere qualsiasi
cosa, a condizione che sia perfettamente incredibile.
Il vento fece cadere qualche fiore dagli alberi e i grappoli
pesanti dei fiori di glicine oscillarono nell'aria languida. Un
grillo cominci? a trillare vicino al muro e, come un filo
azzurrino, una libellula lunga ed esile pass? librandosi sulle ali
di garza bruna. Lord Henry ebbe la sensazione di sentir battere il
cuore di Basil Hallward e si domand? che cosa mai stesse per
accadere.
- La storia ? semplicemente questa - disse il pittore, dopo un
istante. - Due mesi fa andai a un ricevimento in casa di Lady
Brandon. Sai che ogni tanto noi poveri artisti dobbiamo farci
vedere in societ? per ricordare al pubblico che non siamo dei
selvaggi. Come mi dicesti una volta, con una marsina e una
cravatta bianca chiunque, anche un agente di cambio, pu?
conquistarsi la reputazione di essere civilizzato. Dunque ero nel
salone da una decina di minuti, a parlare con certe matrone enormi
e troppo vestite e con certi accademici noiosi, quando ebbi di
colpo la consapevolezza che qualcuno mi stava guardando. Mi girai
e vidi Dorian Gray per la prima volta. Quando i nostri sguardi si
incontrarono sentii che impallidivo. Mi prese una curiosa
sensazione di terrore. Sapevo di trovarmi faccia a faccia con uno
la cui personalit? era cos? affascinante che, se lo lasciavo fare,
avrebbe assorbito tutta la mia natura, tutta la mia anima e
perfino la mia arte. Nella mia esistenza non volevo nessuna
influenza esterna: tu sai, Harry, quanto io sia indipendente per
natura. Sono sempre stato il padrone di me stesso, o almeno lo ero
sempre stato, finch? non incontrai Dorian Gray. Allora... ma non
so come spiegartelo. Mi sembra che qualcosa mi dicesse che ero
sulla soglia di una terribile crisi nella vita; avevo la
sensazione strana che il fato mi riservava gioie deliziose e
dolori non meno deliziosi. Ebbi paura e feci per uscire dalla
stanza. Non era la coscienza che mi spingeva; era una specie di
vigliaccheria. Non mi faccio un merito di aver tentato di fuggire.
- Coscienza e vigliaccheria sono in realt? una cosa sola, Basil.
Coscienza ? l'insegna commerciale della ditta; questo ? tutto.
- Non lo credo, Harry, e non credo che tu lo creda. Comunque,
qualunque fosse il motivo che mi spingeva - poteva anche essere
orgoglio, dato che prima ero molto orgoglioso - ? certo che lottai
per raggiungere la porta. Sulla soglia, naturalmente, m'imbattei
in Lady Brandon. "Non ve ne andrete mica cos? presto, Mister
Hallward?", grid? lei. Conosci quella sua curiosa voce stridula?
- S?; ? un pavone in tutto, salvo che nella bellezza - disse Lord
Henry, facendo a pezzi la margherita con le sue lunghe dita
nervose.
- Non riuscii a liberarmene. Mi present? a delle Altezze, a degli
uomini con placche e Giarrettiere, a delle vecchie signore con
certi gioielli giganteschi e certi nasi da pappagallo. Parl? di me
come se fossi stato il suo amico pi? caro; prima di allora l'avevo
incontrata una volta soltanto, ma lei si era messa in testa di
lanciarmi. Mi pare che in quel momento un mio quadro aveva avuto
un grande successo, o almeno se ne era parlato nei giornali da un
soldo, ci? che costituisce il tipo di immortalit? del
Diciannovesimo secolo. Di colpo mi trovai faccia a faccia col
giovane la cui personalit? mi aveva agitato in un modo tanto
strano. Eravamo vicini, quasi ci toccavamo, i nostri sguardi si
incontrarono un'altra volta. Fu un'imprudenza da parte mia, ma
chiesi a Lady Brandon di presentarmi a lui. Forse, dopo tutto, non
fu neanche un'imprudenza; era semplicemente inevitabile. Dorian mi
ha detto cos?, pi? tardi; anche lui aveva la sensazione che
eravamo destinati a conoscerci.
- E Lady Brandon come descrisse questo giovane meraviglioso?
chiese il suo compagno. - So che ha l'abitudine di dare un rapido
"pr?cis" di tutti i suoi invitati. Mi ricordo che una volta mi
port? da un vecchio signore truculento e tutto rosso in faccia,
coperto di nastri e di decorazioni dalla testa ai piedi, e mi
sibil? nell'orecchio i dettagli pi? stupefacenti, in un tragico
sussurr?o che deve essere stato sentito perfettamente da tutti
quelli che si trovavano nella stanza. Io tagliai la corda. Le
persone mi piace scoprirle da me. Ma Lady Brandon tratta i suoi
ospiti come il commissario di un'asta tratta le sue mercanzie: o
li spiega completamente, oppure riguardo a loro ti dice tutto,
eccetto quello che bisognerebbe sapere.
- Povera Lady Brandon! Come sei crudele con lei, Harry! - disse
distrattamente Hallward.
- Mio caro, lei ha provato a fondare un "salon" ed ? riuscita solo
ad aprire un ristorante. Vorresti che l'ammirassi? Ma dimmi, che
disse del signor Dorian Gray?
- Oh, qualcosa come "ragazzo delizioso - la sua povera cara mamma
ed io assolutamente inseparabili - oh, s?, suona il piano oppure
il violino, Mister Gray?". N? lui n? io potemmo frenare il riso, e
diventammo subito amici.
- Il riso non ? un brutto modo per cominciare un'amicizia, e ?
sicuramente il miglior modo di finirla - disse il giovane Lord,
cogliendo un'altra margherita.
Hallward scosse il capo. - Tu non capisci che cosa sia l'amicizia,
Harry - mormor?, - e del resto neppure che cosa sia l'inimicizia.
Tutti ti piacciono, cio? tutti ti sono indifferenti.
- Questo ? terribilmente ingiusto! - esclam? Lord Henry,
spingendosi all'indietro il cappello e guardando in su, verso le
nuvolette, simili a gomitoli arruffati di lucida seta bianca, che
navigavano nella volta turchese del cielo estivo. - S?, ?
terribilmente ingiusto da parte tua. Io faccio una gran differenza
tra una persona e un'altra. Scelgo gli amici per la loro bellezza,
i conoscenti per il loro buon carattere e i nemici per la loro
intelligenza. Non ho un solo nemico che sia uno stupido: sono
tutti uomini che possiedono un certo potere intellettuale e di
conseguenza mi apprezzano tutti. E' una forma di vanit?, questa?
S?, credo che in fondo sia una vanit?.
- Lo credo anch'io, Harry. Per?, in base alla tua classificazione,
io dovrei essere un semplice conoscente.
- Caro il mio vecchio Basil, tu sei ben pi? che un conoscente.
- E molto meno che un amico. Una specie di fratello, non ? vero?
- Oh, i fratelli! I fratelli non mi interessano. Il mio fratello
maggiore non vuole morire e quelli minori sembra che non facciano
altro.
- Harry! - esclam? Hallward, facendosi scuro in volto.
- Caro amico, non parlo completamente sul serio; per? non posso
fare a meno di detestare i miei parenti. Penso che dipenda dal
fatto che nessuno di noi riesce a sopportare che gli altri abbiano
gli stessi nostri difetti. Capisco perfettamente la rabbia della
democrazia inglese contro quelli che chiamano i vizi delle classi
elevate. Le masse pensano che l'ubriachezza, la stupidit? e
l'immoralit? debbano essere una loro propriet? esclusiva e che
quando uno di noi fa una sciocchezza ? come se andasse a caccia
nella loro riserva. Quando il povero Southwark comparve davanti al
Tribunale dei Divorzi la loro indignazione fu davvero magnifica:
eppure credo che neppure il dieci per cento del proletariato
conduca una vita decente.
- Non sono d'accordo con una sola delle parole che hai detto, e
ci? che ? peggio, Harry, sono sicuro che non sei d'accordo neppure
tu.
Lord Henry si accarezz? l'aguzza barbetta bruna e si batt? la
punta delle scarpe di coppale con un bastone da cui pendevano
delle palline d'ebano. - Come sei Inglese, Basil! E' la seconda
volta che fai quest'osservazione. Quando si espone un'idea davanti
a un vero Inglese, cosa che ? sempre imprudente, l'Inglese non si
sogna mai di considerare se l'idea ? giusta o sbagliata. La sola
cosa alla quale attribuisce importanza ? se colui che la formula
ci crede lui stesso. Ma il valore di un'idea ? assolutamente
indipendente dalla sincerit? dell'uomo che la espone; anzi ?
probabile che quanto meno l'uomo ? sincero, tanto pi? intelligente
sia l'idea, perch? in quel caso non prende il colore n? delle sue
aspirazioni, n? dei suoi desideri, n? dei suoi pregiudizi. Ma non
ho intenzione di discutere con te di politica, di sociologia o di
metafisica. Le persone mi piacciono pi? dei principii, e le
persone che non hanno principii mi piacciono pi? di qualunque
altra cosa al mondo. Parlami ancora del signor Dorian Gray. Lo
vedi spesso?
- Tutti i giorni. Non mi sentirei felice se non lo vedessi tutti i
giorni. Mi ? assolutamente necessario.
- E' straordinario! Credevo che tu non ti saresti mai interessato
a niente eccetto che alla tua arte.
- Lui ora ? per me tutta la mia arte - disse gravemente il
pittore. - A volte penso che nella storia del mondo ci sono solo
due eventi che hanno una qualche importanza. Uno ? la comparsa di
un nuovo mezzo a disposizione dell'arte; l'altro ? la comparsa di
una personalit? nuova, sempre ai fini dell'arte. Quello che per i
Veneziani fu l'invenzione della pittura a olio, il volto di
Antinoo fu per la tarda scultura greca e il volto di Dorian Gray
sar? un giorno o l'altro per me. Non ? solo perch? lo dipingo, lo
disegno, lo schizzo. Naturalmente ho fatto tutte queste cose; ma
per me egli ? molto pi? che un modello. Non ti dir? che sono
insoddisfatto di quello che ho fatto di lui, n? che la sua
bellezza ? tale che l'arte non pu? esprimerla. Non esiste nessuna
cosa che l'arte non possa esprimere; e so bene che quello che ho
fatto dopo aver conosciuto Dorian Gray ? buono, ? quanto di meglio
abbia fatto in vita mia. Ma, in un modo curioso, - mi chiedo se mi
capirai - la sua personalit? mi ha suggerito un modo completamente
nuovo nell'arte, uno stile completamente nuovo; vedo le cose,
penso le cose in modo diverso; posso oggi ricreare la vita in una
maniera che prima non conoscevo. "Sogno di forma in giorni di
pensiero" - chi ? che ha detto cosi? Non ricordo; ma questo ?
quello che Dorian Gray ? stato per me. La semplice presenza
visibile di quel ragazzo, dato che a me pare poco pi? che un
ragazzo, bench? in realt? abbia pi? di vent'anni, la semplice sua
presenza visibile- ah, mi chiedo se puoi renderti conto di tutto
quello che significa? Egli traccia per me, inconsciamente, le
linee di una nuova scuola, una scuola che dovr? avere in s? tutta
la passione dello spirito romantico e tutta la perfezione dello
spirito ellenico. L'armonia del corpo e dell'anima - quale immenso
valore ? in essa! Noi nella nostra stupidit? abbiamo separato le
due cose e abbiamo inventato un realismo che ? volgare e un
idealismo che ? vuoto. Se tu sapessi, Harry, che cosa ? per me
Dorian Gray! Ti ricordi di quel mio paesaggio per il quale Agnew
mi offr? un prezzo cos? enorme, ma dal quale non volli separarmi?
E' una delle cose migliori che io abbia fatto; e perch?? Perch?
Dorian Gray era seduto vicino a me mentre lo dipingevo. Da lui a
me passava un qualche influsso sottile e per la prima volta in
vita mia vedevo in quel semplice paesaggio boscoso il miracolo che
avevo sempre cercato, senza mai riuscire a trovarlo.
- Basil, ? straordinario! Bisogna che io veda Dorian Gray.
Hallward si alz? e passeggi? su e gi? per il giardino. Dopo un po'
torn? indietro. - Harry - disse, - Dorian Gray per me ?
semplicemente un motivo d'arte. Tu forse non vedrai niente in lui:
io in lui vedo tutto. Non ? mai tanto presente nella mia opera
come quando di lui non c'? nessun'immagine. E', come ti ho detto,
un suggerimento di una maniera nuova: lo ritrovo nella curva di
certe linee, nella grazia e nella finezza di certi colori. Ecco
tutto.
- Allora perch? non vuoi esporre il suo ritratto? - domand? Lord
Henry.
- Perch?, senza averne l'intenzione, ci ho messo in una certa
misura l'espressione di tutta questa strana idolatria artistica
della quale, naturalmente, non ho mai voluto parlare a lui. Lui
non ne sa niente e non ne sapr? mai niente. Ma la gente potrebbe
indovinarlo; e io non voglio mettere a nudo la mia anima davanti
alla superficiale curiosit? dei suoi occhi. Il mio cuore non
finir? mai sotto il microscopio. C'? troppo di me stesso in quel
quadro, Harry; troppo di me stesso!
- I poeti non hanno tanti scrupoli; sanno quanto la passione sia
utile alla pubblicit?. Al giorno d'oggi un cuore spezzato tira
parecchie edizioni.
- Per questo li odio - grid? Hallward. - Un artista dovrebbe
creare delle cose belle, ma senza mettervi niente della sua anima.
Viviamo in un tempo in cui la gente tratta l'arte come se questa
dovesse costituire una forma di autobiografia. Abbiamo perso il
senso astratto della bellezza. Voglio mostrare al mondo, un
giorno, che cosa sia quel senso; e ? per questo che il mondo non
vedr? mai il mio ritratto di Dorian Gray.
- Penso che tu abbia torto, Basil; ma non voglio discutere con te.
Discutono soltanto quelli che sono intellettualmente perduti. Ma
dimmi: Dorian Gray ti vuole molto bene?
Il pittore riflett? un momento. - Gli piaccio - rispose dopo una
pausa; - so che gli piaccio. Naturalmente lo adulo in un modo
spaventoso; sento uno strano piacere nel dirgli certe cose, pur
sapendo che mi pentir? di avergliele dette. Con me di solito ?
delizioso e ce ne stiamo seduti nello studio a parlare di mille
cose; a volte per? non ha nessun riguardo e sembra divertirsi a
farmi dispiacere. Allora, Harry, ho la sensazione di aver dato la
mia anima a qualcuno che la tratta come se fosse un fiore da
mettere all'occhiello, una decorazione che lusinga la sua vanit?,
un ornamento per una giornata d'estate.
- Le giornate d'estate sono alquanto lunghe, Basil - mormor? Lord
Henry. - Forse sarai tu il primo che si stancher?. E' doloroso
pensarlo, ma non c'? dubbio che il genio dura pi? a lungo della
bellezza; e questo spiega il fatto che tutti noi facciamo tanti
sforzi per istruirci all'eccesso. Nella lotta selvaggia per
l'esistenza, vogliamo avere qualche cosa che duri e cos? riempiamo
la nostra mente di ciarpami e di fatti, nella stupida speranza di
riuscire a conservare il nostro posto. L'uomo perfettamente al
corrente ? una cosa spaventosa; assomiglia a una bottega di
rigattiere, piena di mostri e di polvere, dove a ogni cosa ?
attribuito un prezzo superiore al suo valore. Per? credo che sarai
tu il primo che si stancher?. Un giorno nel guardare il tuo amico
ti sembrer? che sia un po' mal disegnato, o non ti piacer? la
tonalit? del suo colore o un'altra cosa qualsiasi. In cuor tuo
gliene farai aspri rimproveri e penserai seriamente che si ?
comportato molto male con te. Quando verr? a trovarti la volta
dopo, sarai assolutamente freddo e indifferente: e sar? un gran
peccato, perch? questo ti cambier?. Quello che mi hai raccontato ?
un vero romanzo, un romanzo d'arte, si potrebbe dire; e
l'inconveniente di avere un romanzo di qualsiasi tipo consiste nel
fatto che dopo si rimane cos? poco romantici.
- Harry, non dir cos?. La personalit? di Dorian Gray mi dominer?
finch? vivo. Tu non puoi sentire quello che sento io; sei troppo
volubile.
- Ah, mio caro Basil, proprio per questo posso sentirlo. Quelli
che sono fedeli conoscono soltanto il lato triviale dell'amore;
sono gli infedeli quelli che ne conoscono le tragedie. - E Lord
Henry accese un fiammifero sfregandolo contro un piccolo astuccio
d'argento e cominci? a fumare una sigaretta, con un'aria
presuntuosa e soddisfatta, come se avesse riassunto il mondo
intero in una frase. Nelle verdi foglie laccate dell'edera c'era
un frusc?o di passeri cinguettanti e sull'erba le ombre azzurre
delle nuvole si rincorrevano come rondini. Com'era piacevole quel
giardino! e come erano deliziose le emozioni degli altri! Ben pi?
deliziose, a suo parere, delle idee degli altri! La sua anima e le
passioni dei suoi amici, ecco le cose affascinanti nella vita. Con
un silenzioso divertimento si raffigur? la colazione noiosa alla
quale era mancato per essersi trattenuto tanto a lungo con Basil
Hallward. Se fosse andato da sua zia vi avrebbe incontrato senza
dubbio Lady Hoodbody e la conversazione si sarebbe aggirata
sull'alimentazione dei poveri e sulla necessit? di case popolari
modello. Ogni classe avrebbe predicato l'importanza di quelle
virt? delle quali la sua vita non rendeva necessario l'esercizio;
i ricchi avrebbero parlato del valore del risparmio, gli oziosi
avrebbero fatto sfoggio di eloquenza circa la dignit? del lavoro.
Aver evitato tutto questo era una delizia. Pensando a sua zia
sembr? che un'idea lo colpisse. Si gir? verso Hallward e disse: -
Mio caro, ora mi ricordo.
- Ti ricordi che cosa, Harry?
- Dove ho sentito il nome di Dorian Gray.
- Dove? - chiese Hallward, aggrottando leggermente le
sopracciglia.
- Non fare quella faccia arrabbiata, Basil. A casa di mia zia,
Lady Agatha. Mi disse che aveva scoperto un giovanotto
meraviglioso, che doveva aiutarla nell'East End, che si chiamava
Dorian Gray. Debbo dichiarare che non mi disse mai che era cos?
bello. Le donne non apprezzano la bellezza, almeno le donne buone.
Mi disse che era molto serio e che aveva un carattere eccellente.
Immaginai subito un tipo occhialuto, coi capelli rossi,
orrendamente lentigginoso, con di un paio di piedi enormi. Mi
dispiace di non aver saputo che si trattava del tuo amico.
- Io ne sono contentissimo, Harry.
- E perch??
- Non voglio che tu lo conosca.
- Non vuoi che lo conosca?
- No.
- Il signor Dorian Gray ? nello studio - disse il servitore
uscendo nel giardino.
- Ora mi dovrai presentare - grid? con una risata Lord Henry.
Il pittore si gir? verso il domestico che stava, un po'
abbagliato, nel chiarore del sole. - Pregate il signor Gray di
aspettare, Parker; verr? dentro tra un minuto.
Il servitore si inchin? e cominci? a risalire il vialetto.
Egli allora fiss? Lord Henry. - Dorian Gray ? il mio pi? caro
amico - disse. - E' una natura semplice e bella; tua zia aveva
perfettamente ragione in quel che disse di lui. Non lo guastare.
Non provarti a influenzarlo. La tua sarebbe un'influenza cattiva.
Il mondo ? grande e contiene molte creature meravigliose. Non
allontanare da me l'unica persona che d? alla mia arte tutto il
fascino che questa possiede. La mia vita di artista dipende da
lui. Bada, Harry: mi fido di te. - Parlava molto lentamente e
pareva che le parole gli uscissero di bocca quasi suo malgrado.
- Quante sciocchezze stai dicendo! - disse Lord Henry con un
sorriso e, prendendo Hallward a braccetto, quasi lo spinse in
casa.
Capitolo secondo.
Appena entrati videro Dorian Gray seduto al pianoforte, che girava
loro le spalle e sfogliava le pagine di un volume delle "Scene
della Foresta" di Schumann. - Devi prestarmi queste, Basil -
grid?. - Voglio impararle; sono proprio deliziose.
- Dipende soltanto dal modo in cui poserai oggi, Dorian.
- Oh, sono stufo di posare e non voglio un ritratto di me stesso a
grandezza naturale - rispose il ragazzo girandosi sullo sgabello,
con un fare testardo e petulante. Quando vide Lord Henry, un lieve
rossore gli imporpor? per un momento le guance. Balz? in piedi. -
Scusami, Basil, non sapevo che ci fosse qualcuno con te.
- Dorian, questo ? Lord Henry Wotton, mio vecchio amico dei tempi
di Oxford. Stavo appunto dicendogli come sei bravo a posare e ora
tu hai guastato tutto.
- Non per? il mio piacere di fare la vostra conoscenza, signor
Gray - disse Lord Henry, venendo avanti colla mano tesa. - Mia zia
mi ha parlato spesso di voi. Siete uno dei suoi favoriti e anche,
temo, una delle sue vittime.
- Attualmente sto sul libro nero di Lady Agatha - rispose Dorian
con un'aria di comica contrizione. - Avevo promesso di andare con
lei marted? scorso in un club di Whitechapel e mi dimenticai
completamente. Dovevamo suonare un duetto insieme - tre duetti,
credo. Non so che cosa mi dir?; ho troppa paura per andare a
trovarla.
- Oh, vi far? far pace con mia zia. Vi vuole tanto bene! E non
credo che importi gran che se non siete andato. Probabilmente il
pubblico avr? creduto che fosse un duetto. Quando zia Agatha sta
al pianoforte fa un tale fracasso che basta ampiamente per due.
- Questo ? molto duro nei suoi riguardi e non molto carino nei
miei - rispose Dorian, ridendo.
Lord Henry lo guardava. Certo, era meravigliosamente bello, con
quelle sue labbra scarlatte dalla curva delicata, quei suoi occhi
azzurri pieni di freschezza, quei suoi capelli d'oro ondulati. Nel
suo volto c'era qualcosa che ispirava fiducia a prima vista. Si
sentiva che si era conservato immune dalle porcherie del mondo.
Non c'era niente di strano se Basil Hallward lo adorava.
- Avete troppo fascino per darvi alla filantropia, signor Gray,
troppo, troppo fascino. - E Lord Henry si lasci? cadere sul divano
e apr? il portasigarette.
Il pittore, intento a mescolare i colori e a preparare i pennelli,
aveva l'aria preoccupata; e nel sentire l'ultima frase di Lord
Henry lo guard?, esit? un istante, poi disse: - Harry, oggi vorrei
finire questo ritratto. Troveresti molto scortese da parte mia se
ti chiedessi di andartene?
Lord Henry sorrise e guard? Dorian Gray. - Debbo andarmene, signor
Gray? - , chiese.
- Oh no, vi prego, Lord Henry. Mi accorgo che Basil ? in uno dei
suoi momenti di cattivo umore e quando fa il muso non lo posso
soffrire. E poi voglio che mi diciate perch? non dovrei dedicarmi
alla filantropia.
- Questo non so se ve lo dir?. E' un argomento cos? noioso che
bisognerebbe parlare seriamente. Ma io non me ne vado di certo,
ora che mi avete chiesto di restare. Sul serio, Basil, ti d?
veramente fastidio? Mi hai detto tante volte che ti piaceva che i
tuoi modelli potessero conversare con qualcuno.
Hallward si morse il labbro. - Naturalmente devi restare, se
Dorian lo desidera. I capricci di Dorian sono legge per tutti,
eccetto che per lui stesso.
Lord Henry prese il cappello e i guanti. - Sei molto gentile,
Basil, ma proprio paura di dover andar via. Ho promesso di
incontrarmi con un tizio all'Orl?ans. Arrivederci, signor Gray.
Venite un pomeriggio a trovarmi in Curzon Street. Alle cinque sono
quasi sempre in casa. Scrivetemi prima di venire; mi dispiacerebbe
mancarvi.
- Basil - grid? Dorian Gray - se Lord Henry Wotton se ne va me ne
vado anch'io. Tu quando dipingi non apri mai la bocca ed ? troppo
noioso stare su questa pedana e sforzarsi di avere un'aria
piacevole. Digli di restare; ci tengo.
- Resta, Harry, per far piacere a Dorian e per far piacere a me-
disse Hallward, fissando intensamente il suo quadro. - E'
perfettamente vero che quando lavoro non parlo mai e nemmeno
ascolto, e per i miei disgraziati modelli dev'essere terribilmente
noioso. Ti prego di restare.
- E il mio uomo dell'Orl?ans?
Il pittore rise. - In quanto a quello non credo che ci saranno
difficolt?. Torna a sederti, Harry. E tu, Dorian, sali sulla
pedana e guarda di non muoverti troppo e di non prestare nessuna
attenzione a quello che dice Lord Henry. E' un uomo che ha una
pessima influenza su tutti i miei amici, tranne me.
Con l'aria di un giovane martire greco, una piccola smorfia di
noia sul volto, Dorian Gray sal? sulla pedana. Si sentiva attirato
da Lord Henry; era tanto diverso da Basil che i due formavano un
contrasto delizioso, e aveva una voce cos? bella. Dopo qualche
minuto gli disse:
- Lord Henry, ? vero che avete una pessima influenza, come
racconta Basil?
- La buona influenza non esiste, signor Gray. Qualunque influenza
? immorale; immorale dal punto di vista scientifico.
- Perch??
- Perch? influenzare qualcuno significa dargli la propria anima.
Egli non pensa pi? i suoi pensieri naturali, non brucia pi? delle
sue passioni naturali; le sue virt? non sono naturali per lui e i
suoi peccati, se i peccati esistono veramente, sono presi a
prestito. Diventa l'eco di una musica altrui, l'attore di una
parte che non ? stata scritta per lui. Lo sviluppo di noi stessi ?
lo scopo della vita; ognuno di noi ? al mondo per tradurre
perfettamente in realt? la propria natura. Al giorno d'oggi la
gente ha paura di se stessa. Tutti hanno dimenticato quello che ?
il pi? alto di tutti i doveri, il dovere che abbiamo verso noi
stessi. Sono caritatevoli, certo; danno da mangiare agli affamati
e vestono gli ignudi, ma le loro anime rimangono affamate e nude.
Il coraggio ? scomparso dalla nostra razza; in realt? forse non
l'abbiamo mai avuto. Il terrore della societ? che ? il fondamento
della morale e il terrore di Dio che ? il segreto della religione
sono le due cose che ci governano. Eppure...
- Gira un pochino la testa verso destra, Dorian, da bravo
figliuolo - disse il pittore, immerso nel suo lavoro e consapevole
soltanto del fatto che sul volto del ragazzo era comparsa
un'espressione che non vi aveva mai vista prima.
- E pure - continu? Lord Henry, con la sua sommessa voce musicale
e con quel grazioso gesto della mano che era una sua abituale
caratteristica e che lo accompagnava fin dai suoi tempi di scuola
a Eton, - credo che se un uomo vivesse pienamente e compiutamente
la propria vita, dando forma a ogni sentimento, espressione a ogni
pensiero, realt? a ogni sogno, credo che ne deriverebbe al mondo
un tale impulso fresco di gioia da farci dimenticare tutte le
infermit? del medievalismo e da farci tornare all'ideale ellenico
e magari a qualche cosa di pi? bello, di pi? ricco dell'ideale
ellenico. Ma il pi? coraggioso tra noi ha paura di se stesso.
Nelle rinunce volontarie che rovinano la nostra vita rivive
tragicamente la mutilazione del selvaggio. Noi siamo puniti per
quello che rifiutiamo a noi stessi; ogni impulso che ci sforziamo
di strangolare fermenta nella mente e ci intossica. Il corpo pecca
una volta sola e cos? esaurisce il proprio peccato, dato che
l'azione costituisce una forma di purificazione, e allora non
resta che il ricordo di un piacere oppure il lusso di un
rimpianto. Cedere a una tentazione ? l'unico modo di liberarsene.
Se si resiste, l'anima si ammala di bramosia delle cose che ha
vietato a se stessa, di desiderio di ci? che le sue leggi
mostruose hanno fatto mostruoso e illegale. Qualcuno ha detto che
i grandi avvenimenti del mondo avvengono nel cervello; ma ? pure
nel cervello e solo nel cervello che avvengono i grandi peccati
del mondo. Voi, signor Gray, anche voi, con tutta la vostra
giovent? che ? come una rosa rossa e la vostra adolescenza che ?
come una rosa bianca, avete avuto passioni che vi hanno
terrorizzato, idee che vi hanno riempito di spavento, sogni, di
giorno e di notte, che solo a ricordarli vi farebbero salire alle
guance il rossore della vergogna...
- Basta! - esclam? Dorian Gray. - Basta! Voi mi stordite. Non so
che cosa dire. C'? una risposta a quel che state dicendo, ma non
riesco a trovarla. Non parlate; lasciatemi pensare, o, piuttosto,
lasciatemi provare a non pensare.
Rest? immobile per una decina di minuti, con le labbra semiaperte
e gli occhi stranamente splendenti. Si rendeva conto confusamente
che dentro di lui agivano influenze completamente nuove, e pure
gli sembrava che provenissero in realt? da lui stesso. Le poche
parole che gli aveva detto l'amico di Basil, parole dette
indubbiamente a caso e piene di paradossi voluti, avevano toccato
qualche corda segreta che non era mai stata toccata prima, e che
egli ora sentiva vibrare e palpitare di una strana pulsazione.
La musica gli aveva dato un turbamento analogo. La musica l'aveva
turbato molte volte; ma la musica non era articolata, non creava
dentro di noi un mondo nuovo, anzi piuttosto un altro caos.
Parole! solo parole! ma come erano terribili, chiare, vivide,
crudeli! Ad esse non si poteva sfuggire; e di quale magia sottile
erano impregnate! Pareva che riuscissero a plasmare cose informi,
che avessero una musica loro propria, dolce come quella della
viola o del liuto. Solo parole! C'era qualcosa che fosse reale
quanto le parole?
S?, nella sua adolescenza c'erano state cose che non aveva
compreso, ma che ora comprendeva. D'improvviso per lui la vita
divent? color di fuoco. Gli sembr? di aver camminato in mezzo alle
fiamme. Come mai non l'aveva saputo?
Lord Henry lo guardava, col suo sorriso fine. Conosceva il momento
psicologico preciso nel quale bisognava non dire nulla. Si sentiva
fortemente interessato. Stupito dell'impressione improvvisa che le
sue parole avevano prodotto, si ricord? di un libro letto a sedici
anni, che gli aveva rivelato molte cose sconosciute prima di
allora e si chiese se Dorian Gray stesse passando attraverso
un'esperienza analoga. Aveva semplicemente scagliato una freccia
nell'aria: aveva forse colpito il bersaglio? Com'era affascinante
quel ragazzo!
Hallward continuava a dipingere, con quel suo tocco mirabilmente
audace che aveva la vera raffinatezza e la delicatezza perfetta
che, almeno nell'arte, scaturiscono esclusivamente dalla forza; e
non si accorgeva del silenzio.
- Basil, sono stanco di stare in piedi - grid? a un tratto Dorian
Gray. - Bisogna che vada fuori, a sedermi in giardino. Si soffoca
qui dentro.
- Mio caro, ti chiedo scusa. Quando dipingo non riesco a pensare a
nient'altro. Tu per? non avevi mai posato cos? bene. Sei stato
perfettamente immobile e io ho potuto cogliere l'effetto che
cercavo: le labbra semiaperte e la lucentezza degli occhi. Non so
che cosa ti abbia detto Harry, ma senza dubbio ? riuscito a farti
avere la pi? meravigliosa delle espressioni. M'immagino che ti
avr? fatto dei complimenti. Non devi credere una sola parola di
quello che dice.
- Non mi ha fatto proprio nessun complimento, e forse ? per questo
motivo che non credo a niente di quello che mi ha detto.
- Sapete benissimo che credete a tutto quanto - disse Lord Henry,
guardandolo coi suoi occhi sognanti e languidi. - Usciamo insieme
in giardino; in questo studio fa un caldo tremendo. Basil, mandaci
una cosa ghiacciata da bere, qualche cosa con delle fragole
dentro.
- Certo, Harry. Suona il campanello e quando Parker verr? gli dir?
quello che desideri. Voglio finire questo sfondo e vi raggiunger?
pi? tardi. Non trattenermi Dorian troppo a lungo. Non sono mai
stato cos? in forma per dipingere come oggi. Questo sar? il mio
capolavoro: ? gi? il mio capolavoro cos? com'?.
Lord Henry usc? fuori in giardino e vi trov? Dorian Gray, che con
il viso sprofondato nei grandi fiori freschi del glicine, ne
beveva avidamente il profumo come si beve un vino. Gli si avvicin?
e gli mise la mano sulla spalla. - Fate benissimo a fare cos? -
mormor?. - Non c'? niente che curi l'anima come i sensi, cos? come
niente pu? curare i sensi, come l'anima.
Il ragazzo si riscosse e fece un passo indietro. Era a capo
scoperto e le foglie avevano scompigliato i suoi riccioli ribelli
intricandone i fili d'oro. Negli occhi aveva un'espressione
spaurita come quella delle persone svegliate di soprassalto. Le
sue narici finemente disegnate vibravano e un nervo segreto
agitava lo scarlatto delle sue labbra facendole tremare.
- S? - aggiunse Lord Henry, - ? questo uno dei grandi segreti
della vita: curare l'anima per mezzo dei sensi e i sensi per mezzo
dell'anima. Siete un essere meraviglioso. Sapete pi? di quanto
credete di sapere, proprio come sapete meno di quanto desiderate
di sapere.
Dorian Gray aggrott? le sopracciglia e gir? la testa da un'altra
parte. Non poteva difendersi dalla simpatia che gli ispirava quel
giovane alto e aggraziato che gli stava vicino. Nella voce
sommessa e languida di lui c'era qualcosa di assolutamente
affascinante.
Persino le mani, fresche, bianche, simili a fiori, avevano un
fascino misterioso; quando parlava si muovevano come una musica e
sembravano avere un linguaggio loro proprio. Per? aveva paura di
lui e si vergognava di aver paura. Perch? doveva essere stato un
estraneo a rivelargli se stesso? Conosceva Basil Hallward da mesi
ma la loro amicizia non lo aveva minimamente cambiato; e ora, di
colpo, era comparso nella sua vita qualcuno che sembrava avergli
svelato il mistero dell'esistenza. Ma di che cosa doveva aver
paura? Non era n? uno scolaretto n? una ragazzina; quella paura
era assurda.
- Andiamo a sederci all'ombra - disse Lord Henry. - Parker ha
portato le bibite e se restate ancora sotto questi riflessi vi si
sciuper? il colorito. Non dovete lasciarvi abbronzare; non vi
starebbe bene.
- E che importa? - grid? Dorian Gray, ridendo e sedendosi sulla
panchina all'estremit? del giardino.
- A voi dovrebbe importare moltissimo, signor Gray.
- Perch??
- Perch? siete cos? meravigliosamente giovane e la giovent? ?
l'unica cosa che valga la pena di avere.
- Non ho quest'impressione, Lord Henry.
- No, ora non l'avete. Un giorno, quando sarete vecchio, grinzoso
e brutto, quando il pensiero vi avr? solcato la fronte con le sue
linee e la passione vi avr? bruciato le labbra col suo fuoco
odioso, avrete quest'impressione, l'avrete in un modo terribile.
Adesso, dovunque andate, affascinate il mondo; ma sar? sempre
cos??... Avete un viso meravigliosamente bello, signor Gray; non
aggrottate le sopracciglia, ? cos?; e la Bellezza ? una forma di
genio, anzi, ? pi? alta del genio perch? non richiede spiegazioni.
E' uno dei grandi fatti del mondo, come la luce del sole o la
primavera o il riflesso in un'acqua cupa di quella conchiglia
d'argento che chiamiamo luna. Non pu? esser messa in discussione;
possiede un suo diritto divino di sovranit?; rende come principi
quelli che la possiedono. Sorridete? Ah, quando l'avrete perduta
non sorriderete... La gente dice a volte che la Bellezza ? solo
superficiale. Pu? darsi, ma almeno non ? cos? superficiale come il
Pensiero. Per me la Bellezza ? la meraviglia delle meraviglie.
Soltanto le persone superficiali non giudicano dalle apparenze. Il
vero mistero del mondo ? il visibile, non l'invisibile... S?,
signor Gray, gli D?i sono stati benevoli con voi, ma gli D?i si
riprendono ben presto ci? che hanno donato. Avete solo pochi anni
per vivere veramente, perfettamente, pienamente. Quando finir? la
vostra giovent? sparir? insieme con essa anche la vostra bellezza
e allora vi accorgerete di colpo che per voi non ci sono pi?
trionfi, oppure che dovete accontentarvi di quei bassi trionfi che
il ricordo del passato vi far? sembrare pi? amari di una
sconfitta. Ogni mese che passa vi avvicina a qualche cosa di
terribile. Il tempo ? geloso di voi e ha dichiarato guerra ai
vostri gigli e alle vostre rose. Diventerete giallo, con le guance
incavate, con l'occhio smorto. Soffrirete orribilmente... Ah,
finch? avete la vostra giovinezza fate di essa una realt?. Non
sprecate l'oro delle vostre giornate ad ascoltare gente noiosa, a
cercare di emendare insuccessi senza speranza, a regalare la
vostra vita a gente ignorante, ordinaria, volgare: sono queste le
aspirazioni morbose, i falsi ideali del nostro tempo. Vivete!
Vivete la vita prodigiosa che ? in voi! Fate che per voi niente
vada perduto. Cercate sempre sensazioni nuove, non abbiate paura
di niente... Un nuovo Edonismo, ecco quello che serve al nostro
secolo; e voi potreste esserne il simbolo visibile. Con una
personalit? come la vostra non c'? niente che non possiate fare;
per lo spazio di una stagione il mondo vi appartiene... Nel
momento in cui vi ho conosciuto mi sono accorto che non avevate la
minima coscienza di ci? che siete in realt? e di ci? che in realt?
potete essere. C'era in voi qualche cosa che mi ha affascinato
tanto da farmi sentire il dovere di parlarvi di voi stesso. Ho
pensato che se doveste essere sprecato sarebbe una cosa tragica,
perch? la vostra giovinezza durer? tanto, tanto poco. I fiori di
campo pi? comuni appassiscono, ma tornano a fiorire; nel giugno
prossimo il citiso sar? giallo come ? adesso; tra un mese la
clematide si orner? di stelle rosse e un anno dopo l'altro il
verde scuro delle sue foglie avr? le sue stelle di porpora; ma a
noi la giovent? non viene data una seconda volta. Il polso di
gioia che batte in noi a vent'anni si intorbidisce, le membra si
infiacchiscono, i sensi si consumano; degeneriamo fino a
trasformarci in schifosi fantocci, ossessionati dal ricordo delle
passioni delle quali avemmo eccessiva paura e delle tentazioni
squisite alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Giovinezza!
giovinezza! nel mondo non esiste assolutamente niente, al di l?
della giovinezza!
Dorian Gray, sbigottito, ascoltava, con gli occhi sbarrati. Il
ramoscello di glicine gli cadde di mano sulla ghiaia. Arriv?
un'ape pelosa e vi ronz? intorno per un momento, poi cominci? ad
arrampicarsi sul globo ovale e stellato dei suoi piccoli fiori.
Egli rest? a guardarla con quello strano interessamento per le
cose meschine che tentiamo di svegliare in noi stessi quando
qualcosa di pi? alto valore ci spaventa, o ci agita qualche nuova
emozione che non riusciamo a reprimere o qualche idea che ci
terrorizza assedia improvvisamente il nostro cervello e ci intima
la resa. Poco dopo l'ape vol? via e lui la vide introdursi dentro
la tromba maculata di un convolvolo. Il fiore sembr? vibrare, poi
oscill? dolcemente di qua e di l?.
Improvvisamente comparve sulla soglia dello studio il pittore e
fece loro cenno di rientrare. Si girarono a guardarsi l'un l'altro
e sorrisero.
- Sto aspettando - grid? lui. - Venite dentro. C'? una luce
proprio perfetta e potete portare le bibite con voi.
Si alzarono avviandosi insieme per il vialetto. Due farfalle verdi
e bianche svolazzarono vicino a loro e sul pero nell'angolo del
giardino una calandra cominci? a cantare.
- Siete contento di avermi conosciuto, signor Gray? - disse Lord
Henry, guardandolo.
- S?, ora s?. Chi sa se ne sar? sempre contento?
- Sempre! E' una parola tremenda. Tutte le volte che la sento mi
fa rabbrividire. Le donne l'adoperano tanto volentieri; rovinano
qualsiasi romanzo a forza di provare a farlo durare in eterno. Per
di pi? ? una parola senza senso. L'unica differenza tra un
capriccio e una passione che dura tutta la vita ? che il capriccio
dura pi? a lungo.
Nell'entrare nello studio Dorian Gray pos? la mano sul braccio di
Lord Henry. - In tal caso facciamo che la nostra amicizia sia un
capriccio - bisbigli?, arrossendo della propria audacia; poi sal?
sulla pedana e riprese la posa.
Lord Henry si sprofond? in una grande poltrona di vimini e rimase
a guardarlo. L'unico rumore che rompeva il silenzio era quello del
fruscio e del tocco del pennello sulla tela, eccetto che quando
Hallward, ogni tanto, faceva un passo indietro per guardare a
distanza la sua opera. Nei raggi obliqui del sole che entravano
dalla porta aperta ballava il pulviscolo dorato. Su tutte le cose
sembrava aleggiare il profumo pesante delle rose.
Dopo circa un quarto d'ora Hallward smise di dipingere, guard? a
lungo Dorian Gray e poi il ritratto, mordendo l'estremit? di uno
dei suoi enormi pennelli e corrugando la fronte. - E' proprio
finito - grid? finalmente; e, chinatosi, tracci? nell'angolo
sinistro della tela il suo nome in lettere vermiglie.
Lord Henry si avvicin? ed esamin? il ritratto. Era certamente una
mirabile opera d'arte, e, al tempo stesso, mirabilmente
somigliante.
- Mio caro, ti faccio le mie pi? calorose felicitazioni disse. E'
il pi? bel ritratto dell'epoca moderna. Signor Gray, venite a
guardarlo anche voi.
Il ragazzo si riscosse, come se si fosse svegliato da un sogno. E'
proprio finito? - mormor?, scendendo dalla pedana.
- Proprio finito - disse il pittore. E tu oggi hai posato
splendidamente. Te ne sono infinitamente grato.
- E' tutto merito mio - interruppe Lord Henry, - non ? vero,
signor Gray?
Dorian non rispose, ma pass? distrattamente davanti al suo
ritratto e si volt? a guardarlo. Nel vederlo si ritrasse indietro
e per un attimo le guance gli si arrossarono di piacere.
Un'espressione di gioia apparve nei suoi occhi, come se si fosse
riconosciuto per la prima volta. Rest? immobile, in ammirazione,
rendendosi vagamente conto che Hallward gli stava parlando, senza
afferrare il senso delle sue parole. La sensazione della propria
bellezza fu per lui come una rivelazione. Non l'aveva mai provata
prima di quel momento, i complimenti di Basil Hallward gli erano
sembrati semplicemente le cortesi esagerazioni dell'amicizia; li
aveva ascoltati, ne aveva riso e se ne era dimenticato, ma non
avevano avuto nessuna influenza sulla sua natura. Poi era venuto
Lord Henry Wotton col suo strano panegirico della giovinezza, col
suo terribile monito della brevit? di questa. L? per l? ne era
rimasto turbato; ma ora, nel contemplare l'ombra della propria
bellezza, gli balen? davanti la piena esattezza della descrizione.
S?, sarebbe venuto il giorno in cui il suo volto sarebbe diventato
rugoso e avvizzito, i suoi occhi si sarebbero fatti vuoti e
scialbi, la grazia della sua figura sarebbe stata infranta e
deformata; dalle sue labbra sarebbe scomparso lo scarlatto e dai
suoi capelli il fulgore dell'oro. La vita doveva creare la sua
anima, ma avrebbe distrutto il suo corpo. Sarebbe diventato
orribile, schifoso, goffo. A questo pensiero un acuto senso di
pena penetr? in lui come una lama, facendo fremere tutte le fibre
delicate della sua natura. I suoi occhi oscurandosi presero il
colore dell'ametista e vi pass? sopra una nebbia di lacrime. Fu
come se una mano gelida gli si fosse posata sul cuore.
- Non ti piace? - grid? Hallward, alla fine, un po' risentito per
il silenzio del ragazzo di cui non capiva il significato.
- Certo che gli piace - disse Lord Henry. - A chi potrebbe non
piacere? E' una delle cose pi? grandi dell'arte moderna. Ti dar?
qualunque cifra tu chieda. Debbo averlo.
- Non ? mio, Harry.
- Di chi ??
- Di Dorian, naturalmente - rispose il pittore.
- Pu? considerarsi ben fortunato.
- Che tristezza! - mormor? Dorian Gray, continuando a tenere gli
occhi fissi sul suo ritratto. - Che tristezza! Io diventer?
vecchio, orribile, spaventoso, ma questo ritratto rimarr? sempre
giovane. Non sar? mai pi? vecchio di quel che non sia in questo
particolare giorno di giugno... Oh, se fosse il contrario! se
fossi io a rimanere sempre giovane e il ritratto a invecchiare!
Per questo... per questo darei qualunque cosa; s?, non c'? niente
al mondo che non sarei disposto a dare! Darei perfino la mia
anima, per questo!
- Sarebbe un affare che a te piacerebbe poco, Basil - esclam? Lord
Henry, ridendo. - Sarebbe piuttosto crudele per la tua opera.
- Mi opporrei con tutte le forze, Harry - disse Hallward.
Dorian Gray si gir? a guardarlo. - Lo credo, Basil. Tu ami la tua
arte pi? dei tuoi amici. Per te io non conto pi? di una verde
figurina di bronzo; magari meno, direi.
Il pittore lo guard? stupefatto. Questo non era il linguaggio
abituale di Dorian. Che cosa era successo? Sembrava estremamente
arrabbiato; aveva la faccia rossa e le guance accese.
- S? - continu?, - per te io conto meno del tuo Ermes d'avorio o
del tuo Fauno d'argento. Quelli ti piaceranno sempre; ma io, per
quanto ti piacer?? Probabilmente finch? non avr? la prima ruga.
Ora lo so, che quando si perde la bellezza, quale che essa sia, si
perde tutto; il tuo quadro me l'ha insegnato. Lord Henry Wotton ha
perfettamente ragione; la giovinezza ? l'unica cosa che valga la
pena di avere. Quando mi accorger? di invecchiare mi uccider?.
Hallward impallid? e lo prese per mano. - Dorian, Dorian, esclam?
- non parlare cos?! Non ho mai avuto un amico come te e non l'avr?
mai. Non sarai mica geloso di cose materiali, tu che sei tanto
superiore a qualunque di esse!
- Sono geloso di tutte le cose la cui bellezza non muore. Sono
geloso del ritratto che mi hai fatto. Perch? deve conservare
quello che io dovr? perdere? A me ogni istante che passa toglie
qualcosa, ad esso aggiunge qualcosa. Oh se fosse il contrario! Se
il ritratto potesse cambiare e io potessi essere sempre quello che
sono adesso! Perch? l'hai dipinto? Verr? un giorno nel quale mi
schernir?, mi schernir? orribilmente! - Gli salirono agli occhi
lacrime brucianti, si sciolse dalla mano dell'artista e,
gettandosi sul divano, affond? il viso nei cuscini, come se stesse
pregando.
- Questa ? opera tua, Harry - disse il pittore, amaro.
Lord Henry scroll? le spalle. - E' il vero Dorian Gray e
nient'altro.
- Non ? cos?.
- Se non ? cos?, che c'entro io?
- Avresti dovuto andare via quando te l'ho chiesto - borbott?.
- Sono rimasto quando me l'hai chiesto - fu la risposta di Lord
Henry.
- Harry, io non posso litigare con i miei due migliori amici nello
stesso momento; ma fra tutti e due mi avete fatto odiare l'opera
pi? bella che io abbia mai fatto. Mi ? venuta la voglia di
distruggerla. Dopo tutto non ? che tela e colori e non permetter?
che si metta di traverso alle nostre vite e le rovini.
Dorian Gray alz? la testa d'oro dal cuscino e lo guard?, pallido
in viso e con gli occhi umidi di pianto, mentre andava verso il
tavolino sistemato sotto la finestra dalle alte tende. Che stava
facendo? Le sue dita frugavano nel mucchio di tubetti e di
pennelli asciutti, cercando qualche cosa. S?, si trattava del
lungo coltello da tavolozza, con la sua sottile lama d'acciaio
lucente. L'aveva trovato, finalmente, e stava per lacerare la
tela.
Con un sospiro soffocato il ragazzo balz? dal divano e, lanciatosi
su Hallward, gli strapp? il coltello dalle mani e lo gett? in
fondo allo studio. - No, Basil, no! - grid?. Sarebbe un
assassinio.
- Sono contento di vederti finalmente apprezzare la mia opera,
Dorian - disse freddamente il pittore, non appena si fu rimesso
dalla sorpresa. - Non l'avrei mai creduto.
- Apprezzarla? Basil, ne sono innamorato. E' una parte di me
stesso, lo sento.
- Va bene. Appena sarai asciutto, sarai verniciato, incorniciato e
mandato a casa. Allora potrai fare di te stesso quello che vorrai.
- Attravers? la stanza e suon? per il t?. - Prenderai il t?,
naturalmente, Dorian? Anche tu, Harry? Oppure sei contrario a
questi piaceri semplici?
- Adoro i piaceri semplici - disse Lord Henry. - Sono l'ultimo
rifugio che resti alle persone complicate. Per? non mi piacciono
le scene, eccetto che al teatro. Che gente assurda siete voi due!
Mi domando chi ? che ha definito l'uomo un animale ragionevole; ?
la definizione pi? avventata che sia mai stata fatta. L'uomo ?
molte cose, ma non ? ragionevole. Dopo tutto, mi fa piacere che
sia cos?; per? vorrei che voialtri due non litigaste per il
ritratto. Faresti molto meglio a darlo a me, Basil; questo ragazzo
sciocco in realt? non lo desidera, io s?.
- Se lo dai a chiunque altro e non a me, Basil, non te lo
perdoner? mai! - grid? Dorian Gray. - E non consento a nessuno di
chiamarmi ragazzo sciocco.
- Dorian, sai bene che il ritratto ? tuo. Te l'ho dato prima
ancora che esistesse.
- E sapete pure che siete stato un po' sciocco, signor Gray, e che
in realt? non avete niente da obiettare se vi si ricorda che siete
estremamente giovane.
- Stamattina, Lord Henry, mi sarei opposto nel modo pi? violento.
- Ah, stamattina! Ma da allora in poi avete vissuto.
Bussarono alla porta e il servitore entr? portando un vassoio da
t? ricolmo e lo pos? su un piccolo tavolino giapponese. Ci fu un
rumore di tazze e di piattini e il sibilo di un bricco scanalato
di stile giorgiano. Un ragazzo port? due piatti coperti da una
campana di porcellana. Dorian Gray si fece avanti e vers? il t?; i
due uomini si avvicinarono lentamente alla tavola ed esaminarono
quello che c'era sotto i coperchi.
- Andiamo a teatro stasera - disse Lord Henry. - Ci sar? di sicuro
qualcosa in qualche posto. Ho promesso di pranzare al White, ma si
tratta solo di un vecchio amico e posso mandargli un telegramma
dicendo che non mi sento bene oppure che non posso andare a causa
di un successivo impegno. Questa mi sembra una scusa piuttosto
carina; avrebbe tutta la sorpresa della sincerit?.
- Che noia, vestirsi da sera - brontol? Hallward. - E poi, quando
si hanno indosso, sono cos? orribili, quei vestiti.
- S? - rispose Lord Henry, come se fantasticasse, - il costume del
Diciannovesimo secolo ? detestabile; ? cos? scuro, cos?
deprimente. Il peccato ? l'unico elemento di colore che rimanga
nella vita moderna.
- Davanti a Dorian certe cose non dovresti proprio dirle.
- Davanti a quale Dorian? Quello che ci sta versando il t? o
quello del ritratto?
- L'uno e l'altro.
- Mi piacerebbe andare a teatro con voi, Lord Henry - disse il
ragazzo.
- Allora verrete, e verrai anche tu, Basil, non ? vero?
- Non posso, veramente. Preferisco di no. Ho un mucchio di cose da
fare.
- Allora voi ed io andremo soli, signor Gray.
- Mi piacerebbe moltissimo.
Il pittore si morse le labbra e and? verso il quadro, con la tazza
in mano. - Io rester? col vero Dorian - disse tristemente.
- E' questo il vero Dorian? - esclam? l'originale del ritratto,
avvicinandosi a lui. - Sono cos? per davvero?
- S?, sei proprio cos?.
- Basil, ? meraviglioso!
- Almeno sei cos? nel tuo aspetto esteriore; ma quello non
cambier? mai - sospir? il pittore, - e ? gi? qualche cosa.
- Quanto chiasso si fa riguardo alla fedelt?! - esclam? Lord
Henry. - Eppure perfino in amore si tratta di una questione
esclusivamente fisiologica. I giovani vorrebbero essere fedeli e
non lo sono; i vecchi vorrebbero essere infedeli e non possono:
ecco tutto ci? che si pu? dire.
- Non andare a teatro stasera, Dorian - disse Hallward. - Rimani a
pranzo con me.
- Non posso, Basil.
- Perch??
- Perch? ho promesso a Lord Henry Wotton di andare con lui.
- Gli piacerai anche di pi? se non mantieni la tua promessa. Lui
non mantiene mai le sue. Ti prego di non andare.
Dorian Gray rise e scosse il capo.
- Te ne supplico.
Il ragazzo esit? e volse lo sguardo verso Lord Henry che, dalla
tavola da t?, stava guardandoli con un sorriso divertito.
- Devo andare, Basil - rispose.
- Benissimo - disse Hallward e and? a posare la tazza sul vassoio.
- E' un po' tardi e se vi dovete vestire ? meglio che non perdiate
tempo. Addio, Harry. Addio, Dorian; vieni a trovarmi presto. Vieni
domani.
- Certo.
- Non lo dimenticherai?
- No, certamente no - grid? Dorian.
- E... Harry!
- Che c'?, Basil?
- Ricordati quello che ti ho chiesto stamattina, quando eravamo in
giardino.
- Me ne sono dimenticato.
- Mi fido di te.
- Vorrei potermi fidare di me stesso - disse Lord Henry, ridendo.
- Andiamo, signor Gray. Fuori c'? la mia carrozza e posso
accompagnarvi a casa vostra. Addio, Basil; ? stato un pomeriggio
interessantissimo.
Quando la porta si fu richiusa alle loro spalle, il pittore si
lasci? cadere su un divano e un'espressione di sofferenza comparve
sul suo volto.
Capitolo terzo.
Il giorno dopo, a mezzogiorno e mezzo, Lord Henry Wotton and? a
piedi da Curzon Street all'Albany a trovare suo zio, Lord Fermor,
un vecchio scapolo, gioviale anche se un po' rude di modi, che la
gente in generale chiamava egoista perch? non ricavava da lui
nessun vantaggio speciale, ma che la buona societ? chiamava
generoso perch? dava da mangiare a chi lo divertiva. Suo padre era
stato Ambasciatore a Madrid, al tempo in cui Isabella era giovane
e nessuno pensava ancora a Prim, ma aveva dato le dimissioni dalla
carriera diplomatica, per testardaggine, in un momento in cui era
seccato perch? non gli era stata offerta l'ambasciata di Parigi,
posto al quale pensava di avere pieno diritto di aspirare a causa
della sua nascita, della sua indolenza, del buon inglese, dei suoi
rapporti e della sua sfrenata passione per i piaceri. Suo figlio,
che era segretario del padre, si era dimesso insieme col suo Capo,
cosa che allora venne giudicata una sciocchezza, e qualche mese
pi? tardi, succeduto al padre nel titolo, si era dedicato
seriamente allo studio della grande arte aristocratica di non fare
assolutamente niente. Possedeva due grandi case in citt?, ma
preferiva abitare in un appartamentino perch? comportava meno
fastidi e mangiava quasi sempre al circolo. Si occupava un po'
dell'amministrazione delle sue miniere di carbone nelle Contee del
Midland, e di questa macchia di attivit? si scusava dicendo che
uno dei vantaggi di avere del carbone consisteva nel permettere a
un signore di lusso di bruciare legna nel proprio caminetto. In
politica era conservatore, salvo quando i conservatori erano al
potere, periodo durante il quale li copriva di contumelie
accusandoli di essere una massa di radicali. Era un eroe per il
suo cameriere, che lo tiranneggiava, e il terrore per la maggior
parte dei suoi parenti, che lui tiranneggiava a sua volta.
Soltanto l'Inghilterra poteva aver prodotto un tipo come lui, ed
egli amava ripetere che il Paese stava andando a rotoli. I suoi
princ?pi erano fuori dal tempo, ma ci sarebbe stato molto da dire
in favore dei suoi pregiudizi.
Entrando nella sua stanza, Lord Henry lo trov? seduto, in una
rozza cacciatora, che fumava un sigaro forte e brontolava contro
il Times. - Oh, Harry - disse il vecchio gentiluomo, - come mai
sei fuori cos? presto? Credevo che voi giovani eleganti non vi
alzaste che alle due e non foste visibili prima delle cinque.
- Per puro affetto di famiglia, zio, te lo assicuro. Voglio
qualche cosa da te.
- Denari, mi immagino - disse Lord Fermor, facendo una faccia
acida. - Va bene; siediti e raccontami tutto. I giovani d'oggi
immaginano che il denaro sia tutto.
- S? - disse Lord Henry sistemandosi il fiore all'occhiello - e
quando diventano vecchi lo sanno. Ma non voglio denaro. Il denaro
lo vogliono solo quelli che pagano i loro conti e io, caro zio,
non pago mai i miei. Il credito costituisce il capitale di un
cadetto e permette di fare una vita deliziosa. Per di pi? non
tratto se non coi fornitori di Dartmoor e quelli di conseguenza
non mi disturbano mai. Voglio delle informazioni; non informazioni
utili, naturalmente; informazioni inutili.
- Bene, io posso dirti qualunque cosa che si trovi in un Libro
Azzurro inglese, Harry, bench? oggigiorno quei tipi scrivano un
sacco di sciocchezze. Quando io ero in diplomazia le cose andavano
meglio. Ma ora sento dire che li fanno entrare per esami. Che cosa
ci si pu? aspettare? Gli esami, caro mio, sono una stupidaggine
dall'inizio alla fine. Se uno ? un gentiluomo ne sa assolutamente
abbastanza; e se non ? un gentiluomo tutto quello che sa gli
nuoce.
- Il signor Dorian Gray non sta nei Libri Azzurri, zio - disse
languidamente Lord Harry.
- Il signor Dorian Gray? e chi ?? - gli chiese Lord Fermor,
aggrottando le sopracciglia bianche.
- Questo ? quello che vorrei sapere, zio; o, per dire meglio, chi
?, lo so. E' il nipote dell'ultimo Lord Kelso. Sua madre era una
Devereux, Lady Margaret Devereux. Vorrei che tu mi parlassi di sua
madre. Com'era? Chi spos?? Tu, ai tuoi tempi, hai conosciuto tutti
quanti e potresti aver conosciuto anche lei. In questo momento il
signor Dorian Gray mi interessa molto. L'ho conosciuto proprio
ora.
- Il nipote di Kelso! - replic? il vecchio gentiluomo. - Il nipote
di Kelso! Ma certo: ho conosciuto intimamente sua madre: credo di
aver assistito al suo battesimo. Era una ragazza
straordinariamente bella, Margaret Devereux, e fece imbestialire
tutti gli uomini scappando con un giovanotto squattrinato, un uomo
da niente, ti dico: subalterno in un reggimento di fanteria, o
qualcosa di simile. Certo, mi ricordo tutta la storia come se
fosse successa ieri. Quel povero ragazzo fu ucciso in un duello a
Spa, pochi mesi dopo il matrimonio. Riguardo a questo circol? una
brutta storia. Dissero che Kelso aveva trovato un cialtrone di
avventuriero, un bruto belga qualsiasi, che insultasse suo genero
in pubblico, pagandolo per farlo, ti dico, pagandolo; e quel tipo
lo infilz? come un piccione. La storia venne soffocata, ma, per
Bacco, per un pezzo Kelso al circolo dovette fare colazione da
solo. Riport? indietro sua figlia, mi dissero, ma questa non gli
rivolse pi? la parola. Oh s?, un brutto affare. Anche lei mor?:
mor? quello stesso anno. E allora ha lasciato un figlio, ? vero?
Questo me l'ero dimenticato. Che tipo di ragazzo ?? Se assomiglia
alla madre deve essere un bel figliuolo.
- Bellissimo - disse Lord Henry.
- Speriamo che finisca in buone mani - continu? il vecchio.
Dovrebbe avere un sacco di soldi se Kelso ha fatto le cose giuste.
Anche sua madre era ricca; tutta la propriet? di Selby tocc? a lei
attraverso suo nonno. Suo nonno odiava Kelso, lo considerava un
cane rognoso, com'era, del resto. Venne una volta a Madrid quando
c'ero io. Per Bacco, mi vergognai di lui. La Regina mi chiedeva
sempre di quel nobile inglese che litigava con i vetturini sul
prezzo della corsa. Ne avevano fatto tutta una storia. Per un mese
non ebbi il coraggio di farmi vedere a Corte. Spero che abbia
trattato suo nipote meglio di come trattava i vetturini.
- Non so - disse Lord Henry. - M'immagino che quel ragazzo sar?
ricco; ancora non ? maggiorenne. So che Selby gli appartiene, me
l'ha detto. E... sua madre era molto bella?
- Margaret Devereux era una delle pi? belle creature che io abbia
mai visto. Che cosa possa averla indotta a fare quello che fece io
non l'ho mai potuto capire. Avrebbe potuto sposare chiunque avesse
voluto. Carlington era pazzo per lei; ma lei era romantica, come
tutte le donne di quella famiglia. Gli uomini non valevano gran
che, ma, per Bacco, le donne erano meravigliose. Carlington si
mise in ginocchio davanti a lei; me l'ha raccontato lui stesso.
Gli rise in faccia, e pure non c'era ragazza a Londra che non gli
corresse dietro. A proposito, Harry, parlando di matrimoni
stupidi, cos'? questo pasticcio che mi ha raccontato tuo padre, di
Dartmoor che vuole sposare un'americana? Le ragazze inglesi non
sono abbastanza buone per lui?
- In questo momento, zio, sposare le americane ? molto di moda.
- Io sosterr? sempre le ragazze inglesi, di fronte al mondo intero
- disse Lord Fermor, picchiando il pugno sulla tavola.
- Le scommesse sono in favore delle americane.
- Durano poco, a quanto mi dicono - brontol? suo zio.
- Un fidanzamento lungo le esaurisce, ma nelle corse ad ostacoli
sono straordinarie. Prendono le cose a volo. Non credo che per
Dartmoor ci sia nessuna probabilit? di salvezza.
- Che famiglia ? la sua? - grugn? il vecchio gentiluomo. - Ce
l'ha, una famiglia?
Lord Henry scosse il capo. Disse, alzandosi per andarsene: - Nel
nascondere i loro genitori le ragazze americane hanno la stessa
abilit? che hanno quelle inglesi nel nascondere il loro passato.
- Saranno fabbricanti di salsicce, penso.
- Lo spero, zio, nell'interesse di Dartmoor. Mi dicono che, dopo
la politica, la fabbricazione delle salsicce in America sia la
professione pi? redditizia.
- E' graziosa?
- Si comporta come se fosse bella. La maggior parte delle
americane fa cos?: ? il segreto del loro fascino.
- Perch? queste americane non se ne stanno nel loro paese? Ci
raccontano sempre che ? il paradiso delle donne.
- S?, e ? questa la ragione per la quale, come Eva, sono tanto
impazienti di uscirne - disse Lord Henry. - Addio, zio; se mi
trattengo ancora sar? in ritardo per la colazione. Grazie per
avermi dato le informazioni che desideravo. Mi piace sempre sapere
tutto sul conto dei miei nuovi amici e niente sul conto di quelli
vecchi.
- Dove fai colazione, Harry?
- Dalla zia Agatha. Mi sono invitato insieme col signor Gray. E'
il suo ultimo "prot?g?".
- Hum! Harry, d? a tua zia di non seccarmi pi? coi suoi appelli
caritatevoli; ne sono stufo. Si direbbe che quella buona donna
creda che io non abbia altro da fare che riempire assegni per le
sue sciocche ubbie.
- Va bene, zio, glielo dir?, ma senza risultato. La gente
filantropica perde ogni senso di umanit?: ? la caratteristica che
li distingue.
Il vecchio gentiluomo emise un brontolio di approvazione e suon?
per chiamare il servitore. Attraverso l'arcata, Lord Henry pass?
in Burlington Street e si avvi? verso Berkeley Square. Questa era
dunque la storia dei genitori di Dorian Gray. Anche nella forma
cruda nella quale gli era stata raccontata, lo aveva commosso,
perch? lasciava intravedere uno strano romanzo quasi moderno. Una
bella donna che rischia tutto per una passione furiosa; poche
settimane ardenti di felicit? troncate da un delitto ripugnante,
proditorio; mesi di strazio silenzioso e finalmente una creatura
nata nel dolore; la madre trascinata via dalla morte, il bambino
abbandonato alla solitudine e alla tirannia di un uomo vecchio e
senza cuore. S?, lo sfondo era interessante: dislocava, per cos?
dire, quel giovane, lo rendeva pi? perfetto. Dietro tutte le cose
squisite che esistono c'? qualcosa di tragico: il mondo deve
essere in travaglio, perch? possa sbocciare il pi? umile dei
fiori... Come era stato delizioso la sera prima, a pranzo, seduto
davanti a lui al circolo, con gli occhi spalancati e le labbra
semiaperte, con un piacere misto di spavento, mentre i paralumi
rossi macchiavano di un rosa pi? intenso la vivente meraviglia del
suo volto! Parlare con lui era come suonare un violino perfetto;
rispondeva a ogni tocco, a ogni fremito dell'arco... Quando si
esercita un'influenza si prova qualche cosa di terribilmente
inebriante; non esiste altra attivit? come quella. Mettere l'anima
di una persona dentro una forma graziosa e lasciarvela riposare
per un momento; sentire riecheggiare le proprie concezioni
intellettuali, con l'aggiunta di tutta la musica della passione e
della giovinezza; trasferire in un altro il proprio temperamento
come se fosse un fluido sottile o un profumo strano, in tutto
questo c'? una vera gioia, forse la gioia pi? soddisfacente che ci
sia rimasta in un tempo limitato e volgare come il nostro, un
tempo grossolanamente carnale nei piaceri e grossolanamente
volgare nelle aspirazioni... Ed era un tipo meraviglioso, quel
ragazzo, che una coincidenza tanto curiosa gli aveva fatto
incontrare nello studio di Basil; o almeno di lui si poteva fare
un tipo meraviglioso. Aveva la grazia e la candida purezza
dell'adolescenza e una bellezza uguale a quella che ci hanno
tramandato i marmi greci. Che peccato che una simile bellezza
fosse destinata a svanire!... E Basil, dal punto di vista
psicologico, com'era interessante! La sua nuova maniera artistica,
il suo nuovo modo di guardare la vita, che gli era suggerito cos?
stranamente dalla semplice presenza visibile di uno che non ne
aveva neppure lontanamente coscienza; lo spirito silenzioso che
vive nell'oscurit? dei boschi e vagava invisibile per l'aperta
campagna e che improvvisamente, come una Driade, ma non impaurita,
si manifestava perch? nell'anima di colui che ne andava in giro si
era risvegliata quella prodigiosa visione alla quale soltanto si
rivelano le cose prodigiose; le linee e le forme delle cose che
diventano, per cos? dire, affinate e acquistano una specie di
valore simbolico, come se esse stesse fossero modelli di qualche
altra e pi? perfetta forma, della quale mutano l'ombra in realt?:
come era strano tutto questo! Gli torn? in mente qualcosa di
analogo nella storia. Non era stato Platone, quell'artista del
pensiero, ad analizzarlo per primo? Non era stato il Buonarroti a
scolpirlo nel marmo colorato di una quartina di sonetto? Ma nel
nostro secolo era una cosa strana... S?, egli avrebbe cercato di
essere per Dorian Gray quello che il ragazzo, senza saperlo, era
stato per il pittore che aveva dipinto quel mirabile ritratto;
avrebbe cercato di dominarlo anzi, a dire il vero, c'era gi?
riuscito a met?. Si sarebbe impadronito di quello spirito
meraviglioso. C'era qualcosa di affascinante in quel figlio
dell'amore e della Morte.
Di colpo si ferm? e alz? gli occhi verso le case. Si accorse di
aver oltrepassato un po' quella della zia e torn? indietro,
sorridendo a se stesso. Quando entr? nel vestibolo semibuio, il
maggiordomo gli disse che tutti erano gi? a tavola. Affid?
cappello e bastone a uno dei servitori e pass? in sala da pranzo.
- In ritardo, come al solito, Harry - gli grid? sua zia, scotendo
la testa.
Invent? una scusa qualunque e, sedutosi al posto vuoto accanto a
lei, diede un'occhiata in giro per vedere chi c'era.
Dall'estremit? della tavola, Dorian Gray lo salut? timidamente,
mentre le guance gli s'imporporavano di piacere. Di fronte a lui
c'era la Duchessa di Harley, signora di buon carattere e di buon
umore, simpatica a tutti quanti la conoscevano, dotata di quelle
ampie proporzioni architettoniche che gli storici contemporanei,
quando parlano di donne che non sono duchesse, indicano con la
parola pinguedine. Vicino a lei, a destra, sedeva Sir Thomas
Burdon, deputato radicale che nella vita pubblica seguiva il capo
del suo partito e nella vita privata i migliori cuochi, pranzava
coi conservatori e pensava coi liberali, in conformit? a una
regola saggia e ben conosciuta. Il posto a sinistra era occupato
dal signor Erskine di Treadley, vecchio signore simpatico e colto,
che per? aveva preso la brutta abitudine del silenzio perch?, come
spieg? una volta a Lady Agatha, aveva detto tutto quello che aveva
da dire prima di aver raggiunto la trentina. Accanto a lui sedeva
la signora Vandeleur, una delle pi? vecchie amiche di sua zia,
vera santa fra le donne, ma cos? terribilmente infagottata da
sembrare un libro di preghiere mal rilegato. Per sua fortuna,
dall'altro lato di lei sedeva Lord Faudel, una intelligentissima
mediocrit? quarantenne, calvo come una dichiarazione ministeriale
alla Camera dei Comuni; e lei conversava con lui in quel modo
intensamente serio che, com'egli stesso aveva osservato una volta,
? l'unico errore imperdonabile nel quale cadono tutte le persone
davvero buone e che nessuna di loro riesce mai a evitare
interamente.
- Stiamo parlando del povero Dartmoor, Lord Henry - grid? la
duchessa, facendogli un cenno gentile del capo attraverso la
tavola. - Credi che sposer? veramente quella ragazza?
- Credo che lei sia decisa a chiedergli la sua mano, duchessa.
- Terribile! - esclam? Lady Agatha. - Davvero qualcuno dovrebbe
intervenire.
- Mi ? stato detto da ottima fonte che il padre di lei ha un
negozio di novit? americane - disse Sir Thomas Burdon, con un'aria
di superiorit?.
- Novit? americane! e che cosa sono le novit? americane? chiese la
duchessa, alzando le grosse mani al cielo in un gesto di sorpresa
e accentuando il verbo.
- Romanzi americani - rispose Lord Henry, servendosi una quaglia.
La duchessa rest? alquanto imbarazzata.
- Non gli badare, cara - sussurr? Lady Agatha. - Non pensa mai
quello che dice.
- Quando fu scoperta l'America - disse il deputato radicale, e
cominci? a citare dei fatti noiosi. Come tutti quelli che vogliono
esaurire un argomento non riusc? che a esaurire gli ascoltatori.
La duchessa sospir? ed esercit? il suo privilegio di interrompere.
- Dio volesse che non fosse stata mai scoperta!- esclam?. - Oggi
alle nostre ragazze non resta nessuna possibilit?. E' troppo
ingiusto.
- Forse, dopo tutto, l'America non ? stata mai scoperta - disse il
signor Erskine. - Io direi che ? stata scoperta come si scopre un
delitto.
- Oh, ma io ho visto qualche esemplare delle abitanti - rispose la
duchessa, vagamente. - Devo confessare che la maggior parte di
loro sono estremamente carine e si vestono bene, anche. Si fanno
fare tutti i vestiti a Parigi. Vorrei potermi permettere di fare
lo stesso.
- Dicono che gli Americani buoni, quando muoiono, vanno a Parigi-
sogghign? Sir Thomas, che possedeva un grande armadio di
spiritosaggini usate.
- Davvero! e dove vanno gli Americani cattivi, quando muoiono?
chiese la duchessa.
- In America - mormor? Lord Henry.
Sir Thomas si accigli?. - Ho paura che vostro nipote abbia dei
pregiudizii contro quel grande Paese - disse a Lady Agatha. - Io
l'ho percorso tutto, viaggiando in vagoni speciali messi a mia
disposizione dai direttori delle ferrovie, che in queste cose sono
di una cortesia straordinaria. Vi assicuro che visitarlo ? una
cosa istruttiva.
- Ma dobbiamo proprio vedere Chicago per istruirci? - chiese
lamentosamente il signor Erskine. - Non mi sento in grado di
sopportare il viaggio.
Sir Thomas agit? la mano. - Il signor Erskine di Treadley possiede
il mondo negli scaffali della sua biblioteca. Noi siamo gente
pratica, e le cose ci piace vederle, e non leggere quel che se ne
dice. Gli Americani sono un popolo estremamente interessante. Sono
assolutamente ragionevoli; ? questa, a mio parere, la
caratteristica che li distingue. S?, signor Erskine, un popolo
assolutamente ragionevole; vi assicuro che gli Americani non fanno
sciocchezze.
- Che cosa tremenda! - esclam? Lord Henry. - Io posso sopportare
la forza bruta, ma la ragione bruta ? insopportabile. L'uso di
essa ? antisportivo; ? un colpo basso vibrato all'intelletto.
- Non capisco - disse Sir Thomas, facendosi rosso in faccia.
- Io s?, Lord Henry - mormor? sorridendo il signor Erskine.
- I paradossi saranno una bella cosa... - aggiunse il baronetto.
- Era un paradosso? - chiese il signor Erskine. - A me non
sembrava; ma ammettiamolo pure. Ebbene, la strada dei paradossi ?
la strada della verit?. Per mettere la realt? alla prova bisogna
vederla camminare sulla corda. Le verit? possiamo giudicarle
quando diventano acrobate.
- Mio Dio - disse Lady Agatha, - come discutete, voialtri uomini!
Io non riesco mai a capire di cosa stiate parlando. Oh, Harry, con
te sono proprio arrabbiata. Perch? cerchi di convincere il nostro
caro signor Dorian Gray ad abbandonare l'East End? Ti assicuro che
sarebbe prezioso per noi. Andrebbero pazzi per la sua musica.
- Voglio che suoni per me - esclam? Lord Henry sorridendo e
lanciando verso il fondo della tavola uno sguardo al quale rispose
un'occhiata vivace.
- Ma in Whitechapel sono tanto infelici - continu? Lady Agatha.
- Io ho compassione di tutto, ma non della sofferenza - disse Lord
Henry scrollando le spalle. - Per quella non posso sentire
compassione; ? troppo brutta, troppo orribile, troppo deprimente.
Nelle simpatie moderne per il dolore c'? qualcosa di terribilmente
morboso. Si dovrebbe provare simpatia per il colore, per la
bellezza, per la gioia della vita. Quanto meno si parla dei dolori
della vita, tanto meglio ?.
- Eppure l'East End costituisce un problema molto importante
osserv? Sir Thomas, scrollando gravemente la testa.
- Certo - rispose il giovane Lord. - E' il problema della
schiavit? e noi tentiamo di risolverlo divertendo gli schiavi.
L'uomo politico lo guard? fisso. Chiese: - E voi allora che
cambiamento proponete?
Lord Henry scoppi? a ridere. - Non c'? niente che vorrei cambiare
in Inghilterra, salvo il tempo - rispose. - Ma dato che il
diciannovesimo secolo ha fatto fallimento per il suo spreco di
simpatia, suggerirei che facessimo appello alla scienza per
rimettere le cose a posto. Il vantaggio delle emozioni ? che ci
portano fuori strada e il vantaggio della scienza ? di non essere
emozionante.
- Ma noi abbiamo delle responsabilit? tanto gravi - si arrischi? a
dire timidamente la signora Vandeleur.
- Terribilmente gravi - fece eco Lady Agatha.
Lord Henry guard? il signor Erskine. - L'umanit? prende troppo sul
serio se stessa. E' questo il peccato originale del mondo. Se
l'uomo delle caverne avesse saputo ridere, la storia sarebbe stata
diversa.
- Siete una vera consolazione - cinguett? la duchessa. - Ogni
volta che sono venuta da vostra zia mi sono sempre sentita un po'
colpevole, perch? l'East End non mi interessa per niente. In
futuro potr? guardarla in faccia senza arrossire.
- Ma il rossore ? una cosa che dona, duchessa - disse Lord Henry.
- Finch? si ? giovani - rispose lei. - Quando una donna vecchia
come me arrossisce ? un bruttissimo segno. Ah, Lord Henry, vorrei
che mi poteste dire come si fa per ridiventare giovani!
Egli rimase un momento sovrappensiero. - Potete ricordarvi di
qualche grosso errore che avete commesso nei vostri anni
giovanili? - chiese guardandola attraverso la tavola.
- Di molti, ho paura - esclam? lei.
- Allora commetteteli un'altra volta - disse lui. - Per recuperare
la giovinezza basta ripetere le proprie pazzie.
- Che teoria deliziosa! - esclam? la duchessa. - Bisogner? che la
metta in pratica.
- Che teoria pericolosa! - fu la frase che usc? dalle labbra di
Sir Thomas. Lady Agatha scosse la testa, ma non poteva fare a meno
di sentirsi divertita. Il signor Erskine ascoltava.
- S? - aggiunse lui, - questo ? uno dei grandi segreti della vita.
La maggior parte della gente di oggi muore di una specie di senso
comune strisciante e scopre, quando ? ormai troppo tardi, che le
sole cose che non si rimpiangono mai sono gli errori.
Tutta la tavola scoppi? in una risata.
Egli giocava con l'idea e ci si ostinava; la lanciava in aria e la
trasformava; la lasciava sfuggire e la riafferrava; la rendeva
incandescente di immagini, le dava le ali del paradosso. Mentre
continuava a parlare, l'elogio della follia si innalzava a
filosofia e la Filosofia stessa diventava giovane, afferrava la
musica folle del piacere, si vestiva, per cos? dire, della sua
veste macchiata di vino e della sua ghirlanda d'edera, ballava
come una Baccante sui colli della vita e scherniva per la sua
sobriet? il lento Sileno. I fatti fuggivano davanti a lei come
spaventate creature della foresta. I suoi piedi bianchi pestavano
l'enorme torchio vicino al quale siede il savio Omar, finch? il
succo spumeggiante dell'uva non sal? in purpuree onde spumose
lungo le sue membra nude o col? gi? in una schiuma rossa lungo i
fianchi gocciolanti, viscidi, del tino. Era un'improvvisazione
straordinaria. Egli sentiva gli occhi di Dorian Gray che lo
fissavano e la coscienza di avere tra i propri ascoltatori colui
del quale voleva affascinare il temperamento sembrava aguzzare il
suo spirito e dar calore alla sua immaginazione. Fu brillante,
fantasioso, irresponsabile. Gli ascoltatori, presi dal suo
fascino, si misero, ridendo, a seguire la sua musica. Dorian Gray
non gli toglieva mai gli occhi di dosso; sembrava che fosse
stregato. Sulle sue labbra i sorrisi si susseguivano e nei suoi
occhi che si oscuravano la sorpresa assumeva un carattere di
gravit?.
Alla fine, vestita della livrea contemporanea, la Realt? entr?
nella stanza sotto forma di un servitore, venuto a dire alla
duchessa che la sua carrozza era arrivata.
Essa si torse le mani con finta disperazione. - Che noia! esclam?.
- Devo andare via; bisogna che vada a prendere mio marito al
circolo per accompagnarlo da Willis, a una stupida riunione che
deve presiedere. Se sono in ritardo lui sar? certamente furioso e
io non posso permettermi una scenata con questo cappello; ? troppo
fragile e una parola dura lo rovinerebbe. No, cara Agatha, bisogna
che vada. Arrivederci Lord Henry. Siete proprio delizioso, ma
tremendamente demoralizzante. Non so proprio che cosa dire delle
vostre idee. Dovete venire una sera a pranzo da noi. Marted??
siete libero marted??
- Per voi, duchessa, manderei all'aria chiunque altro - disse Lord
Henry con un inchino.
- Ah, questo ? molto gentile da parte vostra, e molto mal fatto-
esclam? la duchessa. - Allora badate bene di venire - e usc?
maestosamente dalla stanza, seguita da Lady Agatha e dalle altre
signore.
Quando Lord Henry torn? a sedersi il signor Erskine gir? intorno
alla tavola, prese una sedia vicino a lui e gli pos? la mano sul
braccio.
- Voi parlate meglio di un libro - disse. - Perch? non ne scrivete
uno?
- Mi piace troppo leggere i libri per avere voglia di scriverne,
signor Erskine. Certo, mi piacerebbe scrivere un romanzo, un
romanzo che fosse piacevole come un tappeto persiano e allo stesso
modo irreale. Ma in Inghilterra non esiste un pubblico letterario,
salvo che per i giornali, i sillabari e le enciclopedie. Di tutti
i popoli del mondo quello inglese ? quello che meno possiede il
senso della bellezza della letteratura.
- Ho paura che abbiate ragione - disse Erskine. - Anch'io avevo
delle ambizioni letterarie, ma ci ho rinunciato da un pezzo. E
ora, mio caro giovine amico, se mi permettete di chiamarvi cos?,
posso chiedervi se pensate veramente tutto quello che ci avete
detto a colazione?
- Ho dimenticato completamente quello che ho detto - rispose
sorridendo Lord Henry. - Cose molto cattive?
- Molto cattive davvero. Per dire la verit?, vi considero
estremamente pericoloso; e se dovesse accadere qualcosa alla
nostra buona duchessa noi tutti vi riterremo il principale
responsabile. Per? mi piacerebbe parlare della vita con voi. La
generazione alla quale appartengo era noiosa. Un giorno o l'altro,
quando ne avete abbastanza di Londra, venite fino a Treadley a
espormi la vostra filosofia del piacere, assaggiando un certo
mirabile Borgogna che ho la fortuna di possedere.
- Ne sar? felice. Una visita a Treadley si pu? considerare un gran
privilegio. C'? un padrone di casa perfetto e una biblioteca non
meno perfetta.
- Voi la completerete - rispose il vecchio signore con un cortese
inchino. - E ora devo dire addio alla vostra ottima zia. Mi
aspettano all'Athenaeum. Questa ? l'ora nella quale l? ci
addormentiamo.
- Tutti, signor Erskine?
- Quaranta di noi, quaranta poltrone. Ci esercitiamo per formare
un'accademia letteraria inglese.
Lord Henry si alz? ridendo e disse: - Vado nel Parco.
Mentre stava per varcare la soglia, Dorian Gray lo tocc? sul
braccio. - Lasciate che venga con voi - mormor?.
- Credevo che aveste promesso a Basil Hallward di andare a
trovarlo - rispose Lord Henry.
- Preferirei venire con voi; s?, sento che devo venire con voi.
Permettetemi di venire. Mi promettete di parlare tutto il tempo?
Non c'? nessuno che parli cos? meravigliosamente come voi.
- Ah, ma per oggi ho parlato pi? che abbastanza - disse Lord Henry
sorridendo. - Tutto quello che desidero adesso ? di guardare la
vita. Potete venire a guardarla con me, se vi fa piacere.
Capitolo quarto.
Un pomeriggio, un mese dopo, Dorian Gray era adagiato in una
lussuosa poltrona, nella piccola biblioteca della casa di Lord
Henry a Mayfair. Era una stanza simpaticissima nel suo genere, col
suo rivestimento di alti pannelli di quercia dai riflessi
olivastri, i suoi bordi color crema, il soffitto di stucco e il
tappeto di feltro color mattone disseminato di serici tappetini
persiani dalle lunghe frange. Su un tavolinetto di legno indiano
stava una statuetta di Clodion e accanto a questa un esemplare
delle "Cent Nouvelles", rilegato da Clovis Eve per Margherita di
Valois e disseminato delle margherite d'oro che quella Regina
aveva adottato come impresa. Qualche grande vaso di porcellana
turchina con alcuni tulipani stava sul caminetto e attraverso i
piccoli vetri piombati della finestra arrivava all'interno la luce
color albicocca di una giornata estiva londinese.
Lord Henry non era ancora rientrato. Era sempre in ritardo, per
principio, essendo una delle sue teorie che la puntualit? ? la
ladra del tempo. Perci? il ragazzo aveva un'aria piuttosto
imbronciata, mentre sfogliava con dita distratte le pagine di
un'edizione riccamente illustrata di "Manon Lescaut" che aveva
trovato in uno degli scaffali. Il tic-tac monotono dell'orologio
stile Luigi Quattordicesimo lo infastidiva. Due o tre volte gli
venne l'idea di andarsene.
Finalmente sent? un passo fuori della stanza e la porta si apr?.
- Come sei in ritardo, Harry! - mormor?.
- Mi dispiace, signor Gray, ma non ? Harry - gli rispose una voce
acuta.
Egli si guard? intorno rapidamente e balz? in piedi. - Vi chiedo
scusa. Credevo...
- Avete creduto che fosse mio marito e invece ? soltanto sua
moglie. Bisogna che mi presenti da me. Vi conosco benissimo dalle
vostre fotografie. Mi pare che mio marito ne abbia diciassette.
- Proprio diciassette, Lady Henry?
- Diciamo diciotto, allora. Vi ho anche visto con lui all'Opera
l'altra sera. - Rideva nervosamente nel parlare e lo guardava con
i suoi occhi vaghi, del colore dei non ti scordar di me. Era una
donna strana; i suoi vestiti avevano sempre l'aria di essere stati
disegnati in un momento di rabbia e indossati in un momento di
burrasca. Era sempre innamorata di qualcuno e poich? la sua
passione non era mai ricambiata aveva conservato tutte le sue
illusioni. Provava ad avere un aspetto pittoresco, ma riusciva
solo a essere sciatta. Si chiamava Victoria ed aveva una vera e
propria man?a di frequentare la chiesa.
- Era al "Lohengrin", Lady Henry, mi sembra.
- S?, a quel caro "Lohengrin". Io preferisco la musica di Wagner a
quella di chiunque altro; ? tanto rumorosa che si pu? parlare
tutto il tempo senza che gli altri sentano quello che si dice. E'
un gran vantaggio, non vi sembra signor Gray?
Dalle sue labbra sottili usc? la stessa risata nervosa, a scatti,
e le sue dita cominciarono a giocare con un lungo tagliacarte di
tartaruga.
Dorian sorrise e scosse la testa. - Mi dispiace, Lady Henry, ma
non sono di questo parere. Durante la musica non parlo mai, almeno
durante una buona musica. Se la musica ? cattiva, si ha il dovere
di annegarla nella conversazione.
- Ah, questa ? una delle idee di mio marito, non ? vero, signor
Gray? Io imparo sempre le idee di mio marito attraverso i suoi
amici: ? l'unico modo nel quale arrivo a conoscerle. Ma non dovete
credere che non mi piaccia la buona musica; l'adoro, ma mi fa
paura; mi rende troppo romantica. Ho avuto una vera adorazione per
i pianisti, due nello stesso momento, a volte, dice Harry. Non so
che cosa ci sia in loro; forse ? perch? sono stranieri. Sono tutti
stranieri, non ? vero? Anche quelli nati in Inghilterra dopo un
certo tempo diventano stranieri, non ? vero? E' proprio un'abilit?
che hanno e ? un complimento per l'arte, la rende davvero
cosmopolita, non vi sembra? Non siete venuto mai a uno dei miei
ricevimenti, vero, signor Gray? Dovete venire. Non mi posso
permettere le orchidee, ma quanto agli stranieri non bado a spese.
Rendono cos? pittoresco un salotto. Ma ecco qui Harry! Harry, ti
cercavo per chiederti una cosa, non so pi? che cosa, e ho trovato
qui il signor Gray. Abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata
sulla musica. Abbiamo proprio le stesse idee; o piuttosto no, mi
pare che le nostre idee siano del tutto diverse. Ma lui ? stato
piacevolissimo; sono proprio contenta di averlo visto.
- Ne sono felice, amore mio, felicissimo - disse Henry, inarcando
le sopracciglia brune a mezzaluna e guardando i due con un sorriso
divertito. - Scusami tanto per il ritardo, Dorian. Sono andato in
Wardour Street a cercare un pezzo di broccato antico e ho dovuto
combattere delle ore per averlo. Oggi la gente conosce il prezzo
di tutte le cose e non conosce il valore di nessuna.
- Ho paura di dovermene andare - esclam? Lady Henry, rompendo un
silenzio imbarazzante con una delle sue risate improvvise e
sciocche. - Ho promesso alla duchessa di uscire in carrozza con
lei. Arrivederci, signor Gray; addio, Harry. Tu pranzi fuori,
credo? Anch'io. Forse ti vedr? in casa di Lady Thornbury.
- Credo di s?, mia cara - disse Lord Henry, chiudendo la porta
alle sue spalle quando lei scivol? fuori dalla stanza, con l'aria
di un uccello del paradiso rimasto tutta la notte all'aperto sotto
la pioggia, lasciandosi dietro un vago odore di gelsomino. Poi
accese una sigaretta e si lasci? cadere sul divano.
- Dorian - disse dopo qualche boccata - non sposare mai una donna
che abbia i capelli color della paglia.
- Perch? Harry?
- Perch? sono tanto sentimentali.
- Ma a me piacciono le persone sentimentali.
- Non sposarti mai, Dorian. Gli uomini si sposano perch? sono
stanchi, le donne perch? sono curiose, e le une e gli altri
restano sempre delusi.
- Non credo che sia probabile che mi sposi, Harry; sono troppo
innamorato. Questo ? uno dei tuoi aforismi che sto mettendo in
pratica, come faccio con tutto quello che dici.
- Di chi sei innamorato? - chiese Lord Henry dopo una pausa.
- Di un'attrice - disse Dorian Gray arrossendo.
Lord Henry scroll? le spalle. - Questo ? un "d?but" alquanto terra
terra.
- Harry, se tu la vedessi non parleresti in questo modo.
- Chi ??
- Si chiama Sybil Vane.
- Non ne ho mai sentito parlare.
- Nessuno ne ha sentito parlare, ma un giorno non sar? pi? cos?.
E' un genio.
- Caro figliuolo, non ce n'? una di donna che sia un genio. Le
donne sono un sesso decorativo. Non hanno mai niente da dire, ma
lo dicono in maniera deliziosa. Le donne rappresentano il trionfo
della materia sull'intelletto, cos? come gli uomini rappresentano
il trionfo dell'intelletto sulla morale.
- Harry, come puoi parlare cos??
- Caro Dorian, ? la pura verit?. In questo momento sto analizzando
le donne e quindi so quello che dico. Non ? poi un soggetto tanto
astruso come credevo. Ho scoperto che in ultima analisi non
esistono che due specie di donne, quelle semplici e quelle
dipinte. Quelle semplici sono utilissime. Se vuoi avere la fama di
persona rispettabile non hai che da portarle fuori a cena. Le
altre sono molto deliziose, ma commettono un errore: si dipingono
per cercare di sembrare giovani; le nostre nonne si dipingevano
per cercare di avere una conversazione brillante. Il "rouge e
l'?sprit" in genere andavano di pari passo; ora tutto questo ?
finito. Una donna ? perfettamente soddisfatta finch? pu? apparire
di dieci anni pi? giovane di sua figlia. Quanto alla
conversazione, in tutta Londra ci sono soltanto cinque donne con
le quali valga la pena di parlare, e due di esse non possono
essere ammesse in una societ? che si rispetti. Comunque, parlami
del tuo genio. Da quanto tempo la conosci?
- Ah, Harry, le tue idee mi terrorizzano.
- Lascia perdere. Da quanto tempo la conosci?
- Da tre settimane circa.
- E come l'hai incontrata?
- Te lo dir?, Harry, ma bisogna che tu mi dimostri un po' di
comprensione. Dopo tutto, non sarebbe mai successo se non ti
avessi conosciuto. Tu mi hai riempito di un desiderio furioso di
conoscere tutto della vita. Per parecchi giorni, dopo averti
incontrato, mi sembr? che qualcosa mi pulsasse nelle vene. Quando
mi sedevo nel Parco o passeggiavo per Piccadilly guardavo tutti i
passanti e mi chiedevo, con una curiosit? pazzesca, che genere di
vita facessero. Alcuni mi affascinavano, altri mi riempivano di
terrore. Nell'aria c'era un veleno squisito. Avevo fame di
sensazioni... Cos? una sera verso le sette decisi di uscire in
cerca di avventure. Sentivo che questa nostra Londra grigia e
mostruosa, con le sue miriadi di persone, i suoi peccatori sordidi
e i suoi peccati splendidi, come dicesti tu una volta, doveva
riserbarmi qualche cosa. Immaginavo mille cose e il solo pericolo
era sufficiente a procurarmi un senso di delizia. Mi ricordai di
quello che mi dicesti quella sera meravigliosa che pranzammo
insieme per la prima volta: che il vero segreto della vita ? la
ricerca della bellezza. Non so che cosa mi aspettassi; ma uscii e
mi diressi verso l'Est e poco dopo mi persi in un labirinto di
strade sporche e di piazze senza erba. Verso le otto e mezzo
passai davanti a un teatrino ridicolo, illuminato da grandi
lampade a gas e con dei manifesti vistosi. Un sordido ebreo, che
aveva il panciotto pi? straordinario che abbia mai visto in vita
mia, stava sulla porta e fumava un sigaro da pochi soldi. Aveva
dei riccetti unti e al centro di una camicia sporca gli brillava
un diamante enorme. "Un palco, my Lord?", disse vedendomi e si
tolse il cappello con un atto che era di una splendida servilit?.
C'era in lui qualche cosa che mi divert?: era un tale mostro! Tu
riderai di me, lo so; ma io entrai veramente e pagai una ghinea
per un palco di proscenio. Ancora adesso non sono riuscito a
capire perch? mai l'abbia fatto; eppure se non l'avessi fatto, mio
caro Harry, se non l'avessi fatto avrei mancato il pi? grande
romanzo della mia vita. Vedo che stai ridendo: ? una vera
cattiveria da parte tua!
- Non rido, Dorian, o almeno non rido di te. Ma non dovresti dire
il pi? grande romanzo della tua vita. Tu sarai sempre amato e
sarai sempre innamorato dell'amore. Una grande passione ? il
privilegio di quelli che non hanno niente da fare; ? l'unica cosa
a cui servono in un paese le classi oziose. Non aver paura; a te
sono riservate cose squisite. Questo ? soltanto l'inizio.
- Mi credi dunque una natura tanto superficiale? - grid? Dorian
Gray, in collera.
- No, credo che tu sia una natura profonda.
- Che cosa vuoi dire?
- Caro ragazzo, le persone che amano una sola volta nella vita
sono quelle veramente superficiali. Quello che chiamano lealt? o
fedelt? io lo chiamo letargo di abitudini oppure mancanza
d'immaginazione. La fedelt? corrisponde nella vita emozionale a
quello che nella vita intellettuale ? la coerenza: semplicemente
la confessione di un insuccesso. Fedelt?! Un giorno o l'altro
bisogner? che mi metta ad analizzarla. In essa c'? la passione
della propriet?; noi getteremmo via una quantit? di cose se non
avessimo paura che qualcun altro possa raccoglierle. Ma non voglio
interromperti; continua con la tua storia.
- Dunque, mi trovai seduto in un orribile palchetto, con un
orribile sipario che mi guardava in faccia. Guardai fuori da
dietro la tenda ed esaminai il teatro. Era una cosa pacchiana,
tutta amorini e cornucopie, che sembrava una torta nuziale di
terz'ordine. La galleria e la platea erano abbastanza affollate,
ma le due file di poltrone fruste erano deserte e non c'era
un'anima in quello che chiamano, credo, l'anfiteatro. Delle donne
andavano in giro con arance e gazose e si faceva un consumo
tremendo di noccioline.
- Doveva essere proprio come nell'et? d'oro del Dramma inglese.
- Proprio lo stesso, immagino, e molto deprimente. Cominciavo a
chiedere a me stesso che diavolo dovessi fare; poi mi cadde
sott'occhio il programma. Che cosa credi che si recitasse Harry?
- Direi "Il ragazzo idiota, ovvero Stupido ma innocente". Ai
nostri padri piaceva questo genere di drammi, credo. Pi?
invecchio, Dorian, e pi? ho la sensazione netta che quello che era
buono per i nostri padri non ? buono per noi. Nell'arte, come in
politica, "les grand-p?res ont toujours tort".
- Harry, quello che si rappresentava era buono abbastanza anche
per noi: era "Romeo e Giulietta". Devo ammettere che l'idea di
vedere Shakespeare rappresentato in un misero buco come quello mi
infastid? un po'; d'altra parte, in un certo senso, mi sentivo
interessato. Comunque, decisi di aspettare il primo atto. C'era
una tremenda orchestra, diretta da un giovane ebreo seduto a un
pianoforte scortecciato, che riusc? quasi a farmi andare via; ma
finalmente si alz? il sipario e la rappresentazione cominci?.
Romeo era un signore anziano e grasso, con le ciglia arricciate,
una rauca voce tragica e una figura come un barilotto di birra.
Mercuzio era quasi altrettanto tremendo. La parte era affidata al
brillante, che ci aveva introdotto dei lazzi di sua invenzione ed
era in rapporti amichevolissimi con la platea. L'uno e l'altro
erano grotteschi quanto lo scenario, e questo sembrava uscito da
un baraccone di campagna. Ma Giulietta! Harry, immagina una
fanciulla appena diciassettenne, con un visino di fiore, una
piccola testolina greca con delle ciocche intrecciate di capelli
castani scuri, occhi che erano pozzi violacei di passione, labbra
come petali di rose: la cosa pi? adorabile che avessi mai visto in
vita mia. Mi dicesti una volta che il "pathos" ti lascia freddo,
ma che la bellezza, la sola bellezza pu? farti venire le lacrime
agli occhi. Ti dico, Harry, che riuscivo a mala pena a veder
quella ragazza, tante erano le lacrime che mi annebbiavano la
vista. E la voce! non avevo mai sentito una voce come quella.
All'inizio era molto sommessa, con certe note profonde, vellutate,
che sembravano penetrare nell'orecchio ad una ad una; poi divent?
un po' pi? alta e suonava come un flauto o un oboe lontano. Nella
scena del giardino c'era in tutta quella voce l'estasi tremebonda
che si sente poco prima dell'alba quando cantano gli usignoli; in
altri momenti aveva la passione selvaggia delle violette. Tu sai
come possa commuovere una voce. La tua e quella di Sybil Vane sono
due cose che non mi usciranno mai di mente. Se chiudo gli occhi le
sento, e ognuna di esse dice una cosa diversa, e io non so quale
seguire. Perch? non dovrei amarla? L'amo, Harry; lei ? tutto nella
vita per me. Una sera dopo l'altra vado a vederla recitare. Una
sera ? Rosalinda, la sera dopo Imogene. L'ho vista morire
nell'oscurit? di una tomba italiana, succhiando il veleno dalle
labbra dell'amante; l'ho vista errare nella foresta di Arden,
travestita da ragazzino, in pantaloni e farsetto e berrettino. E'
stata pazza, e ? venuta alla presenza di un Re colpevole e gli ha
dato dei rimorsi da sopportare e delle erbe amare da assaporare.
E' stata innocente, e le mani nere della gelosia hanno strozzato
quel collo simile a una canna. L'ho vista in tutte le et? e in
tutti i costumi. Le donne ordinarie non eccitano l'immaginazione;
sono limitate al loro secolo, non c'? splendore che sia capace di
trasfigurarle. Si conosce la loro mente come si conoscono i loro
cappelli: si riesce sempre a trovarle; non c'? mistero in nessuna
di essa. La mattina montano a cavallo al Parco e il pomeriggio
chiacchierano ai t?. Hanno il loro sorriso stereotipato e le loro
maniere alla moda. Sono perfettamente trasparenti. Ma un'attrice!
com'? diversa, un'attrice! Harry, perch? non mi hai detto che
un'attrice ? la sola cosa che valga la pena di amare?
- Perch? ne ho amate tante, Dorian.
- Oh, s?: delle creature orrende coi capelli tinti e le facce
imbellettate.
- Non disprezzare i capelli tinti e le facce imbellettate; a volte
hanno un fascino straordinario - disse Lord Henry.
- Ora mi dispiace di averti parlato di Sybil Vane.
- Non potevi fare a meno di parlarmene, Dorian. Per tutta la vita
mi racconterai quello che fai.
- Credo proprio che sia cos?, Harry. Non posso fare a meno di
raccontarti le cose. Hai una strana influenza su di me. Se un
giorno commettessi un delitto verrei da te a confessarlo; tu mi
capiresti.
- Le persone come te, Dorian, ostinati raggi di sole della vita,
non commettono delitti. Ma ti ringrazio lo stesso del complimento.
E ora dimmi - passami i fiammiferi per favore, grazie - quali sono
di fatto i tuoi rapporti con Sybil Vane?
Dorian Gray balz? in piedi, colle guance rosse e gli occhi
fiammeggianti. - Harry! Sybil Vane ? sacra.
- Dorian, le cose sacre sono le sole che valga la pena di toccare
- disse Lord Henry, con una strana nota patetica nella voce. - Ma
perch? andare in collera? Penso che un giorno o l'altro sar? tua.
Quando siamo innamorati si comincia sempre con l'ingannare noi
stessi e si finisce sempre con l'ingannare gli altri; e questo ?
quello che il mondo chiama un romanzo. Almeno immagino che la
conoscerai?
- Naturalmente la conosco. La prima sera che ero in teatro,
quell'orribile vecchio ebreo venne nel palco dopo lo spettacolo e
mi offr? di portarmi dietro le quinte e di presentarmi a lei. Io
andai su tutte le furie e gli dissi che Giulietta era morta da
secoli e che il suo corpo giaceva in un sepolcro di marmo a
Verona. Penso, dalla sua aria smarrita e stupefatta, che abbia
avuto l'impressione che avessi bevuto troppo champagne, o qualcosa
del genere.
- Non mi sorprende.
- Poi mi chiese se scrivevo su qualche giornale. Gli risposi che
nemmeno li leggevo. Sembr? deluso e mi confid? che tutti i critici
drammatici erano in combutta contro di lui e che ognuno di loro
era disposto a lasciarsi comperare.
- Non mi meraviglierebbe che su questo punto avesse ragione.
D'altronde, a giudicare dall'aspetto, la maggior parte di loro non
deve costare affatto cara.
- Comunque, lui aveva l'aria di pensare che la cosa fosse al di
sopra delle sue possibilit? - rispose Dorian ridendo. - Nel
frattempo per? in teatro stavano spegnendo le luci e io dovetti
andarmene. Voleva che provassi certi sigari che raccomandava
caldamente, ma rifiutai. La sera dopo, naturalmente, ritornai.
Appena mi vide mi fece un profondo inchino e mi assicur? che ero
un munifico patrono delle arti. Era un essere particolarmente
odioso, bench? avesse una passione straordinaria per Shakespeare.
Una volta mi disse, con l'aria di esserne fiero, che i suoi cinque
fallimenti erano dovuti unicamente al Bardo, come si ostinava a
chiamarlo. Sembrava che la considerasse una distinzione.
- Era una distinzione, mio caro Dorian, una grande distinzione. La
maggioranza fallisce in conseguenza di investimenti eccessivi
nella prosa della vita. Essersi rovinato per la poesia ? un onore.
Ma quando parlasti per la prima volta con la signorina Sybil Vane?
- La terza sera. Aveva fatto Rosalinda. Non potei fare a meno di
andare sul palcoscenico. Le avevo gettato dei fiori e lei mi aveva
guardato, o almeno cos? m'immaginai. Il vecchio ebreo insisteva;
sembrava deciso a portarmi dietro le quinte, e cos? acconsentii.
E' curioso che non desiderassi conoscerla, non ti pare?
- No, non mi pare.
- Come, Harry? Perch??
- Te lo dir? un'altra volta; ora voglio che tu mi parli della
ragazza.
- Sybil? Oh, era cos? timida, cos? gentile! C'? in lei qualcosa di
una bambina. I suoi occhi si spalancarono con uno stupore
delizioso quando le dissi quello che pensavo delle sue
interpretazioni. Sembrava che non avesse la minima coscienza delle
sue doti. Entrambi dovevamo essere piuttosto nervosi. Sulla soglia
del ridotto polveroso, il vecchio ebreo stava ghignando e facendo
discorsi elaborati sul nostro conto, mentre noi ci guardavamo l'un
l'altro come due bambini. Insisteva a chiamarmi my Lord, tanto che
fui costretto ad assicurare a Sybil che non ero niente di simile.
Mi rispose con la massima semplicit?: "Avete piuttosto l'aspetto
di un principe. Vi chiamer? Principe Azzurro".
- Parola d'onore, Dorian, la signorina Sybil sa fare i
complimenti.
- Tu non la capisci, Harry. Mi considerava soltanto un personaggio
del dramma. Non sa niente della vita. Abita con la madre, una
donna stanca e avvizzita, che la prima sera faceva Madonna
Capuleti in una specie di vestaglia di colore rosso cupo e che ha
l'aria di aver conosciuto tempi migliori.
- Conosco quell'espressione e la trovo deprimente - mormor? Lord
Henry, esaminando i suoi anelli.
- L'ebreo mi voleva raccontare la sua storia, ma gli dissi che non
mi interessava.
- Hai fatto benissimo. Nelle tragedie degli altri c'? sempre
qualche cosa di infinitamente basso.
- Sybil ? l'unica cosa che m'interessa. Che m'importa la sua
origine? Dalla testolina ai piedini ? assolutamente e interamente
divina. Vado a vederla recitare ogni sera, e ogni sera ? pi?
meravigliosa.
- Ecco il motivo, credo, per il quale ora non pranzi pi? con me.
Avevo pensato che dovevi aver per le mani qualche strano romanzo.
Era vero, per quanto non sia esattamente quello che mi aspettavo.
- Caro Harry, tutti i giorni facciamo colazione o ceniamo insieme
e sono stato all'Opera con te parecchie volte - disse Dorian,
spalancando gli occhi per la meraviglia.
- Arrivi sempre terribilmente in ritardo.
- S?, ma non posso non andare a veder recitare Sybil esclam?,
anche se ? solo per un atto. Sono affamato della sua presenza e il
pensiero che in quel piccolo corpo d'avorio si nasconde un'anima
meravigliosa mi riempie di riverenza e di spavento.
- Stasera puoi pranzare con me, non ? vero, Dorian?
Egli scosse la testa. - Stasera ? Imogene - rispose - e domani
sera sar? Giulietta.
- E quando ? Sybil Vane?
- Mai.
- Mi congratulo con te.
- Come sei antipatico! Lei ? tutte le grandi eroine del mondo in
una persona sola. E' pi? di una persona. Tu ridi, ma io ti dico
che ha talento. L'amo e devo farmi amare da lei. Tu che conosci i
segreti della vita, insegnami a stregare Sybil Vane perch? mi ami!
Voglio ingelosire Romeo; voglio che tutti gli amanti morti sentano
il nostro riso e ne siano rattristati; voglio che un alito della
nostra passione agiti la loro polvere e le ridia la coscienza,
svegli alla sofferenza le loro ceneri. Mio Dio, come l'adoro,
Harry! - Mentre parlava andava su e gi? per la camera e sulle
guance bruciavano delle macchie di un rosso intenso. Era in uno
stato di grande esaltazione.
Lord Henry lo guardava con un sottile senso di piacere. Com'era
diverso ormai dal ragazzo timido, spaurito, che aveva conosciuto
nello studio di Basil Hallward! La sua natura si era sviluppata
come si sviluppa un fiore; si era coperta di una fioritura di
fiamme scarlatte. La sua anima era uscita fuori del suo
nascondiglio segreto, e il Desiderio le era venuto incontro a met?
strada.
- E che cosa pensi di fare? - disse finalmente Lord Henry.
- Voglio che tu e Basil veniate una sera a vederla recitare. Non
sono affatto inquieto per il risultato; sono certo che
riconoscerete il suo genio. Poi dobbiamo strapparla dalle mani
dell'ebreo. E' legata a lui per tre anni, o meglio per due anni e
otto mesi a partire da oggi. Naturalmente bisogner? pagargli
qualche cosa. Una volta sistemato questo, prender? un teatro nel
West End e la lancer? come si deve. Far? impazzire il mondo come
ha fatto impazzire me.
- Non ti sembra che questo sia impossibile, figlio mio?
- S?, sar? come ti dico. Lei non ha soltanto l'arte, un istinto
artistico raffinato in se stessa, ma anche una personalit? sua; e
tu mi hai detto pi? volte che quello che fa camminare i tempi non
sono i princ?pi, ma la personalit?.
- Bene, e quando andiamo?
- Vediamo un po'. Oggi ? marted?; diciamo domani. Domani far?
Giulietta.
- Benissimo. Alle otto al Bristol. Penso io a Basil.
- Harry, ti prego, non alle otto: alle sei e mezzo. Dobbiamo
arrivare prima che si alzi il sipario. Dovete vederla nel primo
atto, quando incontra Romeo.
- Alle sei e mezzo! Che razza di ora! Sar? come bere un estratto
di carne o leggere un romanzo inglese. Facciamo le sette; non c'?
una sola persona come si deve che pranzi prima delle sette. Tu
vedi Basil nel frattempo, o devo scrivergli io?
- Caro Basil! non lo vedo da una settimana. Faccio malissimo,
perch? mi ha mandato il mio ritratto in una magnifica cornice che
ha disegnato appositamente lui stesso; e, per quanto mi senta un
po' geloso perch? il ritratto ? di un mese intero pi? giovane di
me, devo pure ammettere che sono felice di averlo. Forse ? meglio
che tu gli scriva. A me dice delle cose che mi infastidiscono; mi
d? dei buoni consigli.
Lord Henry sorrise. - La gente ama molto dare quello che avrebbe
bisogno di ricevere; ? quello che io chiamo un abisso di
generosit?.
- Oh, Basil ? la pi? cara persona che esista, ma a me sembra che
sia un tantino Filisteo. E' una scoperta che ho fatto dopo che ti
ho conosciuto.
- Basil, mio caro, mette nella sua opera tutto ci? che c'? di
delizioso in lui, e cos? per la vita non gli restano altro che i
suoi pregiudizi, i suoi princ?pi e il suo senso comune. I soli
artisti che ho conosciuto che fossero personalmente piacevoli sono
artisti mediocri. I buoni artisti esistono solo in quello che
fanno e di conseguenza non sono affatto interessanti in quello che
sono. Un grande poeta, un poeta veramente grande, ? l'essere meno
poetico che esista; invece i poeti mediocri sono assolutamente
affascinanti. Quanto pi? brutti sono i loro versi, tanto pi?
pittoresco ? il loro aspetto. Il solo fatto di aver pubblicato un
volume di sonetti di second'ordine rende un uomo assolutamente
irresistibile. Egli vive la poesia che non riesce a scrivere; gli
altri scrivono la poesia che non riescono a trasformare in realt?.
- Mi chiedo se ? proprio cos?, Harry - disse Dorian Gray,
versandosi sul fazzoletto qualche goccia di profumo da una grande
bottiglia col tappo d'oro che stava sul tavolo. Deve essere vero,
visto che tu lo dici. E adesso me ne vado; Imogene mi aspetta.
Ricordati di domani. Addio.
Mentre usciva, le palpebre pesanti di Lord Henry si abbassarono e
si immerse nei propri pensieri. Poche persone, certo, lo avevano
interessato come Dorian Gray, eppure l'adorazione di quel ragazzo
per un'altra persona non suscitava in lui il minimo senso di
fastidio o di gelosia; anzi ne era contento, perch? faceva di lui
uno studio pi? interessante. Si era sempre sentito attratto dai
metodi delle scienze naturali, ma le materie che costituiscono il
soggetto abituale di quelle scienze gli sembravano triviali e
senza importanza, e cos? aveva cominciato col vivisezionare se
stesso e aveva finito col vivisezionare gli altri. La vita umana:
era questa, ai suoi occhi, l'unica cosa degna di essere indagata;
in confronto con questa non c'era nessuna cosa che avesse un
valore qualunque. Era vero che quando si osservava la vita nel suo
curioso crogiuolo di pena e di piacere, non ci si poteva
nascondere la faccia con una maschera di vetro n? impedire che
vapori sulfurei turbassero il cervello e intorbidassero
l'immaginazione con fantasie mostruose e sogni deformi. C'erano
certi veleni cos? sottili che per conoscerne le propriet?
bisognava lasciarsene intossicare, malattie cos? strane che
bisognava subirle se si provava a comprenderne la natura. Per?
com'era grande la ricompensa! Come diventava meraviglioso il
mondo! Osservare la logica curiosamente inflessibile della
passione e la variopinta vita emozionale dell'intelletto;
osservare dove si incontravano, dove si separavano, in che punto
erano all'unisono e in che punto discordanti - che delizia in
tutto questo! Che importava il prezzo? Nessuna sensazione si paga
mai troppo cara.
Sapeva - e l'idea fece saettare un lampo di piacere nei suoi occhi
d'agata bruna - che se l'anima di Dorian Gray si era rivolta a
quella fanciulla e si era curvata in adorazione davanti a lei,
questo era un effetto delle sue parole, parole musicali dette con
intonazione musicale. Quel ragazzo era in larga parte una sua
creazione. Egli lo aveva reso precoce e questo era qualcosa. Le
persone comuni aspettano che la vita schiuda loro i suoi segreti;
ma ai pochi, agli eletti, i misteri della vita sono svelati prima
ancora che venga strappato il velo. A volte questo ? l'effetto
dell'arte e soprattutto dell'arte letteraria, che agisce
direttamente sulle passioni e sull'intelligenza; ma ogni tanto una
personalit? complessa si sostituisce all'arte e ne adempie la
funzione, anzi ?, a modo suo, una vera opera d'arte, dato che la
vita ha i suoi capolavori complicati come li ha la poesia, o la
scultura, o la pittura.
S?, quel ragazzo era precoce. Stava gi? mietendo le messi mentre
era ancora primavera. Il fremito e la passione della giovinezza
erano in lui, ma egli cominciava ad acquisirne coscienza.
Osservarlo era una cosa deliziosa. Col suo bel viso e la sua
bell'anima era qualcosa che non si poteva fare a meno di ammirare.
Come tutto questo sarebbe finito, o come era destinato a finire,
non aveva nessuna importanza. Egli era simile a una di quelle
graziose figure in un corteo o in uno spettacolo, le cui gioie ci
sembrano lontane, ma i cui dolori stimolano il nostro senso della
bellezza e le cui ferite sono come rose rosse.
Anima e corpo, corpo e anima, com'erano misteriosi! Nell'anima
c'era dell'animalit? e il corpo aveva momenti di spiritualit?; i
sensi potevano affinarsi e l'intelletto degradarsi. Chi poteva
dire dove finiva l'impulso carnale o dove cominciava l'impulso
fisico? Com'erano superficiali le definizioni arbitrarie degli
psicologi comuni! Eppure, com'era difficile decidere tra le
affermazioni delle varie scuole! L'anima ? un'ombra che abita
nella casa del peccato? oppure il corpo ? realmente nell'anima,
come pensava Giordano Bruno? La separazione tra spirito e materia
? un mistero e l'unione tra spirito e materia ? ugualmente un
mistero.
Inizi? a chiedersi quando arriveremo a fare della psicologia una
scienza cos? assoluta che ogni pi? piccola molla della vita ne sia
rivelata. Nel suo stadio attuale gli uomini comprendevano sempre
male se stessi e raramente comprendevano gli altri. L'esperienza
non aveva nessun valore etico; non era altro che il nome dato
dagli uomini ai propri errori. I moralisti erano soliti
considerarla come una forma di monito, le avevano rivendicato una
certa efficacia etica nella formazione del carattere, l'avevano
esaltata come qualche cosa che indica la via da seguire e mostra
quello che conviene evitare; ma nell'esperienza non c'era nessuna
forza motrice: la sua importanza come causa attiva era altrettanto
scarsa quanto quella della stessa coscienza. Tutto ci? che essa
realmente dimostrava era che il nostro futuro sarebbe come il
nostro passato e che il peccato commesso una volta, e con
ripugnanza, l'avremmo commesso pi? volte, e con gioia.
Gli sembrava chiaro che il metodo sperimentale era l'unico che
permettesse di arrivare a un'analisi scientifica delle passioni; e
Dorian Gray era sicuramente un soggetto che sembrava fatto apposta
e che sembrava promettere abbondanti e fruttuosi risultati. Il suo
folle amore improvviso per Sybil Vane era un fenomeno psicologico
di non trascurabile interesse. Senza dubbio la curiosit? c'entrava
molto; curiosit? e desiderio di esperienze nuove; tuttavia non era
una passione semplice, anzi era molto complessa. Il lavor?o
dell'immaginazione aveva trasformato l'elemento costituito
dall'istinto esclusivamente sensuale dell'adolescenza, mutandolo
in qualcosa che al giovane stesso sembrava lontana dal senso e che
per questa stessa ragione era ancora pi? pericolosa. Le passioni
che esercitano su noi la tirannia pi? forte sono quelle intorno
alla cui origine ci inganniamo da soli; i pi? deboli tra i nostri
moventi sono quelli della cui natura siamo consapevoli. Avviene
spesso che mentre crediamo di stare sperimentando sugli altri
stiamo in realt? sperimentando su noi stessi.
Lord Henry stava sognando di queste cose, quando bussarono alla
porta e il suo servitore gli ricord? che era tempo di vestirsi per
il pranzo. Si alz? e guard? fuori, in strada. Il tramonto colorava
d'oro e di scarlatto le finestre superiori della casa di fronte; i
vetri erano incandescenti come lastre di marmo arroventate. Pi? in
alto il cielo era come una rosa sfiorita. Pens? al suo amico e
alla sua vita color di fiamma e si chiese come tutto questo
sarebbe andato a finire.
Tornando a casa verso mezzanotte e mezzo, vide un telegramma sulla
tavola del vestibolo. L'apr?: era di Dorian Gray e gli annunciava
il suo fidanzamento con Sybil Vane.
Capitolo quinto.
- Mamma, mamma, sono tanto felice! - mormor? la fanciulla,
nascondendo il viso nel grembo della donna avvizzita e dall'aria
stanca, che, girando le spalle alla luce cruda e importuna, sedeva
sull'unica poltrona che conteneva il loro frusto salotto.
- Sono tanto felice! - ripet? - e anche tu devi essere felice!
La signora Vane fece una smorfia e pos? sul capo della figlia le
mani sottili, imbiancate al bismuto. - Felice! - fece eco. - Io
sono felice quando ti vedo recitare, Sybil. Tu non devi pensare ad
altro che alla tua arte. Il signor Isaacs ? stato molto buono con
noi e noi gli dobbiamo dei soldi.
La ragazza alz? gli occhi, arrabbiata. - Soldi, mamma? esclam?. E
che importanza hanno i soldi? L'amore conta pi? del denaro.
- Il signor Isaacs ci ha anticipato cinquanta sterline per pagare
i nostri debiti e per comperare il corredo occorrente a James; non
devi dimenticarlo, Sybil. Cinquanta sterline sono una grossissima
somma. Il signor Isaacs ? stato molto gentile.
- Non ? un signore, mamma, e odio il suo modo di parlarmi disse la
fanciulla, alzandosi in piedi e andando verso la finestra.
- Non so che cosa faremmo senza di lui - rispose la vecchia con
voce lamentosa.
Sybil Vane scosse la testa e si mise a ridere. - Non abbiamo pi?
bisogno di lui, mamma. Adesso il Principe Azzurro governa le
nostre vite. - Qui si ferm?. Fu come se una rosa le fosse fiorita
nel sangue e le avesse velato le guance. Un respiro rapido schiuse
i petali delle sue labbra, che tremarono. Un soffio caldo di
passione alit? su lei e mosse le pieghe delicate del suo vestito.
- Lo amo - disse con semplicit?.
- Bambina sciocca, bambina sciocca! - fu la frase pappagallesca
che ebbe in risposta. Il movimento delle dita adunche, ornate di
gioielli falsi, rendeva grottesche le parole.
La fanciulla rise di nuovo. Nella sua voce vibrava la gioia di un
uccellino in gabbia. I suoi occhi afferrarono la melodia e le
fecero eco, raggianti, quindi si chiusero un istante, quasi per
nascondere il loro segreto. Quando si riaprirono c'era passata su
una nebbia di sogno.
La saggezza dalle labbra sottili le parlava dalla sedia logora,
raccomandando prudenza, citando quel libro di codardia il cui
autore si appropria del nome di senso comune. Lei non ascoltava:
era libera nella sua prigione di passione. Con lei c'era il suo
Principe, il Principe Azzurro; aveva chiamato la memoria a
evocarlo, aveva mandato la sua anima a cercarlo e questa
gliel'aveva ricondotto. Il suo bacio tornava a bruciarle le
labbra; e le sue palpebre erano calde del suo alito.
Allora la saggezza cambi? metodo e parl? di indagini e di
scoperte. Quel giovanotto poteva essere ricco; in quel caso si
poteva pensare a un matrimonio. Le onde dell'astuzia mondana si
spezzavano contro la conchiglia del suo orecchio; le frecce
dell'abilit? la sfioravano senza colpirla. Vedeva muoversi le
labbra sottili e sorrideva. Di colpo sent? il bisogno di parlare;
quel silenzio pieno di parole la disturbava. - Mamma, mamma -
esclam?, - perch? mi ama tanto? Io so perch? lo amo, lo amo perch?
? quello che l'amore in persona dovrebbe essere. Ma lui, cosa vede
in me? Io non sono degna di lui. Eppure, non so perch?, per quanto
mi senta tanto al disotto di lui, non mi sento umile; mi sento
orgogliosa, terribilmente orgogliosa. Mamma, tu hai amato il babbo
come io amo il Principe Azzurro?
La vecchia impallid? sotto la polvere da poco prezzo che le
incipriava le guance e le sue labbra aride si torsero in uno
spasimo di pena. Sybil corse da lei, le gett? le braccia al collo
e la baci?. - Perdonami, mamma, lo so che ti addolora parlare del
babbo; ma ti addolora solo perch? l'hai amato tanto. Non devi
avere quell'aria triste. Io sono felice oggi come tu vent'anni fa.
Ah, lasciami essere felice per sempre!
- Bambina, sei troppo giovane per pensare a innamorarti. E poi,
che ne sai di quel giovanotto? Non conosci nemmeno il suo nome. E'
tutta una storia che non ci conviene affatto; e veramente, in
questo momento che James parte per l'Australia, devo dire che
avresti dovuto dimostrarmi un po' pi? di riguardo. Per?, come
dicevo prima, se ? ricco...
- Ah, mamma, mamma, lasciami essere felice!
La signora Vane la guard? e, con uno di quei falsi gesti teatrali
che negli attori diventano tanto spesso una seconda natura, la
strinse tra le braccia. In quel momento la porta si apr? e un
ragazzo coi capelli bruni arruffati entr? nella stanza. Era
tarchiato, coi piedi e le mani grandi, e un po' goffo nei
movimenti; non era di razza fine come la sorella. Era difficile
indovinare la stretta parentela che esisteva tra loro. La signora
Vane lo fiss? e intensific? il sorriso; mentalmente innalzava suo
figlio alla dignit? di pubblico e si sentiva sicura che il suo
"tableau" era interessante. - Potresti conservare per me qualcuno
dei tuoi baci, Sybil, mi pare - disse il ragazzo con un brontol?o
bonario.
- Ah, ma a te non piacciono i baci, James - esclam? lei. - Sei un
brutto orsaccio. - E corse attraverso la stanza e l'abbracci?.
James Vane guard? teneramente in volto la sorella. - Vieni fuori a
fare una passeggiata con me, Sybil. Non credo che rivedr? mai
questa orribile Londra, e di certo non desidero rivederla.
- Figlio mio, non dire di queste cose tremende - mormor? la
signora Vane, prendendo in mano con un sospiro uno sgargiante
costume teatrale e cominciando a rammendarlo. Sentiva una certa
delusione perch? lui non si era unito al gruppo, cosa che avrebbe
accresciuto il carattere teatralmente pittoresco della situazione.
- Perch? no, mamma? Io penso cos?.
- Tu mi addolori, figliuolo. Ho fiducia che tornerai
dall'Australia in buone condizioni finanziarie. Credo che nelle
Colonie non esiste nessun tipo di societ?, di quella che merita di
essere chiamata societ?, e perci? quando avrai fatto fortuna
dovrai tornare a prendere il tuo posto a Londra.
- Societ?! - borbott? il ragazzo. - Non voglio sapere niente di
tutto questo. Mi piacerebbe fare un po' di soldi per poter portar
via dal palcoscenico te e Sybil. Lo detesto!
- Oh, James - disse Sybil ridendo, - come sei poco gentile! Ma
vuoi veramente uscire a passeggio con me? Che bella cosa! Avevo
paura che tu andassi a dire addio a qualcuno dei tuoi amici, a Tom
Hardy che ti ha dato quella orribile pipa oppure a Ned Langton che
ride di te perch? la fumi. Sei molto caro a concedermi il tuo
ultimo pomeriggio. Dove andiamo? Andiamo nel Parco.
- Sono troppo mal vestito - rispose lui, accigliato. - Soltanto la
gente elegante va nel Parco.
- Che sciocchezze, James! - sussurr? lei, accarezzandogli la
manica della giacca.
Egli esit? un attimo. - Benissimo - disse finalmente, - ma non
metterci troppo tempo a vestirti. - Sybil usc? dalla porta come se
ballasse; la si poteva sentire cantare mentre saliva le scale
correndo. Sopra le loro teste si sent? il ticchett?o dei suoi
piedini sul pavimento.
Egli and? su e gi? per la stanza un paio di volte, poi, rivolto
alla figura immobile sulla sedia, disse: - Mamma, sono pronte le
mie cose?
- Tutto pronto, James - rispose lei, tenendo gli occhi fissi sul
lavoro. Da qualche mese ormai quando si trovava da sola con questo
suo figlio rude e serio si sentiva a disagio. Quando i loro
sguardi si incontravano, la sua segreta natura superficiale ne era
turbata. Poich? egli non diceva altro, il silenzio divent?
intollerabile per lei e cominci? a lamentarsi. Le donne si
difendono attaccando, cos? come attaccano per mezzo di una resa
improvvisa e strana. Disse:
- Spero che sarai contento della tua vita marinara, James. Devi
ricordarti che te la sei scelta da te. Avresti potuto entrare
nello studio di un procuratore; i legali formano una classe molto
rispettabile e in campagna vanno spesso a pranzo dalle migliori
famiglie.
- Detesto gli uffici e detesto gli impiegati - replic? lui. - Ma
hai perfettamente ragione; la mia vita me la sono scelta da me. Ti
dico solo una cosa: sorveglia Sybil. Non permettere che le accada
niente di male. Mamma, devi vegliare su di lei.
- James, questi sono discorsi strani. Naturalmente veglio su
Sybil.
- Sento dire che un giovane signore viene a teatro tutte le sere e
che va dietro le quinte a parlare con lei. E' vero? e tu che ne
pensi?
- James, tu parli di cose che non capisci. Nella nostra
professione siamo abituate a ricevere molte delicate attenzioni.
Io stessa ricevevo parecchi mazzi di fiori alla volta, ai tempi in
cui l'arte drammatica era veramente apprezzata. Quanto a Sybil,
non so finora se il suo affetto sia serio o no; ma non c'? dubbio
che il giovine di cui parli ? un perfetto gentiluomo. Con me ?
sempre cortesissimo; e poi ha tutta l'aria di un uomo ricco e i
fiori che manda sono magnifici.
- Per? non sai nemmeno come si chiama - disse il ragazzo con
asprezza.
- No - rispose la madre, con un'espressione di tranquillit? sul
viso. - Finora non ha rivelato il suo vero nome. Penso che ?
davvero romantico da parte sua. Probabilmente appartiene
all'aristocrazia.
James Vane si morse le labbra. - Fa' attenzione a Sybil, mamma
esclam?; - veglia su di lei.
- Figlio mio, non farmi disperare. Sybil sta sempre sotto la mia
custodia speciale. Naturalmente, se quel signore ? ricco, non c'?
ragione perch? lei non possa sposarlo. Sono sicura che ? uno
dell'aristocrazia; devo dire che ne ha tutto l'aspetto. Per Sybil
potrebbe essere un matrimonio brillantissimo. Loro due farebbero
una coppia deliziosa; lui ? di una bellezza veramente
straordinaria: tutti quanti ne sono colpiti.
Il ragazzo borbott? qualcosa tra s? e s?, tamburellando sul vetro
della finestra con le sue rozze dita. Era sul punto di girarsi per
parlare quando la porta si apr? e Sybil entr? correndo.
- Come siete seri tutti e due! - grid?. - Che ? successo?
- Niente - rispose il fratello. - Bisogna pure essere seri qualche
volta. Addio, mamma; vorrei pranzare alle cinque. Tutto ?
imballato, meno le mie camicie, e cos? non hai bisogno di
occuparti di niente.
Il tono che aveva preso con lei l'aveva grandemente urtata e nel
suo aspetto c'era qualcosa che le dava un senso di paura.
- Dammi un bacio, mamma - disse la fanciulla. Le sue labbra simili
a un fiore sfiorarono la guancia avvizzita riscaldandone il gelo.
- Figlia mia, figlia mia! - grid? la signora Vane, alzando gli
occhi al soffitto, in cerca di un loggione immaginario.
- Andiamo, Sybil - disse suo fratello, impaziente, perch? odiava
le smancerie materne.
Uscirono nella luce del sole, che pareva tremolare al vento,
avviandosi gi? per la malinconica Euston Road. I passanti
guardarono meravigliati quel giovane imbronciato, pesante, vestito
di abiti ordinari e mal tagliati, che accompagnava una ragazza
cos? graziosa, dall'aspetto cos? fine. Sembrava un rozzo
giardiniere che portasse a passeggio una rosa.
Di quando in quando James si accigliava quando sorprendeva le
occhiate curiose di qualche estraneo. Sentiva quel disagio
nell'essere guardato che ? proprio dei geni negli ultimi anni
della loro vita, ma dal quale la gente ordinaria non si libera
mai. Sybil dal canto suo non si rendeva minimamente conto
dell'effetto che produceva. L'amore tremava sulle sue labbra sotto
forma di riso. Pensava al Principe Azzurro; e, per poter pensare a
lui anche di pi?, non ne parlava, ma chiacchierava della nave
sulla quale James stava per imbarcarsi, dell'oro che avrebbe
certamente trovato, della bellissima ereditiera alla quale avrebbe
salvato la vita dalle mani dei malvagi briganti dalle camicie
rosse; dato che lui non era destinato a restare marinaio, o
commissario, o quella qualsiasi cosa che stava per diventare, oh,
no! La vita del marinaio era terribile. Pensare di essere
rinchiuso in un orrendo bastimento, con le onde rauche, incurvate
come gobbe immense, che lottavano per soverchiarlo, il vento nero
che abbatteva gli alberi e stracciava le vele riducendole a lunghi
nastri sibilanti! Avrebbe lasciato il bastimento a Melbourne,
dicendo cortesemente addio al capitano, e sarebbe andato alle
miniere d'oro. Entro una settimana avrebbe trovato una grossa
pepita d'oro puro, la pi? grossa che mai fosse stata scoperta, e
l'avrebbe portata gi? alla costa, in un carro scortato da sei
poliziotti a cavallo. I briganti l'avrebbero attaccato tre volte,
ma sarebbero stati messi in fuga con un'immensa carneficina.
Oppure no: non sarebbe andato per niente nelle miniere d'oro. Sono
luoghi orrendi, dove gli uomini si ubriacano, si sparano l'un
l'altro nei bar e usano un linguaggio sconcio. Sarebbe diventato
un bravo allevatore di pecore; e una sera, cavalcando verso casa,
avrebbe visto la bella ereditiera rapita da un bandito su un
cavallo nero, gli avrebbe dato la caccia e l'avrebbe liberata.
Lei, naturalmente, si sarebbe innamorata di lui e lui di lei, si
sarebbero sposati, sarebbero tornati in patria e avrebbero vissuto
a Londra in una casa immensa. S?, il destino aveva in serbo per
lui delle cose magnifiche; ma bisognava che fosse molto buono e
non perdesse la calma n? spendesse stupidamente il suo denaro. Lei
non aveva che un anno pi? di lui, ma conosceva molto meglio la
vita. Doveva promettere, anche, di scriverle con ogni corriere e
di recitare le preghiere tutte le sere prima di addormentarsi. Dio
era tanto buono e avrebbe vegliato su di lui; lei avrebbe pregato
per lui e in pochi anni sarebbe tornato ricco e felice.
Il ragazzo l'ascoltava imbronciato e non rispondeva; l'idea di
allontanarsi da casa gli stringeva il cuore.
Ma non era soltanto questo a renderlo scuro e accigliato. Per
quanto inesperto fosse, sentiva fortemente tutti i pericoli della
posizione di Sybil. Quel giovane elegante che le faceva la corte
non poteva significar niente di buono per lei: era un signore, e
lo odiava per questo, lo odiava per un certo suo curioso istinto
di razza del quale non era responsabile e che appunto per questo
dominava ancora pi? fortemente il suo animo. Si rendeva conto
anche della superficialit? e della vacuit? del carattere di sua
madre e vedeva un pericolo immenso per Sybil e per la felicit? di
Sybil. I figli cominciano con l'amare i genitori; crescendo li
giudicano e qualche volta li perdonano.
Sua madre! Voleva chiederle una cosa, una cosa che da lunghi mesi
andava rimuginando silenziosamente. Una frase sentita per caso al
teatro, una facezia giunta per caso al suo orecchio una sera
mentre stava aspettando alle porte del palcoscenico, aveva
scatenato in lui una folla di pensieri orribili. Se la ricordava
come se fosse stata la sferzata di uno scudiscio sulla faccia. Le
sopracciglia gli si corrugarono in un solco a forma di cuneo e si
morse le labbra con una smorfia di pena.
- Non ascolti neppure una parola di ci? che ti sto dicendo, James
- esclam? Sybil, - e io sto facendo i piani pi? splendidi per il
tuo futuro. Su, d? qualche cosa.
- Che vuoi che dica?
- Oh, che farai il bravo ragazzo e non ci dimenticherai rispose
sorridendogli.
Lui scroll? le spalle. - E' pi? probabile che tu di scordi di me
Sybil, e non io di te.
Sybil arross?. - Che vuoi dire, James? - chiese.
- Hai un amico nuovo, a quel che sento. Chi ?? Perch? non me ne
hai parlato? Non ? una buona cosa per te.
- Basta, James - esclam? lei. - Non devi dire niente contro di
lui. Lo amo.
- Come, se non sai neanche come si chiama! - replic? il ragazzo.-
Chi ?? Io ho il diritto di saperlo.
- Si chiama Principe Azzurro. Non ti piace questo nome? Oh,
scioccherello, non dovresti mai dimenticarlo. Basta che tu lo veda
perch? tu pensi che ? l'essere pi? meraviglioso che ci sia al
mondo. Un giorno lo conoscerai, quando tornerai dall'Australia. Ti
piacer? infinitamente; tutti gli vogliono bene, e io... io lo amo.
Dovresti venire a teatro stasera. Lui ci sar?, e io faccio
Giulietta. Oh, come reciter?! Pensa, James, essere innamorata e
recitare Giulietta! Avere lui tra gli spettatori, recitare per la
sua gioia! Ho paura di spaventare la compagnia; di spaventarla o
di entusiasmarla. Essere innamorati significa superare se stessi.
Quel povero tremendo signor Isaacs urler? "genio!" a tutti quei
vagabondi del bar; lui che mi ha predicato come un dogma, staser?
mi annuncer? come una rivelazione; ne sono certa. E tutto ? suo,
soltanto suo, del Principe Azzurro, del mio magnifico innamorato,
del mio dio di grazia. Io sono povera vicino a lui; povera! E che
vuol dire? Quando la povert? si affaccia alla porta l'amore entra
dalla finestra. Bisogna riscrivere i nostri proverbi; sono stati
fatti d'inverno e ora ? l'estate; ma per me ? primavera, tutta una
danza di fiori nel cielo turchino.
- E' un signore - disse il ragazzo, con la faccia scura.
- Un Principe! - esclam? lei, musicalmente. - Che vuoi di pi??
- Vuole fare di te la sua schiava.
- L'idea di essere libera mi fa rabbrividire.
- Voglio che tu stia in guardia da lui.
- Basta vederlo per adorarlo; basta conoscerlo per confidare in
lui.
- Sybil, tu sei pazza per lui.
Lei rise e lo prese per un braccio. - Caro il mio James, parli
come se tu avessi cent'anni. Un giorno o l'altro sarai innamorato
anche tu e allora saprai cosa vuol dire. Non prendere quell'aria
imbronciata. Dovresti essere contento pensando che, bench? tu
parta, mi lasci pi? felice di quanto non sia mai stata prima
d'oggi. La vita ? stata dura per noi due, terribilmente dura e
difficile; ma d'ora in poi tutto sar? diverso. Tu te ne vai verso
un mondo nuovo, io l'ho trovato. Ecco qui due sedie; sediamoci a
guardare la bella gente che passa.
Si sedettero in mezzo a una folla di gente che stava a guardare.
Dall'altra parte del viale le aiuole di tulipani fiammeggiavano
come palpitanti cerchi di fuoco. Nell'aria immobile era sospeso un
pulviscolo bianco, che sembrava una nuvola tremolante di polvere
di giaggiolo. I parasoli dai colori vivaci ballavano e si
tuffavano, simili a mostruose farfalle.
Lei faceva parlare il fratello di se stesso, delle sue speranze,
dei suoi progetti. Questi parlava lentamente e con sforzo; si
passavano l'un l'altro le parole, come in una partita i giocatori
si passano i gettoni. Sybil si sentiva oppressa; non riusciva a
comunicare la gioia che era in lei. Un vago sorriso curvava quella
bocca imbronciata ed era l'unica eco che le riuscisse di ottenere.
Alla fine tacque. Di colpo vide in un lampo capelli d'oro e labbra
ridenti e Dorian Gray pass? in carrozza aperta con due signore.
Balz? in piedi. - Eccolo! esclam?.
- Chi? - disse James Vane.
- Il Principe Azzurro - rispose, seguendo la vittoria con lo
sguardo.
Il fratello scatt? in piedi e la afferr? bruscamente per un
braccio.
- Fammelo vedere. Qual ?? Mostramelo, voglio vederlo - esclam?; ma
in quel momento pass? in mezzo il tiro a quattro del duca di
Berwick, e quando lo spazio rimase sgombro la carrozza era uscita
ormai dal Parco.
Sybil, tristemente, mormor?: - E' sparito. Avrei avuto piacere che
tu lo vedessi.
- Anch'io. Perch?, com'? vero che c'? un Dio in Cielo, se mai ti
facesse qualche cosa di male lo ammazzer?.
Lei lo guard? esterrefatta, ma lui ripet? quelle parole, che
tagliarono l'aria come un pugnale. Quelli che stavano intorno a
loro cominciarono a interessarsi; una signora che era vicino rise.
- Andiamo via, James, andiamo via - mormor? la fanciulla. Egli le
tenne dietro testardamente mentre passava attraverso la folla; era
soddisfatto di aver detto quello che aveva detto. Quando furono
arrivati alla statua di Achille essa si gir?, e aveva negli occhi
una compassione che si mut? in riso sulle sue labbra. Scosse la
testa:
- Sei uno stupido James, un ragazzino bizzoso e nient'altro. Come
puoi dire quelle cose orribili? Non sai quello che dici; sei
semplicemente geloso e cattivo. Ah, vorrei che tu ti innamorassi;
l'amore rende buoni, e quello che hai detto era malvagio.
- Ho sedici anni - rispose lui - e capisco le cose. La mamma non
ti pu? essere di nessun aiuto; non ha idea di cosa significhi
sorvegliarti. Ora vorrei non andare pi? in Australia. Quasi quasi
manderei tutto all'aria. Lo farei certamente, se non avessi
firmato un contratto.
- Oh, James, non essere cos? serio ! Sei come uno degli eroi di
quegli stupidi melodrammi che alla mamma piaceva tanto recitare.
Non voglio litigare con te. L'ho visto, e per me vederlo basta a
rendermi felice. Non litighiamo. So che non faresti mai del male a
qualcuno che amo, non ? vero?
- No, finch? tu lo ami, credo - fu la sua risposta cocciuta.
- Lo amer? sempre! - grid? lei.
- E lui?
- Sempre, anche lui.
- Far? bene.
Essa si spost? da lui; poi rise e gli pos? la mano sul braccio.
Non era che un ragazzo.
Al Marble Arch presero un omnibus che li lasci? vicino alla loro
modesta casa di Euston Road. Erano le cinque passate e Sybil
doveva riposare un paio d'ore prima della recita. James insist?
perch? lo facesse; disse che preferiva separarsi da lei quando non
c'era la mamma. Questa avrebbe sicuramente fatto una scena e lui
detestava le scene di qualsiasi tipo.
Si dissero addio in camera di Sybil. Il cuore del ragazzo era
gonfio di gelosia e di odio feroce, omicida, contro quell'estraneo
che, gli sembrava, si era frapposto tra loro due. Per?, quando lei
gli gett? le braccia al collo e gli pass? le dita tra i capelli si
ammans? e la baci? con affetto sincero. Scendendo le scale aveva
le lacrime agli occhi.
Al piano di sotto lo aspettava sua madre e, quando entr?, gli
rimprover? la sua poca puntualit?. Non rispose e si sedette al suo
pasto frugale. Le mosche ronzavano intorno alla tavola e
passeggiavano sulla tovaglia macchiata. Attraverso il rumore degli
omnibus e delle carrozze poteva sentire quella voce monotona che
divorava tutti i minuti che gli restavano.
Dopo un po' spinse lontano il piatto e si prese la testa tra le
mani. Sentiva di avere il diritto di sapere; se le cose stavano
come sospettava avrebbero dovuto dirglielo prima. Sua madre lo
guardava, oppressa dalla paura. Le parole le cadevano
macchinalmente dalle labbra; le sue dita sgualcivano un logoro
fazzoletto di trina. Quando l'orologio batt? le sei lui si alz? e
and? fino alla porta; poi si gir? indietro e la guard?. I loro
sguardi si incontrarono e lui vide in quello di lei una frenetica
invocazione di piet? che lo rese furibondo.
- Mamma, ho da chiederti una cosa - disse. Gli occhi di lei
vagarono intorno alla stanza e non rispose. - Dimmi la verit?: ho
diritto di sapere. Tu eri sposata col babbo?
Lei emise un profondo sospiro, che era un sospiro di sollievo. Il
momento terribile, il momento che aveva temuto, notte e giorno,
per settimane, per mesi, era venuto, alla fine, eppure non sentiva
nessun terrore. Anzi in una certa misura, per lei era una
delusione. La volgare nettezza della domanda voleva una risposta
netta. La situazione non era stata preparata gradualmente, era
aspra, e le faceva pensare a una prova mal riuscita.
- No - rispose, meravigliata lei stessa della dura semplicit?
della vita.
- Allora il babbo era un mascalzone? - grid? il ragazzo,
stringendo i pugni.
Lei scosse il capo. - Io sapevo che non era libero. Ci amavamo
immensamente. Se avesse vissuto avrebbe provveduto a noi. Non dire
niente contro di lui, figliuolo; era tuo padre ed era un
gentiluomo. Aveva parentele altolocate.
Una bestemmia gli sfugg? dal labbro. - A me non importa niente
proruppe; - ma non lasciare che Sybil... Quello che ? innamorato
di lei, o che dice di esserlo, ? un gentiluomo, non ? vero? E con
parentele altolocate, credo.
Un senso nauseante di umiliazione prese la donna; pieg? la testa e
si asciug? gli occhi colle mani tremanti. Mormor?:
- Sybil ha una madre. Io non l'avevo.
Il ragazzo ne fu commosso. Venne verso di lei e si chin? a
baciarla.
- Mi dispiace se ti ho dato un dolore chiedendoti del babbo disse;
- ma non potevo farne a meno. Ora devo andare. Addio. Non
dimenticare che ora hai soltanto una figlia a cui badare; e credi
a me: se quell'uomo fa del male a mia sorella, io scoprir? chi ?,
lo ritrover? e lo ammazzer? come un cane. Lo giuro.
La folle esagerazione della minaccia, il gesto passionale che lo
accompagnava, le parole pazzescamente melodrammatiche le fecero
sembrare pi? vivida la vita. Si ritrov? in un'atmosfera che le era
familiare; respir? pi? liberamente e per la prima volta da molti
mesi prov? una vera ammirazione per suo figlio. Le sarebbe
piaciuto prolungare la scena sulla stessa scala emozionale, ma lui
tagli? corto. C'era da portar gi? il bagaglio e da cercare le
sciarpe; l'uomo di fatica della pensione andava su e gi?; bisogn?
contrattare col vetturino; il momento and? perso in tutti quei
dettagli volgari. Fu con un rinnovato senso di delusione che la
madre sventol? dalla finestra il logoro fazzoletto di trina quando
il figlio se ne and?. Si rendeva conto che una grande occasione
era andata sprecata, ma si consol? dicendo a Sybil quanto sarebbe
stata desolata la sua esistenza ora che le restava soltanto una
figlia a cui badare. Si ricord? della frase: le era piaciuta.
Della minaccia non disse niente. Era stata formulata vivacemente e
drammaticamente. Disse a se stessa che un giorno o l'altro ne
avrebbero riso tutti insieme.
Capitolo sesto.
- Penso che tu abbia sentito la notizia, Basil - disse Lord Henry,
quando Hallward venne introdotto in un salottino privato del
Bristol dov'era apparecchiato per tre persone.
- No, Harry - rispose l'artista, consegnando cappello e soprabito
al cameriere. - Di che si tratta? Non di politica, spero; quella
non m'interessa. Non c'? una sola persona alla Camera dei Comuni
che valga la pena di dipingere, anche se molti di loro avrebbero
un aspetto un po' migliore se li imbiancassero un po'.
- Dorian Gray si ? fidanzato. - Disse Lord Henry fissandolo nel
parlare.
Hallward sobbalz?, poi corrug? la fronte. - Dorian fidanzato!
Impossibile!
- E' la pura verit?.
- Con chi?
- Con una piccola attrice qualunque.
- Non ci posso credere. Dorian ha troppo buon senso.
- Mio caro Basil, Dorian ? troppo saggio per non fare, ogni tanto,
una sciocchezza.
- Il matrimonio non ? cosa che si possa fare ogni tanto, Harry.
- Salvo che in America - rispose mollemente Lord Henry. - Ma io
non ti ho detto che si ? sposato; ho detto che si ? fidanzato, il
che ? molto diverso. Io mi ricordo nettissimamente di essere
sposato, ma non mi ricordo affatto di essere stato fidanzato.
Quasi quasi, credo di non essere mai stato fidanzato.
- Ma pensa alla nascita di Dorian, alla sua posizione, alla sua
ricchezza. Sarebbe assurdo se si sposasse tanto al disotto della
sua condizione.
- Basil, se vuoi fargli sposare quella ragazza non hai altro che
da dirgli questo: allora lo far? senz'altro. Quando un uomo fa una
cosa assolutamente stupida ? sempre per il pi? nobile dei motivi.
- Spero che sia una buona ragazza, Harry. Non vorrei vedere Dorian
legato a qualche creatura ignobile che potrebbe avvilire il suo
carattere o rovinare la sua intelligenza.
- Oh, meglio che buona: ? bella - mormor? Lord Henry, sorseggiando
un bicchiere di vermouth e amaro d'arancio. Dorian dice che ?
bella e in cose di questo genere si sbaglia di rado. Il ritratto
che tu gli hai fatto ha accresciuto ai suoi occhi il pregio
dell'aspetto personale altrui; ha avuto, tra gli altri, anche
quest'effetto eccellente. La vedremo stasera, se quel ragazzo non
si ? dimenticato dell'appuntamento.
- Dici sul serio?
- Proprio sul serio, Basil. Mi sentirei infelicissimo se pensassi
di poter mai essere pi? serio di quanto lo sono in questo momento.
- Ma tu lo approvi, Harry? - chiese il pittore, andando su e gi?
per la stanza e mordendosi le labbra. Non ? possibile che lo
approvi. E' un'infatuazione stupida.
- Ormai non approvo n? disapprovo pi? niente. Significa assumere
un atteggiamento assurdo nei confronti della vita. Non faccio mai
attenzione a quello che dice la gente ordinaria e non mi immischio
mai in quello che fanno le persone simpatiche. Se una personalit?
mi affascina, per me qualsiasi modo di espressione che quella
personalit? sceglie ? assolutamente delizioso. Dorian Gray si
innamora di una bella ragazza che fa la parte di Giulietta e le
chiede di sposarlo. Perch? no? Se sposasse Messalina non
diventerebbe meno interessante per questo. Sai che non sono un
campione del matrimonio. Il vero inconveniente del matrimonio ?
che impedisce di essere egoisti e chi non ? egoista ? senza
colore, manca di individualit?. Tuttavia ci sono certi
temperamenti che il matrimonio rende pi? complessi: conservano il
loro egoismo e vi aggiungono molti altri "Io"; sono costretti ad
avere pi? di una vita, diventano pi? altamente organizzati, ed
essere altamente organizzati ? secondo me l'obiettivo
dell'esistenza umana. Inoltre, ogni esperienza ha il suo valore; e
del matrimonio si pu? dire quello che si vuole, ma indubbiamente ?
un'esperienza. Spero che Dorian Gray faccia di quella ragazza sua
moglie, l'adori appassionatamente per sei mesi e d'improvviso sia
affascinato da un'altra: come studio sarebbe meraviglioso.
- Harry, tu non pensi una sola parola di tutto questo. Sai
benissimo che ? come dico io. Se la vita di Dorian fosse rovinata
tu ne saresti addolorato pi? di chiunque altro. Sei molto migliore
di quanto pretendi di essere.
Lord Henry si mise a ridere.
- Il motivo per il quale a tutti noi piace pensare tanto bene
degli altri ? che abbiamo paura per noi stessi. La base
dell'ottimismo ? il puro e semplice terrore. Ci crediamo generosi
perch? attribuiamo al nostro prossimo il possesso di quelle virt?
che saranno probabilmente di aiuto a noi. Elogiamo il banchiere
per poter superare l'attivo del nostro conto e troviamo delle
qualit? nel bandito nella speranza che risparmi le nostre tasche.
Tutto quello che ho detto lo penso. Provo il massimo disprezzo per
l'ottimismo; e in quanto a vite rovinate, non ci sono vite
rovinate eccetto quelle il cui sviluppo viene arrestato. Quando si
vuole rovinare un carattere non c'? che da riformarlo. Quanto al
matrimonio, naturalmente sarebbe una cosa stupida; ma tra uomini e
donne esistono altri e pi? interessanti legami. Io li incoragger?
certamente: hanno il pregio di essere di moda. Ma ecco Dorian in
persona. Lui ti dir? pi? di quanto non potrei dire io.
- Caro Harry, caro Basil, dovete rallegrarvi con me, l'uno e
l'altro! - disse il giovane, gettando via il mantello da sera
dalle ali foderate di satin e stringendo la mano agli amici, l'uno
dopo l'altro. - Non sono mai stato cos? felice. Eppure mi sembra
che sia l'unica cosa della quale per tutta la vita sono andato in
cerca.
L'eccitazione e la gioia gli coloravano il viso, facendolo
sembrare di una straordinaria bellezza.
- Spero che tu sia sempre felicissimo, Dorian, - disse Hallward;-
ma non arrivo a perdonarti interamente per non avermi fatto sapere
niente del tuo fidanzamento. A Harry l'hai fatto sapere.
- E io non ti perdono di essere in ritardo per il pranzo
interruppe Lord Henry, posando la mano sulla spalla del giovane e
sorridendo nel parlare. - Su, sediamoci e vediamo che cosa vale il
nuovo chef di qui, e poi ci racconterai come sono andate le cose.
- In verit? non c'? gran che da raccontare - esclam? Dorian,
mentre si sedevano intorno alla piccola tavola rotonda. - Quello
che ? accaduto ? semplicemente questo. Ieri sera, dopo averti
lasciato, Harry, mi vestii, pranzai in quel piccolo ristorante
italiano di Rupert Street che tu mi hai fatto conoscere e alle
otto me ne andai al teatro. Sybil faceva Rosalinda. Naturalmente
la messa in scena era tremenda, e Orlando era ridicolo; ma Sybil!
Vorrei che l'aveste veduta. Quando venne fuori vestita da ragazzo
era semplicemente meravigliosa. Portava un farsetto di velluto del
colore della borraccina, con le maniche del colore del cinnamono,
pantaloncini marroni coi legacci incrociati, un grazioso berretto
verde con una penna di falco fermata da un gioiello e un mantello
col cappuccio, foderato di rosso cupo. Aveva tutta la grazia
delicata di quella figuretta di Tanagra che c'? nel tuo studio,
Basil. I capelli le incorniciavano il volto come foglie scure
intorno a una rosa pallida. Quanto alla sua interpretazione, bene,
la vedrete stasera. E' semplicemente un'artista nata. Seduto nel
mio lurido palco ero assolutamente estasiato; mi ero dimenticato
di essere a Londra e nel diciannovesimo secolo, ero lontano col
mio amore in un bosco non mai visto da alcuno. Dopo la fine della
rappresentazione andai a parlarle dietro le quinte. Mentre stavamo
seduti insieme, nei suoi occhi apparve un'espressione che non vi
avevo mai visto prima d'allora. Le mie labbra si mossero verso di
lei e ci baciammo. Non posso descrivervi che cosa provai in quel
momento. Mi sembr? che tutta la mia vita si fosse concentrata fino
a formare un punto perfetto di gioia color di rosa. Tremava tutta,
scossa come un narciso bianco; poi cadde in ginocchio e mi baci?
le mani. So che non dovrei dirvi tutto questo, ma non posso farne
a meno. Naturalmente il nostro fidanzamento ? segretissimo; lei
non l'ha detto neanche a sua madre. Non so che cosa diranno i miei
tutori. Lord Radley certo sar? furibondo, ma non me ne importa
niente. Mi manca meno di un anno per essere maggiorenne e allora
potr? fare quello che pi? mi piace. Basil, non ho avuto ragione a
prendere il mio amore nella poesia e a trovare la mia sposa nei
drammi di Shakespeare? Quelle labbra alle quali Shakespeare ha
insegnato a parlare mi hanno sussurrato nell'orecchio il loro
segreto; le braccia di Rosalinda mi hanno abbracciato e Giulietta
mi ha baciato sulla bocca.
- S?, Dorian, penso che tu abbia avuto ragione - disse lentamente
Hallward.
- Oggi l'hai vista? - chiese Lord Henry.
Dorian scosse il capo. - L'ho lasciata nella selva di Arden e la
ritrover? in un giardino di Verona.
Lord Henry sorseggiava lo champagne con aria pensierosa.
- In che momento preciso hai pronunciato la parola matrimonio? E
lei che ti ha risposto? Forse te ne sei completamente dimenticato.
- Caro Harry, non ho trattato la cosa come si tratta un affare
commerciale e non ho fatto una domanda formale. Le ho detto che
l'amavo e lei mi ha detto che non era degna di essere mia moglie.
Non degna! Se per me il mondo intero ? un niente in confronto a
lei!
- Le donne sono mirabilmente pratiche - mormor? Lord Henry, ben
pi? pratiche di noi. Nelle situazioni di questo genere noi spesso
ci dimentichiamo di parlare di matrimonio, ma loro se ne ricordano
sempre.
Hallward gli mise una mano sul braccio.
- Lascia andare, Harry. Hai detto una cosa che ha urtato Dorian.
Lui non ? come gli altri uomini e non farebbe del male ad anima
viva. La sua natura ? troppo bella.
Lord Henry guard? attraverso la tavola.
- Dorian non si offender? mai con me - rispose. - Se ho fatto
quella domanda ? stato per la migliore delle ragioni: per l'unica
ragione, in realt?, che scusi chi fa qualunque domanda: per pura
curiosit?. La mia teoria ? che sono sempre le donne a chiedere la
nostra mano e non noi a chiedere la mano delle donne, eccetto, si
capisce, nella vita piccolo borghese; ma i piccoli borghesi non
sono gente moderna.
Dorian Gray rise, scuotendo la testa.
- Harry, sei proprio incorreggibile, ma non importa. Non si pu?
andare in collera con te. Quando vedrai Sybil Vane ti renderai
conto che l'uomo capace di farle del male sarebbe una belva, una
belva senza cuore. Non riesco a capire come uno possa desiderare
di coprire di vergogna quello che ama. Io amo Sybil Vane e voglio
porla su un piedistallo d'oro; voglio vedere il mondo adorare la
donna che ? mia. Che cos'? il matrimonio? Un voto irrevocabile. Tu
per questo te ne fai beffe; ma non farlo. Io desidero appunto
pronunciare un voto irrevocabile. La sua fiducia mi rende fedele,
la sua fede mi rende buono. Quando sono con lei deploro tutto
quello che mi hai insegnato; essa fa di me un uomo completamente
diverso da quello che tu conosci. Sono cambiato: e basta il tocco
della mano di Sybil Vane a farmi dimenticare te e tutte le tue
teorie erronee, affascinanti, velenose e deliziose.
- E queste sarebbero...? - chiese Lord Henry, servendosi
l'insalata.
- Oh, le tue teorie sulla vita, le tue teorie sull'amore, le tue
teorie sul piacere. Insomma tutte le tue teorie, Harry.
- Il piacere ? l'unica cosa intorno alla quale valga la pena di
avere una teoria - rispose lui con la sua lenta voce melodiosa. Ma
ho paura di non avere il diritto di rivendicare la paternit? della
mia teoria: questa appartiene alla natura e non a me. Il piacere ?
l'esame che ci fa passare la natura, il segno della sua
approvazione. Quando siamo felici siamo sempre buoni, ma quando
siamo buoni non siamo sempre felici.
- Ah, ma che cosa intendi per essere buono? - chiese Basil
Hallward.
- S? - gli fece eco Dorian, appoggiandosi alla spalliera della
sedia e guardando Lord Henry al di sopra dei grappoli pesanti di
giaggioli dalle labbra purpuree posti al centro della tavola, che
cosa intendi per buono, Harry?
- Essere buono significa essere in armonia con se stesso replic?
questi, toccando con le dita pallide e affusolate il gambo esile
del suo bicchiere. - La dissonanza consiste nell'essere costretti
ad essere in armonia con gli altri. La nostra propria vita, ecco
ci? che conta, quanto alle vite del nostro prossimo, se vogliamo
fare i saccenti o i puritani possiamo sbandierare le nostre
concezioni morali sul loro conto, ma in realt? non ci riguardano.
Inoltre, ? l'individualismo che si propone lo scopo pi? alto. La
morale moderna consiste nell'accettare le norme della nostra
epoca; io penso che per qualunque uomo colto accettare le norme
della sua epoca rappresenti una forma della pi? grossolana
immoralit?.
- Per?, Harry, chi vive soltanto per se stesso paga indubbiamente
un prezzo tremendo - sugger? il pittore.
- S?, oggi tutto si paga troppo caro. Penso che la vera tragedia
dei poveri consista nel fatto che l'unica cosa che possono
permettersi ? l'abnegazione. I bei peccati, come le belle cose,
costituiscono un privilegio dei ricchi.
- Non si paga soltanto in denaro.
- E in che altro modo, Basil?
- Oh, in rimorso, penso, in sofferenza, in... insomma, nell'aver
coscienza della propria degradazione.
Lord Henry scosse le spalle.
- Mio caro amico, l'arte medievale ? deliziosa, ma le emozioni
medievali sono anacronistiche. Naturalmente si pu? farne uso nella
letteratura; ma le sole cose che si possono usare nella
letteratura sono quelle che non usiamo nella realt?. Credimi, non
c'? uomo civilizzato che si penta mai di un piacere, come non c'?
uomo non civilizzato che sappia mai che cosa sia il piacere.
- Io lo so, che cosa ? il piacere - esclam? Dorian Gray. Consiste
nell'adorare una persona.
- Certo, ? meglio questo che essere adorati - rispose lui,
giocando con la frutta. - Essere adorati ? un fastidio. Le donne
ci trattano esattamente come l'umanit? tratta i suoi dei: ci
adorano e non fanno che infastidirci perch? facciamo qualche cosa
per loro.
- Io direi che qualunque cosa ci chiedano, esse ce l'hanno donata
per prime - mormor? il giovane con gravit?. - Sono loro che creano
l'amore nella nostra natura e hanno quindi il diritto di
chiedercelo in restituzione.
- Verissimo, Dorian - esclam? Hallward.
- Non c'? niente che sia verissimo - disse Lord Henry.
- Questo per? ? verissimo - interruppe Dorian. - Devi pure
ammettere, Harry, che le donne donano all'uomo l'oro pi? puro
della loro vita.
- Pu? darsi - sospir? l'altro, - ma poi invariabilmente lo
rivogliono cambiato in spiccioli, e questo ? il guaio. Le donne,
come disse una volta un Francese di spirito, ci ispirano il
desiderio di fare dei capolavori e ci impediscono sempre di
eseguirli.
- Harry, sei tremendo ! Non so perch? ti voglio tanto bene.
- Tu mi vorrai sempre bene, Dorian - replic? lui. - Prendete il
caff?, voialtri? Cameriere, caff?, fine-champagne e sigarette. No,
le sigarette non importa, ne ho. Basil, non posso permetterti di
fumare il sigaro. La sigaretta ? il tipo perfetto del perfetto
piacere: ? deliziosa e ci lascia insoddisfatti. Che si potrebbe
desiderare di pi?? S?, Dorian, tu mi vorrai sempre bene. Per te io
rappresento tutti i peccati che non hai avuto il coraggio di
commettere.
- Quante sciocchezze dici, Harry! - esclam? il ragazzo, accendendo
la sigaretta a un drago d'argento dalla cui bocca usciva una
fiammella, che il cameriere aveva messo in tavola. Andiamo al
teatro. Quando Sybil apparir? sulla scena tu avrai un nuovo ideale
di vita. Rappresenter? per te qualcosa che non hai mai conosciuto.
- Ho conosciuto tutto - disse Lord Henry, con un'espressione di
stanchezza negli occhi - ma sono sempre pronto per un'esperienza
nuova. Temo per? che non esista una simile cosa, almeno per me;
comunque, pu? darsi che la tua meravigliosa fanciulla mi dia un
fremito. Il teatro mi piace: ? tanto pi? vero della vita. Andiamo,
Dorian, tu vieni con me. Mi dispiace Basil, ma nel "brougham" c'?
posto soltanto per due; bisogner? che tu venga dietro con una
vettura di piazza.
Si alzarono e indossarono i pastrani, bevendo il caff? in piedi.
Il pittore era taciturno e preoccupato. Aveva il cuore oppresso
dalla tristezza; non riusciva ad adattarsi all'idea di quel
matrimonio, eppure gli sembrava una cosa migliore di tante altre
che avrebbero potuto accadere. Dopo qualche minuto scesero le
scale tutti insieme. Egli fece la strada da solo, com'era
convenuto, e durante tutto il tempo pot? vedere davanti a s? i
lumi vivaci del piccolo "brougham". Si sent? prendere da uno
strano senso di perdita; ebbe la sensazione che Dorian Gray non
sarebbe mai pi? stato per lui tutto quello che era stato in
passato. La vita si era frapposta tra loro... Gli occhi gli si
offuscarono e fu come se davanti a lui le strade affollate e
illuminate si annebbiassero.
Quando la vettura si ferm? davanti al teatro gli sembrava di
essere invecchiato di parecchi anni.
Capitolo settimo.
Quella sera, chi sa perch?, la sala era affollata e il grasso
impresario ebreo che li ricevette alla porta era tutto raggiante
d'un sorriso tremulo e untuoso. Li guid? fino al loro palco con
una specie di umilt? pomposa, agitando le grasse mani ingioiellate
e parlando a voce altissima. Dorian Gray lo detestava pi? del
solito. Gli sembrava di essere venuto a trovare Miranda e di
essere stato ricevuto da Calibano. Lord Henry, invece, sentiva una
certa simpatia per lui, o almeno cos? disse, e insist? per
stringergli la mano, assicurandolo che era fiero di fare la
conoscenza di un uomo che aveva scoperto un autentico genio e che
aveva fatto fallimento per un poeta. Hallward si divertiva a
guardare le facce in platea. Il caldo era terribilmente opprimente
e l'enorme lampadario fiammeggiava come una dalia mostruosa che
avesse i petali di fuoco giallo. I giovanotti del loggione si
erano tolti giacche e panciotti e li avevano appesi alla
ringhiera. Si parlavano l'un l'altro attraverso il teatro e
dividevano le arance con le ragazze sgargianti sedute vicino a
loro. In platea certe donne ridevano con voci orribilmente
stridule e stonate. Dal bar arrivava il rumore di tappi che
saltavano.
- In che razza di posto sei andato a trovare la tua divinit?!
disse Lord Henry.
- S? - rispose Dorian Gray, - ? qui che l'ho trovata, lei che ?
pi? divina di qualunque creatura vivente. Quando reciter?
dimenticherete ogni cosa. Quando ? in scena, questi individui
volgari, rozzi, con le loro facce ruvide e i loro gesti brutali,
diventano tutti diversi. Tacciono e guardano lei; piangono e
ridono obbedendo al volere di lei. Lei li rende sensibili come
violini, li spiritualizza, e si ha la sensazione che loro e noi
siamo della stessa carne e dello stesso sangue.
- Della stessa carne e dello stesso sangue! Oh, speriamo di no!-
esclam? Lord Henry che stava esaminando col binocolo il pubblico
del loggione.
- Non gli badare, Dorian - disse il pittore. - Capisco quello che
vuoi dire e credo in questa fanciulla. Una creatura amata da te
deve essere meravigliosa; e una fanciulla capace di produrre
l'effetto che hai descritto deve essere fine e nobile.
Spiritualizzare la propria epoca ? un'impresa che vale la pena di
tentare. Se questa fanciulla pu? dare un'anima a chi ? vissuto
senza averla, se pu? creare il senso della bellezza in gente la
cui vita ? stata sordida e brutta, se riesce a spogliarli del loro
egoismo e a consegnare loro qualche lacrima per dolori che non
sono loro, ? degna di tutta la tua adorazione, ? degna
dell'adorazione del mondo. Fai benissimo a sposarla. All'inizio
non pensavo cos?, ma ora lo ammetto. Gli Dei hanno creato Sybil
Vane per te; senza di lei saresti stato incompleto.
- Grazie, Basil - rispose Dorian Gray, stringendogli la mano.
Sapevo che mi avresti capito. Harry ? cos? cinico che mi spaventa.
Ma ecco l'orchestra; ? spaventosa, ma dura solo cinque minuti
circa. Poi si alza il sipario e tu vedrai la fanciulla alla quale
sto per dare tutta la mia vita, alla quale ho dato quanto c'? di
meglio in me.
Un quarto d'ora dopo, tra un fragore straordinario di applausi,
Sybil Vane entr? in scena. S?, a guardarla era certamente
graziosa; una delle pi? graziose creature, pens? Lord Henry, che
lui avesse mai visto. Nella sua grazia timida, nei suoi grandi
occhi smarriti aveva qualcosa di una cerbiatta. Nel guardare la
sala affollata, entusiasta, le sal? alle guance un lieve rossore,
simile all'ombra di una rosa in uno specchio d'argento. Fece
qualche passo indietro e le sue labbra sembrarono tremare. Basil
Hallward scatt? in piedi e cominci? ad applaudire; Dorian Gray
sedeva immobile, fissandola, quasi rapito in sogno; Lord Henry la
osservava attraverso il binocolo e mormorava: Deliziosa,
deliziosa!
La scena rappresentava l'atrio della casa dei Capuleti e Romeo, in
vesti da pellegrino, era entrato, in compagnia di Mercuzio e degli
altri suoi amici. L'orchestra, per quello che valeva, suon?
qualche battuta di musica e la danza ebbe inizio. Attraverso la
folla di attori goffi e mal vestiti, Sybil Vane si muoveva come
una creatura venuta da un mondo superiore. Il suo corpo ondeggiava
nel danzare come una pianta ondeggia nell'acqua. Le curve del suo
collo erano le curve candide di un giglio e le sue mani sembravano
fatte di fresco avorio.
Per? sembrava stranamente assente. Quando i suoi occhi si posarono
su Romeo non manifest? nessun segno di gioia. Le poche parole che
aveva da dire
Buon pellegrin, la mano hai calunniato
che sua divozion dimostra in questo:
anche una santa un tal tatto ha accettato
da un pellegrin, se il tatto ? un bacio onesto
e il breve dialogo che segue furono detti in un modo assolutamente
artificioso. La voce era squisita, ma completamente falsa dal
punto di vista del tono; non aveva il colorito giusto, toglieva ai
versi ogni vita, rendeva irreale la passione.
Guardandola, Dorian Gray impallidiva. Era imbarazzato e ansioso.
Nessuno dei due suoi amici osava dirgli una parola; trovavano
Sybil priva di ogni capacit? e si sentivano terribilmente delusi.
Sapevano per? che quello che d? la misura di ogni Giulietta ? la
scena del balcone del secondo atto. Se falliva in quella voleva
dire che non c'era niente in lei.
Quando lei apparve nel chiarore lunare il suo aspetto era
innegabilmente delizioso; ma la sua teatralit? era intollerabile e
and? progressivamente aggravandosi.
Il bel passo
Tu sai che sul mio volto sta la maschera
della notte, altrimenti ben vedresti
di un verginal rossor tingersi tutte
le mie guance, s'io penso alle parole
che questa notte mi hai sentito dire
fu declamato con la penosa precisione di una scolaretta che abbia
imparato a recitare da un maestro di dizione di second'ordine.
Quando si pieg? sul balcone e arriv? a quei versi meravigliosi
E allora non giurar. Sebben tu sia
ogni mia gioia, non potrei gustare
tutte le gioie dell'incontro nostro
di stanotte. Fu troppo impreveduto,
troppo rapido, troppo all'improvviso
troppo simile al lampo, che scompare
prima che possa dirsi: "ecco risplende".
Mio dolce, buona notte. Questo nostro
bocciuol d'amore maturato al soffio
della notte d'estate, potr? aprirsi
in mirabile fiore, nell'incontro
nostro prossimo.
pronunci? le parole come se per lei non avessero avuto nessun
senso. Non si trattava di nervosismo; anzi, lungi dall'essere
nervosa, aveva un controllo assoluto di se stessa. Si trattava
semplicemente di arte scadente; un fallimento completo.
Perfino il pubblico volgare e incolto della platea e del loggione
smise di interessarsi allo spettacolo, divent? irrequieto e
cominci? a parlare ad alta voce e a fischiare. L'impresario,
dritto in fondo all'anfiteatro, pestava i piedi e bestemmiava
dalla rabbia. L'unica imperturbabile era la ragazza.
Alla fine del secondo atto ci fu una bufera di fischi e Lord Henry
si alz? e si infil? il pastrano.
- Dorian, ? bellissima - disse, - ma non sa recitare. Andiamo.
- Io resto fino alla fine - rispose il ragazzo, con voce dura e
amara. - Mi dispiace infinitamente di averti fatto perdere una
serata, Harry. Chiedo scusa a tutti e due.
- Caro Dorian, penso che la signorina Vane debba sentirsi male
interruppe Hallward. - Verremo qualche altra sera.
- Vorrei che si sentisse male - replic? lui. - Ma a me sembra che
si tratti semplicemente d'insensibilit? e di freddezza. E'
completamente cambiata. Ieri sera era una grande artista; stasera
non ? che un'attrice volgare e mediocre.
- Non parlare cos? di colei che ami, Dorian. L'amore ? una cosa
ben pi? meravigliosa dell'arte.
- L'una e l'altro sono soltanto forme di imitazione - osserv? Lord
Henry. - Ma andiamo via. Dorian, non devi restare qui. Assistere a
una brutta rappresentazione nuoce al morale. E poi, non credo che
vorrai che tua moglie reciti; e allora che importa se recita
Giulietta come una pupattola di legno? E' molto carina; e se della
vita sa tanto poco quanto di arte drammatica, sar? un'esperienza
deliziosa. Non ci sono che due categorie di persone veramente
affascinanti, quelle che sanno assolutamente tutto e quelle che
non sanno assolutamente niente. Buon Dio, figliuolo, non fare
quella faccia tragica! Il segreto per rimanere giovani ? di non
avere emozioni che facciano imbruttire. Vieni al circolo con Basil
e con me; fumeremo una sigaretta e faremo un brindisi alla
bellezza di Sybil Vane. E' bella: che vuoi di pi??
- Vattene, Harry - grid? il ragazzo. - Basil, devi andare via. Non
vi accorgete che mi si spezza il cuore? - Lacrime cocenti gli
salivano agli occhi; le labbra gli tremavano. Corse in fondo al
palco, si appoggi? al muro e si prese il viso tra le mani.
- Andiamo, Basil - disse Lord Henry, con una strana tenerezza
nella voce. I due uscirono insieme.
Pochi minuti dopo, le luci della ribalta si accesero e il sipario
si alz? per il terzo atto. Dorian Gray torn? a sedersi, pallido,
altezzoso, indifferente. Il dramma si trascin?; sembrava che non
dovesse arrivare mai alla fine. Met? del pubblico usc? ridendo e
facendo un gran fracasso con le scarpe pesanti. La
rappresentazione era un fiasco completo. L'ultimo atto fu recitato
davanti a una sala quasi vuota. Il sipario cal? tra le risate e i
brontolii.
Non appena fu finito Dorian Gray si precipit? dietro le quinte,
nel ridotto. La fanciulla stava in piedi, sola, e aveva sul viso
un'espressione di trionfo; era come circonfusa di un alone
luminoso. Le labbra semiaperte sorridevano a un segreto noto
soltanto a loro.
Lo guard? mentre entrava, e sul suo volto si dipinse una gioia
infinita.
- Come ho recitato male stasera, Dorian! - grid?.
- Orribilmente! - rispose lui, fissandola stupefatto.
Orribilmente! E' stata una cosa tremenda. Ti senti male? Non hai
idea di che cosa era; non hai idea di quello che ho sofferto.
La fanciulla sorrise.
- Dorian - rispose, soffermandosi nel pronunciare quel nome, con
una prolungata musicalit? nella voce, come se ai rossi petali
della sua bocca fosse stato pi? dolce del miele - Dorian, avresti
dovuto capire. Ma ora capisci, non ? vero?
- Capire che cosa? - chiese lui furibondo.
- Perch? stasera sono stata cos? scadente; perch? sar? sempre
scadente; perch? non sar? mai pi? capace di recitare bene
Egli scroll? le spalle. - Credo che tu non ti senta bene. Quando
non stai bene non dovresti recitare; ti rendi ridicola. I miei
amici erano seccati; io ero seccato.
Sembr? che non lo sentisse. La gioia la trasfigurava; era in preda
a un'estasi di felicit?.
- Dorian, Dorian - grid?, - prima che ti conoscessi il teatro era
l'unica realt? della mia vita. Vivevo soltanto al teatro; pensavo
che tutto fosse vero. Una sera ero Rosalinda, un'altra Porzia; la
gioia di Beatrice era la mia gioia, i dolori di Cordelia erano i
miei dolori. Credevo in tutto. Gli individui volgari che
recitavano con me mi sembravano divini; gli scenari dipinti erano
il mio mondo. Non conoscevo che ombre e le credevo realt?. Tu sei
venuto, oh, amore mio caro, e hai liberato dal carcere la mia
anima. Mi hai insegnato che cosa sia la realt?. Stasera, per la
prima volta in vita mia, ho scoperto tutta la superficialit?, la
falsit?, la stupidit? del vuoto spettacolo al quale avevo sempre
preso parte. Stasera per la prima volta mi sono resa conto che
Romeo era schifoso, vecchio, truccato, che il chiaro di luna nel
giardino era finto, che lo scenario era volgare e che le parole
che dovevo pronunciare erano irreali, non erano le mie parole, non
erano quelle che avrei voluto dire. Tu mi avevi portato qualche
cosa di pi? alto, qualche cosa di cui tutta l'arte non ? che un
riflesso; tu mi avevi fatto capire che cosa sia veramente l'amore.
Amore mio, amore mio, Principe Azzurro, Principe della Vita, sono
stanca di ombre. Tu sei per me molto di pi? di quanto possa essere
tutta l'arte. Che m'importano le marionette del dramma? Stasera
quando sono entrata in scena non riuscivo a capire come mai tutto
se ne fosse andato da me. Credevo che sarei stata meravigliosa e
mi sono accorta di non essere buona a niente. D'improvviso nella
mia anima ? balenato il significato di tutto questo, e il saperlo
era per me una delizia. Li ho sentiti fischiare e ho sorriso: che
mai poteva capire quella gente di un amore come il nostro? Portami
via, Dorian. Portami via con te, in qualche posto dove possiamo
essere soli. Odio il palcoscenico. Potevo simulare una passione
che non provavo, ma non posso simulare una passione che mi brucia
come il fuoco. Oh, Dorian, capisci ora che cosa significa?
Recitare una parte d'innamorata, anche se potessi farlo, sarebbe
per me una profanazione. Tu me l'hai fatto vedere.
Egli si lasci? cadere sul divano, girando il viso da un'altra
parte. - Hai ucciso il mio amore - disse con voce sorda.
Sybil lo guard? meravigliata, ridendo. Egli non disse altro.
Allora lei gli si avvicin? e gli accarezz? i capelli colle sue
piccole dita. Si inginocchi? portandosi alle labbra le mani di
lui; egli le ritrasse e fu colto da un brivido; poi balz? in piedi
e si avvi? verso la porta.
- S? - grid? - hai ucciso il mio amore. Finora svegliavi la mia
immaginazione, ora non svegli pi? neppure la mia curiosit?; non
produci semplicemente nessun effetto. Ti amavo perch? eri
meravigliosa, perch? possedevi genio e intelligenza, perch?
traducevi in realt? i sogni dei grandi poeti e davi forma e
sostanza ai fantasmi dell'arte. Hai gettato via tutto questo. Sei
superficiale e stupida. Mio Dio! che pazzo dovevo essere per
amarti! che sciocco sono stato! Ora per me non sei pi? niente; non
voglio pi? pensare a te, non voglio pronunciare mai pi? il tuo
nome. Tu non sai quello che eri per me, una volta. S?, una
volta... oh, non posso nemmeno pensarci! Vorrei non averti mai
vista. Hai rovinato il romanzo della mia vita. Come devi conoscere
poco l'amore, se lo accusi di rovinare la tua arte! Senza l'arte
non sei niente. Ti avrei resa famosa, splendida, magnifica; il
mondo ti avrebbe adorato e tu avresti portato il mio nome. Ora che
cosa sei? Un'attrice di terz'ordine con un bel visino.
La fanciulla sbianc? in volto, tremando; giungeva le mani e
sembrava che la voce le si gelasse in gola. Mormor?: - Non parli
mica sul serio, Dorian? Stai recitando una commedia.
- Recitare? Lo lascio fare a te, che lo fai tanto bene - rispose
lui amaro.
La fanciulla si alz? in piedi e gli si avvicin?, attraversando la
stanza, con la pi? nera infelicit? dipinta sul volto. Gli mise la
mano sul braccio, guardandolo negli occhi. Lui la respinse,
gridando: - Non mi toccare!
Un gemito soffocato le sfugg?. Si gett? ai suoi piedi e vi rimase,
simile a un fiore calpestato.
- Dorian, Dorian, non mi lasciare! - mormor?. - Mi dispiace tanto
di non aver recitato bene, ma pensavo a te tutto il tempo. Ma
prover?; ti giuro che prover?. E' stato cos? improvviso, il mio
amore per te; credo che non lo avrei mai saputo se tu non mi
avessi baciato, se non ci fossimo baciati. Baciami ancora, amore
mio. Non te ne andare da me. Mio fratello... no, non importa, non
parlava sul serio; era uno scherzo... Ma tu, non puoi perdonarmi
per stasera? Lavorer? tanto, mi sforzer? di migliorare. Non essere
crudele con me perch? ti amo pi? di ogni cosa al mondo. Dopo
tutto, una volta sola non ti sono piaciuta. Per? hai ragione,
Dorian; avrei dovuto dimostrarmi pi? artista. Sono stata una
sciocca, ma non ho potuto fare diversamente. Oh, non mi lasciare,
non mi lasciare!
Un accesso di singhiozzi appassionati la soffoc?. Si raggomitolava
per terra come una creatura ferita e Dorian Gray la guardava
dall'alto coi suoi begli occhi, e le sue labbra finemente
disegnate si atteggiavano a un supremo disprezzo. Le emozioni di
quelli che non amiamo pi? hanno sempre qualcosa di ridicolo. Sybil
Vane gli sembrava scioccamente melodrammatica; le sue lacrime e i
suoi singhiozzi gli urtavano i nervi. Finalmente, con quella sua
voce tranquilla e chiara disse:
- Me ne vado. Non voglio offenderti, ma non ti posso pi? vedere.
Mi hai deluso.
Lei piangeva silenziosamente. Non rispose, ma gli strisci? pi?
vicina, tendendo le piccole mani alla cieca quasi a cercarlo. Egli
gir? sui tacchi, usc? dalla stanza e poco dopo era fuori del
teatro.
Camminava senza sapere dove andasse. Si ricord? di aver vagato per
strade mal illuminate, di essere passato davanti a portoni lugubri
e scuri e a case dall'aspetto sinistro. Qualche donna lo chiam?,
con voce rauca e risate volgari; gli passarono accanto degli
ubriachi che bestemmiavano e parlavano da soli, simili a scimmioni
mostruosi. Vide ragazzi grotteschi accovacciati sugli scalini
delle porte e sent? grida e bestemmie giungere da cortili bui.
Spuntava l'alba quando si trov? nei pressi di Covent Garden.
L'oscurit? si andava dileguando e il cielo, costellato di luci
incerte, si incurvava in una perla perfetta. Per la strada lucida
e sgombra passavano lentamente enormi carri pieni di gigli
oscillanti. L'aria era impregnata dal profumo dei fiori e sulla
sua sofferenza la bellezza di questi agiva come un sedativo. Li
segu? all'interno del mercato e rimase a guardare gli uomini
intenti a scaricare i carri. Un carrettiere in blusa bianca gli
offr? delle ciliegie: lo ringrazi?, sorpreso che l'altro
rifiutasse di accettare denaro, e cominci? a mangiarle
distrattamente. Erano state colte a mezzanotte e la frescura
lunare le aveva penetrate. Una lunga fila di ragazzi che portavano
cesti di tulipani striati e di rose gialle e rosse sfil? davanti a
lui, incamminandosi attraverso gli enormi mucchi di legumi, verdi
come la giada. Un gruppo di ragazze infangate, senza niente in
testa, oziava sotto il portico dai pilastri grigi sbiancati dal
sole, in attesa della fine dell'asta; altre si affollavano intorno
alla porta girevole del caff? sulla piazza. Alcuni carrettieri
dormivano distesi su mucchi di sacchi. Tutt'intorno saltellavano i
piccioni dal collo iridiscente e dai piedi rosati, beccando i
semi.
Dopo un po' chiam? una vettura di piazza e si fece portare a casa.
Si ferm? per qualche minuto sulla soglia, guardando la piazza
silenziosa, con le sue finestre cieche, ermeticamente chiuse, e le
sue persiane che sembravano fissarlo. Ora il cielo si era fatto di
opale puro e contro di esso luccicavano come argento i tetti delle
case. Da un camino di fronte saliva un sottile filo di fumo,
attorcigliandosi come un nastro violaceo nell'aria color
madreperla.
Nella grande lanterna veneziana dorata, residuo di qualche barca
dogale, che pendeva dal soffitto del grande atrio dai pannelli di
quercia, bruciavano ancora le luci di tre fiammelle tremolanti:
sembravano sottili petali azzurri di fiamma, bordati di fuoco
bianco. Le spense e, gettando sulla tavola il cappello e il
soprabito, si diresse attraverso la biblioteca verso la porta
della camera da letto, una grande stanza ottagonale a pian terreno
che lui, nel suo recente bisogno di lusso, aveva finito proprio
allora di arredare, appendendovi certe curiose tappezzerie del
Rinascimento trovate in una soffitta fuori uso di Selby Royal dove
stavano ammucchiate. Girando la maniglia della porta gli occhi gli
caddero sul suo ritratto dipinto da Basil Hallward. La sorpresa
gli fece fare un salto all'indietro; quindi entr? in camera con
un'aria alquanto perplessa. Dopo essersi tolto il fiore
dall'occhiello sembr? esitare; finalmente torn? indietro, and?
verso il ritratto e lo esamin?. Nella debole luce attenuata che
riusciva a filtrare attraverso le tende di seta color crema, il
volto gli sembrava leggermente cambiato. L'espressione pareva
diversa; si sarebbe detto che nella bocca ci fosse una sfumatura
di crudelt?. Era indubbiamente una strana cosa.
Si gir?, and? alla finestra e tir? su la persiana. Il chiarore
dell'alba inond? la stanza e spazz? via le ombre fantastiche,
ricacciandole negli angoli oscuri, dove si fermarono
rabbrividendo; ma l'espressione strana che aveva osservato nel
volto del ritratto sembrava che ci fosse ancora, anzi, che si
fosse ulteriormente intensificata. La luce vivida e palpitante del
sole gli mostrava intorno alla bocca le linee crudeli, con la
stessa chiarezza che se si fosse guardato allo specchio dopo aver
commesso qualcosa di tremendo.
Ebbe un sussulto e, preso dalla tavola uno specchio ovale
incorniciato di amorini d'avorio, uno dei molti regali di Lord
Henry, guard? in fretta dentro le sue lucide profondit?. Nessuna
linea di quel genere alterava le sue labbra rosse. Che cosa
significava?
Si stropicci? gli occhi, si avvicin? al quadro e lo esamin?
un'altra volta. Guardando la pittura non vi vide nessun segno di
alterazione; eppure non c'era dubbio che l'intera espressione era
cambiata. Non era pura immaginazione; era una cosa di una
terribile evidenza.
Si lasci? cadere su una sedia e inizi? a riflettere. D'improvviso
gli balen? alla mente quello che aveva detto nello studio di Basil
Hallward, il giorno in cui il ritratto era stato finito. S?, lo
ricordava perfettamente. Aveva espresso il desiderio pazzesco di
poter restare giovane e che invecchiasse il ritratto; che la sua
bellezza rimanesse immacolata e la faccia sulla tela portasse il
peso delle sue passioni e dei suoi peccati; che le linee della
sofferenza e del pensiero solcassero l'immagine dipinta ed egli
potesse conservare integra in tutto il suo fiore la grazia
delicata dell'adolescenza, della quale aveva acquistato coscienza
in quel momento. Il suo voto poteva forse essere stato appagato?
Cose di questo genere erano impossibili; il solo pensarle sembrava
mostruoso; eppure il ritratto gli stava di fronte con quella
sfumatura di crudelt? nella bocca.
Crudelt?? Era forse stato crudele? La colpa era della ragazza, non
sua. L'aveva sognata come una grande artista, le aveva dato il suo
amore perch? l'aveva creduta grande, e lei lo aveva deluso, era
stata superficiale e indegna. Tuttavia, nel ripensarla stesa ai
suoi piedi, che singhiozzava come una bambina, lo prese un senso
di infinito rammarico. Gli torn? alla mente con quale indifferenza
l'aveva guardata. Perch? mai era fatto cos?? Perch? mai gli era
stata data un'anima simile? Anche lui per? aveva sofferto. Durante
le tre ore tremende che era durata la rappresentazione aveva
vissuto secoli di sofferenza, eternit? di torture. La sua vita
valeva quanto quella di lei; lei lo aveva quasi distrutto per un
momento, anche se lui l'aveva ferita per sempre. E poi le donne
sono pi? adatte degli uomini a sopportare la sofferenza; vivono
delle proprie emozioni, pensano soltanto alle proprie emozioni.
Quando prendono un amante lo fanno solo per avere qualcuno con il
quale possono avere delle scene: l'aveva detto Lord Henry, e Lord
Henry conosceva le donne. Perch? inquietarsi a proposito di Sybil
Vane? Lei ormai non era pi? niente per lui.
Ma il ritratto? che dire di questo? Possedeva il segreto della sua
vita e raccontava la sua storia. Gli aveva insegnato l'amore per
la propria bellezza; ora gli avrebbe forse insegnato l'odio contro
la propria anima? Avrebbe mai potuto tornare a guardarlo?
No, era soltanto un'illusione dei suoi sensi sconvolti. L'orribile
notte che aveva passato si era lasciata dietro dei fantasmi. Sul
suo cervello era caduta improvvisamente quella piccola goccia
scarlatta che fa impazzire un uomo. Il ritratto non era cambiato;
il solo pensarlo era follia.
Tuttavia questo lo guardava, con la sua bella faccia sciupata e il
suo sorriso crudele. Nella luce del sole mattutino i suoi capelli
chiari brillavano, gli occhi azzurri incontravano i suoi. Fu preso
da un senso d'infinita piet?, non tanto di se stesso, quanto
dell'immagine dipinta di se stesso. Questa gi? si era alterata e
si sarebbe alterata ancora. L'oro sarebbe appassito,
trasformandosi in grigio; le rose rosse e bianche sarebbero morte.
Per ogni peccato commesso da lui una macchia ne avrebbe sporcato e
deturpato la bellezza. Ma egli non avrebbe peccato. Il ritratto,
mutato o immutato, avrebbe costituito per lui l'emblema visibile
della coscienza. Avrebbe resistito alle tentazioni; non avrebbe
pi? visto Lord Henry, o, almeno, non avrebbe pi? dato ascolto a
quelle teorie sottili e velenose che per la prima volta, nel
giardino di Basil Hallward, avevano fatto nascere in lui la
passione delle cose impossibili. Sarebbe tornato da Sybil Vane, le
avrebbe chiesto perdono, l'avrebbe sposata, avrebbe cercato di
tornare ad amarla. S?, questo era il suo dovere. Lei doveva aver
sofferto pi? di lui. Povera creatura! Era stato crudele ed egoista
con lei. Il fascino che lei aveva esercitato sul suo animo sarebbe
risorto; sarebbero stati felici insieme e con lei la sua vita
sarebbe stata bella e pura.
Si alz? dalla sedia e spieg? un grande paravento davanti al
ritratto, rabbrividendo nel guardarlo. - Orribile! - mormor? a se
stesso, andando alla finestra e aprendola. Usc? fuori sull'erba e
tir? un respiro profondo. L'aria fresca del mattino sembr?
dissipare tutte le sue oscure passioni. Pensava soltanto a Sybil,
gli torn? una specie di eco indistinta del suo amore e ripet? pi?
volte il nome di lei. Gli uccellini che cantavano nel giardino
umido di rugiada sembravano parlare di lei ai fiori.
Capitolo ottavo.
Quando si svegli? mezzogiorno era passato da un pezzo. Il suo
domestico era entrato pi? volte in camera, in punta di piedi, per
vedere se si muoveva, chiedendosi per quale motivo il suo giovane
padrone dormisse cos? a lungo. Finalmente il suo campanello
squill? e Victor entr? pian piano, portando una tazza di t? e un
mucchietto di lettere su un piccolo vassoio di S?vres antico, e
tir? le tende di satin oliva bordate di turchino che pendevano
davanti alle tre finestre.
- Monsieur ha dormito bene stamani - disse sorridendo.
- Che ore sono, Victor? - chiede Dorian Gray, assonnato.
- L'una e un quarto, Monsieur.
Com'era tardi! Si tir? su a sedere e dopo aver sorseggiato un po'
di t? guard? le lettere ad una ad una. Ce n'era una di Lord Henry,
portata a mano quella mattina stessa. Esit? un momento, poi la
mise da parte e apr? distrattamente le altre. Contenevano la
solita collezione di biglietti, di inviti a pranzo o ad
esposizioni private, di programmi di concerti di beneficenza e via
dicendo, che durante la stagione piovono ogni mattina sui
giovanotti del bel mondo. C'era un conto piuttosto grosso, per un
servizio da toilette Louis Quinze d'argento cesellato, che non
aveva ancora avuto il coraggio di mandare ai suoi tutori, i quali,
gente all'antica, non si rendevano conto che viviamo in un'epoca
nella quale le cose non necessarie costituiscono le nostre sole
necessit?; e c'erano molte comunicazioni, scritte in forma molto
cortese, di usurai di Jermyn Street che offrivano di anticipare
qualunque somma di denaro, in qualunque momento e a un tasso di
interesse pi? che ragionevole.
Dopo una decina di minuti si alz?, indoss? una complicata veste da
camera di lana del Kashmir ricamata in seta e pass? nella stanza
da bagno, con il pavimento d'onice. Dopo il lungo sonno l'acqua
ghiacciata lo rinfresc?. Sembrava che avesse dimenticato tutto ci?
che gli era capitato; ebbe un paio di volte la sensazione vaga di
aver preso parte a una strana tragedia, ma la cosa aveva tutta
l'irrealt? del sogno.
Dopo essersi vestito pass? in biblioteca e si sedette davanti a
una leggera colazione alla francese, apparecchiata su un tavolino
rotondo vicino alla finestra aperta. Era una giornata incantevole
e l'aria calda sembrava impregnata di spezie. Un'ape entr? a volo,
ronzando intorno al vaso turchino che gli stava davanti, pieno di
rose di un giallo sulfureo. Si sentiva perfettamente felice.
A un tratto l'occhio gli cadde sul paravento che aveva posto
davanti al ritratto. Sussult?.
- Troppo freddo per Monsieur? - chiese il servitore, mettendo in
tavola una frittata. - Chiudo la finestra?
Dorian scosse il capo. - Non ho freddo - mormor?.
Era vero? Il ritratto era davvero cambiato? Oppure era stata
semplicemente la sua immaginazione a fargli vedere un'espressione
di malvagit? dove c'era invece un'espressione di gioia? Certo, una
tela dipinta non poteva alterarsi: era una cosa assurda. Un giorno
se ne sarebbe servito per raccontarla come una novella a Basil e
farlo sorridere.
Eppure, com'era vivo il ricordo che aveva di tutta la storia!
Prima nella luce tenue del crepuscolo, poi nel chiarore
dell'aurora, aveva visto quella sfumatura di crudelt? intorno alle
labbra contratte. Ebbe quasi paura che il servitore uscisse dalla
stanza; sapeva che appena rimasto solo avrebbe dovuto esaminare il
ritratto e aveva terrore della certezza. Quando gli furono portati
il caff? e le sigarette e l'uomo si gir? per andarsene, prov? un
desiderio furioso di dirgli di restare; e quando la porta stava
chiudendosi dietro di lui lo chiam?. Il domestico si ferm? in
attesa di ordini.
Dorian lo guard? per un attimo. Disse, con un sospiro: - Victor,
non sono in casa per nessuno.
L'uomo si ritir? con un inchino.
Egli allora si alz? da tavola, accese una sigaretta e si lasci?
cadere su un divano ampiamente fornito di cuscini collocato di
fronte al paravento. Questo era antico, di cuoio dorato spagnolo,
pressato e lavorato con un disegno stile Luigi Quattordicesimo
piuttosto complicato. Lo esamin? con curiosit? e si chiese se
avesse mai nascosto prima di allora il segreto di una vita umana.
Doveva spostarlo? e perch? non lasciarlo dov'era? a che serviva
sapere? Se la cosa era vera, era terribile; e se non era vera,
perch? preoccuparsene? E se, per un caso o per qualche possibilit?
ancora pi? funesta, occhi diversi dai suoi, spiando dietro il
paravento, avessero visto quell'orribile cambiamento? Che cosa
avrebbe fatto se Basil Hallward fosse venuto e gli avesse chiesto
di vedere il suo quadro? Basil l'avrebbe fatto certamente. No;
bisognava esaminare la cosa, e subito: tutto era preferibile a
quel tremendo stato di incertezza.
Si alz? e chiuse tutte e due le porte; almeno cos? sarebbe stato
solo a contemplare la maschera della sua vergogna. Poi spost? il
paravento e vide se stesso, faccia a faccia. Era perfettamente
vero: il ritratto si era alterato.
Gli torn? in mente pi? tardi, e sempre con sua grande meraviglia,
che all'inizio si era trovato intento a contemplare il ritratto
con un senso di interessamento quasi scientifico. Che si fosse
verificato un mutamento simile era cosa incredibile; e tuttavia
era un fatto. Esisteva qualche sottile affinit? tra gli atomi
chimici che sulla tela si erano trasformati in forme e colori e
l'anima che era dentro di lui? Era possibile che quelli
traducessero in realt? ci? che questa pensava? che rendessero vero
ci? che questa sognava? Oppure c'era qualche altra ragione, ancora
pi? terribile? Rabbrivid?, si sent? atterrito e, tornato al
divano, vi si distese, guardando il ritratto con un orrore
frammisto a nausea.
Aveva peraltro la sensazione che questo avesse fatto qualche cosa
per lui: gli aveva dato la coscienza dell'ingiustizia, della
crudelt? con cui si era comportato con Sybil Vane. Non era troppo
tardi per riparare. Sybil poteva ancora essere sua moglie; il suo
amore irreale ed egoistico avrebbe ceduto a influenze di tipo pi?
elevato, si sarebbe trasformato in una passione pi? nobile; e il
suo ritratto dipinto da Basil Hallward gli avrebbe fatto da guida
nella vita, sarebbe stato per lui quello che per alcuni ? la
santit?, per altri la coscienza e per noi tutti il timore di Dio.
Esistevano dei sedativi per il rimorso, delle droghe capaci di
addormentare il senso morale; ma qui c'era un simbolo visibile
della degradazione provocata dal peccato, un segno sempre presente
della rovina che gli uomini attirano sulla loro anima.
Sonarono le tre, poi le quattro; la mezza fece squillare la sua
doppia suoneria; ma Dorian Gray non si muoveva. Provava a
raccogliere i fili scarlatti della vita e a intesserli in un
disegno; a trovare la strada nel labirinto sanguigno di passione
nel quale stava vagando. Non sapeva n? cosa fare n? cosa pensare.
Finalmente and? alla scrivania e scrisse una lettera appassionata
alla fanciulla che aveva amato, implorandone il perdono e
accusando se stesso di follia. Copr? una pagina dopo l'altra di
parole ardenti di pentimento e di ancora pi? ardenti parole di
dolore. Rimproverare noi stessi ? un lusso. Quando ci biasimiamo
da soli abbiamo la sensazione che nessun altro abbia il diritto di
biasimarci. Non ? il sacerdote ad assolverci, ma la confessione.
Quando ebbe finito la lettera Dorian si sent? perdonato.
All'improvviso bussarono alla porta e fuori si sent? la voce di
Lord Henry:
- Caro figliolo, bisogna che ti veda. Lasciami entrare subito. Non
posso tollerare che tu ti rinchiuda in questo modo.
In un primo tempo Dorian non rispose, anzi rimase perfettamente
immobile. I colpi alla porta continuavano, si facevano pi? forti.
In fondo, era meglio far entrare Lord Henry e spiegargli la vita
nuova che si era proposto di condurre, litigare con lui se il
litigio diventava necessario, rompere con lui se la rottura era
inevitabile. Balz? in piedi, tir? frettolosamente il paravento
davanti al ritratto e apr?.
- Dorian - disse Lord Henry entrando, - sono profondamente
addolorato di tutto questo; ma tu non devi pensarci troppo.
- Parli di Sybil Vane? - chiese il giovane.
- S?, naturalmente - rispose Lord Henry, sedendosi e sfilandosi
lentamente i guanti gialli. - E' terribile, da un certo punto di
vista, ma non ? colpa tua. Dimmi: sei andato a vederla in
palcoscenico dopo la rappresentazione?
- S?.
- Ne ero sicuro. Le hai fatto una scenata?
- Sono stato brutale, Harry, assolutamente brutale; ma ora tutto ?
a posto. Non rimpiango niente di quello che ? accaduto; ? servito
a farmi conoscere meglio me stesso.
- Ah, Dorian, come sono contento che tu la prenda in questo modo!
Temevo di trovarti affogato nei rimorsi e nell'atto di strapparti
quei bei capelli ricci.
- Sono passato attraverso tutto questo - disse Dorian, facendo
oscillare la testa con un sorriso. - Ora sono perfettamente
felice. Per cominciare, ora so che cosa sia la coscienza. Non ?
quello che mi avevi detto; ? la cosa pi? divina che sia in noi.
Non fartene pi? beffe, Harry, almeno davanti a me. Io voglio
essere buono; non posso sopportare l'idea che la mia anima sia
ripugnante.
- Dal punto di vista artistico, questo costituisce un magnifico
fondamento per l'etica, Dorian, e me ne congratulo con te. Ma come
pensi di cominciare?
- Sposando Sybil Vane.
- Sposando Sybil Vane? - grid? Lord Henry, balzando in piedi e
guardandolo, stupito e perplesso. - Ma, caro Dorian. . .
- S?, Harry, so che cosa stai per dire: qualche cosa di terribile
sul matrimonio. Non dirla. Non dirmi mai pi? cose di quel tipo.
Due giorni fa ho chiesto a Sybil di sposarmi e non mancher? alla
mia parola. Sybil sar? mia moglie.
- Tua moglie? Dorian... ma non hai ricevuto la mia lettera? L'ho
scritta stamattina e te l'ho fatta portare dal mio servitore.
- La tua lettera? oh, s?, mi ricordo. Non l'ho ancora letta,
Harry. Temevo che ci fosse qualche cosa che non mi sarebbe
piaciuta. Tu, coi tuoi epigrammi, tagli la vita a pezzetti.
- Allora non sai niente?
- Che cosa vuoi dire?
Lord Henry attravers? la stanza, si sedette vicino a Dorian Gray,
gli prese le mani e le tenne strette tra le sue. Dorian disse, -
la mia lettera - non ti spaventare - era per dirti che Sybil Vane
? morta.
Un grido di strazio usc? dalle labbra del giovane, che balz? in
piedi, strappando le mani dalla stretta di Lord Henry. - Morta!
Sybil ? morta! Non ? vero. E' un'orrenda menzogna. Come osi dire
una simile cosa?
- E' verissimo, Dorian - disse Lord Henry, con voce grave. - E' su
tutti i giornali di stamani. Ti avevo scritto per pregarti di non
vedere nessun altro prima di me. Naturalmente ci dovr? essere
un'inchiesta e tu non devi esservi coinvolto. A Parigi una storia
di questo genere mette alla moda un uomo, ma a Londra la gente ?
piena di preconcetti. Qui non si deve fare il proprio "d?but" con
uno scandalo; ? una cosa da tener riservata per rendere
interessante la propria vecchiaia. Spero che al teatro non
sappiano il tuo nome; se non lo sanno siamo a posto. C'? qualcuno
che ti abbia visto andare nel suo camerino? Questo ? un punto
importante.
Dorian non rispose per qualche momento; era paralizzato
dall'orrore. Finalmente balbett?, con voce soffocata:
- Harry, hai detto un'inchiesta? Che hai voluto dire? Forse
Sybil...? Oh, Harry, questo non posso sopportarlo! Su, sbrigati,
dimmi subito tutto.
- Sono sicurissimo che non si tratta di una disgrazia, ma ? cos?
che bisogna presentare la cosa al pubblico. A quanto pare, verso
mezzanotte e mezzo, quando stava andandosene dal teatro con la
madre, disse che aveva dimenticato qualche cosa di sopra. La
aspettarono per un po', ma lei non torn? gi?. Finirono col
trovarla morta, distesa sul pavimento del camerino. Aveva ingoiato
qualche cosa per errore, una cosa terribile che adoperano nei
teatri; non so che cosa fosse, ma deve contenere dell'acido
prussico oppure della biacca. Credo che ci sia dell'acido
prussico, perch? sembra che la morte sia stata istantanea.
- E' terribile, Harry, ? terribile! - grid? il ragazzo.
- S?, certamente ? una vera tragedia; tu per? non devi esserci
coinvolto. Ho visto sullo Standard che aveva diciassette anni; io
l'avrei creduta anche pi? giovane; aveva l'aria di una bambina e
sapeva recitare cos? poco. Dorian, questa storia non ti deve
sconvolgere i nervi. Vieni a pranzo con me, e dopo faremo una
capatina all'Opera; canta la Patti e tutti ci saranno. Puoi venire
nel palco di mia sorella; ci saranno delle belle donne con lei.
- Dunque io ho assassinato Sybil Vane - disse Dorian Gray, quasi
parlando a se stesso; - l'ho assassinata esattamente come se
l'avessi scannata con un coltello. Ma le rose non sono meno belle
per questo, gli uccelli non cantano meno felici nel mio giardino e
stasera devo pranzare con te, poi andare all'Opera e poi, credo,
cenare in qualche posto. Che cosa straordinariamente drammatica ?
la vita! Se avessi letto tutto questo in un libro, credo, Harry,
che ci avrei pianto. Ora che ? veramente accaduto, e accaduto a
me, la cosa mi pare troppo meravigliosa per poterne piangere.
Questa ? la prima lettera d'amore appassionata che io abbia
scritto in vita mia; ? strano che la mia prima lettera d'amore e
di passione abbia dovuto essere indirizzata a una fanciulla morta.
Mi chiedo se quegli esseri bianchi e taciturni che noi chiamiamo
morti possono sentire qualche cosa. Sybil pu? sentire, sapere,
ascoltare? Oh, Harry, come l'amavo, una volta! Ora mi sembra che
siano passati degli anni. Era tutto per me, e poi arriv? quella
tremenda serata; fu davvero solo ieri sera? quando recit? cos?
male, quando mi sembr? che il cuore mi si spezzasse. Lei mi spieg?
tutto; era una cosa patetica, ma io non fui affatto commosso. La
credetti superficiale. All'improvviso capit? una cosa che mi
spavent?; non posso dirti che cosa, ma ? terribile. Dissi che
sarei tornato da lei, sentii che avevo agito male, e ora lei ?
morta. Mio Dio, mio Dio! che devo fare, Harry? Tu non sai in quale
pericolo mi trovo e non c'? niente che mi possa guidare. Lei
avrebbe potuto farlo. Non aveva il diritto di uccidersi: ? stata
egoista.
- Mio caro Dorian - rispose Lord Henry, prendendo una sigaretta
dall'astuccio e tirando fuori una scatola da fiammiferi laminata
d'oro, - c'? un solo modo con il quale una donna pu? trasformare
un uomo, e cio? annoiandolo cos? totalmente da fargli perdere
qualunque possibile interesse alla vita. Se tu avessi sposato
quella ragazza saresti stato molto infelice. Naturalmente
l'avresti trattata bene; ? sempre facile essere gentili verso le
persone di cui non c'importa niente. Ma lei si sarebbe accorta ben
presto della tua assoluta indifferenza per lei, e quando una donna
fa questa scoperta riguardo al proprio marito o diventa
terribilmente goffa oppure si mette a portare dei cappellini
elegantissimi che il marito di qualche altra donna deve pagare.
Tutto questo per non parlare dell'errore sociale, che sarebbe
stato umiliante e che io, naturalmente, non avrei consentito; ma
ti assicuro che in ogni caso tutta la storia si sarebbe risolta in
un fallimento completo.
- Ammettiamolo pure - mormor? il giovine, passeggiando su e gi?
per la stanza, terribilmente pallido; - ma io credevo che fosse
mio dovere. Non ? colpa mia se questa terribile tragedia mi ha
impedito di fare quello che era giusto che facessi. Mi ricordo che
tu hai detto una volta che c'? una fatalit? che perseguita i buoni
proponimenti, e ? che questi arrivano troppo tardi. Cos?, senza
dubbio, ? capitato ai miei.
- I buoni proponimenti sono vani tentativi di intervenire nelle
leggi scientifiche. La loro origine ? pura vanit? e il loro
risultato ? assolutamente zero. Ogni tanto ci procurano il lusso
di qualcuna di quelle sterili emozioni che hanno un certo fascino
per gli esseri deboli. Ecco tutto quello che se ne pu? dire. Sono
come assegni che gli uomini emettono su una banca presso la quale
non hanno un conto corrente.
- Harry - esclam? Dorian Gray venendo a sedersi accanto a lui,
perch? non riesco a sentire questa tragedia cos? profondamente
come vorrei? Non credo di essere senza cuore; tu lo credi?
- Hai fatto troppe sciocchezze durante gli ultimi quindici giorni,
Dorian, per avere il diritto di darti questo nome rispose Lord
Henry col suo sorriso dolce e melanconico.
Il giovine si imbronci?.
- Questa spiegazione non mi piace, Harry, ma sono felice che tu
non mi creda senza cuore. Non sono senza cuore, so di non esserlo;
per? devo ammettere che questa storia che ? accaduta non mi
colpisce come dovrebbe. Mi sembra semplicemente lo scioglimento di
un meraviglioso dramma; c'? in essa tutta la bellezza terribile di
una tragedia greca, una tragedia nella quale io ho avuto gran
parte, ma che non mi ha ferito.
- La questione ? interessante - disse Lord Henry, che provava un
piacere squisito nel giocare con l'egoismo inconscio del ragazzo;
- la questione ? estremamente interessante. Penso che la vera
spiegazione sia questa. Succede spesso che le vere tragedie della
vita accadano in modo tanto poco artistico che la loro violenza
cruda, la loro assoluta incoerenza, la loro assurda mancanza di
significato, la loro totale assenza di stile ci urtano. L'effetto
che producono su di noi ? lo stesso che produce la volgarit?; ci
danno l'impressione della pura forza bruta e noi ci ribelliamo. A
volte per? nelle nostre vite avviene una tragedia che ha in s?
elementi artistici di bellezza. Se questi elementi esistono per
davvero, tutta la storia risveglia in noi il senso dell'effetto
drammatico. Ci accorgiamo di colpo di non essere pi? attori, ma
spettatori del dramma; o, per dire meglio, l'una e l'altra cosa.
Stiamo a guardare noi stessi e la meraviglia dello spettacolo
basta ad entusiasmarci. In questo caso, che cosa ? veramente
successo? Una persona si ? uccisa per amor tuo. Vorrei aver
provato una simile esperienza; mi avrebbe reso innamorato
dell'amore per tutto il resto dei miei giorni. Le persone che mi
hanno adorato (non moltissime, ma qualcuna ce n'? stata) hanno
sempre insistito nel voler continuare a vivere molto tempo dopo
che io avevo smesso di voler bene a loro o loro di voler bene a
me. Sono diventate grasse e noiose e quando le incontro si
lanciano subito nei ricordi. Com'? tremenda la memoria delle
donne! Che cosa spaventosa, e quale completo ristagno
intellettuale rivela! Si deve assorbire il colore della vita; ma
non si dovrebbe mai ricordarne i dettagli, che sono sempre
volgari.
- Dovr? seminare dei papaveri nel mio giardino - sospir? Dorian.
- Non ? necessario - replic? il suo compagno. - La vita porta
sempre dei papaveri in mano. Certo, ogni tanto le cose vanno per
le lunghe. Una volta, per tutta una stagione io non portai che
violette, come forma di lutto artistico per un romanzo che non
voleva morire. Per? finalmente mor? e non ricordo pi? che cosa
l'abbia ucciso: credo che sia stata la proposta di lei di
sacrificare a me il mondo intero. Quello ? sempre un momento
tremendo, che ti riempie del terrore dell'eternit?. Orbene, mi
vuoi credere? La settimana scorsa, in casa di Lady Hampshire, mi
trovai seduto a pranzo vicino alla signora in questione e lei si
ostin? a ricapitolare tutta la storia, riesumando il passato e
scrutando l'avvenire. Io avevo sepolto il mio romanzo in una
aiuola di asfodeli: lei lo riport? alla luce e mi assicur? che
avevo rovinato la sua vita. Sono costretto a dichiarare che la
cosa non suscit? in me la minima ansiet?, dato che la vedevo
mangiare enormemente a pranzo; ma che mancanza di gusto dimostr?!
Il passato non ha che un solo fascino, quello di essere passato;
ma le donne non sanno mai quando il sipario ? calato: vorrebbero
sempre che ci fosse un sesto atto e non appena l'interesse del
dramma ? completamente esaurito propongono che continui. Se le si
lasciasse fare, ogni commedia avrebbe un finale tragico e ogni
tragedia finirebbe in farsa. Sono deliziosamente artificiali, ma
non hanno il senso dell'arte. Tu sei pi? fortunato di me. Ti
assicuro, Dorian, che non una delle donne che ho conosciuto
avrebbe fatto per me quello che Sybil Vane ha fatto per te. Le
donne comuni si consolano sempre. Alcune ci riescono adottando dei
colori sentimentali. Diffida sempre di una donna che si veste di
viola, qualunque sia la sua et?, oppure di una donna che a
trentacinque anni ama i nastri rosa: significa sempre che hanno
una storia. Ce ne sono altre che trovano un grande conforto nello
scoprire improvvisamente le buone qualit? dei loro mariti e che ti
sventolano in faccia la loro felicit? coniugale come se fosse il
pi? affascinante dei peccati. Altre si consolano con la religione.
Una donna mi diceva una volta che i misteri di questa hanno tutto
l'incanto di un flirt, e io lo capisco benissimo. E poi, non c'?
niente che ci renda pi? vanitosi che il sentirci chiamare
peccatori; la coscienza ci rende tutti quanti egoisti. Davvero, le
consolazioni che le donne trovano nella vita moderna sono
infinite; anzi, non ho citato la pi? importante di tutte.
- E sarebbe, Harry? - disse distrattamente il ragazzo.
- Oh, la consolazione pi? ovvia: portare via l'ammiratore a
un'altra quando hanno perso il proprio. Questa ? una cosa che
nella buona societ? imbianca sempre una donna. Veramente, Dorian,
come doveva essere diversa Sybil Vane da tutte le donne che si
incontrano! Per me c'? qualcosa di realmente bello nella sua
morte. Mi fa piacere vivere in un secolo nel quale accadono
miracoli come questo. Ci fanno credere alla realt? delle cose
sulle quali tutti scherziamo: romanzi, passione, amore.
- Tu dimentichi che io sono stato terribilmente crudele con lei.
- Temo che le donne apprezzino la crudelt?, la crudelt? perfetta,
pi? di qualsiasi altra cosa. I loro istinti sono mirabilmente
primitivi. Noi le abbiamo emancipate, ma loro sono rimaste, come
prima, delle schiave in cerca di un padrone. Amano essere
dominate. Sono sicuro che devi essere stato splendido. Non ti ho
mai visto veramente e assolutamente in collera, per? posso
immaginarmi quanto dovevi essere delizioso a guardarti. Dopo
tutto, l'altro giorno mi dicesti una cosa che sul momento mi
sembr? del tutto immaginaria, ma che ora mi accorgo che era
assolutamente vera, e che ? la chiave di tutto.
- Che cos'era, Henry?
- Mi dicesti che Sybil Vane rappresentava per te tutte le eroine
romantiche; che una sera era Desdemona e l'altra Ofelia; che, se
moriva nelle vesti di Giulietta risuscitava in quelle di Imogene.
- Ora non risusciter? pi? - mormor? il ragazzo, nascondendo il
viso tra le mani.
- No, non risusciter? pi?. Ha recitato la sua ultima parte. Ma tu
devi pensare a quella morte solitaria, in quello spogliatoio
volgare, come a uno strano e sinistro frammento di qualche
tragedia del periodo giacobita, una scena meravigliosa di Webster
o di Ford o di Cyril Tourneur. Quella fanciulla non ? mai
veramente esistita e quindi non ? mai veramente morta. Per te
almeno, fu sempre un sogno, un fantasma che aleggiava nei drammi
di Shakespeare e li abbelliva con la sua presenza, un flauto
attraverso il quale la musica di Shakespeare suonava pi? ricca,
pi? allegra. Quando venne in contatto con la vita la distrusse e
questa distrusse lei; e cos? ? scomparsa. Puoi portare il lutto
per Ofelia, se cos? ti piace, cospargerti il capo di cenere perch?
Cordelia ? stata strangolata, imprecare al destino perch? la
figlia di Brabanzio ? morta; ma non sprecare le tue lacrime per
Sybil Vane. Lei era meno reale di loro.
Ci fu un silenzio. Il crepuscolo oscurava la stanza. Dal giardino
le ombre entravano senza rumore, coi piedi d'argento. I colori,
stanchi, si dileguavano dalle cose.
Dopo un certo tempo Dorian Gray alz? gli occhi.
- Harry - mormor?, con qualche cosa che assomigliava a un sospiro
di sollievo, - tu hai spiegato me a me stesso. Tutto quello che
hai detto io lo sentivo; ma, in certo qual modo, ne avevo paura e
non riuscivo a esprimerlo a me stesso. Come mi conosci bene! Ma
non parliamo pi? di quanto ? successo. E' stata un'esperienza
meravigliosa, e basta. Mi chiedo se la vita mi riserba altre cose
altrettanto meravigliose.
- La vita ti riserba tutto, Dorian. Non c'? niente che tu non
possa fare, con la tua bellezza straordinaria.
- Ma se diventer? disfatto, vecchio, rugoso, allora che succeder??
- Ah, allora - disse Lord Henry, alzandosi per andarsene, allora
dovrai lottare per le tue vittorie; ora come ora, vengono a
portartele. No, bisogna che tu resti bello. Viviamo in un'et? che
legge troppo per essere saggia e che pensa troppo per essere
bella. Non possiamo fare a meno di te. E ora faresti meglio a
vestirti e a farti portare al circolo: si ? gi? fatto un po'
tardi.
- Credo che ti raggiunger? all'Opera, Harry. Sono troppo stanco
per mangiare. Qual ? il numero del palco di tua sorella?
- 27, credo. E' al primo ordine e sulla porta c'? il nome. Mi
dispiace che tu non voglia venire a pranzo.
- Non me la sento - disse Dorian con aria assente. - Per? ti sono
infinitamente grato per quello che mi hai detto. Sei certamente il
mio migliore amico; nessuno mi ha mai capito come te.
- Siamo appena all'inizio della nostra amicizia, Dorian rispose
Lord Henry, stringendogli le mani. - Addio; spero di vederti prima
delle nove e mezzo. Ricordati che canta la Patti.
Quando lui si richiuse dietro la porta, Dorian Gray suon? il
campanello e pochi minuti dopo Victor comparve con le lampade e
tir? gi? le persiane.
Era impaziente che se ne andasse, e invece sembrava che gli
servisse un tempo infinito per fare quel che doveva fare.
Appena fu andato via, Dorian corse al paravento e lo tir?
indietro. No, nel ritratto non c'erano altri cambiamenti. Aveva
ricevuto la notizia della morte di Sybil Vane prima che la
conoscesse lui stesso; aveva coscienza degli eventi della vita non
appena si verificavano. Senza dubbio, quella crudelt? perversa che
sciupava la bella linea della bocca doveva essere apparsa nel
momento stesso in cui la fanciulla aveva bevuto il veleno,
qualunque fosse. Oppure i risultati lo lasciavano indifferente? Si
limitava forse a prendere cognizione di ci? che accadeva
all'interno dell'anima? Questo si chiedeva, sperando di poter
vedere un giorno il cambiamento verificarsi sotto i suoi occhi e
rabbrividendo a questa speranza.
Povera Sybil! Quale romanzo era stato il suo! Sul palcoscenico
aveva rappresentato pi? volte la morte; poi la morte in persona
l'aveva toccata e l'aveva portata via con s?. Come aveva
interpretato quella tremenda scena finale? L'aveva maledetto,
morendo? No; era morta per amor suo e ormai per lui l'amore
sarebbe sempre stato un sacramento. Lei aveva espiato tutto col
sacrificio della vita; lui non avrebbe pensato mai pi? a quello
che gli aveva fatto subire, a teatro, quell'orribile sera. Se
avesse pensato a lei, l'avrebbe pensata come una meravigliosa
figura di tragedia, mandata sulla scena del mondo per mostrare la
realt? suprema dell'Amore. Meravigliosa figura tragica? Pensando
al suo aspetto infantile, alle sue maniere leggiadre e
capricciose, alla sua timida e tremula grazia gli vennero le
lacrime agli occhi. Spazz? via in fretta tutto questo e torn? a
guardare il ritratto.
Ebbe la sensazione che il momento di scegliere fosse veramente
venuto: o forse la scelta c'era gi? stata? S?, la vita aveva
deciso per lui; la vita e la sua infinita curiosit? della vita.
Eterna giovinezza, passione senza limiti, piaceri raffinati e
segreti, gioie sfrenate e amori ancora pi? sfrenati: avrebbe avuto
tutto questo. Il ritratto avrebbe portato il peso della sua
vergogna, ecco tutto.
Al pensiero della profanazione che attendeva quel bel volto
effigiato sulla tela lo prese un senso di pena. Una volta,
imitando fanciullescamente Narciso, aveva baciato o finto di
baciare quelle labbra dipinte che ora gli sorridevano con tanta
crudelt?. Si era seduto, una mattina dopo l'altra, davanti al
ritratto ammirandone la bellezza, cos? che quasi gli era sembrato
di esserne innamorato. Ora si sarebbe alterato a ogni capriccio al
quale lui avesse ceduto? Era destinato a diventare una cosa
mostruosa e ripugnante, da nascondere in una stanza chiusa a
chiave, da escludere da quella luce del sole che tante volte col
suo tocco aveva fatto sembrare d'oro splendente l'ondulata
meraviglia dei capelli? Peccato, peccato!
Per un attimo ebbe l'idea di pregare perch? finisse quell'orribile
simpatia esistente tra lui stesso e il ritratto. Questo era
cambiato in risposta a una preghiera; forse avrebbe potuto restare
inalterato in risposta a un'altra preghiera. Ma chi, conoscendo la
vita, avrebbe rinunciato alla possibilit? di restare giovane per
sempre, per quanto fantastica potesse essere una tale possibilit?
e per quanto fatali potessero essere le conseguenze che
comportava? E poi, la cosa era veramente sotto il suo controllo?
Era certo che fosse stata quella preghiera a produrre la
sostituzione? Non poteva esistere per tutto questo qualche curiosa
ragione scientifica? Il pensiero poteva esercitare un'influenza su
un organismo vivente; perch? non avrebbe potuto esercitarla su
cose morte o inorganiche? O magari, senza nessun pensiero o
desiderio cosciente, le cose estranee a noi non potevano vibrare
all'unisono con i nostri stati d'animo e con le nostre passioni e
l'atomo chiamare l'atomo, nell'amore segreto di qualche strana
affinit?? Ma poco importava il motivo. Egli non avrebbe mai pi?
tentato con le sue preghiere un Potere terribile. Se il ritratto
si alterava, ebbene, si alterasse pure; non c'era niente da fare.
Perch? indagare pi? a fondo?
Anzi, ci sarebbe stato uno strano piacere nel guardarlo. Egli
sarebbe stato in grado di seguire la propria mente nei posti pi?
segreti. Quel ritratto sarebbe stato per lui il pi? magico degli
specchi; come gli aveva dato la rivelazione del suo corpo, cos?
gli avrebbe rivelato la sua anima. E quando l'inverno vi sarebbe
calato sopra, egli sarebbe rimasto nel punto dove la primavera
freme alla vigilia dell'estate. Quando il sangue si sarebbe
ritirato dal viso del ritratto, lasciandosi dietro una pallida
maschera di gesso dagli occhi plumbei, egli avrebbe conservato lo
splendore dell'adolescenza. I fiori della sua bellezza non
sarebbero mai appassiti. Come gli Dei della Grecia, sarebbe
rimasto forte, agile, giocondo. Che importanza aveva quello che
sarebbe accaduto all'immagine dipinta sulla tela? Egli sarebbe
rimasto immune, e questo era tutto.
Risistem? il paravento al suo posto davanti al ritratto, con un
sorriso, e pass? in camera da letto dove gi? il domestico lo
aspettava. Un'ora dopo era all'Opera e Lord Henry si chinava sulla
sua poltrona.
Capitolo nono.
La mattina dopo, mentre stava facendo colazione, venne introdotto
nella camera Basil Hallward.
- Sono felice di averti trovato, Dorian - disse questi con tono
grave. - Ero venuto ieri sera, ma mi dissero che eri all'Opera.
Naturalmente sapevo che era impossibile, ma vorrei che tu avessi
lasciato detto dov'eri andato veramente. Passai una serata
tremenda; avevo quasi paura che a una tragedia potesse seguirne
un'altra. Penso che appena ricevesti la notizia avresti potuto
mandarmi a chiamare per telegrafo. Io la lessi per puro caso in
un'edizione serale del "Globe" che mi capit? in mano al circolo;
mi precipitai qui e mi dispiacque moltissimo di non trovarti. Non
posso dirti fino a qual punto questa storia mi abbia costernato.
So quanto devi soffrire. Ma dove sei andato? Sei forse andato a
trovare sua madre? Per un momento mi venne l'idea di venire a
cercarti l?; il giornale dava l'indirizzo, dalle parti di Euston
Road, non ? vero? Poi ebbi paura di essere un intruso, in presenza
di uno strazio che non era in mio potere di alleviare. Povera
donna, in che stato deve essere! Ed era l'unica figlia! Che cosa
ha detto di questa tragedia?
- Caro Basil, e che ne so io? - mormor? Dorian Gray, con un'aria
terribilmente annoiata, sorseggiando un vino di un pallido giallo
da un delicato bicchiere veneziano che sembrava una bolla di
schiuma imperlata d'oro. - Io ero all'Opera; dovevi venire l?. Ho
conosciuto Lady Gwendolen, la sorella di Harry; eravamo nel suo
palco. E' una donna incantevole, e la Patti ha cantato
divinamente. Non parliamo di cose orribili. Se di una cosa non si
parla, non ? mai esistita; ? soltanto l'espressione, come dice
Harry, che conferisce realt? alle cose. Incidentalmente ti dir?
che non era l'unica figlia di quella donna; c'? anche un figlio.
Credo che sia un simpatico ragazzo, ma non fa l'attore; fa il
marinaio, o qualcosa del genere. E ora parlami di te e di quello
che stai dipingendo.
- Sei andato all'Opera? - disse Hallward, parlando molto adagio,
con una voce in cui vibrava intensamente una nota di sofferenza.-
Sei andato all'Opera, mentre Sybil Vane giaceva, morta, nel suo
miserabile alloggio? Come puoi parlarmi di altre donne incantevoli
e della Patti che canta divinamente, prima ancora che la donna che
amavi abbia trovato pace nella tomba? Non sai quali orrori si
preparano per quel suo fragile corpo bianco!
- Taci, Basil! Non lo voglio sentire - grid? Dorian, scattando in
piedi. - Non dirmi queste cose. Quello che ? stato ? stato; il
passato ? passato.
- Ieri, lo chiami passato?
- Che importa quanto tempo sia effettivamente trascorso? Solo gli
esseri superficiali hanno bisogno di anni per liberarsi di
un'emozione. Un uomo che sia padrone di se stesso pu? mettere fine
a un dolore con la stessa facilit? con cui pu? inventare un
piacere. Io non intendo essere alla merc? delle mie emozioni;
voglio servirmene, goderle e dominarle.
- Dorian, che cose orribili! C'? qualche cosa che ti ha
interamente cambiato. Esteriormente sei sempre lo stesso ragazzo
meraviglioso che veniva ogni giorno nel mio studio a posare per il
suo ritratto. Allora per? eri semplice, naturale, affettuoso; eri
la creatura pi? intatta che esistesse al mondo. Adesso non so che
cosa ti abbia preso; parli come se in te non esistesse il cuore,
non esistesse la compassione. E' tutta l'influenza di Harry, me ne
accorgo.
Il giovine arross?. And? alla finestra e guard? per qualche minuto
il giardino verde, scintillante sotto la sferza del sole. Disse
finalmente:
- Basil, io devo molto ad Harry, pi? di quanto debba a te. Tu mi
hai insegnato soltanto la vanit?.
- Ebbene, ora ne sono punito, Dorian, o sar? punito un giorno o
l'altro.
- Non so che cosa tu voglia dire, Basil - esclam? lui, girandosi.
- Non so che cosa tu voglia da me. Che vuoi?
- Voglio il Dorian Gray che ho dipinto - disse mestamente
l'artista.
- Basil, - disse il giovine, avvicinandosi a lui e mettendogli una
mano sulla spalla, - arrivi troppo tardi. Ieri, quando seppi il
suicidio di Sybil Vane...
- Suicidio! gran Dio! non c'? nessun dubbio in proposito? grid?
Hallward, guardandolo con un'espressione di orrore.
- Caro Basil, non crederai certo che sia stato un banale
incidente? Naturalmente si ? uccisa.
Il pi? anziano dei due uomini si prese il viso tra le mani,
mormorando: - che orrore! - mentre un brivido lo scoteva tutto.
- No - disse Dorian Gray, - non c'? niente di tremendo in questo:
? una delle grandi tragedie romantiche del nostro tempo. Di regola
la vita degli attori ? una vita infima; sono buoni mariti, o mogli
fedeli, o qualche altra cosa noiosa. Capisci quello che voglio
dire: virt? piccolo-borghese e roba di questo genere. Ma Sybil era
diversa. Ha vissuto la sua pi? bella tragedia. Era sempre stata
un'eroina. L'ultima sera che recit?, la sera che tu la vedesti,
recit? male perch? aveva conosciuto la realt? dell'amore; quando
ne conobbe l'irrealt? mor? come avrebbe potuto morire Giulietta e
rientr? cos? nella sfera dell'arte. C'? in lei qualcosa della
martire; la sua morte ha tutta la patetica inutilit?, tutta la
bellezza sprecata del martirio. Ma, come ti dicevo, non devi
pensare che io non abbia sofferto. Se tu fossi venuto ieri, in un
certo momento, verso le cinque e mezzo, diciamo, o le sei e un
quarto, mi avresti trovato in lacrime; neppure Harry, che venne
(anzi fu lui a darmi la notizia), aveva un'idea di quello che
stavo attraversando. Soffrivo immensamente; ma poi ? passato. Io
non posso ripetere un'emozione; nessuno pu? farlo, tranne i
sentimentali. Basil, sei terribilmente ingiusto. Sei venuto qui
per consolarmi, cosa che ? molto gentile; mi trovi consolato, e
questo ti rende furibondo. Strano modo di dimostrarmi la tua
simpatia! Mi fai ripensare a una storia che mi raccont? Harry, di
un certo filantropo che pass? vent'anni della sua vita a lottare
affinch? venisse riparato un abuso o fosse modificata una certa
legge ingiusta, non so pi? esattamente quale delle due cose.
Finalmente ci riusc? e la delusione che prov? fu insuperabile. Non
aveva pi? niente da fare, moriva quasi dalla noia e divent? un
misantropo indurito. E poi, mio caro Basil, se vuoi veramente
consolarmi, insegnami piuttosto a dimenticare l'accaduto oppure a
vederlo dal giusto punto di vista artistico. Non ? stato il
Gautier che ha scritto della "consolation des arts"? Mi ricordo
che un giorno nel tuo studio mi capit? in mano un volumetto
rilegato in pergamena e gli occhi mi caddero su questa frase
deliziosa. Orbene, io non sono come quel giovane di cui mi
raccontasti quella volta che andammo insieme a Marlow, che era
solito dire che il satin giallo pu? servire di consolazione a
tutte le miserie dell'esistenza. Mi piacciono le belle cose che si
possono toccare e maneggiare; dai broccati antichi, dai bronzi
verdi, dalle lacche, dagli avori intagliati, da un ambiente
raffinato, dal lusso, dalla pompa si pu? ricavare molto; ma per me
vale molto di pi? il temperamento artistico che tutte quelle cose
creano o, quanto meno, rivelano. Diventare spettatore della
propria esistenza, come dice Harry, significa sfuggire alle
sofferenze dell'esistenza. So che sentirmi parlare cos? ti
sorprende; tu non ti rendi conto del mio sviluppo. Quando mi hai
conosciuto ero uno scolaretto; ora sono un uomo, con passioni,
pensieri, idee interamente nuovi. Sono diverso, ma per questo non
devi volermi meno bene; sono cambiato, ma tu devi restare mio
amico. Naturalmente voglio molto bene a Harry; ma so che tu sei
migliore di lui: non pi? forte, perch? hai troppa paura della
vita, ma migliore; e noi due siamo stati tanto felici insieme!
Basil, non mi lasciare e non litigare con me. Io sono quello che
sono, e non c'? altro da dire.
Il pittore era stranamente commosso. Quel ragazzo gli era
infinitamente caro e la sua personalit? aveva rappresentato una
svolta decisiva della sua arte. L'idea di fargli altri rimproveri
gli sembr? insopportabile; dopo tutto, la sua indifferenza non era
probabilmente che uno stato d'animo del tutto transitorio. C'era
tanto di buono, tanto di nobile in lui.
- Va bene, Dorian - disse alla fine, con un sorriso melanconico,-
da oggi in poi non ti parler? pi? di questo orribile fatto. Spero
solo che il tuo nome non venga fatto in relazione ad esso.
L'inchiesta ci sar? questo pomeriggio. Sei stato convocato?
Dorian scroll? la testa e la menzione della parola "inchiesta"
fece passare sul suo viso un'espressione di fastidio. Cose di
questo genere erano troppo grossolane, troppo volgari.
- Non sanno il mio nome - rispose.
- Lei s?, per?.
- Soltanto il nome di battesimo, e quello sono sicuro che non l'ha
detto a nessuno. Una volta mi disse che tutti erano molto curiosi
di sapere chi ero e che lei diceva invariabilmente che mi chiamavo
Principe Azzurro: una cosa molto carina. Basil, devi farmi un
disegno di Sybil; mi piacerebbe avere di lei qualcosa di pi? del
ricordo di qualche bacio e di qualche parolina patetica.
- Cercher? di fare qualcosa per farti piacere, Dorian; ma tu devi
tornare a posare per me. Senza di te non posso andare avanti.
Egli trasal? ed esclam?:
- Non posso pi? posare per te, Basil. E' impossibile!
Il pittore lo fiss?. - Che sciocchezze, mio caro! - esclam?. Vuoi
dire forse che il ritratto che ti ho fatto non ti piace? Ma dov'??
Perch? ci hai messo un paravento davanti? Lasciamelo guardare; ?
la cosa migliore che io abbia mai fatto. Leva via quel paravento,
Dorian; ? una vergogna che il tuo servitore nasconda la mia opera
in quel modo. Appena sono entrato ho avuto subito la sensazione
che la stanza avesse cambiato aspetto.
- Il mio servitore non ne ha colpa, Basil. Credi forse che gli
permetta di sistemare per me la mia stanza? A volte mette a posto
i fiori, e basta. No, sono stato io. La luce sul ritratto era
troppo forte.
- Troppo forte! No di certo, amico mio. La collocazione ?
ammirevole. Fammelo vedere. - Hallward si diresse verso l'angolo
della stanza.
Un grido di terrore proruppe dalle labbra di Dorian, che si lanci?
a mettersi in mezzo tra il pittore e il paravento.
- Basil -disse, pallidissimo, - non devi vederlo. Non voglio.
- Non devo vedere la mia opera! non dici sul serio. E perch? non
dovrei vederla? - esclam? ridendo Hallward.
- Basil, sul mio onore, se cerchi di vederla non ti rivolger? pi?
la parola. Dico sul serio, nel modo pi? assoluto. Non ti d?
spiegazioni e tu non devi chiederne; ma ricordati che se tocchi
questo paravento fra te e me tutto ? finito.
Hallward sembrava fulminato e guardava Dorian con il pi? profondo
stupore. Prima di allora non lo aveva mai visto cos?. Era
addirittura livido di rabbia, aveva le mani contratte, le sue
pupille erano come dischi di fuoco azzurro e tremava dalla testa
ai piedi.
- Dorian!
- Non mi parlare!
- Ma che ? successo? Naturalmente, se non vuoi non lo guarder?
disse piuttosto freddamente e si avvi? verso la finestra. - Per?
mi sembra davvero abbastanza assurdo che io non debba vedere il
mio quadro, tanto pi? che in autunno lo esporr? a Parigi.
Probabilmente bisogner? che prima ci dia un'altra mano di vernice,
e dunque un giorno dovr? pur vederlo. E allora, perch? oggi no?
- Esporlo? Lo vuoi esporre? - esclam? Dorian Gray che si sentiva
invadere da uno strano senso di terrore. Il suo segreto stava
dunque per essere mostrato al mondo? La gente avrebbe contemplato
sbigottita il mistero della sua vita? Impossibile! Si doveva fare
subito qualche cosa; ma che cosa?
- S?. Non credo che avrai nessuna difficolt?. George Petit vuol
raccogliere tutti i miei quadri migliori per un'esposizione
individuale nella Rue de S?ze, che si apre la prima settimana di
ottobre. Il ritratto non star? via pi? di un mese e penso che per
quel tempo potrai farne a meno; tanto, sarai di sicuro fuori
citt?, e, del resto, se lo tieni sempre dietro un paravento vuol
dire che non ci tieni eccessivamente.
Dorian Gray si pass? la mano sulla fronte imperlata di stille di
sudore. Aveva la sensazione di essere sull'orlo di un pericolo
spaventoso. Grid?:
- Un mese fa mi dicesti che non l'avresti mai esposto: Perch? hai
cambiato idea? Voialtri che vi piccate tanto di essere coerenti
avete gli stessi capricci che hanno tutti, con la sola differenza
che i vostri capricci sono piuttosto insensati. Non puoi aver
dimenticato che mi assicurasti nel modo pi? solenne che niente al
mondo ti avrebbe indotto a mandarlo a un'esposizione; e a Harry
dicesti esattamente la stessa cosa.
Si ferm? bruscamente e gli balen? negli occhi uno sprazzo di luce.
Gli torn? in mente che una volta Lord Henry gli aveva detto, tra
il serio e il faceto: "Quando vorrai passare un quarto d'ora
curioso, fatti dire da Basil perch? non vuole esporre il tuo
ritratto. L'ha detto a me, e per me ? stata una rivelazione". S?,
forse anche Basil aveva il suo segreto; valeva la pena di provare
a scoprirlo.
- Basil - gli disse, avvicinandosi a lui e fissandolo in viso,
ognuno di noi due ha un segreto. Se mi dici il tuo, io ti dir? il
mio. Qual era il motivo che ti spingeva a rifiutarti di esporre il
mio ritratto?
Il pittore, suo malgrado, ebbe un brivido.
- Se te lo dicessi, Dorian, potrebbe darsi che tu mi volessi meno
bene, e di certo rideresti di me: due cose, l'una e l'altra, che
non posso sopportare. Se desideri che non guardi il tuo ritratto
mi rassegner?. Potr? sempre guardare te. Se vuoi che il mio
miglior lavoro rimanga nascosto al mondo non importa; la tua
amicizia mi preme di pi? della fama o della reputazione.
- No, Basil, devi dirmelo - insist? Dorian Gray. - Credo di avere
il diritto di saperlo.
Il senso di terrore era svanito e vi era subentrata la curiosit?;
era deciso a scoprire il mistero di Basil Hallward.
- Sediamoci, Dorian - disse il pittore, che sembrava turbato.
Sediamoci, e rispondi soltanto a una mia domanda. Hai osservato
nel ritratto qualche cosa di curioso, qualche cosa che sulle prime
probabilmente non ti aveva colpito e che ti si ? rivelata
improvvisamente?
- Basil! - grid? il giovine, stringendo nelle mani tremanti i
braccioli della poltrona e fissandolo con occhi sbarrati e
furiosi.
- Vedo che ? cos?. Non dire niente: ascolta prima quello che ho da
dire io. Dorian, fin dal momento in cui ti conobbi la tua
personalit? ebbe su me la pi? straordinaria delle influenze. Fui
dominato da te nell'anima, nell'intelletto, nelle facolt?;
diventasti per me l'incarnazione visibile di quell'ideale mai
visto, il cui ricordo ci perseguita, a noi artisti, come un sogno
delizioso. Ti ho adorato; sono stato geloso di tutti quelli con i
quali parlavi; ti volevo tutto per me solo; ero felice soltanto
quando ero con te e quando eri lontano eri pur sempre presente
nella mia arte... Di tutto questo, naturalmente, non ti ho mai
fatto sapere niente; e sarebbe stato impossibile perch? non
l'avresti capito. Io stesso non arrivavo a capirlo: sapevo
soltanto che mi ero trovato faccia a faccia con la perfezione e
che ai miei occhi il mondo era diventato meraviglioso, troppo
meraviglioso forse, perch? in certe pazze adorazioni c'? un
pericolo, il pericolo di perderle non meno che quello di
conservarle. Passarono settimane e settimane, durante le quali
andai lasciandomi assorbire sempre pi? da te; poi ci fu uno stadio
ulteriore. Ti avevo disegnato come un Paride, in una delicata
armatura, come Adone, in vesti da cacciatore e con la spada
lucente in pugno. Ti avevo posto sulla prua della barca di
Adriano, nell'atto di guardare il verde e torbido Nilo, e sul
margine di uno stagno in un bosco della Grecia, nell'atto di
vedere la meraviglia del tuo volto nel tacito argento delle acque.
Tutto questo era stato come l'arte deve essere: inconscio, ideale,
lontano. Ma un giorno, un giorno fatale, mi decisi a dipingere un
tuo mirabile ritratto, di te come sei veramente; non nel costume
di un'epoca morta, ma nelle vesti e nel tempo che sono tuoi. Non
so se sia stato il realismo del metodo oppure solo il miracolo
della tua personalit? che in questo modo mi si presentava senza
nebbie e senza veli; certo ? che mentre lavoravo a quel ritratto
ogni pennellata, ogni striscia di colore sembrava rivelare a me
stesso il mio segreto. Ebbi paura che gli altri venissero a
conoscere la mia idolatria; ebbi la sensazione di aver detto
troppo, di aver messo in quel ritratto troppo di me stesso. Fu
allora che presi la decisione di non permettere mai che venisse
esposto. Tu ne fosti un po' seccato, ma allora non potevi renderti
conto di ci? che esso significava per me; Harry, al quale ne
parlai, si mise a ridere, ma di questo poco m'importava. Quando il
ritratto fu finito e mi ritrovai solo con esso sentii che avevo
ragione... Orbene, qualche giorno dopo il quadro usc? dal mio
studio; e non appena fui liberato dal fascino intollerabile della
sua presenza mi sembr? di essere stato uno sciocco a immaginare di
averci visto qualche cosa oltre queste due: che tu sei
straordinariamente bello e che io so dipingere. Anche adesso non
posso trattenermi dal pensare che sia un errore credere che la
passione che si prova nell'atto di creare si manifesti mai
veramente nell'opera creata da noi. L'arte ? sempre pi? astratta
di quello che noi immaginiamo; forme e colori ci parlano di forme
e colori e nient'altro. Spesso mi sembra che l'arte nasconda
l'artista ben pi? completamente di quanto non lo riveli. Perci?,
ricevendo quest'invito da Parigi, decisi di fare del tuo ritratto
il pezzo principale della mia esposizione. Non mi venne mai in
mente che tu avresti rifiutato. Ora mi accorgo che avevi ragione:
quel ritratto non si pu? mostrare. Dorian, non essere in collera
con me per quello che ti ho detto. Come dissi una volta a Harry,
tu sei fatto per essere adorato.
Dorian Gray fece un profondo respiro. Le guance ripresero il
colorito e un sorriso vag? sulle sue labbra: il pericolo era
passato. Per il momento era al sicuro. Tuttavia non poteva
difendersi dal provare una compassione infinita per il pittore che
gli aveva fatto quella strana confessione e dal chiedersi se un
giorno sarebbe toccato anche a lui subire una simile dominazione
da parte della personalit? di un amico. Lord Henry aveva il
fascino di essere molto pericoloso, ma niente di pi?; era troppo
intelligente e troppo cinico perch? si potesse volergli veramente
bene. Sarebbe mai esistito qualcuno capace di ispirargli una
strana idolatria? Era questa una delle cose che la vita gli
riservava?
- Mi sembra straordinario, Dorian, che tu abbia visto tutto questo
in quel ritratto. L'hai visto veramente?
- Vi ho visto qualcosa - rispose lui, - qualcosa che mi ? sembrata
molto strana.
- E allora ti dispiace ancora se guardo il ritratto?
Dorian scosse la tasta. - Questo non devi chiedermelo, Basil. Non
posso assolutamente permettere che tu ti ponga davanti a quel
ritratto.
- Ma un giorno lo permetterai?
- Mai.
- S?, forse hai ragione. E ora addio, Dorian. Sei stato la sola
persona nella mia vita che abbia realmente avuto un'influenza
sulla mia arte. Quello che ho fatto di buono lo devo a te. Ah, tu
non sai quanto mi sia costato dirti tutto quello che ti ho detto.
- Caro Basil - disse Dorian, - che cosa mi hai detto?
Semplicemente che ti sembrava di avermi ammirato troppo. Non ?
nemmeno un complimento.
- Non voleva essere un complimento: era una confessione e ora che
l'ho fatta ? come se qualche cosa fosse uscita da me. Forse non si
dovrebbe mai tradurre in parole le proprie adorazioni.
- E' stata una confessione che mi ha molto deluso.
- Come? e che cosa ti aspettavi, Dorian? Tu non hai mica visto
qualche altra cosa in quel ritratto? Non c'era altro da vedere?
- No, non c'era altro da vedere. Perch? me lo chiedi? Ma non devi
parlare di adorazione: ? sciocco. Tu ed io siamo amici, Basil, e
dobbiamo rimanere sempre amici.
- Tu hai Harry - disse melanconicamente il pittore.
- Oh, Harry ! - grid? il ragazzo, con una mezza risata. - Harry
passa le giornate a dire delle cose incredibili e le serate a fare
delle cose imprevedibili. E' precisamente la vita che mi
piacerebbe fare. Per? se mi trovassi in un guaio non credo che
andrei da Harry. Verrei piuttosto da te, Basil.
- Tornerai a posare per me?
- E' impossibile.
- Il tuo rifiuto ? la rovina della mia vita di artista. Nessuno
incontra mai due cose ideali; ben pochi sono quelli che ne
incontrano una.
- Non posso spiegarti il perch?, Basil, ma per te non devo posare
mai pi?. In un ritratto c'? qualche cosa di fatale; il ritratto ha
una vita sua propria. Verr? da te a prendere il t? e sar?
altrettanto piacevole.
- Per te ho paura che sia anche pi? piacevole - mormor? Hallward
con rimpianto. - E ora addio. Mi dispiace che tu non voglia
lasciarmi guardare il ritratto un'altra volta, ma non c'? niente
da fare. Capisco perfettamente i tuoi sentimenti.
Appena fu uscito, Dorian sorrise a se stesso. Povero Basil, come
era lontano dal conoscere la vera ragione! E com'era strano che,
invece di essere stato costretto a rivelare il proprio segreto
fosse riuscito, quasi per caso, a estorcere un segreto al suo
amico! Quante cose sembravano chiare dopo quella strana
confessione! Gli assurdi eccessi di gelosia del pittore, la sua
sfrenata affezione, i suoi panegirici esagerati, le sue curiose
reticenze - ora capiva tutto questo e ne provava dispiacere; gli
sembrava che in un'amicizia cos? colorita di romanzo ci fosse
qualche cosa di tragico.
Sospir? e suon? il campanello. Bisognava nascondere il ritratto a
ogni costo. Non poteva correre un'altra volta il rischio di una
scoperta. Sarebbe stata una pazzia lasciare che quell'oggetto
restasse anche un'ora soltanto in una stanza nella quale poteva
entrare uno qualunque dei suoi amici.
Capitolo decimo.
Quando entr? il domestico, lo fiss? intensamente, chiedendosi se
avesse avuto l'idea di dare un'occhiata dietro il paravento. Il
servitore, perfettamente impassibile, aspettava ordini. Dorian
accese una sigaretta, and? allo specchio e vi diede uno sguardo.
Poteva vedervi riflesso perfettamente il viso di Victor, una
maschera placida di servilit?. Non c'era quindi da aver paura;
tuttavia gli sembr? che fosse bene stare in guardia.
Parlando con estrema lentezza, gli disse di far sapere alla
governante che voleva vederla e poi di andare dal fabbricante di
cornici pregandolo di mandare immediatamente due dei suoi uomini.
Gli sembr? che nell'uscire il servitore girasse gli occhi verso il
paravento. O si trattava di pura immaginazione?
Qualche minuto dopo comparve nella biblioteca la signora Leaf,
vestita di seta nera e con un paio di antiquati mezzi guanti di
filo sulle mani rugose. Le chiese la chiave dello studio dei
ragazzi.
- Il vecchio studio, signor Dorian? - esclam? lei. - Ma ? tutto
pieno di polvere. Bisogna che lo faccia ripulire e mettere in
ordine prima che ci andiate. Ora non ? visibile, no davvero.
- Non voglio che sia messo in ordine, Leaf; voglio soltanto la
chiave.
- Ma se ci entrate vi coprirete di ragnatele. Sono cinque anni che
non ? stato aperto; da quando mor? Sua Signoria.
Questa menzione di suo nonno lo fece trasalire; conservava di lui
un ricorso odioso.
- Non fa niente - rispose. - Voglio soltanto vedere la stanza e
basta. Datemi la chiave.
- Eccola - disse la vecchia, rovistando nel mazzo con le mani
tremanti e incerte. - Ma non avrete mica l'idea di andarci a
stare? Qui ? talmente comodo!
- No, no - grid? lui con voce arrogante. - Grazie, Leaf. Non serve
altro.
Lei indugi? qualche minuto e cominci? a chiacchierare di certi
dettagli dell'andamento domestico. Dorian, sospirando, le disse di
fare quello che credeva meglio. La donna usc? dalla stanza, tutta
sorridente.
Appena richiusa la porta, Dorian si mise la chiave in tasca e
diede un'occhiata in giro. L'occhio gli cadde su una grande
coperta di satin purpureo pesantemente ricamata d'oro, un
magnifico pezzo di stoffa veneziana della fine del diciassettesimo
secolo, che suo nonno aveva trovato in un convento nei pressi di
Bologna. Andava proprio bene per avvolgere quell'oggetto
spaventoso. Forse era servito pi? volte per fare da coltre
mortuaria; ora doveva servire a nascondere una cosa che aveva una
corruzione sua propria, peggiore perfino della corruzione della
morte; una cosa generatrice di orrori e che non sarebbe morta mai.
I suoi peccati sarebbero stati per l'immagine dipinta sulla tela
quello che il verme ? per il cadavere: ne avrebbero disfatta la
bellezza, ne avrebbero divorato la grazia, l'avrebbero sfigurata,
l'avrebbero resa ripugnante; ma quella cosa avrebbe tuttavia
continuato a vivere. Sarebbe vissuta per sempre.
Rabbrivid? e per un attimo deplor? di non aver detto a Basil la
vera ragione che l'aveva mosso a nascondere il ritratto: Basil lo
avrebbe aiutato a resistere all'influenza di Lord Henry e alle
influenze ancora pi? velenose provenienti dal suo stesso
temperamento. L'amore che il pittore nutriva per lui, poich? si
trattava di un vero amore, non aveva in s? niente che non fosse
nobile e intellettuale. Non era quella ammirazione soltanto fisica
della bellezza, che nasce dai sensi e muore quando i sensi si
stancano; era lo stesso amore che avevano conosciuto Michelangelo,
Montaigne, Winckelmann e lo stesso Shakespeare. Basil avrebbe
potuto salvarlo; ma ormai era troppo tardi. Il passato poteva
sempre essere annullato: bastavano per questo il pentimento, la
rinuncia, l'oblio. Ma il futuro era inevitabile. In lui si
agitavano passioni che avrebbero trovato uno sfogo terribile,
sogni che avrebbero trasformato in realt? l'ombra della loro
perversione.
Prese dal divano la grande stoffa porpora e oro che lo ricopriva e
and? dietro il paravento tenendola in mano. La faccia sulla tela
era pi? turpe di prima? Non gli sembr? cambiata; tuttavia la
repulsione che gli ispirava aument?. Capelli d'oro, occhi azzurri,
labbra rosse, tutto c'era: quello che era alterato era solo
l'espressione e questa, nella sua crudelt?, era orribile. In
confronto al biasimo che vi vedeva, com'erano stati superficiali i
rimproveri di Basil a proposito di Sybil Vane, superficiali, privi
di ogni valore! Dalla tela la sua anima stessa lo fissava e lo
chiamava a giudizio. Gett? la ricca coltre sul ritratto con
un'espressione di sofferenza in viso. Mentre faceva questo,
bussarono alla porta; si ritrasse e il domestico entr?.
- Gli uomini sono arrivati, Monsieur.
Disse a se stesso che bisognava liberarsi subito di quell'uomo:
non doveva sapere dove sarebbe stato portato il ritratto. C'era in
lui un qualcosa di furbesco; i suoi occhi erano pensosi e
traditori. Si sedette alla scrivania e scrisse un biglietto per
Lord Henry, pregandolo di mandargli qualche cosa da leggere e
ricordandogli l'appuntamento che si erano dati per le otto e un
quarto di quella sera.
- Aspettate la risposta - disse, porgendoglielo, - e fate entrare
quegli uomini.
Un paio di minuti dopo bussarono di nuovo e il signor Hubbard, il
famoso corniciaio di South Audley Street, entr? con un giovane
operaio dall'aria piuttosto rozza. Il signor Hubbard era un uomo
con l'aspetto florido e con la barba rossa, nel quale
l'ammirazione per l'arte era mitigata dall'eterna mancanza di
denaro della maggior parte degli artisti con i quali aveva a che
fare. Di regola non si allontanava mai dalla sua bottega, ma
faceva sempre un'eccezione per Dorian Gray. C'era qualche cosa in
Dorian che affascinava tutti quanti: il solo vederlo era un
piacere.
- In che cosa posso servirvi, signor Gray? - disse,
stropicciandosi le grasse mani lentigginose. - Ho voluto
concedermi l'onore di venire personalmente. Proprio in questo
momento ho ricevuto una meraviglia di cornice. L'ho comprata a
un'asta. Fiorentina antica: credo che provenga da Fonthill.
Mirabilmente adatta per un quadro di soggetto religioso, signor
Gray.
- Mi dispiace che vi siate disturbato a venire, signor Hubbard.
Passer? certamente a vedere la cornice, per quanto in questo
momento l'arte sacra non mi interessi molto; ma oggi voglio
soltanto far portare un quadro all'ultimo piano della casa e dato
che ? piuttosto pesante avevo pensato di pregarvi di prestarmi un
paio dei vostri operai.
- Nessun disturbo, Mister Gray. Sono felice di potervi essere
utile. Qual ? quest'opera d'arte?
- Questa - disse Dorian, rimovendo il paravento. - Potete
trasportarla cos? come sta, con la coperta e tutto? Non vorrei che
si graffiasse su per le scale.
- Nessuna difficolt? - disse il gioviale corniciaio, cominciando,
con l'aiuto del garzone, a staccare il quadro dalle lunghe catene
di bronzo alle quali era appeso. - E ora dove lo portiamo, signor
Gray?
- Vi mostrer? la strada, signor Hubbard, se volete avere la
cortesia di seguirmi. O forse sar? meglio che andiate avanti voi.
Purtroppo ? proprio in cima alla casa. Saliremo per lo scalone che
? pi? largo.
Tenne aperta la porta per loro ed essi uscirono nell'ingresso e
iniziarono a salire. Il tipo complicato di cornice aveva reso il
quadro molto voluminoso e ogni tanto Dorian dovette dare una mano
per aiutare, a dispetto delle proteste ossequiose del signor
Hubbard, che sentiva quel vivo dispiacere che sente ogni vero
lavoratore nel vedere un signore fare qualcosa di utile.
- Un bel peso da portare - disse l'ometto, ansimando e
asciugandosi la fronte lucida, quando furono arrivati all'ultimo
pianerottolo.
- S? - mormor? Dorian - ho paura che sia piuttosto pesante - e
apr? la porta che immetteva nella stanza destinata a custodire per
lui lo strano segreto della sua vita e a nascondere a ogni sguardo
estraneo la sua anima.
Non era entrato in quella stanza da pi? di quattro anni; da quando
l'aveva usata, all'inizio, da bambino, come stanza da giuoco, poi,
cresciuto, come studio. Era una camera grande e ben proporzionata,
che il defunto Lord Kelso aveva fatto costruire appositamente
perch? servisse al nipotino che aveva sempre odiato e desiderato
di tener lontano, per la sua strana somiglianza con la madre e per
altri motivi. A Dorian sembr? che non fosse molto cambiata. C'era
l'enorme cassone italiano, coi pannelli fantasticamente dipinti e
le modanature dorate annerite dal tempo, nel quale si era
acquattato tante volte da bambino. C'era la libreria di legno
indiano, piena dei suoi libri di scuola tutti sgualciti. Dietro di
questa, pendeva dal muro la stessa logora tappezzeria fiamminga,
sulla quale un Re e una Regina scoloriti stavano giocando a
scacchi in un giardino, mentre passava un gruppo di falconieri
portando sul pugno coperto dal guanto gli uccelli incappucciati.
Come se la ricordava! Nel girare lo sguardo intorno alla stanza,
gli tornarono in mente tutti i momenti della sua fanciullezza
solitaria; ricord? la purezza immacolata della sua vita di
adolescente e gli sembr? orribile che proprio in quella stanza
dovesse essere nascosto quel fatale ritratto. Come era lontano, in
quei tempi passati, dal pensare a tutto quello che gli riservava
il destino!
Ma in tutta la casa non esisteva un posto altrettanto al sicuro
dagli sguardi indiscreti. La chiave l'aveva lui e nessun altro
poteva entrare. Sotto la coltre di porpora, il volto dipinto sulla
tela poteva diventare bestiale, sozzo, immondo. Che cosa
importava, se nessuno poteva vederlo? Non l'avrebbe visto neppure
lui. Perch? avrebbe dovuto assistere al nauseabondo corrompersi
della sua anima? Conservava la giovinezza, e questo bastava. E
poi, non poteva darsi, dopo tutto, che la sua natura si facesse
pi? bella? Non c'era nessun motivo perch? il futuro dovesse essere
cos? pieno di vergogna. L'amore poteva trovarsi sulla sua strada,
purificarlo, proteggerlo da quei peccati che sembravano gi?
fermentargli nello spirito e nella carne, quei curiosi peccati
ineffigiati ai quali lo stesso mistero dava raffinatezza e
fascino. Forse un giorno quell'espressione crudele si sarebbe
dileguata dalla scarlatta bocca sensuale ed egli avrebbe potuto
mostrare al mondo il capolavoro di Basil Hallward.
No; era impossibile. Ora per ora, settimana per settimana, quella
cosa sulla tela invecchiava. Anche se sfuggiva alla bruttezza del
peccato non poteva sfuggire a quella dell'et?. Le guance si
sarebbero incavate, o sarebbero diventate flaccide; rughe
giallastre sarebbero apparse intorno agli occhi smorti, rendendoli
orribili; i capelli avrebbero perso la lucentezza, la bocca
sarebbe diventata semiaperta o cascante, avrebbe assunto
quell'aspetto stupido e volgare che hanno le bocche dei vecchi.
Avrebbe avuto il collo grinzoso, le mani fredde, dalle vene
azzurrine, il corpo contorto, come lui lo ricordava del nonno che
era stato tanto duro per la sua fanciullezza. Bisognava nascondere
il ritratto; non c'era altra possibilit?.
- Portatelo dentro, signor Hubbard, per favore - disse con voce
stanca, girandosi indietro. - Scusatemi se vi ho fatto aspettare
tanto; stavo pensando a un'altra cosa.
- Un po' di riposo fa sempre piacere, signor Gray - rispose il
corniciaio, che ansimava ancora. - Dove lo mettiamo?
- Oh, in qualunque posto. Qui andr? bene. Non voglio appenderlo;
basta appoggiarlo al muro. Grazie.
- Si pu? guardare l'opera d'arte?
Dorian trasal?. Disse, tenendogli gli occhi addosso:
- Non vi interesserebbe, signor Hubbard.
Si sentiva pronto a saltargli addosso e a gettarlo per terra se
avesse osato di sollevare il fastoso velame che copriva il segreto
della sua vita.
- Non ho bisogno di disturbarvi oltre. Vi sono davvero grato per
aver avuto la gentilezza di venire.
- Niente, niente, signor Gray. Sempre disposto a fare qualunque
cosa per voi. - E il signor Hubbard si avvi? gi? per la scala,
seguito dal garzone, che si gir? indietro a guardare Dorian con
un'espressione di timida ammirazione sul viso rude e sgraziato.
Non aveva mai visto un essere cos? meraviglioso.
Quando il rumore dei loro passi si fu dileguato, Dorian chiuse la
porta e si mise in tasca la chiave. Ora si sentiva al sicuro.
Nessuno avrebbe visto mai quell'orribile cosa; la sua ignominia
non sarebbe stata vista da altri occhi se non dai suoi.
Tornando nella biblioteca vide che erano appena passate le cinque
e che avevano gi? portato il t?. Su un tavolino di legno scuro e
profumato, riccamente intarsiato di madreperla, dono di Lady
Radley, moglie del suo tutore, graziosa ammalata di professione
che aveva passato l'inverno precedente al Cairo, c'era un
biglietto di Lord Henry e vicino a questo un libro legato in carta
gialla con la copertina leggermente lacerata e i margini sporchi.
Sul vassoio del t? era stata deposta una copia della "Saint James'
Gazette". Evidentemente Victor era tornato. Si chiese se avesse
incontrato nell'ingresso i due che uscivano e fosse riuscito a
sapere da loro quello che avevano fatto. Certo si sarebbe accorto
della mancanza del quadro; indubbiamente se ne era gi? accorto
quando aveva portato il t?. Il paravento non era stato rimesso a
posto e sulla parete era visibile uno spazio vuoto. Una notte,
forse, l'avrebbe sorpreso nell'atto di salire le scale pian piano
e di tentare di forzare la porta della stanza. Avere una spia in
casa era una cosa orribile. Aveva sentito parlare di ricchi
signori che erano stati ricattati per tutta la vita da un servo
che aveva letto una lettera o sorpreso una conversazione o
raccattato un biglietto con un indirizzo o trovato sotto un
cuscino un fiore avvizzito oppure un pezzetto sgualcito di trina.
Sospir?, si vers? il t? e apri il biglietto di Lord Henry. Diceva
semplicemente che gli mandava il giornale della sera e un libro
che poteva interessarlo e che alle otto e un quarto si sarebbe
trovato al circolo. Spieg? lentamente il giornale e lo scorse. Un
segno a matita rossa sulla quinta pagina colp? il suo sguardo: era
destinato ad attrarre la sua attenzione sul trafiletto seguente:
INCHIESTA SU UN ATTRICE.
Stamane alla Taverna della Campana in Hoxton Road ? stata tenuta
un'inchiesta dal signor Danby, Coroner distrettuale, sul cadavere
di Sybil Vane, giovane attrice scritturata di recente al Royal
Theatre di Holborn. E' stato emesso un verdetto di morte
accidentale. Sono state espresse molte condoglianze alla madre,
che si ? dimostrata grandemente afflitta tanto durante la propria
deposizione quanto durante la deposizione del Dottor Birrell, che
ha eseguito l'autopsia della defunta.
Aggrott? le sopracciglia, stracci? il giornale in due pezzi e,
attraversata la stanza, lo gett? via. Com'era brutto tutto questo
e come la bruttezza mostrava le cose nella loro orrenda realt?!
Era un po' seccato che Lord Henry gli avesse mandato quella
notizia, e certo era stato stupido a segnarla con la matita rossa.
Victor poteva averla letta; conosceva l'inglese abbastanza da
poterlo fare. Forse l'aveva letta e aveva cominciato a sospettare
qualche cosa. Ma d'altra parte che importava? Che c'entrava Dorian
Gray con la morte di Sybil Vane? Non c'era niente da temere.
Dorian Gray non l'aveva uccisa.
Lo sguardo gli cadde sul libro giallo che gli aveva mandato Lord
Henry. Che cos'era? Si diresse verso il tavolinetto ottagonale
color perla, che gli era sempre sembrato simile al lavoro di
strane api egiziane che avessero lavorato l'argento, si sedette in
una poltrona e cominci? a sfogliare le pagine. Dopo pochi minuti
era completamente assorto nella lettura, perch? quello era il
libro pi? strano che avesse mai letto. Gli sembrava di vedersi
sfilare davanti, in un corteo muto, i peccati del mondo in vesti
squisite, al suono delicato dei flauti. Cose che aveva vagamente
sognate diventarono immediatamente reali per lui; cose che non
aveva mai sognate gli furono gradualmente rivelate.
Era un romanzo senza intreccio e con un personaggio soltanto; o,
per meglio dire, era semplicemente uno studio psicologico su un
giovane parigino che passava la vita tentando di realizzare nel
diciannovesimo secolo tutte le passioni e i modi di vivere propri
di tutti i secoli salvo che del suo e di assommare in se stesso,
per cos? dire, i vari stati d'animo che lo spirito del mondo ?
venuto attraversando, amando per la pura loro artificiosit? quelle
rinunce alle quali l'umanit? ha dato poco saggiamente il nome di
virt?, non meno di quelle ribellioni naturali che i saggi
continuano a chiamare peccati. Era scritto in quello stile
curiosamente ingioiellato, vivido e oscuro insieme, pieno di frasi
di gergo e di arcaismi, di espressioni tecniche e di parafrasi
elaborate, che caratterizza l'opera di alcuni tra i migliori
artisti della scuola francese dei Simbolisti. Conteneva metafore
mostruose come orchidee e non meno raffinate di queste nel colore.
La vita dei sensi vi era descritta coi termini della filosofia
mistica. A volte era impossibile dire se si stava leggendo le
estasi spirituali di qualche santo del Medio Evo oppure le
confessioni morbose di un peccatore moderno. Era un libro
velenoso. L'odore pesante dell'incenso sembrava aderire alle sue
pagine e sconvolgere lo spirito. Nella mente del giovine, mentre
passava da un capitolo all'altro, la pura cadenza delle frasi, la
sottile monotonia della loro musica, piena com'era di ritornelli
complessi e di movenze elaboratamente ripetute, provocava una
specie di "r?verie", una malattia del sogno, che gli toglieva ogni
coscienza del finire del giorno e dell'avanzare delle ombre.
Attraverso le finestre brillava un cielo color verderame, senza
nuvole e ornato da una stella solitaria. Alla sua luce tenue egli
lesse, finch? non fu pi? in grado di leggere. Allora, dopo che pi?
volte il servitore lo aveva avvertito che l'ora era tarda, si alz?
e, andato nella stanza vicina, pos? il libro sul tavolinetto
fiorentino che stava sempre al suo capezzale e cominci? a vestirsi
per il pranzo.
Prima che arrivasse al circolo erano quasi le nove. Trov? Lord
Henry seduto nel salone, solo e con un'aria molto annoiata.
- Scusami tanto, Harry - grid?; - ma in realt? ? tutta colpa tua.
Quel libro che mi hai mandato mi ha talmente affascinato da farmi
dimenticare che il tempo passava.
- S?, lo sapevo che ti sarebbe piaciuto - replic? il suo ospite,
alzandosi.
- Non ho detto che mi ? piaciuto. Ho detto che mi ha affascinato.
C'? una grande differenza.
- Ah, l'hai scoperto, questo? - mormor? Lord Henry. Passarono in
sala da pranzo.
Capitolo undicesimo.
Per molti anni Dorian Gray non pot? liberarsi dall'influenza di
quel libro, e forse sarebbe pi? giusto dire che non cerc? mai di
liberarsene. Fece venire da Parigi non meno di nove esemplari non
rilegati della prima edizione e li fece rilegare in colori
diversi, cos? che potessero accordarsi con i suoi vari stati
d'animo e con le mutevoli fantasie di una natura sulla quale, a
volte, sembrava che lui stesso avesse perso ogni controllo.
L'eroe, quel meraviglioso giovane parigino nel quale il
temperamento romantico e quello scientifico erano cos? stranamente
mischiati, divent? per lui quasi una prefigurazione di se stesso;
e davvero il libro gli sembrava che contenesse la storia della sua
vita scritta prima che lui l'avesse vissuta.
In un punto per? egli era pi? fortunato del fantastico eroe di
quel romanzo. Egli non conobbe mai, anzi, non ebbe mai motivo di
conoscere, quel terrore un po' grottesco degli specchi, delle
superfici metalliche lucide, delle acque immobili, dal quale il
giovane parigino fu colto tanto presto nella sua vita, dovuto
all'improvviso disfacimento di una bellezza che un tempo, a quanto
pare, era stata eccezionale. Con una gioia quasi crudele- e forse
un po' di crudelt? entra in quasi tutte le gioie, come entra
sicuramente in ogni piacere - leggeva l'ultima parte del libro,
con la sua descrizione davvero tragica, anche se un po' troppo
accentuata, dell'angoscia e della disperazione di un uomo che
aveva perso quello che, negli altri e nel mondo, aveva apprezzato
di pi?.
Dato che quella bellezza meravigliosa, che aveva tanto affascinato
Basil Hallward e molti altri con lui, sembrava non dovesse mai
abbandonarlo. Nemmeno quelli che avevano sentito dire le cose pi?
gravi sul suo conto, poich? ogni tanto si diffondevano per Londra
strane voci sul suo modo di vivere e diventavano l'argomento dei
pettegolezzi dei circoli, potevano credere di lui, quando lo
vedevano, niente di disonorante.
Aveva sempre l'aspetto di chi ? riuscito a conservarsi immune da
qualunque sporcizia del mondo. Uomini che usavano un linguaggio
scurrile stavano zitti, non appena Dorian Gray entrava nella
stanza; nel suo volto c'era un che di puro che ai loro occhi
sembrava come un rimprovero. La sua presenza era sufficiente a
rievocare in loro il ricordo dell'innocenza che avevano macchiato,
ed essi si meravigliavano che un essere pieno di fascino e di
grazia come lui fosse riuscito a sottrarsi all'impronta di un'et?
che era insieme sordida e sensuale.
Spesso, tornando a casa da una di quelle sue misteriose e
prolungate assenze che facevano nascere tante strane congetture
tra quelli che erano o credevano di essere suoi amici, saliva
nella stanza chiusa al piano superiore, apriva la porta con la
chiave dalla quale non si separava mai e si sistemava, con uno
specchio, di fronte al ritratto dipinto da Basil Hallward,
guardando ora la faccia cattiva e invecchiata sulla tela, ora il
bel volto giovanile che gli sorrideva dal vetro pulito.
L'intensit? stessa del contrasto sembrava acuire in lui la
sensazione voluttuosa. Di giorno in giorno crescevano in lui di
pari passo l'amore per la propria bellezza e l'interessamento alla
corruzione della propria anima. Esaminava le linee ripugnanti che
solcavano quella fronte rugosa o che circondavano quella pesante
bocca sensuale con una cura minuziosa e a volte con una volutt?
mostruosa e terribile, chiedendosi a volte se fossero pi? orribili
le impronte dell'et? oppure quelle del peccato. Metteva le mani
bianche vicino a quelle ruvide e gonfie del ritratto e sorrideva.
Derideva quel corpo deformato e quelle membra infiacchite.
Di notte, quando giaceva insonne nella sua camera delicatamente
profumata o nella lurida stanza di qualche taverna malfamata del
porto che era solito frequentare sotto falso nome e travestito,
c'erano momenti nei quali gli capitava di pensare alla rovina che
aveva attirato sulla sua anima, con una compassione tanto pi?
acuta in quanto era squisitamente egoistica; ma quei momenti erano
rari. Pareva che quella curiosit? della vita che Lord Henry aveva
risvegliato in lui per la prima volta quando si erano seduti
insieme nel giardino del loro amico, tanto pi? aumentasse quanto
pi? era appagata. Pi? sapeva e pi? desiderava sapere; pi?
soddisfaceva i suoi folli appetiti e pi? questi diventavano
famelici.
Peraltro non aveva abbandonato ogni riguardo, almeno nei suoi
rapporti con la societ?. Un paio di volte al mese durante
l'inverno e ogni mercoled? sera durante la "season" londinese era
solito aprire la sua bella casa al mondo elegante e faceva venire
i pi? celebri musicisti del momento a deliziare i suoi ospiti con
le meraviglie della loro arte. I suoi pranzi, nel preparare i
quali era costantemente assistito da Lord Henry, erano famosi sia
per la cura nella scelta e nel collocamento degli invitati sia per
il gusto squisito dimostrato nella decorazione della tavola, con
la disposizione raffinata di fiori esotici, di tovaglierie
ricamate, e di posateria antica d'oro e d'argento. Anzi non erano
pochi, specialmente tra i giovanissimi, quelli che vedevano o che
si immaginavano di vedere in Dorian Gray la vera personificazione
di un tipo che avevano sognato pi? volte durante gli anni di Eton
e di Oxford, un tipo che doveva riunire la vera cultura
dell'erudito con tutta la grazia, la distinzione e la perfezione
di modi, tipiche del cosmopolita. Sembrava loro che lui
appartenesse alla compagnia di quelli dei quali Dante dice che
avevano cercato di rendersi perfetti mediante il culto della
bellezza: era, come il Gautier, uno per il quale "il mondo
visibile esisteva".
Per lui, certo, la vita in se stessa era la prima e la pi? grande
delle arti, per la quale tutte le altre arti sembravano costituire
solo una preparazione. La moda, che rende universale per un
momento quello che in realt? ? fantastico, e l'eleganza del
vestire e dei modi, che ?, nel suo genere, un tentativo di
affermare l'assoluta modernit? della bellezza, avevano
naturalmente un fascino per lui.
Il suo modo di vestire e lo stile particolare che adottava ogni
tanto esercitavano una spiccata influenza sui giovani raffinati
dei balli di Mayfair e dei circoli di Pall Mall. Lo imitavano in
tutto quello che faceva e si sforzavano di riprodurre il fascino
casuale delle sue graziose frivolezze, che lui, peraltro, non
prendeva interamente sul serio.
Poich?, per quanto fosse fin troppo disposto ad accettare la
posizione che gli era stata offerta quasi immediatamente alla sua
maggiore et? e provasse anzi un piacere sottile all'idea di poter
diventare per la Londra dei suoi tempi quello che l'autore del
"Satyricon" era stato per la Roma imperiale di Nerone, in fondo al
cuore aspirava per? ad essere qualcosa di pi? di un puro "arbiter
elegantiarum", che viene consultato sul modo di portare un
gioiello o di annodare una cravatta o di tenere il bastone.
Cercava di elaborare un nuovo sistema di vita, che avrebbe dovuto
contenere una filosofia razionale e principi suoi propri e
attingere nella spiritualizzazione dei sensi la sua pi? alta
realizzazione.
Il culto dei sensi ? stato biasimato spesso e a ragione, perch?
gli uomini sentono un naturale istinto di terrore nei confronti di
passioni e di sentimenti che sembrano pi? forti di loro stessi e
che sanno di avere in comune con forme di vita meno altamente
organizzate. Ma a Dorian Gray pareva che la vera natura dei sensi
non fosse stata mai compresa e che, se questi sono rimasti
selvaggi e animaleschi, ? solo perch? il mondo ha tentato di
affamarli per assoggettarli o di ucciderli attraverso la
sofferenza, anzich? tendere a farne gli elementi di una
spiritualit? nuova, la cui caratteristica dominante dovrebbe
essere un istinto pi? sottile della bellezza. Nel volgere indietro
lo sguardo per contemplare gli uomini che si muovono attraverso la
storia un senso di perdita lo ossessionava. A quanto si era
rinunziato, e con che meschini risultati! Rifiuti follemente
ostinati, forme mostruose di autotortura e di rinuncia, provocate
dalla paura, avevano avuto come risultato una degradazione
infinitamente pi? terribile della degradazione immaginaria alla
quale gli uomini, nella loro ignoranza, avevano cercato di
sottrarsi. La natura, con la sua mirabile ironia, cacciava
l'anacoreta nel deserto a vivere con le bestie feroci e dava per
compagni all'eremita gli animali dei campi.
S?, come aveva profetizzato Lord Henry, doveva nascere un nuovo
Edonismo, destinato a creare daccapo la vita e a salvarla da quel
duro e sgraziato puritanesimo che stava in quei giorni stranamente
rivivendo; che indubbiamente avrebbe dovuto avere ai propri
servigi l'intelligenza, ma non avrebbe mai dovuto accettare
nessuna teoria, nessun sistema che implicasse il sacrificio di una
forma qualsiasi di esperienza passionale. Anzi, la sua aspirazione
doveva essere l'esperienza stessa, non i frutti dell'esperienza,
dolci o amari che siano. Doveva ignorare assolutamente tanto
l'ascetismo che mortifica i sensi quanto la volgare dissolutezza
che li attutisce; ma doveva insegnare all'uomo a concentrarsi sui
momenti di una vita che ? essa stessa un momento.
Sono pochi quelli che non si siano svegliati a volte sul far del
giorno, sia da una di quelle notti senza sogni che ci fanno quasi
innamorare della morte, sia da una di quelle notti d'orrore e di
gioia deformi, quando le cellule del nostro cervello sono percorse
da fantasmi pi? paurosi della stessa realt?, animati da quella
vita vivace che si nasconde in tutti i grotteschi e che presta
all'arte gotica la sua persistente vitalit?, poich? si potrebbe
quasi dire che questa sia particolarmente l'arte di coloro le cui
menti sono state affette dalla malattia del fantasticare. Dita
bianche si insinuano pian piano tra le cortine, e queste sembra
che tremino. Ombre mute, dalle forme fantastiche, strisciano negli
angoli della camera e vi si accovacciano. Fuori si sentono gli
uccelli muoversi nel fogliame o il rumore degli uomini che vanno
al lavoro o il sospiro e il singhiozzo del vento che scende dai
colli e si aggira intorno alla casa silenziosa, come se avesse
paura di svegliare quelli che dormono, e pure deve per forza far
uscire il sonno dalla sua caverna di porpora. Il sottile velo del
crepuscolo si solleva, un velo dopo l'altro; le cose riprendono
gradualmente forma e colore, e noi vediamo l'alba rimodellare il
mondo nelle sue forme secolari. Gli specchi pallidi riprendono la
loro vita riflessa; i lumi senza fiamma sono nello stesso posto
dove li avevamo lasciati, e vicino a loro c'? il libro per met?
intonso che stavamo studiando, o il fiore, montato sul fil di
ferro, che avevamo portato al ballo o la lettera che avevamo avuto
paura di leggere o che avevamo riletta troppe volte. Niente ci
sembra cambiato. La vita che conosciamo ritorna dalle ombre
irreali della notte e dobbiamo riprenderla dal punto in cui
l'avevamo lasciata. Si insinua in noi un senso terribile della
necessit? di continuare a spendere la nostra energia nella stessa
serie monotona di abitudini stereotipate, e magari un desiderio
violento che le nostre palpebre possano aprirsi una mattina su un
mondo che nell'oscurit? sia stato rimodellato per la nostra gioia,
su un mondo nel quale le cose abbiano nuove forme e nuovi colori e
siano cambiate o abbiano nuovi segreti, su un mondo nel quale il
passato occupi ben poco spazio o non ne occupi per niente o,
comunque, non sopravviva in nessuna forma consapevole di obbligo o
di rimpianto, poich? c'? un'amarezza anche nel ricordo della gioia
e una pena nel ricordo del piacere.
Sembrava a Dorian Gray che la creazione di mondi simili fosse il
vero scopo, o almeno uno dei veri scopi della vita; e, nella sua
ricerca di sensazioni che fossero insieme nuove e deliziose e
contenessero quell'elemento di stranezza che ? tanto essenziale
per il romanzo, adottava spesso certi modi di pensare che in
realt? sapeva essere estranei alla sua natura. Si abbandonava alle
loro influenze penetranti; poi, dopo averne, per cos? dire,
afferrato il colore e aver appagato la propria curiosit?
intellettuale, li abbandonava con quella curiosa indifferenza che
non ? incompatibile col vero ardore del temperamento, anzi, stando
a certi psicologi moderni, ne costituisce spesso la condizione.
Una volta gir? voce che si proponesse di passare al Cattolicesimo;
e indubbiamente il rituale cattolico esercitava sempre su di lui
una grande attrazione. Il sacrificio quotidiano, ben pi? terribile
in realt? di tutti i sacrifici del mondo antico, lo commuoveva,
sia per il superbo rifiuto della testimonianza dei sensi, che per
la semplicit? primitiva dei suoi elementi e per il "pathos" eterno
della tragedia umana che tentava di simboleggiare. Gli piaceva
inginocchiarsi sul freddo pavimento di marmo e seguire con lo
sguardo il prete nei suoi rigidi paramenti a fiorami, mentre
spostava lentamente con le mani bianche il velo del tabernacolo,
oppure mentre elevava l'ostensorio ingemmato a forma di lanterna,
con l'ostia sottile che, in certi momenti, si direbbe, ? davvero
il "panis caelestis", il pane degli angeli, o mentre, indossando
le vesti della Passione di Cristo, rompeva l'ostia dentro il
calice o si batteva il petto per i propri peccati. I turiboli
fumanti, che i fanciulli vestiti di trina e di scarlatto agitavano
in aria simili a grandi fiori dorati, esercitavano su di lui un
loro incanto sottile. Uscendo, era solito guardare con meraviglia
i confessionali neri e avrebbe voluto sedere nell'ombra buia di
uno di essi ad ascoltare uomini e donne che sussurravano
attraverso la grata consumata la vera storia delle loro vite. Ma
non cadeva mai nell'errore di fermare il proprio sviluppo
intellettuale accettando formalmente un credo o un sistema, o
scambiando per una casa nella quale passare la vita un albergo
buono solo per passarvi una notte, o qualche ora di una notte
senza stelle e senza luna. Il misticismo, col suo mirabile potere
di farci sembrare strane le cose che sono comuni e con la sottile
antinomia che apparentemente ? inseparabile da esso, lo commosse
per una stagione; e cos? pure per una stagione indulse alle
dottrine materialistiche del movimento darwiniano di Germania e
prov? un piacere curioso nel far risalire pensieri e passioni
dell'uomo a qualche cellula perlacea del cervello o a qualche
bianco nervo del corpo, dilettandosi nella concezione della
dipendenza assoluta dello spirito da certe condizioni fisiche,
morbose o sane, normali o patologiche. Per?, come si ? detto
prima, nessuna teoria della vita gli sembrava avere una qualche
importanza di fronte alla vita stessa. Aveva profondamente
coscienza della sterilit? di ogni speculazione intellettuale che
sia slegata dall'azione e dall'esperimento. Sapeva che i sensi,
non meno dell'anima, hanno i loro misteri spirituali da rivelare.
Cos? a un certo punto si dedic? allo studio dei profumi e dei
segreti della loro fabbricazione, distillando oli dall'odore
penetrante e bruciando gomme profumate orientali. Scopr? che non
esisteva stato d'animo che non trovasse la sua contropartita nella
vita dei sensi e si dedic? a scoprire la loro vera relazione,
chiedendosi che cosa ci fosse nell'incenso che dispone al
misticismo, e nell'ambra grigia che eccita le passioni, e nelle
violette che risvegliano il ricordo dei romanzi morti, e nel
muschio che turba la mente, e nel "ciampak" che sporca
l'immaginazione. Tent? a pi? riprese di elaborare una vera e
propria psicologia dei profumi e di calcolare le diverse influenze
delle radici dall'odore soave e dei fiori profumati, pesanti di
polline, e dei balsami aromatici e dei legni scuri e fragranti,
dello spicanardo che fa ammalare, dell'hovenia che fa impazzire e
dell'aloe di cui si dice che abbia il potere di espellere
dall'anima la melanconia.
In un altro momento si consacr? per intero alla musica. In una
stanza dai lunghi riquadri, col soffitto vermiglio e oro e pareti
laccate di verde oliva, cominci? a dare dei curiosi concerti, nei
quali zingare folli tiravano fuori una musica selvaggia dalle loro
piccole cetre o gravi Tunisini ammantati di giallo pizzicavano le
corde tese di liuti mostruosi, mentre negri ghignanti battevano
monotoni su tamburi di rame e Indiani snelli, col turbante in
testa, soffiavano dentro lunghi tubi di canna o di bronzo e
incantavano, o fingevano di incantare, grandi serpenti col
cappuccio e orribili bisce cornute. Gli aspri intervalli e le
stridenti discordanze della musica barbarica lo commuovevano in
certi momenti nei quali tutta la grazia di Schubert, tutta la
bellezza dei dolori di Chopin e perfino tutta la potenza delle
armonie di Beethoven non avevano sul suo orecchio nessun effetto.
Raccolse da tutte le parti del mondo una collezione degli
strumenti pi? strani che si possano trovare, sia nei sepolcreti
delle nazioni estinte, sia presso quelle poche trib? selvagge
sopravvissute al contatto con la civilt? occidentale, e amava
toccarli e provarli. Possedeva il misterioso "furuparis" degli
Indiani del Rio Negro, che le donne non sono ammesse a guardare e
che neppure i giovani possono vedere se prima non sono stati
sottoposti al digiuno e alla flagellazione; le giare di terra dei
Peruviani, che mandano un grido stridente come quello degli
uccelli; i flauti, fatti di ossa umane, che Alfonso de Ovalle
sent? nel Cile; i verdi diaspri sonori che si trovano nei pressi
di Cuzco e che emettono una nota singolarmente dolce. Possedeva
zucchine dipinte, piene di ciottolini che scotendole tintinnavano;
il lungo "clarin" dei Messicani, nel quale l'esecutore non soffia,
ma inala l'aria attraverso di esso; l'aspro "ture" delle trib?
delle Amazzoni, che suonano le sentinelle appostate per giorni
interi in cima agli alberi e che pu? essere sentito, dicono, a tre
leghe di distanza; il "teponazili" che ha due linguette vibranti
di legno e si batte con una bacchetta unta di una gomma elastica
ricavata dal succo lattiginoso delle piante; le campane "yotl"
degli Aztechi, sospese a grappoli come l'uva; e un enorme tamburo
cilindrico, rivestito della pelle di grossi serpenti, come quello
che vide Bernal Diaz quando penetr? con Cortez nel tempio
messicano e del cui suono lugubre ci ha lasciato una cos? vivida
descrizione. Il carattere fantastico di questi strumenti lo
affascinava; e l'idea che l'arte abbia, come la natura, i suoi
mostri, esseri dalla forma bestiale e dalla voce orribile, gli
procurava uno strano piacere. Per? dopo qualche tempo se ne stanc?
e torn? a sedersi, solo o con Lord Henry, nel suo palco all'Opera,
ad ascoltare con estatica volutt? il "Tannhauser", scorgendo nel
preludio di quella grande opera d'arte una raffigurazione della
tragedia della sua anima.
In un altro momento si diede allo studio delle gemme e apparve a
un ballo mascherato nel costume di Anne de Joyeuse, Ammiraglio di
Francia, in un abito coperto da cinquecentosessanta perle. Questa
passione lo entusiasm? per lunghi anni e si pu? dire, anzi, che
non l'abbandon? mai. A volte passava una giornata intera a
sistemare e risistemare nei loro astucci le varie pietre che aveva
raccolto: il crisoberillo d'un verde oliva che si muta in rosso
alla luce artificiale, il cimofane con la sua striscia d'argento
simile a un filo, la crisolite color pistacchio, i topazi rosati o
di un giallo vinoso, i carbonchi di scarlatto infuocato con
tremule stelle a quattro raggi, i granati di color rosso fiamma,
le spinelle arancione e violette, le ametiste con i loro strati
alternati di rubino e di zaffiro. Amava l'oro rosso del diaspro
solare, la bianchezza perlacea del chiaro di luna, l'arcobaleno
frantumato dell'opale. Fece venire da Amsterdam tre smeraldi
straordinari per le dimensioni e per la ricchezza del colore e
possedeva una turchese "de la vieille roche" che faceva l'invidia
di tutti i conoscitori.
Scopr? inoltre storie meravigliose riguardanti le gemme. Nella
"Clericalis Disciplina" di Alfonso si leggeva di un serpente che
aveva occhi di giacinto vero; e nella storia romanzesca di
Alessandro, conquistatore di Emazia, era detto che nella Valle del
Giordano questi aveva trovato dei serpenti ai quali erano
cresciuti sul dorso dei collari di smeraldi veri. Filostrato ci
racconta che c'era una gemma nel cervello del drago e che,
mostrandogli delle lettere d'oro e un panno scarlatto, si poteva
far cadere il mostro in un sonno magico e ucciderlo. Secondo il
grande alchimista Pierre de Boniface, il diamante rende invisibili
e l'agata indiana rende eloquenti. La cornalina placa la collera,
il giacinto concilia il sonno, l'ametista dissipa i fumi del vino,
l'hydropicus fa impallidire la luna, il granato scaccia i demoni.
La selenite cresce e si restringe insieme alla luna e il meloceus,
che scopre i ladri, ? sensibile soltanto al sangue dei capretti.
Leonardo Camillo aveva visto una pietra bianca, estratta dal
cervello di un rospo ucciso in quel momento, che era un antidoto
infallibile contro il veleno. Il bezoar, trovato nel cuore del
daino arabico, possedeva la virt? di curare la peste. Nei nidi
degli uccelli dell'Arabia si trovava l'aspilate, che secondo
Democrito proteggeva chi lo portava dai pericoli del fuoco.
Alla cerimonia della sua incoronazione, il Re di Ceylon cavalc?
per la sua citt? con un grande rubino in mano. Le porte del
palazzo del Prete Gianni erano "fatte di agata, e c'era
incastonato un corno d'unicorno, affinch? nessuno potesse portare
dentro del veleno". Sulla guglia c'erano due pomi d'oro nei quali
c'erano due carbonchi, "affinch? l'oro potesse risplendere di
giorno e i carbonchi di notte". Nello strano romanzo di Lodge "A
Margarite of America", era detto che nella camera della Regina si
potevano vedere "tutte le donne caste del mondo, tutte cesellate
in argento, che guardavano attraverso begli specchi di crisolite,
di carbonchi, di zaffiri e di smeraldi verdi". Marco Polo aveva
visto gli abitanti di Cipango mettere delle perle rosa in bocca ai
morti. Un mostro marino era stato innamorato della perla che il
palombaro port? al Re Perozes e aveva ucciso il ladro, portando il
lutto per quella perdita per sette lune. Quando gli Unni
attirarono il Re nella grande imboscata, questi, secondo di
Procopio, la scagli? lontano, e cos? non fu pi? ritrovata, bench?
l'imperatore Anastasio offrisse per essa cinquecento volte il suo
peso in monete d'oro. Il Re di Malabar aveva mostrato a un certo
veneziano un rosario composto di trecentoquattro perle, una per
ciascuno degli Dei che adorava.
Quando il Valentino, figlio di Alessandro Sesto, visit? Luigi
Dodicesimo di Francia, il suo cavallo, stando a Brant?me, era
carico di foglie d'oro e il suo berretto era ornato di una doppia
fila di rubini che producevano un grande splendore. Carlo
d'Inghilterra cavalc? con staffe adorne di quattrocentoventuno
diamanti. Riccardo Secondo aveva una veste, valutata trentamila
marchi, tutta coperta di rubini. Hall descrive Enrico Ottavo,
nell'atto di andare alla Torre per essere incoronato, vestito di
"un giubbone d'oro sbalzato, ricamato sul davanti di diamanti e di
pietre preziose e al collo una grande collana fatta di grossi
rubini". I favoriti di Giacomo Primo portavano orecchini di
smeraldi montati in filigrana d'oro. Edoardo Secondo diede a Piers
Gaveston un'armatura d'oro rosso tempestata di giacinti, una
collana di rose d'oro ornate di turchesi e una calotta "parsem?e"
di perle. Enrico Secondo portava guanti ingemmati che gli
arrivavano al gomito e aveva un guanto da falconiere ornato di
dodici rubini e cinquantadue grandi perle ornamentali. Il cappello
ducale di Carlo il Temerario, ultimo duca di Borgogna della sua
stirpe, aveva pendenti fatti di perle ed era tempestato di
zaffiri.
Quanta raffinatezza nella vita di un tempo! che sfarzo nelle sue
pompe e nei suoi ornamenti! Era una cosa meravigliosa persino
leggere del lusso dei morti.
Pi? tardi dedic? la propria attenzione ai ricami e alle
tappezzerie, che sostituivano gli affreschi nelle stanze gelide
delle nazioni nordiche d'Europa. Indagando su quest'argomento e
lui aveva sempre una straordinaria facolt? di lasciarsi assorbire
momentaneamente da tutto quello di cui si occupava fu quasi
rattristato riflettendo sulla rovina che il tempo causa alle cose
belle e meravigliose. Almeno a questa egli era riuscito a
sottrarsi. Un'estate segu? l'altra, le giunchiglie gialle
fiorirono e morirono pi? volte, notti d'orrore ripeterono la
storia della loro ignominia, ma lui restava immutato; non c'era
inverno capace di alterare il suo volto e di sciupare il suo
fiorire. Quanto era diversa la sorte delle cose materiali! Dove
erano scomparse? Dov'era la grande veste color del croco sulla
quale gli Dei combattevano coi Giganti, e che brune fanciulle
avevano lavorato per la gioia di Atena? Dove l'enorme velario che
Nerone aveva teso sul Colosseo di Roma, la titanica vela di
porpora sulla quale era raffigurato il cielo stellato e Apollo
nell'atto di guidare il carro tirato da biarichi destrieri con le
redini d'oro? Avrebbe voluto vedere i curiosi tovaglioli tessuti
per il Prete del Sole, sui quali erano raffigurate tutte le
leccornie e le vivande che servivano a un festino; la veste
mortuaria del Re Cilperico, con le sue trecento api d'oro; le
vesti fantastiche che sollevarono l'indignazione del Vescovo di
Ponto, istoriate di "leoni, pantere, orsi, cani, foreste, rupi,
cacciatori, tutto insomma quello che un pittore pu? copiare dalla
natura", e la veste indossata una volta da Carlo d'Orl?ans, sulle
cui maniche erano ricamati i versi di una canzone che cominciava:
"Madame, je suis tout joyeux", mentre l'accompagnamento musicale
delle parole era tracciato in filo d'oro e ognuna delle note, che
a quei tempi avevano forma quadrata, era formata da quattro perle.
Lesse della camera preparata al palazzo di Reims per la Regina
Giovanna di Borgogna, decorata con "mille trecento ventuno
pappagalli fatti a ricamo e blasonati con l'arma del Re e
cinquecento sessantuno farfalle, le cui ali erano similmente
adorne dell'arma della Regina, il tutto lavorato in oro". Caterina
de' Medici ebbe un letto mortuario, costruito per lei, di velluto
nero, tempestato di mezze lune e di soli; le cortine erano di
damasco, con corone e ghirlande di foglie raffigurate su un fondo
d'oro e d'argento, sfrangiate lungo i margini di ricami di perle,
che fu sistemato in una camera tutta tappezzata da una serie delle
imprese della Regina, ritagliate in velluto nero su stoffa
d'argento. Luigi Quattordicesimo aveva nel suo appartamento delle
cariatidi ricamate in oro, alte quindici piedi. Il letto di parata
di Sobieski, Re di Polonia, era fatto di broccato d'oro di Smirne,
sul quale erano ricamati in turchesi dei versetti del Corano; le
gambe erano d'argento dorato, magnificamente cesellate e
riccamente tempestate di medaglioni smaltati e gemmati. Era stato
preso nel campo turco sotto Vienna, e lo stendardo di Maometto era
stato sotto le dorature frementi del suo baldacchino.
Cos? cerc? per un anno intero di accumulare gli esemplari pi? fini
di tessuti e di ricami che riusc? a trovare. Si procur? le diafane
mussoline di Delhi, finemente tessute di palme di filo d'oro e
ricamate di ali iridescenti di scarabei; le garze di Dacca che per
la loro trasparenza sono chiamate in Oriente "aria tessuta",
"acqua corrente" e "rugiada serotina"; strani panni istoriati di
Giava; complicate tappezzerie gialle cinesi; libri rilegati in
satin fulvo o in seta di un azzurro chiaro, adorne di "fleurs de
lys", di uccelli e di figure: broccati siciliani e pesanti velluti
spagnoli; stoffe georgiane adorne di monete d'oro, e Fukusas
giapponesi, con i loro ori pendenti nel verde e i loro uccelli
dalle piume meravigliose.
Ebbe inoltre una passione speciale per i paramenti ecclesiastici,
come quella che nutriva, in verit?, per qualsiasi cosa connessa
con il servizio della Chiesa. Nei lunghi cassoni di cedro
allineati lungo la galleria occidentale della casa aveva deposto
molti belli e rari esemplari di quella che ? davvero la veste
della Sposa di Cristo, che deve indossare porpora, gioielli e lini
finissimi per nascondere il corpo pallido ed emaciato, logorato
dalle sofferenze delle quali va in cerca e ferito dagli strazi che
essa stessa si infligge. Possedeva una sfarzosa cappa di seta
cremisina e di damasco d'oro, che ornava un motivo sempre
ricorrente di melograne d'oro disposte in inflorescenze stilizzate
di sei petali, oltre il quale da tutti e due i lati c'era il
motivo delle pigne ricamate in perle. I ricchi bordi dorati erano
divisi in pannelli rappresentanti scene della vita della Vergine e
sul cappuccio era raffigurata in sete colorate l'incoronazione di
Maria; lavoro italiano del quattordicesimo secolo. Un'altra cappa
era di velluto verde, ricamato di gruppi di foglie d'acanto in
forma di cuori, dai quali spuntavano dei fiori bianchi dal lungo
stelo, i cui dettagli erano rilevati con filo d'argento e
cristalli colorati. Il fermaglio aveva una testa di serafino
lavorata di filo d'oro in rilievo. Il bordo era tessuto in damasco
di seta rosso e oro, costellato di medaglioni di vari santi e
martiri, tra i quali San Sebastiano. Possedeva inoltre pianete di
seta color ambra, di seta azzurra e di broccato d'oro, di damasco
giallo e di tela d'oro, ornate di raffigurazioni della Passione e
Crocifissione di Cristo e ricamate di leoni, pavoni ed altri
emblemi; dalmatiche di satin bianco e di damasco di seta rosa,
decorate di tulipani, di delfini e di "fleurs de lys"; paliotti di
velluto cremisino e di lino azzurro; e molti corporali, veli
omerali e sudarii. Nei mistici uffici ai quali simili cose erano
destinate c'era qualcosa che stimolava la sua immaginazione.
Poich? per lui questi tesori e tutto quello che aveva raccolto
nella sua bella casa costituivano mezzi per dimenticare, modi per
sfuggire, per lo spazio di una stagione, a un terrore che a
momenti gli sembrava troppo grande per essere sopportato. Al muro
della stanza deserta, chiusa a chiave, nella quale aveva trascorso
tanta parte della sua adolescenza, aveva appeso con le sue stesse
mani il terribile ritratto, le cui fattezze alterate gli
mostravano quale fosse veramente l'abiezione della sua vita e
davanti vi aveva disposto, come un sipario, la coltre di porpora e
d'oro. Non ci andava per settimane intere, durante le quali
dimenticava quella ripugnante cosa dipinta e recuperava la
leggerezza del cuore, la sua mirabile allegria, la sua
appassionata dedizione alla pura esistenza. Poi improvvisamente,
una notte, usciva furtivamente di casa, andava in qualche orribile
posto nei pressi di Blue Gate Fields, e vi restava per giorni e
giorni, finch? non lo cacciavano via. Al ritorno si sedeva di
fronte al ritratto, a volte nauseato di quello e di se stesso,
altre volte invece pieno di quell'orgoglio dell'individualismo,
nel quale consiste per met? il fascino del peccato; e allora
sorrideva, con una volutt? segreta, al fantasma deformato
costretto a portare il peso che avrebbe dovuto gravare sulle sue
spalle.
Dopo qualche anno non pot? pi? sopportare di rimanere a lungo
lontano dall'Inghilterra e abbandon? tanto la villa a Trouville
che aveva diviso con Lord Henry quanto la casetta di Algeri, tutta
circondata da un muro bianco, dove avevano trascorso pi? di una
volta l'inverno. Gli era odioso separarsi dal ritratto che era
tanta parte della sua vita e temeva inoltre che durante la sua
assenza qualcuno potesse penetrare nella stanza, ad onta delle
complicate serrature che aveva fatto applicare alla porta. Si
rendeva perfettamente conto che in quel caso niente sarebbe stato
rivelato. Era vero che, nonostante tutta la turpitudine e tutta la
bruttezza del viso, il ritratto conservava tuttavia una spiccata
somiglianza con lui stesso; ma da questo che mai poteva apprendere
la gente? Se qualcuno avesse provato a fargli qualche rimprovero
gli avrebbe riso in faccia. Quel ritratto non l'aveva dipinto lui;
in che cosa poteva riguardarlo il fatto che avesse un aspetto
ignobile e ignominioso? E anche se avesse raccontato tutto, chi
gli avrebbe creduto?
Tuttavia aveva paura. A volte, mentre si trovava nella sua grande
casa nel Nottinghamshire, dove riceveva i giovani eleganti del suo
rango, suoi compagni abituali, e faceva stupire tutta la contea
per il lusso sfrenato e lo splendore sfarzoso del suo modo di
vivere, abbandonava improvvisamente gli ospiti e si precipitava in
citt? per sincerarsi che la porta non fosse stata toccata e che il
ritratto fosse ancora al suo posto. E se l'avessero rubato? La
sola idea bastava a gelarlo d'orrore. In quel caso il mondo
avrebbe certamente conosciuto il suo segreto. Il mondo forse gi?
lo sospettava.
Poich? se era vero che affascinava molti, non erano pochi quelli
che diffidavano di lui. Corse il forte rischio di essere bocciato
a un circolo del West End, al quale la sua nascita e la sua
posizione sociale gli davano tutti i titoli per essere ammesso; e
una volta corse voce che, essendo stato introdotto da un amico
nella sala da fumo del Churchill, il duca di Berwick e un altro
gentiluomo si alzarono con ostentazione e uscirono dalla stanza.
Dopo che ebbe superato i ventotto anni, sul suo conto cominciarono
a circolare delle storie curiose. Si disse che era stato visto in
rissa con dei marinai stranieri in un'ignobile taverna nelle parti
pi? remote di Whitechapel, e che frequentava ladri e falsari e
conosceva i misteri del loro mestiere. Le sue inesplicabili
assenze divennero notorie; e quando riappariva in societ?, in
qualche angolo c'erano alcuni che si sussurravano qualche cosa
all'orecchio oppure gli passavano vicino sogghignando o lo
guardavano con occhio freddo e indagatore, come se fossero decisi
a scoprire il suo segreto.
A simili insolenze, a simili tentativi di umiliarlo egli,
naturalmente, non prestava la minima attenzione; e nel pensiero
dei pi? le sue maniere franche e bonarie, il suo incantevole
sorriso di adolescente, la grazia infinita di quella miracolosa
giovinezza che sembrava non abbandonarlo mai, costituivano di per
s? una risposta adeguata alle calunnie, come loro le
qualificavano, messe in circolazione sul suo conto. Si osservava
per? che dopo qualche tempo quelli che erano stati pi? intimi con
lui sembravano evitarlo. Donne che lo avevano adorato
freneticamente e che per amor suo avevano affrontato tutte le
censure della societ? e sfidato tutte le convenzioni erano viste
impallidire di vergogna e di orrore quando Dorian Gray entrava
nella stanza.
Ma agli occhi di molti, questi scandali sussurrati non avevano
altro effetto che quello di aumentare il suo fascino strano e
pericoloso. La sua grande ricchezza costituiva un certo elemento
di sicurezza; poich? la societ?, o almeno la societ? civilizzata,
non ? mai molto portata a credere a qualcosa di male sul conto di
quelli che sono insieme ricchi e affascinanti. Sente
istintivamente che le buone maniere sono pi? importanti della
moralit? e attribuisce molto meno valore alla pi? alta
rispettabilit? che al possesso di un buon cuoco. Del resto, dopo
tutto, sentirsi dire che l'uomo che ci ha offerto un cattivo
pranzo e un vino scadente ? irreprensibile nella vita privata
costituisce una ben magra consolazione. Come ebbe a dire una volta
Lord Henry nel corso di una discussione su questo argomento, non
bastano neanche le virt? cardinali a compensare una portata
servita appena tiepida; e forse in favore di questa sua teoria ci
sarebbe non poco da dire, poich? i canoni della buona societ?
sono, o dovrebbero essere, identici ai canoni dell'arte. La forma
ha per essa un'importanza addirittura essenziale; dovrebbe
accordare l'insincerit? dei personaggi di un dramma romantico con
lo spirito e con la bellezza che rendono quei drammi cos?
deliziosi per noi. L'insincerit? ? proprio una cosa tanto
terribile? Non credo. E' soltanto un metodo che ci serve a
moltiplicare la nostra personalit?.
Cos? almeno pensava Dorian Gray. La psicologia superficiale che
concepisce l'Io nell'uomo come una cosa semplice, permanente,
degna di fiducia e unica nella sua essenza, lo sorprendeva. Per
lui l'uomo era una creatura con miriadi di vite e miriadi di
sensazioni, una creatura complessa e multiforme, che portava in s?
strane eredit? di pensiero e di passioni e la cui carne stessa era
infettata dalle mostruose malattie dei morti. Gli piaceva
passeggiare per la scura e fresca galleria di quadri della sua
casa di campagna guardando i ritratti di coloro il cui sangue
scorreva nelle sue vene. C'era Philip Herbert, descritto da
Francis Osborne nelle sue "Memoires on the Reigns of Queen
Elizabeth and King James" come uno che era "accarezzato dalla
Corte per il suo bel viso, che non dur? a lungo". La vita che lui
conduceva a volte era forse la vita del giovine Herbert? Qualche
strano germe velenoso si era forse insinuato da un corpo
nell'altro fino a raggiungere il suo? Era stata la sensazione
oscura della bellezza deteriorata di quell'uomo a fargli esprimere
tanto improvvisamente e quasi senza motivo, nello studio di Basil
Hallward, la folle preghiera che aveva tanto radicalmente mutato
la sua esistenza? C'era il Sir Anthony Sherard, col giubbetto
d'oro, la sopravveste ingioiellata, il collo e i manichini orlati
d'oro e l'armatura argentea e nera ammucchiata ai Piedi. Che cosa
aveva ereditato da quest'uomo? L'amante di Giovanna di Napoli gli
aveva forse trasmesso un'eredit? di peccato e di vergogna? I suoi
atti erano forse soltanto i sogni che quel morto non aveva osato
tradurre in realt?? Qui, dalla tela scolorita, sorrideva Lady
Elizabeth Devereux, in cappuccio di velo, pettorale di perle e
maniche aperte di color rosa. Nella destra teneva un fiore, mentre
la sinistra stringeva una collana smaltata di rose bianche e
gialle; su un tavolino al suo fianco, un mandolino e una mela;
sulle sue scarpette a punta grandi coccarde verdi. Egli conosceva
la sua vita e le strane storie che si raccontavano a proposito dei
suoi amanti. C'era in lui qualcosa del suo temperamento? Gli occhi
ovali, dalle palpebre pesanti, sembravano guardarlo incuriositi.
Che dire di George Willoughby, coi suoi capelli incipriati e i
suoi nei fantastici? Che aspetto malvagio aveva! Il volto era
scuro e abbronzato e le labbra sensuali sembravano atteggiate a
una smorfia di disdegno. Sulle sue sottili mani gialle,
sovraccariche di anelli, cadevano delicate maniche di pizzo. Era
stato uno degli uomini alla moda del diciottesimo secolo, legato
d'amicizia in giovent? con Lord Ferrars. Che dire del secondo Lord
Beckenham, compagno del Principe Reggente nei suoi giorni pi?
sfrenati, uno dei testimoni del suo matrimonio segreto con la
signora Fitzherbert? Com'era bello e altero, con i suoi ricci
castani e la sua posa insolente! Quali passioni gli aveva
tramandato? Il mondo l'aveva tacciato d'infamia; era stato uno
degli organizzatori delle orge di Carlton House e sul suo petto
brillava la placca della Giarrettiera. Vicino al suo era appeso il
ritratto di sua moglie, una donna pallida, co le labbra sottili,
vestita di nero. Anche il sangue di lei scorreva nelle sue vene.
Come sembrava strano tutto questo! E sua madre, col volto che
ricordava quello di Lady Hamilton e le labbra umide, come se
fossero state spruzzate di vino! Sapeva che cosa aveva ricevuto da
lei: la sua bellezza e la sua passione per la bellezza altrui. Gli
sorrideva nel suo fluente costume di Baccante; i capelli erano
inghirlandati di pampini e il vino purpureo traboccava dalla coppa
che teneva in mano. Nel ritratto l'incarnato si era avvizzito, ma
gli occhi erano ancora meravigliosi per la profondit? e per la
lucentezza del colore e sembravano seguire tutti i suoi passi.
Come li abbiamo nella nostra propria razza, cos? abbiamo antenati
nella letteratura; molti di questi, forse, anche pi? vicini a noi
per tipo e temperamento e certo con un'influenza di cui siamo
ancora pi? assolutamente consapevoli. A volte sembrava a Dorian
Gray che tutta quanta la storia fosse soltanto il racconto della
sua stessa vita, non come l'aveva vissuta negli atti e nelle
circostanze, ma come la sua immaginazione l'aveva creata per lui,
come si era svolta nel suo cervello e nelle sue passioni. Gli
sembrava di averle conosciute tutte, quelle strane e terribili
figure che erano apparse sulla scena del mondo e avevano reso cos?
meraviglioso il peccato e cos? raffinata la malvagit?; gli
sembrava che in modo misterioso le loro vite fossero state una
cosa sola con la sua.
Anche l'eroe del mirabile romanzo che aveva tanto influenzato la
sua vita aveva conosciuto questa curiosa fantasia. Nel settimo
capitolo egli racconta come, incoronato di lauro per proteggersi
dal fulmine, era stato Tiberio e si era seduto in un giardino di
Capri a leggere gli osceni libri elefantini, mentre intorno a lui
si aggiravano nani e pavoni e il flautista imitava burlescamente
l'oscillare dell'incensiere; era stato Caligola, e aveva
gozzovigliato insieme coi fantini dalla giubba verde nelle loro
scuderie e cenato in una mangiatoia d'avorio insieme con un
cavallo dai finimenti ingioiellati; era stato Domiziano, e aveva
vagato per un corridoio con specchi marmorei alle pareti,
guardandosi intorno con gli occhi stravolti, in cerca del
luccicare del pugnale che doveva mettere fine ai suoi giorni,
ammalato di quell'"ennui", di quel "taedium vitae" che prende
coloro ai quali la vita non rifiuta niente; aveva guardato
attraverso uno smeraldo trasparente i rossi macelli del circo, e
poi era stato trasportato in una lettiga di perle e di porpora,
tirata da mule ferrate d'argento, per la Strada delle Melegrane
fino a una Casa Aurea e aveva udito la gente acclamare, al suo
passaggio, Nerone Cesare; era stato Eliogabalo, e si era
imbellettato la faccia, aveva filato la conocchia con le donne e
portato da Cartagine la Luna per unirla in mistiche nozze al Sole.
Dorian rileggeva a pi? riprese questo capitolo fantastico e i due
immediatamente successivi, nei quali, come in curiosi arazzi e in
smalti abilmente lavorati, erano ritratte le forme terribili e
belle di coloro dei quali il vizio, il sangue o la spossatezza
avevano fatto dei mostri o dei pazzi: Filippo duca di Milano, che
uccise la moglie e le tinse le labbra con un veleno scarlatto
affinch? il suo amante potesse succhiare la morte dal morto
oggetto delle sue carezze; Pietro Barbo, il Veneziano, noto come
Paolo Secondo, che nella sua vanit? tent? di assumere il nome di
Formoso e la cui tiara, valutata duecento mila fiorini, era stata
comperata a prezzo di un tremendo peccato; Giovanni Maria
Visconti, che aizzava i cani a dare la caccia agli uomini e il cui
cadavere assassinato fu coperto di rose da una prostituta che
l'aveva amato; il Borgia sul suo cavallo bianco, col Fratricidio
seduto in groppa dietro di lui e col mantello macchiato del sangue
di Perotto; Pietro Riario, il giovane Cardinale Arcivescovo di
Firenze, figlio favorito di Sisto Quarto, la cui bellezza era
simile solo alla sua dissolutezza, che ricevette Eleonora
d'Aragona in un padiglione di seta bianca e cremisina, pieno di
ninfe e di centauri, e indor? un fanciullo perch? potesse servire
al festino come Ganimede o Ila; Ezzelino, la cui melanconia non
conosceva altro rimedio che lo spettacolo della morte, che nutriva
per il sangue rosso la stessa passione che altri nutrono per il
vino rosso e di cui si diceva che fosse figlio del diavolo e
avesse barato giocando ai dadi col padre la propria anima;
Giambattista Cibo, che prese per scherno il nome di Innocenzo,
nelle cui vene torpide un medico ebreo trasfuse il sangue di tre
giovinetti; Sigismondo Malatesta, l'amante di Isotta, Signore di
Rimini, bruciato in effigie a Roma come nemico di Dio e dell'uomo,
che strangol? Polissena con una salvietta e diede a Ginevra d'Este
il veleno in una coppa di smeraldo ed eresse al culto cristiano
una chiesa pagana in onore di una ignominiosa passione; Carlo
Sesto, che aveva adorato la moglie del fratello tanto furiosamente
che un lebbroso lo ammon? della pazzia che stava per coglierlo e
che, quando il suo cervello si ammal? e divent? delirante, poteva
essere placato soltanto per mezzo di carte saracene che portavano
le immagini dell'Amore, della Morte e della Follia; e Grifonetto
Baglioni col suo farsetto trapunto, il berretto gemmato e i ricci
in forma di acanto, che uccise Astorre con la sposa e Simonetto
col suo paggio, e che era di una tale bellezza che quando cadde
morente nella piazza gialla di Perugia coloro che l'avevano odiato
non potevano trattenere le lacrime e Atalanta, che l'aveva
maledetto, lo benedisse.
In tutti costoro c'era un fascino orribile. Egli li vedeva di
notte: e di giorno turbavano la sua immaginazione. Il Rinascimento
conobbe strane maniere di avvelenare, con un elmetto e con una
torcia accesa, con un guanto trapunto e un ventaglio tempestato di
gemme, con una sfera da profumi dorata e con una catena d'ambra.
Dorian Gray era stato avvelenato da un libro. C'erano momenti nei
quali considerava il male semplicemente come un moto attraverso il
quale tradurre in azione la sua concezione del Bello.
Capitolo dodicesimo.
Era il 9 di novembre, vigilia del suo trentottesimo compleanno,
come lui ebbe spesso a ricordare in seguito.
Stava tornando a casa a piedi verso le undici, dalla casa di Lord
Henry dove aveva pranzato, ed era avvolto in una pesante pelliccia
perch? la notte era fredda e nebbiosa. All'angolo di Grosvenor
Square e South Audley Street gli pass? vicino nella nebbia un uomo
che camminava molto in fretta, col bavero del pastrano grigio
rialzato e una valigia in mano. Dorian lo riconobbe: era Basil
Hallward. Fu preso da uno strano, inesplicabile senso di paura.
Non fece nessun segno di averlo riconosciuto e continu?
frettolosamente verso casa.
Hallward per? l'aveva visto; e Dorian lo sent? prima fermarsi sul
marciapiede, poi corrergli dietro e dopo pochi istanti sent? la
sua mano posarglisi sul braccio.
- Dorian, che fortuna straordinaria! Ti ho aspettato nella tua
biblioteca dalle nove in poi, finch? ho avuto compassione del tuo
servitore che era stanco e mi sono fatto accompagnar fuori,
dicendogli di andare a letto. Parto per Parigi col treno di
mezzanotte e desideravo in modo particolare di vederti prima di
partire. Quando mi sei passato vicino, mi ? sembrato che fossi tu,
o piuttosto la tua pelliccia, ma non ero sicuro. Non mi avevi
riconosciuto?
- Con questa nebbia, caro Basil? Quasi quasi non riconosco neppure
Grosvenor Square. Credo che la mia casa debba essere in qualche
posto qui vicino, ma non ne sono affatto sicuro. Mi dispiace che
tu parta, perch? non ti vedo da secoli. Per? tornerai presto?
- No; star? via dall'Inghilterra per sei mesi. Voglio prendere uno
studio a Parigi e chiudermici dentro finch? non avr? terminato un
grande quadro che ho in testa. Non era per? di me stesso che ti
volevo parlare, Dorian. Eccoci a casa tua. Lasciami entrare un
momento: ho qualche cosa da dirti.
- Ne sar? felice. Ma non perderai il treno? - disse Dorian, con
aria indolente, mentre saliva i gradini e apriva la porta con la
chiave.
Il chiarore della lampada riusc? a farsi strada attraverso la
nebbia e Hallward guard? l'orologio.
- Ho un sacco di tempo - rispose. - Il treno non parte che a
mezzanotte e un quarto e sono appena le undici. Anzi quando ti ho
incontrato stavo andando al circolo a cercarti. Sai, non ho
impicci di bagaglio; la roba pesante l'ho spedita e tutto quello
che ho con me ? questa valigetta, e cos? in venti minuti posso
arrivare facilmente alla stazione.
Dorian lo guard? sorridendo. - Bel modo di viaggiare per un
pittore alla moda! Una valigetta e un pastrano! Vieni dentro,
altrimenti la nebbia entra in casa. E bada bene di non parlare di
cose serie. Oggi niente ? serio, o almeno niente dovrebbe essere
serio.
Basil scosse la testa nell'entrare e segu? Dorian nella
biblioteca. Nel grande caminetto aperto bruciava un bel fuoco di
legna; le lampade erano accese e su un tavolino intarsiato c'era
una cassetta olandese da liquori, aperta, qualche sifone di soda e
alcuni grandi bicchieri di vetro molato.
- Come vedi, Dorian, il tuo servitore mi ha messo proprio a mio
agio. Mi ha dato tutto quello che desideravo, comprese le tue
migliori sigarette col bocchino d'oro. E' un uomo che ha il senso
dell'ospitalit? e mi piace molto pi? di quel Francese che avevi
prima. Che ne ? successo del Francese, a proposito?
Dorian scroll? le spalle. - Credo che abbia sposato la cameriera
di Lady Radley e le abbia aperto a Parigi un negozio di sartoria
inglese. L? attualmente, a quanto mi dicono, l'anglomania fa
furore. Sembra un po' stupido da parte dei Francesi, non ti pare?
Per?, sai, come domestico non era affatto cattivo. A me non
piacque mai; per? non c'era niente di cui potessi lagnarmi. Spesso
ci immaginiamo delle cose che sono perfettamente assurde. Mi era
veramente molto affezionato e quando se ne and? sembrava molto
afflitto. Vuoi un altro brandy e soda o preferisci del vino del
Reno con selz? E' quello che prendo sempre io, e nella stanza
vicina ce ne deve essere di certo.
- Grazie, non prendo altro - disse il pittore, togliendosi
cappello e pastrano e gettandoli sulla valigia che aveva
depositato in un angolo. - E ora, mio caro, ti devo parlare
seriamente. Non fare quella faccia accigliata; mi rendi le cose
molto pi? difficili.
- Di che si tratta? - chiese Dorian, con la sua aria arrogante,
lasciandosi cadere sul divano. - Spero che non si tratti di me.
Stasera sono stanco di me stesso e vorrei essere qualcun altro.
- Si tratta di te - rispose Hallward con la sua voce grave e
profonda, - e io devo dirtelo. Non durer? pi? di mezz'ora.
Dorian sospir?, accese una sigaretta e mormor?: - Mezz'ora!
- Non mi sembra che sia chiederti molto, Dorian, e se parlo ?
soltanto per amor tuo. Mi pare giusto che tu sappia che a Londra
si stanno dicendo contro di te le cose pi? spaventose.
- Non voglio saperne niente. Adoro gli scandali degli altri; ma
quelli che riguardano me non mi interessano: non hanno il fascino
della novit?.
- Debbono interessarti, Dorian. Ogni gentiluomo ? interessato al
proprio buon nome, e tu non vorresti che si parlasse di te come di
un individuo turpe e ignobile. Tu, naturalmente, hai la tua
posizione, la tua ricchezza e tutto il resto; ma posizione e
ricchezza non sono tutto. Bada che io non credo per niente a
queste voci, o almeno non posso crederci quando ti vedo. Il
peccato ? una cosa che si scrive sul viso di un uomo e non pu?
restare celato. La gente parla a volte di vizi segreti. Non esiste
niente di simile. Se uno sciagurato ha un vizio, questo si rivela
nella linea della bocca, nella pesantezza delle palpebre e perfino
nella sagoma delle mani. L'anno scorso un tale (non ne dico il
nome, ma tu lo conosci) venne da me per farsi fare il ritratto.
Non l'avevo mai visto prima e non ne avevo mai sentito parlare
fino ad allora, bench? da allora in poi ne abbia sentito parlare
molto. Mi offr? un prezzo stravagante, ma io rifiutai perch? nella
forma delle sue dita c'era qualcosa che mi era odiosa. Ora so che
avevo perfettamente ragione in quello che avevo immaginato sul suo
conto; la vita che conduce ? terribile. Ma tu, caro Dorian, con la
tua faccia pura, aperta, innocente e la tua giovent? mirabilmente
intatta non posso credere niente contro di te. Eppure ti vedo
molto di rado; allo studio non ci vieni pi?, e quando sono lontano
da te e sento tutte queste cose orribili che la gente va
mormorando sul tuo conto non so che cosa dire. Come mai, Dorian,
un uomo come il duca di Berwick esce dalla sala di un circolo
quando c'entri tu? Come mai ci sono tanti gentiluomini a Londra
che non vengono a casa tua e non t'invitano mai a casa loro? Un
tempo eri amico di Lord Staveley. La settimana scorsa l'ho
incontrato a un pranzo. Accadde che il tuo nome venisse menzionato
nel corso della conversazione, a proposito delle miniature che hai
prestato all'esposizione al Dudley. Staveley fece una smorfia e
disse che tu potevi avere il massimo gusto artistico, ma eri un
uomo che a nessuna ragazza perbene dovrebbe essere permesso di
conoscere e col quale nessuna donna onesta dovrebbe trovarsi
seduta nella stessa stanza. Gli ricordai che ero amico tuo e gli
chiesi che cosa intendesse dire. Me lo disse: me lo disse chiaro e
tondo davanti a tutti: era orribile. Perch? la tua amicizia riesce
cos? fatale ai giovani? C'era quello sciagurato ragazzo della
Guardia che si suicid?: tu eri suo grande amico. C'era Sir Henry
Ashton, che fu costretto a partire dall'Inghilterra con un nome
infamato: tu e lui eravate inseparabili. E Adrian Singleton e la
sua fine tremenda? E il figlio unico di Lord Kent e la sua
carriera? Ieri ho incontrato suo padre in Saint James Street;
sembrava disfatto dalla vergogna e dal dolore. E il giovane duca
di Perth? Che razza di vita ? la sua attualmente? Qual ? il
gentiluomo disposto a frequentarlo?
- Basta, Basil. Stai parlando di cose delle quali non sai niente,
- disse Dorian Gray, mordendosi il labbro, con una nota di
infinito disprezzo nella voce. - Mi chiedi perch? Berwick esce
dalla stanza quando c'entro io: ? perch? io so tutto della sua
vita, non perch? egli sappia qualcosa della mia. Col sangue che ha
nelle vene, come potrebbe avere dei precedenti puliti? Mi chiedi
di Henry Ashton e del giovane Perth. Sono forse io che ho
insegnato i suoi vizi all'uno e il suo libertinaggio all'altro? Se
quell'imbecille del figlio di Kent va a cercarsi una moglie sul
marciapiede ? forse cosa che mi riguarda? Se Adrian Singleton
scrive su una cambiale il nome di un suo amico, sono io forse il
suo guardiano? So bene quanto chiacchiera la gente in Inghilterra.
Le classi borghesi, intorno alle loro volgari tavole da pranzo,
sbandierano i loro pregiudizi morali e mormorano sul conto di
quelli che chiamano la dissipazione della gente migliore di loro
per darsi l'aria di appartenere alla buona societ? e di essere
intimi delle persone che calunniano. In questo paese basta che un
uomo abbia un po' di distinzione e d'intelligenza perch? tutte le
lingue volgari gli si scatenino contro. E che razza di vita fanno
poi quelli che si atteggiano a moralisti? Caro amico, tu
dimentichi che questa ? la patria dell'ipocrisia.
- Dorian - esclam? Hallward, - la questione ? un'altra.
L'Inghilterra ha i suoi difetti, lo so, e la societ? inglese ?
tutta quanta fuori strada. Ma ? per questa ragione che desidero
che tu sia una persona come si deve, e tu non lo sei stato. Si ha
il diritto di giudicare un uomo in base all'effetto che produce
sui propri amici. Sembra che i tuoi perdano ogni senso dell'onore,
di bont?, di purezza. Tu hai istillato in loro la follia del
piacere e se sono sprofondati nell'abisso sei tu che ce li hai
portati. S?, ce li hai condotti, eppure puoi sorridere come stai
sorridendo in questo momento. Ma c'? anche di peggio. So che tu e
Harry siete inseparabili. Almeno per questo motivo, se non per
altro, non avresti dovuto rendere proverbiale il nome di sua
sorella.
- Basil, attento. Stai andando un po' troppo lontano.
- Io devo parlare e tu devi ascoltarmi e mi ascolterai. Quando tu
facesti la conoscenza di Lady Gwendolen il pi? piccolo soffio di
scandalo non l'aveva mai sfiorata. Ora c'? forse a Londra una sola
donna rispettabile che uscirebbe con lei in carrozza nel Parco? Se
nemmeno ai suoi bambini ? stato permesso di vivere con lei! E poi
ci sono altre storie: di come sei stato visto uscire fuori
all'alba da certe case orribili e penetrare travestito nei covi
pi? luridi di Londra. Sono vere, possono essere vere queste
storie? Quando le sentii per la prima volta mi misi a ridere;
adesso quando le sento mi fanno rabbrividire. E la tua casa di
campagna, e la vita che vi si conduce? Dorian, tu non sai quello
che si dice di te. Non ti dir? che non voglio farti una predica.
Mi ricordo che Henry disse una volta che chiunque vuole
trasformarsi in un curato dilettante comincia con il dire cos? per
un momento e passa immediatamente a violare la sua promessa. Io
voglio farti la predica; voglio che tu faccia una vita che ti
assicuri il rispetto di tutti, che tu ti liberi delle persone
spaventose che frequenti. Non alzare le spalle in quel modo; non
fare l'indifferente. Tu possiedi un'influenza meravigliosa;
esercitala per il bene e non per il male. Dicono che corrompi
tutti quelli di cui diventi intimo e che basta che tu entri in una
casa perch? ti segua, in una forma qualsiasi, la vergogna. Se sia
cos? o no, io non lo so: e come potrei saperlo? Ma questo si dice
di te. Mi hanno raccontato cose che ? impossibile mettere in
dubbio. Lord Gloucester era uno dei miei pi? grandi amici a
Oxford. Mi ha fatto vedere una lettera che sua moglie gli scrisse
mentre era morente, e sola, nella sua villa di Mentone. Il tuo
nome era menzionato nella pi? tremenda confessione che io abbia
mai letto. Gli ho detto che era una cosa assurda, che ti conoscevo
a fondo e che eri incapace di azioni di questo genere. Conoscerti?
Mi chiedo se ti conosco davvero. Per poter rispondere a questa
domanda bisognerebbe che vedessi la tua anima.
- Vedere la mia anima! - mormor? Dorian Gray, alzandosi dal sof?,
pallidissimo di spavento.
- S? - rispose gravemente Hallward, con un tono di profonda
afflizione nella voce, - vedere la tua anima; ma questo pu? farlo
solo Dio.
Dalle labbra del giovine proruppe un'amara risata di scherno.
- La vedrai tu stesso, stasera! - grid?, afferrando un lume che
era sulla tavola. - Vieni: ? opera tua, e perch? non dovresti
guardarla? Dopo, se ti fa piacere, potrai raccontarlo al mondo;
nessuno ti creder?. Se ti credessero mi vorrebbero ancora pi?
bene; io conosco la nostra epoca meglio di te, nonostante che tu
ne parli in modo cos? noioso. Vieni, ti dico. Hai chiacchierato
abbastanza a proposito di corruzione; ora la vedrai in faccia.
In ogni parola che pronunciava vibrava la follia dell'orgoglio.
Batteva il piede in terra col suo modo insolente e fanciullesco e
provava una gioia terribile all'idea che qualcun altro stava per
condividere il suo segreto e che l'uomo che aveva dipinto quel
ritratto, origine di tutte le sue vergogne, sarebbe stato oppresso
per tutto il resto dei suoi giorni al ricordo ripugnante di ci?
che aveva fatto.
- S? - aggiunse, venendogli pi? vicino e guardandolo fisso nei
suoi occhi severi, - ti mostrer? la mia anima. Vedrai ci? che tu
immagini che Dio solo possa vedere.
Hallward ebbe un sussulto.
- Questa ? una bestemmia, Dorian - grid?. - Non devi dire cose
come queste. Sai che per te io sono sempre stato un amico fedele.
- Non mi toccare. Finisci quel che hai da dire.
Sul volto del pittore pass? come un lampo sinuoso di pena. Si
ferm? un attimo e fu preso da un senso violento di compassione.
Dopo tutto, che diritto aveva mai di indagare sulla vita di Dorian
Gray? Anche se questi aveva fatto solo la decima parte di quello
che gli veniva attribuito, quanto doveva aver sofferto! Poi si
irrigid?, and? verso il caminetto e si ferm? a guardare i ceppi
che bruciavano, con le loro ceneri nivee e le loro palpitanti
anime di fiamma.
- Sto aspettando, Basil - disse il giovine con voce dura e chiara.
Egli si gir?. - Quello che ho da dire ? questo - esclam?. - Tu
devi darmi una risposta a quelle orribili accuse mosse contro di
te. Se mi dici che sono assolutamente false da cima a fondo ti
creder?. Negale, Dorian, negale! Non vedi che cosa sto
attraversando? Mio Dio! Non dirmi che sei malvagio, corrotto,
ignobile!
Dorian Gray sorrise e le sue labbra si atteggiarono al disprezzo.
- Vieni di sopra, Basil - disse calmo. - Io tengo giorno per
giorno un diario della mia vita che non esce mai dalla stanza
nella quale ? scritto. Se vieni con me te lo far? vedere.
- Dorian, verr? con te, se lo desideri. Vedo che ho perso il
treno, ma poco male; posso partire domani. Ma stasera non mi
chiedere di leggere niente; non desidero altro che una risposta
aperta alla mia domanda.
- L'avrai di sopra; qui non potrei dartela. Non avrai da leggere a
lungo.
Capitolo tredicesimo.
Usc? dalla stanza e cominci? a salire; Basil Hallward gli tenne
dietro.
Camminavano senza far rumore, come si fa istintivamente di notte.
La lampada proiettava ombre fantastiche sul muro e sulla scala. Il
vento che stava alzandosi fece sbattere qualche finestra.
Quando furono all'ultimo piano, Dorian pos? in terra la lampada,
estrasse la chiave e la fece girare nella toppa. Chiese,
sottovoce:
- Insisti davvero per sapere, Basil?
- S?.
- Ne sono felice - rispose lui, sorridendo; poi aggiunse, con una
certa spietatezza:
- Sei l'unico uomo al mondo che abbia il diritto di sapere tutto
sul mio conto, perch? con la mia vita hai avuto a che fare molto
di pi? di quanto tu non creda.
Riprese il lume, apr? la porta ed entr?. Una corrente d'aria
fredda li invest? e il lume, per un attimo, si contrasse in una
fiammella di arancione scuro.
- Chiuditi dietro la porta - sussurr?, posando la lampada sulla
tavola.
Hallward diede un'occhiata in giro, con un'espressione
incuriosita. La stanza sembrava disabitata da anni. Un arazzo
fiammingo scolorito, un quadro coperto da un velario, un cassone
italiano antico, ecco tutto quello che pareva contenere, oltre a
una sedia e a un tavolino. Mentre Dorian Gray stava accendendo una
candela consumata a met? posata sul caminetto, vide che tutta la
stanza era coperta di polvere e che il tappeto era tutto buchi. Un
topo spaurito corse a rifugiarsi dietro i pannelli di legno. C'era
un odore umido di muffa.
- Dunque tu credi che Dio solo veda l'anima, Basil? Tira via
quella tenda e vedrai la mia.
La voce che parlava era fredda e crudele.
- Dorian - mormor? Hallward, accigliato, - sei matto o fai la
commedia?
- Non vuoi farlo? Allora bisogner? che lo faccia io - disse il
giovine e strapp? dalla bacchetta la tenda, gettandola in terra.
Un'esclamazione di orrore usc? dalle labbra del pittore, quando
vide, in quella fioca luce, il viso ripugnante che gli sogghignava
dalla tela. Nell'espressione di questo c'era qualche cosa che lo
riemp? di disgusto e di schifo. Gran Dio! era la faccia stessa di
Dorian quella che stava guardando! Quell'orrore, qualunque esso
fosse, non aveva per? interamente distrutto quella mirabile
bellezza; nei capelli diradati c'era ancora un po' d'oro e sulla
bocca sensuale un po' di scarlatto; gli occhi deturpati avevano
conservato un bel po' della dolcezza del loro azzurro; le nobili
curve non erano ancora completamente scomparse da quelle narici
cesellate e da quel collo plastico. S?, era Dorian in persona; ma
chi l'aveva fatto? Gli sembrava di riconoscere la sua pennellata e
la cornice era quella disegnata da lui. Era un pensiero mostruoso,
eppure si sent? spaventato. Prese la candela accesa e l'avvicin?
al ritratto. Nell'angolo di sinistra c'era il suo nome, tracciato
in lunghe lettere di un vermiglio chiaro.
Era una sporca parodia, una satira infame, ignobile. Non l'aveva
fatto lui, eppure era il suo quadro, lo sapeva; e gli sembr? che
in un attimo il suo sangue non fosse pi? di fuoco, ma di ghiaccio
inerte. Il suo quadro? Che significava? Perch? si era alterato? Si
gir? e guard? Dorian Gray con gli occhi di un uomo ammalato; la
sua bocca si contorse e la sua lingua arida sembr? incapace di
articolare una parola. Passandosi la mano sulla fronte la sent?
madida di un sudore appiccicoso.
Il giovine, appoggiato al caminetto, lo guardava con
quell'espressione che si vede a volte nel viso di coloro che sono
assorti in un dramma interpretato da un grande attore. In essa non
c'era n? vera gioia n? vero dolore, ma semplicemente la passione
dello spettatore e forse un bagliore di trionfo negli occhi. Si
era tolto il fiore dall'occhiello e lo annusava, o fingeva di
annusarlo.
- Che significa questo? - grid? finalmente Hallward. La sua voce
suon? stranamente stridula ai suoi stessi orecchi.
- Anni fa, quand'ero un ragazzo - disse Dorian Gray schiacciando
il fiore nel cavo della mano, - tu mi conoscesti, mi adulasti e mi
insegnasti a essere vano della mia bellezza. Un giorno mi
presentasti a un tuo amico, che mi spieg? il miracolo della
giovinezza, e tu finisti il mio ritratto, che mi rivel? il
miracolo della bellezza. In un momento di pazzia, del quale non
posso dire neppure adesso se lo deploro o no, io espressi un
desiderio, o forse preferisci chiamarlo preghiera...
- Lo ricordo! oh, come lo ricordo bene! Ma no, la cosa ?
impossibile. La stanza ? umida, la muffa deve essere penetrata
nella tela, oppure i colori che adoperavo contenevano qualche
sciagurato veleno minerale. Ti dico che ? una cosa impossibile.
- Ah, che cosa ? impossibile? - mormor? il giovine, andando alla
finestra e premendo la fronte contro il vetro freddo, appannato
dalla nebbia.
- Mi dicesti che l'avevi distrutto.
- Avevo sbagliato. E' questo che ha distrutto me.
- Non credo che sia il mio ritratto.
- Non ci ritrovi il tuo ideale? - disse Dorian, amaro.
- Il mio ideale, come tu lo chiami...
- Come tu lo chiamavi.
- In esso non c'era niente di malvagio o di ripugnante. Tu per me
eri un ideale come non mi sar? mai pi? dato d'incontrare. Questa ?
la faccia di un satiro.
- E' la faccia della mia anima.
- Dio! che cosa avevo dunque adorato! Gli occhi sono gli occhi di
un diavolo.
- Basil, ognuno di noi porta in se stesso il cielo e l'inferno
esclam? Dorian con un gesto furioso di disperazione.
Hallward si gir? di nuovo verso il ritratto e lo riguard?.
- Dio mio! - disse - se ? vero, e se questo ? quello che tu hai
fatto della tua vita, allora devi essere anche peggiore di quello
che si immaginano coloro che parlano male di te!
Torn? ad avvicinare il lume alla tela e la esamin?. La superficie
sembrava del tutto inalterata, come lui l'aveva lasciata;
evidentemente la bruttura e l'orrore provenivano dall'interno.
Attraverso una strana accelerazione della vita interiore, la
lebbra del peccato stava divorandolo lentamente, e il disfacimento
di un cadavere in una tomba umida non era ugualmente spaventoso.
La mano gli trem? e la candela cadde dal candeliere sul pavimento,
dove rimase scoppiettante. La spense posandovi il piede sopra, poi
si lasci? cadere sulla sedia malferma posta vicino al tavolino e
si nascose il volto tra le mani.
- Buon Dio, che lezione, che tremenda lezione! - Non ottenne
risposta; ma poteva sentire il giovane singhiozzare vicino alla
finestra. - Prega, Dorian, prega - mormor?. - Che cosa ci hanno
insegnato a dire da bambini? "Non ci indurre in tentazione;
perdonaci i nostri peccati; mondaci delle nostre iniquit?."
Diciamo insieme queste parole. La preghiera del tuo orgoglio ?
stata esaudita; quella del tuo pentimento sar? forse esaudita. Ti
adoravo troppo e ne siamo stati entrambi puniti.
Dorian Gray si gir? lentamente e lo guard? cogli occhi imperlati
di lacrime. - E' troppo tardi, Basil - balbett?.
- Non ? mai troppo tardi, Dorian. Mettiamoci in ginocchio e
vediamo se possiamo ricordarci una preghiera. Non c'? in qualche
punto un versetto che dice: "Per quanto scarlatti siano i tuoi
peccati, io li render? candidi come la neve"?
- Ormai per me queste parole non significano pi? niente.
- Taci! non parlare cos?. Il male che hai gi? fatto nella tua vita
? sufficiente. Mio Dio, ma non vedi quella cosa maledetta che
sogghigna verso di noi?
Dorian Gray guard? il ritratto e immediatamente lo prese un senso
incontrollabile di odio contro Basil Hallward, come se glielo
avesse suggerito l'immagine sulla tela, come se glielo avessero
sussurrato all'orecchio quelle labbra ghignanti. Diede una rapida
occhiata in giro. Lo sguardo gli cadde su qualche cosa che
luccicava sul cassone dipinto che gli stava di fronte. Sapeva
cos'era. Era un coltello che aveva portato con s? qualche giorno
prima per tagliare un pezzo di corda e che si era dimenticato di
riportare via. Si mosse lentamente in quella direzione, passando
accanto a Hallward. Appena fu dietro di lui l'afferr? e si gir?.
Hallward si muoveva sulla sedia come se fosse sul punto di
alzarsi. Gli fu sopra e affond? il coltello nella grande vena che
sta dietro l'orecchio, premendo in gi? sul tavolino la testa
dell'uomo e vibrando un colpo dopo l'altro.
Ci fu un gemito soffocato e il suono orribile di chi affoga nel
sangue. Le braccie tese si alzarono convulsamente tre volte,
agitando nell'aria le mani con le dita contratte in maniera
grottesca. Gli inferse altri due colpi, ma l'uomo non si mosse.
Qualche cosa cominciava a gocciolare sul pavimento. Aspett? ancora
un momento, continuando a premere la testa all'ingi?, poi gett? il
coltello sul tavolino e rimase in ascolto.
Non sent? niente, eccetto quel rumore di gocce che cadevano sul
tappeto logoro. Apr? la porta e usc? sul pianerottolo. In casa il
silenzio era completo; nessuno si muoveva. Rimase chino per
qualche secondo sulla ringhiera, frugando in gi? con lo sguardo
quel pozzo di oscurit?, nero di tenebre; poi tir? fuori la chiave,
ritorn? nella stanza e vi si chiuse dentro.
Ancora seduto sulla sedia e allungato sul tavolino, con la testa
china, il dorso incurvato e braccia di una lunghezza fantastica,
se non fosse stato per quel buco rosso e slabbrato sulla nuca e
per la pozza nera e grumosa che andava lentamente allargandosi sul
tavolino, si sarebbe potuto dire che l'uomo fosse semplicemente
addormentato.
Come tutto si era svolto in un lampo! Si sentiva stranamente
calmo; and? alla finestra, l'apr? e usc? sul balcone. Il vento
aveva spazzato la nebbia e il cielo era come una mostruosa coda di
pavone costellata di miriadi di occhi d'oro. Guardando in gi? vide
la guardia in perlustrazione che proiettava sulle porte delle case
silenziose il lungo raggio della sua lanterna. La macchia violacea
di una vettura in cammino comparve sull'angolo, poi svan?. Una
donna con uno scialle svolazzante camminava lentamente presso le
cancellate, barcollando; di tanto in tanto si fermava e si
guardava indietro; a un tratto cominci? a cantare, con voce rauca.
La guardia le si avvicin? e le disse qualcosa, e lei, con una
risata, riprese il suo incerto cammino. Un vento freddo spazzava
la piazza; le luci del gas oscillavano e diventavano turchine e
gli alberi spogli agitavano qua e in l? i rami che sembravano di
ferro nero. Rabbrivid? e torn? dentro chiudendosi dietro la
finestra.
Arrivato alla porta gir? la chiave e l'apr?. Non diede neppure
un'occhiata all'uomo assassinato. Ebbe la sensazione che tutto il
segreto della cosa stava nel non rendersi conto della situazione.
L'amico che aveva dipinto il fatale ritratto al quale era dovuta
tutta la sua miseria, era uscito dalla sua vita: nient'altro.
Poi gli venne in mente la lampada. Era piuttosto curiosa, un
lavoro moresco d'argento opaco, damaschinato di arabeschi di
acciaio brunito, tempestato di rozze turchesi. Forse il servitore
ne avrebbe notato la mancanza e avrebbe fatto delle domande. Esit?
un attimo, poi torn? indietro e la prese dal tavolo. Non pot? non
vedere quella cosa morta. Come era immobile! Come sembravano
orribilmente bianche le mani! Sembrava una spaventosa figura di
cera.
Dopo essersi chiusa la porta alle spalle, scese tranquillamente da
basso. Il legno degli scalini scricchiolava e sembrava gemere di
dolore. Si ferm? parecchie volte, in attesa, ma tutto era
tranquillo; non era che il rumore dei suoi passi. Giunto nella
biblioteca, vide nell'angolo la valigia e il pastrano. Bisognava
nasconderli in qualche posto. Apr? un ripostiglio segreto posto in
un pannello della parete, un ripostiglio nel quale custodiva i
propri curiosi travestimenti e ve li chiuse dentro. Gli sarebbe
stato facile bruciarli pi? tardi. Poi tir? fuori l'orologio. Erano
le due e venti.
Si sedette e cominci? a riflettere. Ogni anno, quasi ogni mese, in
Inghilterra c'erano degli uomini che venivano impiccati per quello
che aveva fatto lui. C'era stata una follia omicida nell'aria;
qualche stella rossa si era avvicinata troppo alla terra. Ma che
prove c'erano contro di lui? Basil Hallward era uscito da quella
casa alle undici e nessuno l'aveva visto rientrare; la servit? era
quasi tutta a Selby Royal e il suo domestico era andato a letto...
Parigi! S?, Basil Hallward era andato a Parigi col treno di
mezzanotte, come ne aveva espresso l'intenzione. Date le sue
curiose abitudini di riservatezza, prima che nascesse un sospetto
sarebbero passati dei mesi. Mesi! Serviva molto meno tempo per
distruggere ogni cosa.
Un'idea gli balen? di colpo alla mente. Indoss? la pelliccia, si
mise in testa il cappello e usc? nell'ingresso. Qui si ferm?
perch? sentiva di fuori, sul marciapiede, il passo pesante della
guardia e vedeva riflettersi sulle finestre il chiarore della sua
lanterna. Aspett?, trattenendo il respiro.
Dopo un po' tir? indietro il saliscendi e sgusci? fuori,
chiudendosi dietro pianissimo la porta, poi cominci? a suonare il
campanello. Dopo circa cinque minuti apparve il domestico, mezzo
vestito e con un'aria molto assonnata.
- Mi spiace di avervi svegliato, Francis - disse entrando, - ma
avevo dimenticato la chiave. Che ore sono?
- Le due e dieci, signore - rispose l'uomo, guardando l'orologio a
pendolo e battendo le palpebre.
- Le due e dieci! Com'? tardi! Domani mattina mi dovete svegliare
alle nove; ho qualche cosa da fare.
- Benissimo, signore.
- E' venuto nessuno stasera?
- S?, il signor Hallward. E' rimasto fino alle undici e poi se ne
? andato per prendere il treno.
- Oh, mi dispiace di non averlo visto. Ha lasciato detto qualche
cosa?
- Nossignore, soltanto che se non vi trovava al circolo vi avrebbe
scritto da Parigi.
- Va bene. Non dimenticate di chiamarmi domani mattina alle nove.
- Nossignore.
L'uomo, in pantofole, scivol? gi? nel corridoio.
Dorian Gray gett? cappello e pastrano sulla tavola ed entr? nella
biblioteca. Passeggi? su e gi? per la stanza per un quarto d'ora,
mordendosi le labbra e riflettendo; poi prese da uno degli
scaffali il libro degli indirizzi e cominci? a sfogliarlo. "Alan
Campbell, 152, Hertford Street, Mayfair." S?, era quello l'uomo
che gli serviva.
Capitolo quattordicesimo.
La mattina dopo, alle nove, il servitore entr? portando su un
vassoio una tazza di cioccolata e apr? le persiane. Steso sul
fianco destro, con una mano sotto la guancia, Dorian dormiva
tranquillissimo e sembrava un ragazzino stanco del gioco o dello
studio.
Il domestico dovette toccarlo sulla spalla due volte, prima che si
svegliasse; e quando apr? gli occhi pass? sulle sue labbra un vago
sorriso, come se egli fosse stato perduto in un sogno delizioso.
Invece non aveva sognato affatto; il suo sonno non era stato
turbato da nessuna immagine n? gradevole n? penosa; ma la giovent?
sorride senza nessun motivo, ed ? questa una delle sue maggiori
attrattive.
Si gir? e, appoggiandosi al gomito, cominci? a sorseggiare la
cioccolata. Il mite sole di novembre riempiva la camera, il cielo
era sereno e c'era nell'aria un piacevole tepore. Pareva quasi una
mattinata di maggio.
A poco a poco, con gambe silenziose e insanguinate, gli
avvenimenti della notte precedente si insinuarono nel suo
cervello, dove si ricostruirono con una spaventosa nitidezza. Il
ricordo di tutto quello che aveva sofferto lo fece riscuotere e
per un attimo torn? a invaderlo lo stesso curioso sentimento di
odio contro Basil Hallward che lo aveva spinto a ucciderlo mentre
stava seduto sulla sedia. Si sent? gelare dall'ira. Inoltre c'era
il morto, ancora seduto lass?; adesso, anzi, alla luce del sole.
Che orrore! Cose cos? ripugnanti erano fatte per l'oscurit?, non
per il giorno.
Ebbe la sensazione che se continuava a rimuginare sull'accaduto
avrebbe finito con l'ammalarsi o con l'impazzire. Il fascino di
certi peccati sta pi? nel ricordarli che nel commetterli; sono
strani trionfi che soddisfano l'orgoglio pi? che le passioni e
procurano all'intelletto una pi? vivace sensazione di gioia, pi?
intensa di qualunque gioia che hanno procurato o che potrebbero
procurare ai sensi; ma questo non rientrava in quella categoria.
Era una cosa che bisognava cacciare dalla testa, drogare con
l'oppio, strangolare per non esserne strangolati.
Quando suon? la mezza, si pass? la mano sulla fronte, poi si alz?
in fretta e si vest? con cura anche maggiore del solito, mettendo
un'attenzione particolare nella scelta della cravatta e della
spilla e cambiando pi? volte anelli. Si intrattenne a lungo anche
a colazione, assaggiando i diversi piatti, parlando col domestico
di certe livree nuove che pensava di far fare per la servit? di
Selby e leggendo la sua corrispondenza. Alcune lettere lo fecero
sorridere, altre lo infastidirono. Una la lesse diverse volte, poi
la stracci? con una lieve espressione di noia. "Che cosa tremenda,
la memoria di una donna!", come una volta aveva detto Lord Henry.
Dopo aver preso una tazza di caff? nero, si asciug? lentamente le
labbra col tovagliolo, fece cenno al servitore di aspettare e si
sedette alla scrivania a scrivere due lettere. Se ne mise in tasca
una e diede l'altra al domestico.
- Francis, portatela subito al numero 152 di Hertford Street e se
il signor Campbell non ? in citt? fatevi dare il suo indirizzo.
Rimasto solo, accese una sigaretta e inizi? a disegnare su un
foglio di carta, prima dei fiori e dei motivi architettonici, poi
dei volti umani. Di colpo si accorse che tutte le facce che
disegnava sembravano avere una somiglianza fantastica con quella
di Basil Hallward. Aggrott? le sopracciglia, si alz?, and? a uno
scaffale e prese un volume, a caso. Era deciso a non pensare a
quello che era accaduto, prima che il pensarvi fosse assolutamente
necessario.
Si stese sul divano e guard? il frontespizio del libro. Erano gli
"Emaux et Cam?es" del Gautier, nell'edizione dello Charpentier su
carta del Giappone, con i disegni del Jacquemart. La rilegatura
era in pelle color limone, con un disegno a graticcio dorato,
punteggiato di melograne. Gliel'aveva regalato Adrian Singleton.
Sfogliando il libro, gli cadde sotto gli occhi la poesia sulla
mano di Lacenaire, la mano gialla e fredda "du supplice encore mal
lav?e", col suo vello di peli rossicci e i suoi "doigts de faune".
Si guard? le dita bianche e affusolate, rabbrivid? leggermente suo
malgrado e pass? oltre, finch? arriv? a quelle belle strofe su
Venezia.
Sur une gamme chromatique,
Le sein de perles ruisselant,
Le V?nus de l'Adriatique
Sort de l'eau son corps rose et blanc.
Les domes, sur l'azur des ondes
Suivant la phrase au pur contour
S'enflent comme des gorges rondes
Que soul?ve un soupir d'amour.
L'esquif aborde et me d?pose,
Jetant son amarre au pilier,
Devant une fa?ade rose,
Sur le marbre d'un escalier.
Com'erano deliziose! Nel leggere sembrava di navigare per le
grandi strade d'acqua della citt? color di rosa e di perla, in una
gondola nera con la prua d'argento e le tendine scorrevoli. I
versi stessi gli sembravano simili a quelle linee diritte d'un
azzurro di turchese, che seguono chi si spinge verso il Lido. Le
improvvise macchie di colore gli ricordavano lo splendore dei
colombi dal collo iridato e opalino, che volano intorno al
Campanile diritto e traforato, o passeggiano, con tanta grazia e
tanta dignit?, attraverso le arcate buie, annerite dalla polvere.
Piegandosi all'indietro, con gli occhi semichiusi, andava
ripetendo a se stesso:
Devant une fa?ade rose
Sur le marbre d'un escalier.
Tutta Venezia era in questi due versi. Si ricord? l'autunno che vi
aveva passato e un meraviglioso amore che l'aveva spinto a
sfrenate e deliziose follie. Non c'? posto che non contenga
qualche cosa di romantico; ma Venezia, come Oxford, ha conservato
lo sfondo per il romanzo; e per chi ? veramente romantico lo
sfondo ? tutto, o quasi tutto.
Durante una parte di quel soggiorno Basil era stato con lui ed era
diventato fanatico del Tintoretto. Povero Basil! che orrenda fine
era stata la sua!
Sospir? e riprese il volume, cercando di dimenticare. Lesse delle
rondini che entrano ed escono a volo in quel piccolo caff? di
Smirne, dove gli Hagi siedono contando i grani dei loro rosari
d'ambra e i mercanti col turbante fumano le lunghe pipe adorne di
nappine, conversando gravemente. Lesse dell'obelisco della Place
de la Concorde, che piange lacrime di granito nel suo solitario
esilio senza sole e sospira di tornare presso il Nilo tiepido e
coperto di loto, l? dove sono le sfingi e gli ibis rosa e rossi e
gli avvoltoi bianchi dalle unghie dorate e i coccodrilli, con i
loro piccoli occhi di berillo, strisciano sul verde fango fumante.
Prese a fantasticare su quei versi che, evocando la musica da un
marmo macchiato di baci, parlano di quella curiosa statua che il
Gautier paragona a una voce di contralto, quel "monstre charmant"
che giace nella camera di porfido del Louvre. Ma dopo un po' il
libro gli cadde di mano. Si innervos? e fu preso da un tremendo
accesso di terrore. E se Alan Campbell non era in Inghilterra?
Prima che potesse tornare sarebbero passati giorni e giorni.
Poteva magari rifiutarsi di venire. In quel caso, che cosa avrebbe
fatto? Ogni minuto aveva un'importanza vitale. Una volta, cinque
anni prima, erano stati amicissimi, anzi, quasi inseparabili; poi
la loro intimit? era bruscamente finita e ora, quando si
incontravano in societ?, il solo che sorrideva era Dorian; Alan
Campbell mai.
Era un giovane estremamente intelligente, bench? incapace di
apprezzare le arti figurative e bench? quel po' di senso che aveva
della bellezza e della poesia lo dovesse interamente a Dorian. La
sua passione intellettuale dominante era la scienza. A Cambridge
aveva passato molto tempo nel laboratorio e aveva ottenuto una
buona classifica negli esami di scienze naturali del suo corso.
Continuava anzi a dedicarsi agli studi di chimica e aveva un
laboratorio suo, nel quale si rinchiudeva per giornate intere, con
grande dispiacere di sua madre, che si era messa in testa che
doveva presentarsi al Parlamento e aveva una vaga idea che un
chimico fosse un individuo che esegue ricette. Era per? anche un
eccellente musicista e suonava sia il pianoforte che il violino in
una maniera molto superiore alla media dei dilettanti; anzi, era
stata la musica ad avvicinarlo a Dorian Gray, la musica e
quell'attrazione indefinibile che Dorian sembrava avere il potere
di esercitare quando voleva e che anzi esercitava spesso senza
rendersene conto. Si erano conosciuti in casa di Lady Berkshire la
sera che vi suon? Rubinstein, e dopo di allora furono visti sempre
insieme all'Opera e negli altri posti dove si faceva della buona
musica. La loro intimit? continu? per un anno e mezzo. Campbell
era costantemente a Selby Royal o nella casa di Grosvenor Square.
Per lui, come per molti altri, Dorian Gray costituiva il tipo di
tutto ci? che ? meraviglioso e affascinante nella vita. Nessuno
seppe mai se c'era stata un lite tra di loro; ma la gente
improvvisamente osserv? che quando si incontravano si parlavano
appena e che Campbell pareva sempre andarsene di buon'ora da
qualsiasi ricevimento al quale partecipasse Dorian Gray. Inoltre,
era cambiato; a volte era stranamente melanconico, sembrava quasi
che non gli piacesse sentire la musica e non suonava mai,
adducendo, quando gli veniva chiesto, la scusa che era tanto preso
dalla scienza che non gli restava tempo per esercitarsi. Questo
indubbiamente era vero; sembrava che si interessasse ogni giorno
di pi? alla biologia e il suo nome apparve un paio di volte in
qualche rivista scientifica, in rapporto a certi curiosi
esperimenti.
Questo era l'uomo che Dorian Gray stava aspettando. Continuava a
guardare l'orologio a ogni secondo e con il passare dei minuti la
sua agitazione divent? tremenda. Finalmente si alz? e cominci? a
camminare su e gi? per la stanza, a lunghi passi furtivi, come un
bell'animale in gabbia. Aveva le mani stranamente fredde.
Quello stato di incertezza divent? insopportabile. Gli sembrava
che il tempo camminasse con piedi di piombo e che lui stesso fosse
trascinato da venti mostruosi verso l'orlo scosceso di un oscuro
precipizio. Sapeva quello che lo aspettava col?; anzi, addirittura
lo vide e, rabbrividendo, si premette le mani sudate sulle
palpebre brucianti, come se avesse voluto privare della vista il
cervello e ricacciare i globi oculari dentro le loro cavit?. Ma
era tutto inutile. Il cervello si nutriva di un cibo suo proprio e
l'immaginazione, che il terrore rendeva grottesca, si contraeva e
si contorceva come fa un essere vivente per lo spasimo, ballava
come un ignobile pupazzo su un palchetto, ghignava attraverso
maschere sempre nuove. Poi, bruscamente, per lui il tempo si
ferm?: quella cosa cieca, dal fiato corto, smise di strisciare, e
poich? il tempo era morto, pensieri orribili corsero velocemente
verso di lui, trascinarono fuori dalla tomba un futuro spaventoso,
glielo fecero vedere: lui lo guard? e l'orrore lo paralizz?.
Finalmente la porta si apr? ed entr? il servitore. Lo guard? con
occhi vitrei.
- Il signor Campbell - annunci? il domestico.
Gli sfugg? dalle labbra un sospiro di sollievo e sulle guance
riapparve il colorito.
- Fatelo entrare subito, Francis. - Sentiva di essere tornato come
era sempre; la vigliaccheria era scomparsa.
Il servitore si ritir? con un inchino e pochi attimi dopo entr?
Alan Campbell, molto severo in volto, alquanto pallido, di un
pallore reso pi? intenso dai capelli nerissimi e dalle ciglia
scure.
- Sei molto gentile, Alan. Ti ringrazio di essere venuto.
- Mi ero proposto di non mettere pi? piede in casa tua, Gray, ma
tu hai detto che era una questione di vita o di morte.
La voce era dura e fredda. Parlava con lenta decisione e nello
sguardo fisso e penetrante che fiss? addosso a Dorian c'era
un'espressione di disprezzo. Teneva le mani nella pelliccia
d'astrakan e sembrava non aver notato il gesto che l'aveva
salutato.
- S?, Alan, ? una questione di vita o di morte, e per pi? di uno.
Siedi.
Campbell prese una sedia vicino al tavolo e Dorian gli sedette di
fronte. I loro sguardi si incontrarono. In quello di Dorian c'era
una piet? infinita; sapeva che quello che stava per fare era
tremendo.
Dopo un attimo di tensione silenziosa, si chin? in avanti e, con
molta calma, ma spiando l'effetto che ognuna delle sue parole
produceva sul volto di colui che aveva mandato a chiamare, disse:
- Alan, in una stanza chiusa a chiave all'ultimo piano di questa
casa, una stanza alla quale, all'infuori di me, nessuno pu?
accedere, seduto a un tavolino c'? un morto. E' morto ormai da
dieci ore. Non ti agitare e non guardarmi a quel modo. Chi ?
l'uomo, perch? ? morto, come ? morto, sono cose che non ti
riguardano. Quello che tu devi fare ? questo...
- Basta, Gray. Non voglio sapere altro. Se quello che mi hai detto
? vero o no ? cosa che non mi interessa. Mi rifiuto assolutamente
di essere immischiato nella tua vita. Tieni per te i tuoi orribili
segreti; non mi interessano pi?.
- Devono interessarti, Alan. Questo dovr? interessarti. Mi
dispiace infinitamente per te, Alan, ma non posso fare
diversamente. Tu sei l'unico uomo che possa salvarmi e io sono
costretto a farti entrare in questa storia; non ho scelta. Alan,
tu sei uno scienziato, ti intendi di chimica e di roba di questo
genere. Quello che devi fare ? distruggere quella cosa che ?
disopra: distruggerla in modo che non ne rimanga traccia. Nessuno
ha visto quella persona entrare in questa casa; anzi in questo
momento tutti credono che sia a Parigi e per parecchi mesi nessuno
si accorger? della sua assenza. Bisogna che, quando se ne
accorgeranno, qui non si ritrovi la minima traccia di lui. Tu,
Alan, devi cambiarlo e cambiare tutto quello che gli appartiene in
un pugno di cenere che io possa disperdere al vento.
- Sei pazzo, Dorian.
- Ah, aspettavo che tu mi chiamassi Dorian.
- Ti dico che sei pazzo. Sei pazzo a immaginarti che io alzerei un
solo dito per aiutarti, pazzo a farmi questa mostruosa
confessione. Non voglio avere niente a che fare con questa storia,
qualunque essa sia. Credi forse che io voglia rischiare la mia
reputazione per te? Che importa a me delle tue azioni diaboliche?
- Si tratta di un suicidio, Alan.
- Tanto meglio. Ma chi ce l'ha spinto? Tu, m'immagino.
- Insisti a rifiutare di fare questo per me?
- Naturalmente rifiuto. Non voglio assolutamente entrarci. Quale
che sia la vergogna a cui sarai esposto non me ne importa niente;
tu la meriti pienamente. Non mi dispiacerebbe affatto vederti
svergognato, svergognato pubblicamente. Come osi chiedere a me, a
me fra tutti gli uomini di questo mondo, di entrare in un orrore
simile? Ti ritenevo un miglior conoscitore del carattere umano; il
tuo amico Lord Henry Wotton non pu? averti insegnato gran che di
psicologia, qualunque altra cosa ti abbia insegnato. Niente
potrebbe spingermi a muovere un passo per aiutarti. Hai sbagliato
indirizzo. Va' da qualcuno dei tuoi amici, non da me.
- Alan, si tratta di un omicidio. L'ho ucciso io. Tu non sai
quanto mi abbia fatto soffrire. Quale che sia la mia vita, ? lui
responsabile di averla fatta o disfatta, molto pi? di quel povero
Harry; anche se l'ha fatto senza intenzione, il risultato ? stato
identico.
- Omicidio! Gran Dio, Dorian, a questo sei arrivato! Io non andr?
a denunciarti; non sono affari miei, e poi, anche senza che io
metta le cose in marcia, tu sarai certamente arrestato. Nessuno
commette un delitto senza fare qualche stupidaggine. Ma io non
voglio entrarci per niente.
- Tu devi entrarci. Aspetta, aspetta un momento, stammi a sentire,
soltanto a sentire, Alan. Tutto quello che ti chiedo ? di compiere
un certo esperimento scientifico. Tu frequenti gli ospedali e gli
obitori e gli orrori che compi in quei luoghi ti lasciano
insensibile. Se in una schifosa sala anatomica o in un fetido
laboratorio tu avessi trovato quest'uomo steso su una tavola di
metallo, incavata da rozzi scolatoi per farci scorrere dentro il
sangue, lo considereresti soltanto come un magnifico soggetto. Non
batteresti ciglio; non ti sembrerebbe di far niente di male; al
contrario, penseresti probabilmente di rendere un servigio
all'umanit? o di accrescere la somma delle conoscenze nel mondo o
di appagare la curiosit? intellettuale o qualche altra cosa di
questo genere. Quello che ti chiedo di fare ? semplicemente una
cosa che hai gi? fatto tante volte; anzi, distruggere un cadavere
deve essere molto meno orribile dei lavori che sei abituato a
fare. E ricordati che costituisce l'unica prova che esista contro
di me. Se lo scoprono io sono perduto, e se tu non mi aiuti lo
scopriranno di certo.
- Tu dimentichi che io non ho il minimo desiderio di aiutarti. La
cosa mi lascia del tutto indifferente. Non mi riguarda affatto.
- Alan, ti supplico. Pensa alla posizione in cui mi trovo. Poco
prima che tu arrivassi sono quasi svenuto dal terrore. Anche tu,
un giorno, potresti conoscere il terrore. Ma no, non pensare a
questo. Considera la questione dal puro punto di vista
scientifico. Tu non stai a indagare la provenienza dei cadaveri
che servono ai tuoi esperimenti: non indagare adesso. Ti ho gi?
detto fin troppo. Ma ti prego di far questo. Un tempo noi due
eravamo amici, Alan.
- Non parlare di quei tempi, Dorian. Sono morti.
- Qualche volta i morti non se ne vanno. Quell'uomo lass? non se
ne andr?. E' seduto al tavolino con la testa reclinata e le
braccia distese. Alan, Alan, se non vieni in mio aiuto io sono un
uomo rovinato. Mi impiccheranno, Alan! Non lo capisci? Mi
impiccheranno per quello che ho fatto.
- Non serve a niente prolungare questa scena. Rifiuto
assolutamente di fare qualsiasi cosa in quest'affare. E' una
pazzia da parte tua chiedermelo.
- Rifiuti?
- S?.
- Ti supplico, Alan.
- E' inutile.
La stessa espressione di piet? riapparve negli occhi di Dorian;
poi questi stese la mano, prese un foglio di carta e vi scrisse
qualche cosa. Lo lesse due volte, lo pieg? accuratamente e lo
spinse attraverso la tavola. Fatto questo si alz? e and? verso la
finestra.
Campbell lo guard? stupefatto, poi prese il foglio e l'apr?.
Mentre lo leggeva, il suo volto si fece mortalmente pallido.
Ricadde sulla sedia e fu preso da un orribile senso di nausea. Gli
sembrava che il suo cuore battesse, fino a morirne, in qualche
cavit? vuota.
Dopo un paio di minuti di spaventoso silenzio, Dorian torn?
indietro, venne a collocarsi dietro di lui e gli mise una mano
sulla spalla.
- Mi dispiace per te, Alan - mormor?; - ma non mi hai lasciato
altra alternativa. Ho qui una lettera, gi? scritta; guarda
l'indirizzo. Se non mi aiuti sar? costretto a mandarla e tu sai
quale sar? il risultato. Ma tu mi aiuterai; ora ti ? impossibile
rifiutare. Ho cercato di risparmiarti; mi devi rendere la
giustizia di ammetterlo. Sei stato duro, aspro, offensivo; mi hai
trattato come nessuno ha mai osato trattarmi; nessun uomo vivente,
quanto meno. Ho sopportato tutto; ora sono io che detto le
condizioni.
Campbell si prese la testa tra le mani e un brivido lo scosse
tutto.
- S?, sono io che detto le condizioni, e tu sai quali siano. La
cosa ? semplicissima. Andiamo, non agitarti tanto. La cosa deve
essere fatta. Coraggio, su!
Un gemito sfugg? dalle labbra di Campbell, che tremava tutto.
Gli sembrava che il tic-tac dell'orologio sul caminetto dividesse
il tempo in tanti atomi separati, ognuno dei quali era troppo
tremendo per essere sopportato. Sentiva un cerchio di ferro
stringerglisi pian piano intorno alla fronte, come se l'ignominia
che gli era stata minacciata gli fosse gi? caduta addosso. Quella
mano sulla sua spalla pesava come se fosse stata di piombo; era
insopportabile; sembrava che lo schiacciasse.
- Su, Alan, bisogna che tu decida immediatamente.
- Non posso farlo - disse meccanicamente, come se le parole
avessero avuto il potere di mutare i fatti.
- Devi. Non hai scelta. Non perdiamo tempo.
Egli esit? un attimo.
- C'? una stufa nella stanza di sopra?
- S?, c'? una stufa a gas, con dell'amianto.
- Bisogna che vada a casa a prendere certe cose dal laboratorio.
- No, Alan, non devi uscire di qui. Scrivi su un pezzo di carta
quello che ti serve e il mio servitore prender? una carrozza e ti
porter? tutto quanto.
Campbell scarabocchi? poche righe, le asciug? e scrisse su una
busta l'indirizzo del suo preparatore. Dorian prese l'appunto e lo
lesse attentamente; poi suon? il campanello e lo diede al
domestico, ordinandogli di tornare al pi? presto portando la roba
con s?.
Quando il portone si richiuse, Campbell sobbalz? nervosamente, si
alz? e and? fino al caminetto. Tremava come se avesse la febbre.
Per una ventina di minuti nessuno dei due pronunci? una parola.
Una mosca ronzava rumorosamente per la stanza e i battiti
dell'orologio sembravano colpi di martello.
Quando l'orologio batt? il tocco, Campbell si gir? e, guardando
Dorian Gray, vide che aveva gli occhi pieni di lacrime. Nella
purezza e nella finezza di quel volto attristato c'era qualcosa
che sembr? renderlo furioso.
- Sei infame, assolutamente infame! - balbett?.
- Taci, Alan. Mi hai salvato la vita - disse Dorian.
- La tua vita! Buon Dio, che vita ? la tua! Sei passato di
corruzione in corruzione e ora sei arrivato al delitto. Se faccio
quello che sto per fare, quello che mi costringi a fare, non ?
certo alla vita tua che penso.
- Ah, Alan - mormor? Dorian sospirando, - vorrei che tu sentissi
per me la millesima parte della piet? che io provo per te.
Dette queste parole si allontan? e si mise a guardare in giardino.
Campbell non rispose.
Dopo una decina di minuti bussarono alla porta ed entr? il
servitore, portando una grossa cassa di mogano piena di sostanze
chimiche, un lungo rotolo di filo d'acciaio e di platino e due
pinze di ferro di forma piuttosto strana.
- La lascio qui questa roba, signore? - chiese a Campbell.
- S? - disse Dorian. - Ma ho paura di avere un'altra commissione
da darvi, Francis. Come si chiama quell'uomo di Richmond che
fornisce le orchidee per Selby?
- Harden, signore.
- Appunto, Harden. Andate subito a Richmond, parlate personalmente
con Harden e ditegli di mandare il doppio delle orchidee che avevo
ordinato e di mandarne il meno possibile di bianche; anzi, di
quelle bianche non ne voglio. E' una bella giornata, Francis, e
Richmond ? un luogo graziosissimo, altrimenti non vi avrei dato
questo fastidio.
- Nessun fastidio, signore. A che ora devo tornare?
Dorian guard? Campbell e disse, con voce calma e indifferente:
- Quanto tempo ci vuole per il tuo esperimento, Alan?
La presenza nella stanza di un terzo sembrava infondergli un
coraggio straordinario. Campbell aggrott? le sopracciglia e si
morse il labbro.
- Circa cinque ore - rispose.
- Allora, Francis, baster? che siate di ritorno alle sette e
mezzo. O meglio, tirate fuori quello che mi occorre per vestirmi e
prendetevi una serata di libert?. Non pranzo a casa e perci? non
ho bisogno di voi.
- Grazie, signore - rispose l'uomo, uscendo dalla stanza.
- Ora, Alan, non c'? un minuto da perdere. Come pesa questa cassa!
La porter? io; tu porta le altre cose.
Parlava con un accento rapido e autoritario e Campbell si sent?
dominato da lui. Uscirono insieme dalla stanza.
Quando arrivarono all'ultimo pianerottolo, Dorian tir? fuori la
chiave e la fece girare nella toppa; poi si ferm? e nei suoi occhi
apparve un'espressione turbata. Rabbrivid?.
- Non credo che potr? entrare, Alan - mormor?.
- Non fa niente. Non ho bisogno di te - disse freddamente
Campbell.
Dorian apr? la porta a met? e in quest'atto vide la faccia del
ritratto ghignare alla luce del sole. Davanti ad esso giaceva in
terra la cortina lacerata. Gli torn? in mente che la sera prima,
per la prima volta in vita sua, si era dimenticato di nascondere
la tela fatale. Stava per precipitarsi in avanti, ma si ferm? con
un brivido.
Che cos'era quell'orribile rugiada rossa che brillava, umida e
scintillante, su una delle mani, come se la tela avesse sudato
sangue? Che cosa orrenda! In quel momento gli sembr? ancora pi?
orrenda di quella cosa muta che, lo sapeva, era stesa attraverso
la tavola; quella cosa la cui ombra grottesca e deforme sul
tappeto macchiato mostrava che non s'era mossa, che era ancora l?
dove lui l'aveva lasciata.
Respir? profondamente, apr? un po' di pi? la porta ed entr?
rapido, con gli occhi semichiusi e girando la testa da un'altra
parte, deciso a non guardare il morto nemmeno una volta: poi
chinandosi raccolse il panno porpora e oro e lo gett? sul
ritratto.
Si ferm? perch? l'idea di doversi girare indietro lo atterriva. I
suoi occhi erano fissi sugli intrichi del disegno che gli stava
davanti. Sent? Campbell portare dentro la cassa pesante, i ferri e
le altre cose che gli servivano per il suo tremendo lavoro.
Cominci? a chiedersi se lui e Basil Hallward si erano mai
conosciuti e, in caso affermativo, che cosa avevano pensato l'uno
dell'altro.
- Vattene ora - disse una voce severa dietro di lui.
Si gir? e corse fuori, rendendosi appena conto che il morto era
stato rigettato sulla sedia e che Campbell stava osservando una
faccia gialla e lucida. Nello scendere le scale sent? che la
chiave veniva girata nella toppa.
Le sette erano passate da un pezzo, quando Campbell torn? in
biblioteca. Era pallido, ma perfettamente calmo.
- Ho fatto quello che mi avevi chiesto di fare - balbett? - e ora
addio. Non ci vedremo mai pi?.
- Mi hai salvato dalla rovina, Alan. Non lo dimenticher? mai disse
Dorian con semplicit?.
Appena Campbell fu andato via, sal? di sopra. Nella stanza c'era
un orribile puzzo di acido nitrico; ma quella cosa che era stata
seduta al tavolino era scomparsa.
Capitolo quindicesimo.
Quella sera alle otto e mezzo, Dorian Gray, vestito con la massima
raffinatezza e con un mazzolino di violette di Parma
all'occhiello, veniva introdotto da domestici ossequiosi nel
salotto di Lady Narborough. Nella fronte gli pulsavano nervi
impazziti e si sentiva in preda a una violenta eccitazione; ma
quando si chin? sulla mano della padrona di casa lo fece con quel
modo disinvolto e aggraziato che era abituale in lui. Forse un
uomo non sembra mai trovarsi tanto a suo agio come quando recita
una parte; certo ? che nessuno, guardando Dorian Gray quella sera,
avrebbe potuto credere che egli fosse passato attraverso una
tragedia non meno terribile di qualsiasi tragedia dei nostri
tempi. Non era possibile che quelle dita affusolate avessero
stretto un coltello per commettere un peccato; che quelle labbra
sorridenti avessero rinnegato Iddio e la bont?. Egli stesso non
poteva non provare un senso di meraviglia per la calma del suo
contegno. Per un attimo gust? intensamente la volutt? terribile di
una doppia vita.
La compagnia non era numerosa ed era stata raccolta un po'
affrettatamente da Lady Narborough, donna molto intelligente, che
conservava quelli che Lord Henry era solito chiamare i resti di
una bruttezza veramente notevole. Era stata una moglie eccellente
per uno dei pi? noiosi nostri Ambasciatori e ora, dopo aver
decorosamente seppellito il marito in un mausoleo di marmo
disegnato da lei stessa e aver maritato le figlie con uomini
ricchi e piuttosto anziani, si abbandonava ai piaceri del romanzo
francese, della cucina francese e dell'"esprit" francese, quando
riusciva a trovarne.
Dorian era un suo particolare favorito. Gli diceva sempre che era
contentissima di non averlo incontrato da giovane.
- Mio caro, so che mi sarei pazzamente innamorata di voi - era
solita dirgli - e che per amor vostro avrei gettato la cuffietta
al di l? di tutti i mulini. E' una vera fortuna che a quei tempi
di voi non si avesse neppure l'idea, e del resto le nostre
cuffiette erano cos? poco graziose e i nostri mulini erano tanto
occupati a cercare che si alzasse il vento che non ho mai avuto
neanche un flirt con nessuno. Per? la colpa ? stata tutta di
Narborough, che era tremendamente miope. Non c'? gusto a ingannare
un marito che non vede mai niente.
I suoi invitati di quella sera erano piuttosto noiosi. Come lei
stessa spieg? a Dorian, parlando dietro un ventaglio alquanto
consunto, era successo che una delle sue figlie sposate era
arrivata all'improvviso per stare da lei e, ci? che ? peggio, si
era perfino portata dietro il marito.
- Trovo che ? una cosa assai poco carina da parte sua.
Naturalmente d'estate io vado a stare da loro, al mio ritorno da
Homburg; ma una vecchia come me ogni tanto ha bisogno di un po'
d'aria buona e per di pi? io riesco a svegliarli un poco. Non
sapete che razza di vita fanno: pura, purissima vita di campagna.
Si alzano presto perch? hanno tante cose da fare e vanno a letto
presto perch? hanno tante cose alle quali pensare. Dai tempi della
Regina Elisabetta non c'? stato uno scandalo in tutto il vicinato
e di conseguenza appena hanno pranzato tutti cascano dal sonno.
Voi non sarete seduto vicino a nessuno di loro due; sarete seduto
vicino a me e mi farete divertire.
Dorian mormor? un complimento cortese e diede un'occhiata in giro.
Era proprio una compagnia seccante. C'erano due persone che non
aveva mai visto prima e il resto si componeva di Ernest Harrowden,
uno di quegli esseri mediocri tanto frequenti nei club londinesi,
che non hanno un nemico ma sono cordialmente antipatici ai loro
amici; di Lady Ruxton, una donna di quarantasette anni,
eccessivamente vestita, con un naso aquilino, che cercava sempre
di essere compromessa ma era cos? particolarmente insignificante
che nessuno voleva mai prestare fede a qualsiasi cosa si dicesse
contro di lei; della signora Erlynne, una nullit? che provava a
farsi largo, che parlava con una deliziosa balbuzie e aveva i
capelli di color rosso veneziano; di Lady Alice Chapman, figlia
della padrona di casa, donna noiosa e infagottata, con uno di quei
caratteristici visi inglesi che, visti una volta, non si ricordano
pi?, e suo marito, individuo dalle guance rosse e dai baffi
bianchi, che, come tanti della sua classe, era convinto che la
giovialit? scomposta possa compensare un'assoluta mancanza d'idee.
Era un po' seccato di essere venuto, finch? Lady Narborough, dando
un'occhiata al grande orologio di bronzo dorato che faceva sfoggio
delle sue goffe curve sul caminetto drappeggiato di viola,
esclam?:
- Com'? antipatico Henry Wotton a essere cos? in ritardo! L'ho
fatto avvertire stamattina, nel dubbio, e mi ha promesso
fedelmente di non mancare.
Il fatto che dovesse venire anche Henry era un conforto; e quando
la porta si apr? e lui sent? la sua lenta voce musicale che
rendeva gradevoli le sue scuse poco sincere non si sent? pi?
seccato.
A pranzo per? non riusc? a toccare cibo. I piatti venivano portati
via uno dopo l'altro, intatti. Lady Narborough continuava a fargli
dei rimproveri per quello che chiamava "un insulto al povero
Adolphe, che ha inventato il menu espressamente per voi" e Lord
Henry lo guardava ogni tanto, sorpreso di vederlo cos? taciturno e
cos? distratto. Di quando in quando il maggiordomo gli riempiva il
bicchiere di champagne. Beveva avidamente e la sua sete sembrava
che aumentasse.
- Dorian - disse finalmente Lord Henry, mentre stavano servendo il
"chaudfroid", - che cos'hai stasera? Sei veramente strano.
- Dev'essere innamorato - grid? Lady Narborough - e deve aver
paura di dirmelo nel timore che io sia gelosa. Ha perfettamente
ragione, perch? lo sarei di certo.
- Cara Lady Narborough - mormor? Dorian, sorridendo, - non sono
innamorato da una settimana intera; di fatto, da quando Madame de
Ferrol ? partita.
- Com'? possibile che voialtri uomini vi innamoriate di quella
donna! - esclam? la vecchia signora. - Non riesco proprio a
capirlo.
- Semplicemente perch? si ricorda di voi quando eravate bambina,
Lady Narborough - disse Lord Henry. - E' l'unico anello di
congiunzione che esista tra noi e le vostre sottanine corte.
- Lord Henry, lei non si ricorda affatto delle mie sottanine
corte; ma io mi ricordo perfettamente di lei a Vienna, trent'anni
fa, e di come era "d?collet?e" a quei tempi.
- E' ancora adesso "d?collet?e" - rispose lui prendendo un'oliva
con le sue lunghe dita, - e quando indossa un vestito molto
elegante sembra una "edition de luxe" di un cattivo romanzo
francese. Possiede un dono eccezionale per gli affetti di
famiglia. Quando le mor? il terzo marito, i capelli, dal dolore,
le diventarono tutti d'oro.
- Come puoi dire di queste cose, Harry? - grid? Dorian.
- E' una spiegazione molto romantica - disse la padrona di casa
ridendo. - Ma il terzo marito, Lord Henry! Non vorrete mica dire
che Ferrol ? il quarto?
- Senza dubbio, Lady Narborough.
- Non ci credo affatto.
- Allora chiedetelo al signor Gray, che ? uno dei suoi pi? intimi
amici.
- E' vero, signor Gray?
- Lei me l'assicura, Lady Narborough - disse Dorian. - Le ho
chiesto se ha fatto imbalsamare i loro cuori e se se li ? appesi
alla cintura, come Margherita di Navarra, ma mi ha risposto di no,
perch? non ce n'era uno che avesse un cuore.
- Quattro mariti! Parola d'onore, questo si chiama "trop de z?le".
- "Trop d'audace", le ho detto io - disse Dorian.
- Oh, mio caro, lei ? audace abbastanza per qualsiasi cosa. E'
com'? quel Ferrol? Io non lo conosco.
- I mariti delle donne molto belle appartengono alle classi
criminali - disse Lord Henry, sorseggiando il vino.
Lady Narborough gli diede un colpetto con il ventaglio.
- Lord Henry, non mi sorprende che il mondo dica che siete molto
maligno.
- Qual ? il mondo che lo dice? - chiese Lord Henry, inarcando le
sopracciglia. - Non pu? essere che l'altro mondo, poich? questo
mondo e io siamo in ottimi termini.
- Tutte le persone che conosco dicono che siete molto maligno
grid? la vecchia gentildonna, tentennando il capo.
Lord Henry si fece serio per un momento.
- E' veramente una cosa mostruosa - disse poi - che la gente al
giorno d'oggi vada in giro dicendo dietro le spalle degli altri
delle cose assolutamente e interamente vere.
- Ma non ? incorreggibile? - grid? Dorian, piegandosi in avanti
sulla sedia.
- Lo spero - disse la padrona di casa, ridendo. - Ma in verit?, se
tutti voi siete in adorazione in questo modo ridicolo davanti a
Madame de Ferrol, bisogner? che io, per essere di moda, mi trovi
un altro marito.
- Voi non vi risposerete mai, Lady Narborough - interruppe Lord
Henry. - Siete stata troppo felice. Quando una donna si risposa ?
perch? detestava il primo marito; quando un uomo si risposa ?
perch? adorava la prima moglie. Le donne tentano la fortuna e gli
uomini l'arrischiano.
- Narborough non era perfetto - grid? la vecchia gentildonna.
- Se fosse stato perfetto, mia cara signora, non lo avreste amato
- fu la risposta. - Le donne ci amano per i nostri difetti. Se ne
abbiamo a sufficienza ci perdonano tutto, anche l'intelligenza.
Temo che dopo aver detto questo, Lady Narborough, voi non mi
inviterete pi? a pranzo; per? ? la pura verit?.
- Certo che ? la verit?, Lord Henry. Se noi donne non vi amassimo
per i vostri difetti, che ne sarebbe di voi? Nessuno di voi
troverebbe mai moglie: sareste tutti una massa di poveri scapoli.
Del resto non credo che questo vi cambierebbe molto. Oggi tutti
gli uomini ammogliati fanno una vita da scapoli e tutti gli
scapoli una vita da ammogliati.
- "Fin de si?cle" - mormor? Lord Henry.
- "Fin du globe" - rispose la padrona di casa.
- Vorrei che fosse veramente "fin du globe" - disse Dorian con un
sospiro. - La vita ? una grande delusione.
- Ah, mio caro - grid? Lady Narborough, infilandosi i guanti non
mi dite che avete esaurito la vita. Quando un uomo dice cos?, si
capisce che ? la vita che ha esaurito lui. Lord Henry ? molto
maligno, e qualche volta mi dispiace di non essere stata anch'io
come lui; ma voi siete fatto per essere buono; ne avete tutto
l'aspetto! Bisogna che vi trovi una moglie carina. Non vi pare,
Lord Henry, che il signor Gray dovrebbe prender moglie?
- Glielo dico sempre, Lady Narborough - disse Henry con un
inchino.
- Allora dobbiamo metterci alla ricerca di un partito adatto.
Stanotte scorrer? con tutta l'attenzione il Debrett e far? un
elenco di tutte le signorine che si potrebbero scegliere.
- Con le rispettive et?, Lady Narborough? - chiese Dorian.
- Naturalmente, con le et?, leggermente ridotte. Ma non si deve
fare niente in fretta. Voglio che sia uno di quelli che la
"Morning Post" chiama "un matrimonio conveniente" e voglio che
entrambi siate felici.
- Quante sciocchezze dice la gente riguardo ai matrimoni felici!-
esclam? Lord Henry. - Un uomo pu? essere felice con qualunque
donna, a patto di non amarla.
- Ah, come siete cinico! - grid? la vecchia signora, spingendo la
sedia indietro e facendo un cenno col capo a Lady Ruxton. Dovete
venire presto a pranzo da me un'altra volta; siete un tonico
veramente ammirevole, molto migliore di quelli che mi prescrive
Sir Andrew. Per? dovete dirmi con chi gradirete trovarvi, perch?
desidero che sia una riunione piacevolissima.
- Mi piacciono gli uomini che hanno un futuro e le donne che hanno
un passato - rispose lui. - A meno che non crediate che
riuscirebbe una riunione di sole sottane.
- Ho paura di s? - disse lei, ridendo e alzandosi. - Scusatemi
tanto, cara Lady Ruxton - aggiunse. - Non mi ero accorta che non
avevate finito la sigaretta.
- Non fa niente, Lady Narborough. Fumo davvero troppo. Da ora in
poi voglio moderarmi.
- Non lo fate, Lady Ruxton, per favore - disse Lord Henry. - La
moderazione ? una cosa fatale. "Abbastanza" significa un pasto;
"pi? che abbastanza" significa un festino.
Lady Ruxton lo guard? incuriosita.
- Venite da me un pomeriggio a spiegarmi questo, Lord Henry. Mi
sembra una teoria affascinante - mormor?, uscendo dalla stanza.
- E ora guardate di non rimanere troppo a parlare di politica e di
scandali - grid? Lady Narborough dalla soglia. - Altrimenti noi,
di sopra, finiremo infallibilmente con il prenderci per i capelli.
Gli uomini risero, e il signor Chapman si alz? con solennit? dal
fondo della tavola e venne a sedersi a capotavola. Dorian Gray
cambi? posto e and? a sedersi vicino a Lord Henry. Chapman
cominci? a parlare ad alta voce della situazione alla Camera dei
Comuni, sghignazzando sul conto dei suoi avversari. La parola
"dottrinario", parola piena di terrore per la mentalit?
britannica, riappariva periodicamente tra uno scoppio di risa e
l'altro. Un prefisso allitterativo serviva da ornamento oratorio.
Egli innalz? l'Union Jack sulle vette del pensiero; e venne
dimostrato che la stupidit? ereditaria della razza, alla quale lui
dava allegramente il nome di sano buon senso inglese, costituiva
il pi? saldo bastione della societ?.
Le labbra di Lord Henry si atteggiarono a un sorriso. Si gir? a
guardare Dorian.
- Ti senti meglio, mio caro? - chiese. - Mi ? sembrato, a pranzo,
che tu non stessi perfettamente.
- Sto benissimo, Harry. Sono stanco, e nient'altro.
- Ieri sera eri delizioso. La piccola duchessa ? entusiasta di te.
Mi ha detto che verr? a Selby.
- Mi ha promesso di venire il 20.
- Ci sar? anche Monmouth?
- Oh, s?, Harry.
- A me riesce terribilmente noioso; quasi allo stesso modo in cui
riesce noioso a lei. Essa ? molto intelligente, troppo
intelligente per una donna. Le manca il fascino indefinibile della
debolezza, il piede di creta che rende prezioso l'oro della
statua. I suoi piedi sono graziosissimi, ma non sono di creta;
piedi di porcellana bianca, se preferisci. Sono passati attraverso
la fiamma e la fiamma indurisce quello che non distrugge. E' una
donna che ha avuto delle esperienze.
- Da quanto tempo ? sposata? - chiese Dorian.
- Da un'eternit?, mi ha detto lei. Credo, in base all'annuario
della nobilt?, che siano dieci anni; ma dieci anni con Monmouth
devono essere stati un'eternit? e con un po' di tempo in
soprappi?. Chi altri viene?
- Oh, i Willoughby, Lord Rugby e sua moglie, la nostra padrona di
casa di stasera, Geoffrey Clouston, il solito gruppo. Ho invitato
Lord Grotrian.
- Mi piace - disse Lord Henry. - Molti non sono di questo parere,
ma io lo trovo simpatico. Qualche volta ? troppo ben vestito, ma
in compenso ? sempre troppo ben educato. E' un tipo molto moderno.
- Non so se potr? venire, Harry. Pu? darsi che debba andare a
Montecarlo con suo padre.
- Ah, le famiglie, che fastidio! Cerca di farlo venire. A
proposito, Dorian, ieri sera sei scappato via prestissimo. Che hai
fatto, dopo? Sei andato direttamente a casa?
Dorian gli lanci? un'occhiata furtiva e si accigli?.
- No, Harry - disse finalmente. - Sono tornato a casa che erano
quasi le tre.
- Andasti al circolo?
- S? - rispose lui; poi si morse le labbra. - No, ho sbagliato.
Non sono andato al circolo; ho passeggiato. Non mi ricordo che
cosa ho fatto... Ma quanto sei curioso, Harry! Vuoi sempre sapere
che cosa ha fatto la gente, e io voglio sempre dimenticare quello
che ho fatto. Sono rientrato alle due e mezzo, se vuoi sapere
l'ora esatta. Avevo lasciato la chiave a casa e il mio servitore
dovette venire ad aprirmi. Se desideri qualche testimonianza a
conferma di questo, puoi interrogarlo.
Lord Henry scroll? le spalle.
- Mai caro mio, e che vuoi che me ne importi? Andiamo di sopra, in
salotto. No, grazie, signor Chapman, niente sherry. Dorian, ti ?
successo qualcosa. Dimmi che cosa. Stasera non sei il solito
Dorian.
- Non ci badare, Harry. Sono irritabile e di cattivo umore. Verr?
a trovarti domani o dopo. Fa' le mie scuse a Lady Narborough; io
non salgo. Me ne vado a casa; bisogna che vada a casa.
- Va bene, Dorian. Spero di vederti domani per il t?. Viene la
duchessa.
- Cercher? di venire, Harry - disse lui uscendo dalla stanza.
Durante il tragitto in carrozza fino a casa sua, si rese conto di
essere di nuovo in preda a quel senso di terrore che credeva di
aver soffocato. Le domande puramente casuali di Lord Henry gli
avevano fatto perdere per un attimo il controllo dei propri nervi,
e invece bisognava avere i nervi a posto. C'erano certe cose
pericolose che bisognava distruggere. Ebbe un sussulto: la sola
idea di toccarle gli era odiosa.
Eppure bisognava che lo facesse, non c'era dubbio. Chiuse a chiave
la porta della biblioteca, e apr? il ripostiglio segreto nel quale
aveva gettato il pastrano e la valigia di Basil Hallward. Ardeva
un fuoco enorme, e lui vi aggiunse un altro ciocco. Il puzzo del
panno e del cuoio bruciati era orribile. Per consumare tutto
quanto ci vollero tre quarti d'ora. Fin? con l'essere colto dalla
nausea e dal capogiro. Accese alcune pastiglie algerine in un
braciere traforato di rame e si inumid? le mani e la fronte con un
aceto muschiato rinfrescante.
A un tratto trasal?. I suoi occhi si fecero stranamente lucenti, e
si morse nervosamente il labbro inferiore. Tra due finestre c'era
un grande mobile fiorentino a cassetti, d'ebano intarsiato
d'avorio e lapislazzuli. Lo contempl? come se fosse stato un
oggetto affascinante e spaventoso insieme, come se contenesse
qualche cosa che desiderava ardentemente e che pur tuttavia quasi
odiava. Il suo respiro si acceler?; una bramosia furiosa lo prese.
Accese una sigaretta e la gett? via. Le palpebre si abbassarono
tanto che le lunghe ciglia frangiate toccavano quasi la guancia.
Continuava a fissare il mobile. Finalmente si alz? dal divano sul
quale stava disteso, and? verso il mobile, l'apr? e tocc? una
molla nascosta. Un cassetto triangolare usc? lentamente.
Istintivamente, le sue dita si mossero verso il cassetto, vi
affondarono e si chiusero su un oggetto. Era una scatola cinese di
lacca nera e come impolverata d'oro, lavorata in modo complicato,
recante sui lati un motivo di onde che si incurvavano, adorna di
cordoncini di seta dai quali pendevano cristalli rotondi e nappine
fatte di fili metallici intrecciati. L'apr?. Conteneva una pasta
verde, dall'aspetto di cera, che mandava un odore stranamente
pesante e persistente.
Esit? per qualche minuto, con un sorriso stranamente immobile sul
volto; poi, tremando bench? l'atmosfera della stanza fosse
terribilmente calda, si alz? e guard? l'orologio. Erano le dodici
meno venti. Rimise a posto la scatola, chiuse gli sportelli del
mobile e pass? in camera da letto.
Mezzanotte stava battendo l'aria scura con i suoi colpi di bronzo,
quando Dorian Gray, vestito di panni ordinari e con una sciarpa
avvolta intorno al collo, usc? di casa senza far rumore. In Bond
Street trov? una vettura pubblica con un buon cavallo; la chiam? e
diede sottovoce un indirizzo al cocchiere. Questi scosse la testa.
- Troppo lontano per me - mormor?.
- Ecco qui una sovrana - disse Dorian; - e se camminate in fretta
ne avrete un'altra.
- Benissimo, signore - rispose l'uomo. - In un'ora ci saremo.
Quando il suo passeggero fu salito, fece girare il cavallo e si
mise a correre velocemente in direzione del fiume.
Capitolo sedicesimo.
Cominciava a cadere una pioggerella gelata e i lampioni stradali,
velati da quella nebbia che si scioglieva, avevano un aspetto
spettrale. Le bettole stavano chiudendo e intorno alle loro porte
si raggruppavano sagome scure di uomini e di donne. Da qualche bar
arrivava il rumore di orribili risate; in qualche altro alcuni
ubriachi litigavano urlando.
Steso nel fondo della vettura, con il cappello calcato sulla
fronte, Dorian Gray guardava distrattamente la sordida vergogna
della metropoli, ripetendo a se stesso ogni tanto le parole che
gli aveva detto Lord Henry, il giorno in cui si erano conosciuti:
"curare l'anima per mezzo dei sensi e i sensi per mezzo
dell'anima.
S?, il segreto era quello. L'aveva provato pi? volte e ora
l'avrebbe provato di nuovo. C'erano delle taverne per fumatori
d'oppio dove si poteva comperare l'oblio; spelonche d'orrore dove
il ricordo dei peccati vecchi poteva essere cancellato dalla
follia di peccati nuovi.
In cielo pendeva bassa una luna che sembrava un teschio
giallastro. Ogni tanto una grande nuvola informe vi stendeva sopra
un lungo braccio nascondendola. I lampioni a gas diventavano meno
numerosi e le strade pi? strette e pi? sinistre. A un certo punto
il cocchiere si smarr? e dovette tornare indietro per mezzo
miglio. Il vapore saliva su dal cavallo che affondava gli zoccoli
nelle pozzanghere. I finestrini laterali della carrozza erano
appannati da una nebbia di flanella grigia.
"Curare l'anima per mezzo dei sensi e i sensi per mezzo
dell'anima!" Come suonavano al suo orecchio queste parole! Certo,
la sua anima era mortalmente ammalata. Era vero che i sensi
potevano curarla? Del sangue innocente era stato versato; che cosa
poteva espiarlo? Ah, per questo non esisteva nessuna espiazione;
ma se il perdono era impossibile, l'oblio era ancora possibile, e
lui era deciso a dimenticare, a estinguere quella cosa, a
schiacciarla come si schiaccia la biscia che ci ha morso. Del
resto, con che diritto Basil gli aveva parlato in quel modo? Chi
l'aveva fatto giudice degli altri? Le cose che aveva detto erano
tremende, orribili, intollerabili.
La carrozza continuava ad andare avanti e a lui sembrava che
rallentasse a ogni passo. Apr? lo sportello e grid? all'uomo di
accelerare. Cominciava a sentirsi roso dalla laida fame
dell'oppio; gli bruciava la gola e le sue mani delicate si
intrecciavano nervosamente. Percosse furiosamente il cavallo col
bastone. Il cocchiere rise e frust?; egli a sua volta rispose con
una risata e l'uomo tacque.
Il cammino sembrava interminabile e le strade erano come una
ragnatela nera. La monotonia divent? insopportabile e la nebbia
che si infittiva provoc? in lui un senso di paura.
Passarono vicino a certe solitarie fornaci di mattoni. Qui la
nebbia era pi? rada e lui pot? vedere gli strani forni a forma di
bottiglia, con le loro lingue di fuoco simili a ventagli di color
arancione. Un cane abbai? al loro passaggio e nell'oscurit? si
sent? lontano il grido di un gabbiano errante. Il cavallo inciamp?
in una buca, poi fece uno scarto e prese il galoppo. Dopo qualche
tempo lasciarono la strada sterrata e ricominciarono a percorrere
rumorosamente vie mal selciate. La maggior parte delle finestre
era buia, ma ogni tanto contro qualche persiana illuminata da una
lampada si delineavano delle ombre fantastiche. Le guard? con
curiosit?. Si muovevano come marionette mostruose, gesticolando
come persone vive. Le odi?; nel suo cuore c'era una rabbia sorda.
Mentre giravano un angolo, una donna grid? qualche cosa verso di
loro da una porta aperta e due uomini rincorsero la carrozza per
un centinaio di metri. Il cocchiere li prese a frustate.
Si dice che la passione faccia del pensiero un circolo chiuso.
Certo, le labbra di Dorian Gray, che egli mordeva continuamente,
andavano formando e riformando, con un'interazione odiosa, quelle
parole sottili che parlavano di anima e di sensi, finch? egli
arriv? a trovarvi, per cos? dire, la piena espressione del suo
stato d'animo e a giustificare, con un'approvazione di tipo
intellettuale, passioni che senza una simile giustificazione
avrebbero continuato a dominare il suo spirito. Quel solo pensiero
dominante strisciava da una cellula all'altra del suo cervello; e
il frenetico desiderio di vivere, che di tutti gli appetiti umani
? il pi? terribile, ridiede forza a tutti i suoi nervi tremanti e
a tutte le sue fibre. La bruttezza, che un tempo gli era stata
odiosa perch? rendeva reali le cose, ora gli divent? cara per
quello stesso motivo. La rissa violenta, la taverna schifosa, la
violenza cruda della vita dissoluta, perfino la turpitudine del
ladro e del reietto, per l'impressione intensamente attuale che
suscitavano, erano pi? vive di tutte le forme graziose dell'arte,
di tutte le ombre sognanti del canto. Erano quello che gli serviva
per dimenticare. In tre giorni sarebbe stato libero.
Improvvisamente la carrozza si ferm? con uno scossone all'imbocco
di un vicolo oscuro. Al disopra dei tetti bassi e delle file
ineguali dei comignoli si alzavano, neri, gli alberi dei
bastimenti. Ghirlande di nebbia pendevano dai pennoni come vele
spettrali.
- E' da queste parti, signore, non ? vero? - chiese il cocchiere
attraverso lo sportellino, con voce rauca.
Dorian si riscosse e guard? in giro. - Qui va bene - rispose. Tir?
fuori in fretta la mancia che aveva promesso al cocchiere, gliela
diede e si incammin? di buon passo in direzione della banchina.
Qua e l?, a poppa di qualche bastimento brillava una lanterna e la
luce si rifletteva nelle pozzanghere, frantumandosi. Da un vapore
in partenza che stava rifornendosi di carbone veniva un chiarore
rosso. Il marciapiede scivoloso sembrava un mantello bagnato.
Si diresse frettolosamente verso sinistra, girandosi indietro ogni
tanto per vedere se qualcuno lo seguiva. Dopo sette o otto minuti
arriv? a una casetta trasandata, incastrata tra due fabbriche
spoglie. A una delle finestre del piano superiore c'era una luce.
Si ferm? e buss? in un modo particolare.
Dopo un po' tempo sent? un rumore di passi e la catena venne
sganciata. La porta si apr? silenziosamente ed egli entr? senza
dire una parola alla figura goffa e deforme che al suo passaggio
si schiacci? nell'ombra. All'estremit? dell'ingresso pendeva una
tenda verde, tutta strappata, che ondeggi? e si scosse alla
raffica di vento entrata con lui dalla strada. La scost? e penetr?
in una stanza lunga e bassa che sembrava essere stata in passato
una sala da ballo. Lungo le pareti si allineavano vivaci fiammelle
di gas, attenuate e contorte negli specchi macchiati dalle mosche
che stavano loro di fronte; dietro di esse c'erano degli sporchi
riflettori di stagno simili a tremuli dischi luminosi. Il
pavimento era coperto di segatura color ocra, ridotta qua e l? a
fanghiglia dalle pedate e macchiata di anelli scuri di liquore
versato. Alcuni Malesi, accovacciati vicino a un piccolo braciere,
giocavano con gettoni d'osso, mostrando i denti bianchi nel
parlare. In un angolo un marinaio si era abbandonato sul tavolino,
con la testa nascosta tra le braccia, e vicino al bar, dipinto con
colori vivaci, che occupava tutta una delle pareti, stavano due
donne sparute e si facevano beffe di un vecchio che si spazzolava
le maniche della giacca con un'espressione disgustata. -
S'immagina di avere addosso le formiche rosse - disse ridendo una
di loro mentre passava Dorian. L'uomo la guard? spaventato e
cominci? a piagnucolare.
In fondo alla stanza c'era una scaletta che portava a una camera
buia. L'odore pesante dell'oppio invest? Dorian mentre si
affrettava su per gli scalini malfermi. L'aspir? profondamente e
le sue narici ebbero un fremito di volutt?. Quando entr?, un
giovanotto dai capelli biondi lisci, curvo su una lampada
nell'atto di accendere una pipa lunga e sottile, guard? verso di
lui e fece esitando un cenno col capo.
- Sei qui, Adrian? - brontol? Dorian.
- E dove vuoi che sia? - rispose l'altro con aria distratta. Non
c'? pi? uno degli amici che mi rivolga la parola.
- Ti credevo partito dall'Inghilterra.
- Darlington non vuol fare niente. Mio fratello ha finito col
pagare la cambiale. Neppure Giorgio mi rivolge la parola... Me ne
infischio - aggiunse con un sospiro. - Finch? si ha questa roba
non si ha bisogno di amici. Credo di averne avuti troppi, di
amici.
Dorian trasal? e guard? in giro le forme grottesche distese in
atteggiamenti fantastici sui materassi laceri. Quelle membra
contorte, quelle bocche spalancate, quegli occhi sbarrati e spenti
lo affascinavano. Conosceva gli strani paradisi nei quali costoro
stavano soffrendo e gli oscuri inferni che insegnavano loro i
segreti di qualche nuova gioia; stavano meglio di lui, che era
imprigionato nel pensiero, di lui, al quale la memoria, come una
malattia orribile, stava divorando l'anima. Ogni tanto gli
sembrava di vedere gli occhi di Basil Hallward che lo guardavano.
Per? sent? che non poteva rimanere; la presenza di Adrian
Singleton lo disturbava. Voleva essere in qualche posto dove
nessuno sapesse chi era; voleva evadere da se stesso.
- Me ne vado in quell'altro locale - disse dopo una pausa.
- Sulla banchina?
- S?.
- Ci sar? di certo quella gatta idrofoba. Qui non la lasciano pi?
entrare.
Dorian scroll? le spalle.
- Sono stufo delle donne che ci amano; sono molto pi? interessanti
quelle che ci odiano. E poi la roba ? migliore.
- Pi? o meno la stessa.
- A me piace di pi?. Vieni a bere qualcosa. Bisogna che prenda
qualcosa.
- Non voglio niente - mormor? il giovinotto.
- Non importa.
Adrian Singleton si alz? a fatica e segu? Dorian al bar. Un
meticcio, con un turbante cencioso e una giacca logora, fece
sorridendo un ripugnante saluto spingendo davanti a loro una
bottiglia d'acquavite e due bicchieri. Le donne si avvicinarono,
cominciando a chiacchierare. Dorian gir? loro le spalle, dicendo
qualcosa sottovoce ad Adrian Singleton.
Sul viso di una delle donne pass? un sorriso che era tortuoso come
un criss malese.
- Ci diamo delle grandi arie, stasera - disse, sarcastica.
- Non parlarmi, per Dio - grid? Dorian, sbattendo il piede per
terra. - Che vuoi? denaro? Eccolo. Non parlarmi mai pi?.
Negli occhi acquosi della donna si accesero per un attimo due
scintille rosse, poi si spensero, lasciandoli scialbi e vitrei.
Scosse la testa e raccatt? dal banco le monete, con dita avide,
mentre la sua compagna la guardava con invidia.
- E' inutile - sospir? Adrian Singleton. - Non voglio ritornare. A
che servirebbe? Qui sono perfettamente felice.
- Mi scriverai se ti serve qualche cosa, non ? vero? - disse
Dorian dopo una pausa.
- Forse.
- Allora, buona notte.
- Buona notte - rispose il giovanotto, risalendo gli scalini e
passandosi un fazzoletto sulle labbra aride.
Dorian si avvi? verso la porta, con un'espressione di piet? sul
volto. Mentre scostava la tenda, una risata ripugnante usc? dalle
labbra dipinte della donna che aveva preso il suo denaro. Con un
singhiozzo e con voce rauca, disse:
- Ecco il Patto col Diavolo!
- Maledetta! - rispose lui. - Non chiamarmi in questo modo.
Lei fece schioccare le dita.
- Preferisci che ti chiamino Principe Azzurro, eh? - gli grid?
dietro.
A queste parole il marinaio assonnato scatt? in piedi, lanciando
in giro un'occhiata furibonda. Il rumore della porta che si
chiudeva colp? il suo orecchio. Corse fuori, come se inseguisse
qualcuno.
Sotto la pioggia gelida Dorian Gray si affrettava lungo la
banchina. L'incontro con Adrian Singleton l'aveva stranamente
turbato. Si chiese se veramente era lui il responsabile della
rovina di quella giovane esistenza, come gli aveva detto Basil
Hallward con un insulto cos? infamante. Si morse il labbro e per
un attimo i suoi occhi si rattristarono... Per?, che gliene
importava, alla fine? La vita di un uomo ? troppo breve perch? uno
si carichi sulle spalle il peso degli errori degli altri. Ognuno
vive la propria vita e paga il suo prezzo per viverla. Era un
peccato, peraltro, che per una colpa sola si dovesse pagare tante
volte, anzi, pagare e ripagare continuamente. Nei suoi rapporti
d'affari con l'uomo il Destino non chiude mai il conto.
Gli psicologi ci dicono che ci sono certi momenti nei quali la
passione per il peccato, o per quello che il mondo chiama peccato,
domina a tal punto la persona che ogni fibra del corpo, come ogni
cellula del cervello, diventa istinto, con impulsi tremendi. In
quei momenti, uomini e donne perdono il libero arbitrio e vanno
verso la loro fine terribile, come automi. A loro ? tolta la
facolt? di scegliere, e la coscienza ? spenta o, se anche continua
a vivere, vive solo per dare alla ribellione il suo fascino e alla
disobbedienza il suo incanto. Poich?, come i teologi non si
stancano mai di ripetere, tutti i peccati sono peccati di
disobbedienza. Quando quello spirito eccelso, stella mattutina del
male, precipit? dal cielo, precipit? come ribelle.
Indurito, concentrato nel fare il male, con la faccia sporca e
l'anima affamata di ribellione, Dorian Gray si affrettava,
accelerando il passo; senonch? mentre svoltava in un portico buio
che gli era servito spesso come scorciatoia per raggiungere il
posto malfamato verso il quale era diretto, di colpo si sent?
afferrare da dietro e, prima che avesse il tempo di difendersi, fu
gettato contro il muro e una mano brutale lo prese alla gola.
Lott? furiosamente per salvarsi e, a prezzo di uno sforzo
inaudito, riusc? a strappare via da s? quelle dita che
l'attanagliavano. In un secondo sent? lo scatto di una pistola e
vide il lampo di una canna lucente puntata contro la sua testa e
la sagoma scura e tarchiata dell'uomo che gli stava di fronte.
- Che cosa volete? - disse ansimando.
- Fermo - disse l'uomo. - Se vi muovete sparo.
- Siete impazzito. Che cosa vi ho fatto?
- Avete distrutto la vita di Sybil Vane - fu la risposta - e Sybil
Vane era mia sorella. Voi siete responsabile della sua morte e io
ho giurato di farvela pagare con la vita. Vi ho cercato per anni
interi, ma non avevo nessun indizio, nessuna traccia. Le due
persone che avrebbero potuto descrivervi erano morte. Di voi non
sapevo niente, salvo il vezzeggiativo con il quale lei vi
chiamava. Stasera l'ho sentito per caso. Chiedete perdono a Dio
perch? stanotte morirete.
Dorian Gray si sent? male dalla paura. Balbett?: - Non l'ho mai
conosciuta; non ho mai sentito questo nome. Voi siete pazzo.
- Fareste meglio a confessare il vostro peccato, perch? morirete,
com'? vero che io mi chiamo James Vane.
Pass? un attimo tremendo, durante il quale Dorian non sapeva che
dire n? che fare.
- In ginocchio! - rugg? l'uomo. - Vi d? un minuto per
riconciliarvi con Dio. Stanotte m'imbarco per l'India e prima devo
fare questo lavoro. Un minuto e basta.
Dorian Gray si sent? cadere le braccia. Non sapeva che fare,
quando gli balen? nel cervello una speranza pazzesca. - Fermo!
grid?. - Da quanto tempo ? morta vostra sorella? Ditelo, presto!
- Da diciotto anni - disse l'uomo. - Perch? questa domanda? Che
importano gli anni?
- Diciotto anni! - rise Dorian Gray, con un accento di trionfo
nella voce. - Diciotto anni! Mettetemi sotto un lampione e
guardatemi in faccia!
James Vane esit? un attimo, non comprendendo quello che l'altro
volesse dire: poi afferr? Dorian Gray e lo trascin? fuori dal
portico.
Per quanto la luce fosse fiacca e oscillante sotto i colpi di
vento, bastava tuttavia a fargli vedere l'orribile errore nel
quale apparentemente era caduto; poich? il viso dell'uomo che
aveva voluto uccidere aveva tutto il fiore dell'adolescenza, tutta
la purezza immacolata della giovent?. Sembrava che non potesse
avere molto pi? di vent'anni, poco pi?, al massimo, di quanti ne
aveva sua sorella nel momento in cui si erano separati, tanti anni
prima. Era evidente che non poteva essere questo l'uomo che aveva
distrutto la vita di lei.
Lasci? la presa e indietreggi?.
- Mio Dio, mio Dio! - grid?. - E io vi avrei assassinato!
Dorian Gray trasse un profondo respiro.
- Siete stato a due dita dal commettere un terribile delitto,
galantuomo - disse, guardandolo severamente. - Vi servir? a
imparare che nessuno deve farsi strumento della propria vendetta.
- Vi chiedo perdono, signore - balbett? James Vane. - Mi sono
ingannato. Una parola sentita per caso in quella caverna maledetta
mi ha fuorviato.
- Fareste meglio ad andarvene a casa e a mettere via quella
pistola, se non volete avere qualche guaio - disse Dorian, girando
sui tacchi e incamminandosi lentamente per la strada.
James Vane rimase immobile sul marciapiede, esterrefatto, tremando
dalla testa ai piedi. Dopo un po', un'ombra nera che era venuta
strisciando lungo il muro fradicio usc? fuori alla luce e gli si
avvicin? furtiva. Sent? una mano posarglisi sul braccio; trasal? e
si guard? intorno. Era una delle donne che stavano bevendo al bar.
- Perch? non l'avete ucciso? - sibil? costei, mettendo la faccia
stravolta vicinissima a quella di lui. - Lo sapevo che l'avevate
seguito quando vi siete precipitato fuori da Daly. Imbecille!
Dovevate ammazzarlo; ha un sacco di soldi e non c'e nessuno che
sia pi? cattivo di lui.
- Non ? l'uomo che vado cercando - rispose l'altro, - e non voglio
i soldi di nessuno. Voglio la vita di un uomo. L'uomo del quale
voglio la vita deve avere una quarantina d'anni e questo ? poco
pi? che un ragazzo. Ringrazio Iddio di non essermi macchiato le
mani del suo sangue.
La donna scoppi? in una risata amara.
- Poco pi? che un ragazzo! - ripet?, sarcastica. - Andiamo,
galantuomo! Saranno quasi diciott'anni che il Principe Azzurro ha
fatto di me quella che sono adesso.
- Bugiarda! - grid? James Vane.
La donna alz? un braccio verso il cielo.
- Davanti a Dio vi sto dicendo la verit?.
- Davanti a Dio?
- Possa farmi diventare muta se non dico il vero. E' il peggiore
di tutti quelli che frequentano questo locale. Dicono che si ?
venduto al diavolo per la sua bella faccia. Sono quasi
diciott'anni che lo conosco e da allora in poi non ? cambiato
molto. Io s? - aggiunse con un'occhiata furtiva e dolorosa.
- Lo giuri?
- Lo giuro - fu l'eco rauca che usc? da quella bocca piatta. Per?
non mi tradite con lui - gemette. - Mi fa paura. Datemi qualche
soldo per la camera.
Egli si strapp? via da lei con una bestemmia e si precipit? verso
l'angolo, ma Dorian Gray era scomparso. Si gir? indietro, ma anche
la donna era sparita.
Capitolo diciassettesimo.
Una settimana dopo, Dorian Gray era seduto nella serra di Selby
Royal e parlava con la graziosa duchessa di Monmouth, che era sua
ospite insieme col marito, un sessantenne dall'aspetto stanco.
Era l'ora del t? e la luce attenuata della grande lampada dal
paralume di pizzo collocata sulla tavola, illuminava le porcellane
delicate e gli argenti martellati del servizio al quale la
duchessa presiedeva. Le sue mani bianche si muovevano con grazia e
le sue rosse labbra carnose sorridevano di qualcosa che Dorian le
stava dicendo: Lord Henry, adagiato in una poltrona di seta, li
guardava. Su un divano color pesca c'era Lady Narborough che
fingeva di ascoltare il duca, che le descriveva l'ultimo scarabeo
brasiliano che aveva aggiunto alla sua collezione. Tre giovanotti
molto ben vestiti, in smoking, offrivano pasticcini ad alcune
signore. C'erano dodici ospiti in casa e per il giorno seguente si
aspettava l'arrivo di altri.
- Di che cosa state parlando voi due? - disse Lord Henry, andando
verso il tavolino e posandovi sopra la tazza. - Gladys, spero che
Dorian ti abbia detto del mio piano di ribattezzare ogni cosa. E'
un'idea deliziosa.
- Ma io non ho nessuna voglia di essere ribattezzata, Henry
rispose la duchessa, fissandolo con i suoi magnifici occhi. Sono
soddisfattissima del mio nome e sono certa che il signor Gray ?
soddisfattissimo del suo.
- Mia cara Gladys, non vorrei modificare n? l'uno n? l'altro per
tutto l'oro del mondo. Sono entrambi perfetti. Pensavo soprattutto
ai fiori. Ieri colsi un'orchidea per mettermela all'occhiello; era
una mirabile cosa, tutta macchiata, efficace come i sette peccati
mortali. Senza pensarci, ne chiesi il nome al giardiniere e questi
mi rispose che era un bell'esemplare di Robinsoniana o un'altra
tremenda cosa di questo genere. E' una triste verit? che abbiamo
perduto il dono di dare alle cose dei nomi graziosi. I nomi sono
tutto. Io non litigo mai con le cose; litigo soltanto con le
parole, e questa ? la ragione per la quale in letteratura detesto
il realismo volgare. L'uomo che chiama vanga una vanga dovrebbe
essere costretto a maneggiarla; ? l'unica cosa per la quale sia
adatto.
- E a te, allora Harry, come dovremmo chiamarti? - chiese lei.
- Il suo nome ? Principe Paradosso - disse Dorian.
- L'ho riconosciuto subito - esclam? la duchessa.
- Non lo voglio sentire - disse Lord Henry, ridendo e sedendosi.-
A un'etichetta non si sfugge pi?. Rifiuto il titolo.
- I re non possono abdicare - fu il m?nito che venne da quelle
labbra graziose.
- Vuoi dunque ch'io difenda il mio trono?
- S?.
- Io annunzio le verit? di domani.
- Preferisco gli errori di ieri - rispose lei.
- Gladys, mi hai disarmato - esclam? lui, vedendola cos? ostinata.
- Dello scudo, ma non della lancia.
- Contro la bellezza non scendo mai in lizza - disse lui con un
gesto della mano.
- E' qui che sbagli, Harry, credi a me. Attribuisci alla bellezza
un valore veramente eccessivo.
- Come puoi dire questo? Ammetto che penso che sia meglio essere
belli che buoni; ma d'altra parte non c'? uomo pi? disposto di me
ad ammettere che ? meglio essere buoni che brutti.
- Dunque la bruttezza ? uno dei sette peccati mortali? - grid? la
duchessa. - E che succede allora della tua similitudine a
proposito dell'orchidea?
- La bruttezza ? una delle sette virt? mortali, Gladys. Tu, che
sei una buona conservatrice, non devi sottovalutarle; la birra, la
Bibbia e le sette virt? mortali hanno fatto della nostra
Inghilterra quello che ?.
- Dunque tu non ami il tuo paese? - chiese lei.
- Ci vivo.
- S?, per poterlo criticare meglio.
- Vorresti che accettassi il verdetto che ha pronunciato l'Europa?
- Che dicono di noi?
- Che Tartufo ? emigrato in Inghilterra e vi ha aperto bottega. E'
roba tua questa?
- Te la regalo.
- Non saprei che farmene. E' troppo vero.
- Non aver paura. I nostri compatrioti non riconoscono mai una
descrizione.
- Sono gente pratica.
- Sono pi? astuti che pratici. Quando fanno i ragionieri fanno
bilanciare la stupidit? dalla ricchezza e il vizio dall'ipocrisia.
- Eppure abbiamo fatto cose grandi.
- Ci sono state imposte cose grandi, Gladys.
- E' un peso che abbiamo saputo portare.
- Soltanto fino al palazzo della Borsa.
Lei scosse la testa ed esclam?:
- Io ho fede nella razza.
- Per me la decadenza ha un fascino maggiore.
- E l'arte? - chiese lei.
- E' una malattia.
- L'amore?
- Un'illusione.
- La religione?
- Il surrogato elegante della fede.
- Sei uno scettico.
- No di certo. Lo scetticismo ? il principio della fede.
- Ma che cosa sei?
- Definire ? limitare.
- Dammi un filo.
- I fili sfuggono di mano. Ti smarriresti nel labirinto.
- Mi fai girare la testa. Parliamo di qualcun altro.
- Il nostro ospite costituisce un argomento delizioso. Anni fa lo
battezzarono Principe Azzurro.
- Ah, - grid? Dorian, - non ricordarmelo!
- Il nostro ospite ? piuttosto antipatico stasera - rispose la
duchessa, arrossendo. - Sono convinta che crede che Monmouth mi
abbia sposato per ragioni puramente scientifiche, come il miglior
esemplare di farfalla moderna che poteva trovare.
- Spero per? che non vi bucher? con gli spilli, duchessa - disse
ridendo Dorian.
- Oh, signor Gray, questo lo fa gi? la mia cameriera quando ?
arrabbiata con me.
- E riguardo a cosa si arrabbia con voi, duchessa?
- Per le cose pi? insignificanti, ve l'assicuro, Mister Gray. Di
solito perch? arrivo alle nove meno dieci e le dico che devo esser
vestita per le otto e mezzo.
- E' una donna irragionevole! Dovreste licenziarla.
- Non oso, signor Gray. Inventa persino dei cappelli per me. Vi
ricordate quello che portavo al garden-party di Lady Hillstone?
No, per? siete molto gentile a far finta di ricordarvene. Orbene,
era lei che l'aveva fatto, con niente; ma tutti i bei cappelli
sono fatti di niente.
- Come tutte le buone riputazioni, Gladys - interruppe Lord Henry.
- Ogni volta che produciamo un effetto qualunque ci facciamo un
nemico. Per esser popolari bisogna essere mediocri.
- Con le donne no - disse la duchessa, scuotendo la testa - e le
donne governano il mondo. Ti assicuro che noi non possiamo
sopportare la mediocrit?. Noi donne, come ha detto non so pi? chi,
amiamo con gli orecchi, come voi uomini amate con gli occhi, se
pure siete capaci di amare.
- Mi sembra che non facciamo mai altro - disse Dorian a mezza
voce.
- Ah, ma allora non amate mai veramente, signor Gray - rispose la
duchessa, fingendo la tristezza.
- Cara Gladys - grid? Lord Henry, - come puoi dire questo? Il
romanzo vive di ripetizione e la ripetizione trasforma un appetito
in arte. Del resto, ogni volta che amiamo ? l'unica volta che
abbiamo amato. La diversit? dell'oggetto non modifica l'unicit?
della passione; semplicemente la intensifica. Nella vita non
possiamo avere, al massimo, che una grande esperienza e il segreto
della vita consiste nel ripetere quell'esperienza il pi? spesso
possibile.
- Anche se ne siamo usciti feriti, Harry? - chiese la duchessa
dopo una pausa.
- Soprattutto se ne siamo usciti feriti - rispose Lord Henry.
La duchessa si gir? a guardare Dorian, con una curiosa espressione
negli occhi.
- E voi che ne dite, signor Gray? - chiese.
Dorian esit? un attimo, poi mosse la testa all'indietro e rise.
- Io sono sempre d'accordo con Henry, duchessa.
- Anche quando ha torto?
- Harry non ha mai torto.
- E la sua filosofia vi rende felice?
- Non ho mai cercato la felicit?. E chi vuole la felicit?? Ho
cercato il piacere.
- E l'avete trovato?
- Spesso. Troppo spesso.
La duchessa sospir?.
- Io vado in cerca di pace - disse, - e stasera non ne avr? se non
vado a vestirmi.
- Aspettate che vada a prendervi qualche orchidea, duchessa grid?
Dorian, scattando in piedi e incamminandosi gi? per la serra.
- Stai flirtando con lui in un modo vergognoso - disse Harry alla
cugina. - Faresti meglio a stare attenta. E' un uomo molto
affascinante.
- Se non lo fosse non ci sarebbe battaglia.
- Greci contro Greci, dunque?
- Io sto dalla parte dei Troiani. Combattevano per una donna.
- Ma furono sconfitti.
- Esistono cose peggiori della cattura - replic? lei.
- Stai galoppando a briglia sciolta.
- E' l'andatura che fa la vita - fu la risposta.
- Lo scriver? nel mio diario stasera.
- Che cosa?
- Che un bimbo scottato ama il fuoco.
- Io non sono neanche strinata. Ho le ali intatte.
- Le puoi adoperare per qualsiasi cosa, ma non per fuggire.
- Il coraggio ? passato dagli uomini alle donne. Per noi ?
un'esperienza nuova.
- Hai una rivale.
- Chi?
Egli rise e sussurr?: - Lady Narborough. Lo adora.
- Desti tutte le mie apprensioni. Per noi che siamo romantiche
l'appello dell'antichit? ? fatale.
- Romantiche? Se possedete tutti i metodi della scienza.
- Gli uomini ci hanno istruito.
- Ma non vi hanno spiegato.
- D? una definizione del sesso femminile - disse lei, per sfida.
- Sfingi senza segreti.
Lei lo guard? sorridendo, poi disse:
- Quanto ci mette Gray! Andiamo ad aiutarlo. Non gli ho ancora
detto di che colore ? il mio vestito.
- Ah, Gladys, ma sei tu che devi adattare il vestito ai suoi
fiori.
- Questa sarebbe una resa prematura.
- L'arte romantica comincia dal punto culminante.
- Bisogna che mi lasci aperta la via della ritirata.
- Come i Parti?
- Quelli si rifugiavano nel deserto, ma io non posso.
- Alle donne non ? sempre permesso scegliere - rispose lui; ma
aveva appena finito la frase che dall'estremit? pi? lontana della
serra arriv? un gemito soffocato, seguito dal tonfo cupo di una
cosa pesante che cadeva. Tutti balzarono in piedi; la duchessa si
ferm?, paralizzata dall'orrore, e Lord Henry, con gli occhi pieni
di spavento, si lanci? tra le palme ondeggianti e trov? Dorian
Gray steso, a faccia in gi?, sul pavimento di mattonelle; uno
svenimento che assomigliava alla morte.
Lo portarono immediatamente nel salotto azzurro e lo adagiarono su
uno dei divani. Dopo un po' riprese i sensi e si guard? intorno,
con un'espressione attonita.
- Che ? successo? - chiese. - Oh, s?, mi ricordo. Sono al sicuro
qui, Harry? - Cominci? a tremare.
- Mio caro Dorian - rispose Lord Henry, - sei semplicemente
svenuto; nient'altro. Forse ti sei stancato troppo. Faresti meglio
a non scendere per pranzo. Ti sostituisco io.
- No, voglio scendere - disse, lottando per rimettersi in piedi.-
Preferisco scendere. Non devo stare solo.
And? in camera sua e si vest?. Finch? rimase seduto a tavola,
sembr? che si volesse abbandonare all'allegria pi? sfrenata; ma
ogni tanto un brivido di terrore lo percorreva tutto, se ripensava
che aveva visto, schiacciata come un fazzoletto bianco contro la
finestra della serra, la faccia di James Vane che lo spiava.
Capitolo diciottesimo.
Il giorno dopo non usc? di casa, anzi pass? la maggior parte del
tempo in camera da letto, ammalato di un frenetico terrore della
morte e pur tuttavia indifferente alla vita in se stessa. La
coscienza di essere braccato, insidiato, inseguito aveva
cominciato a dominarlo. Bastava che le cortine tremassero al vento
per farlo sussultare. Le foglie morte trasportate contro i vetri
piombati gli sembravano simili alle risoluzioni che non aveva
tradotto in atti, ai rimpianti che non riusciva a frenare. Se
chiudeva gli occhi, rivedeva la faccia del marinaio intento a
guardare attraverso il vetro appannato e gli sembrava che l'orrore
tornasse a posargli la mano sul cuore.
Ma forse era stata solo la sua immaginazione a evocare fuori della
notte la vendetta e a mettergli davanti agli occhi gli orribili
aspetti del castigo. Se la vita reale era un caos,
nell'immaginazione c'era per? qualcosa di terribilmente logico:
era questa che sguinzagliava il rimorso sulle orme del peccato,
che faceva s? che ogni delitto portasse i suoi frutti deformi. Nel
mondo comune dei fatti, n? i malvagi erano puniti n? i buoni
ricompensati: il successo andava ai forti, l'insuccesso colpiva i
deboli: nient'altro. Per di pi?, se qualche estraneo si fosse
aggirato intorno alla casa, i domestici o i guardiani lo avrebbero
visto; se nelle aiuole fosse stata scoperta qualche impronta i
giardinieri lo avrebbero segnalato. Era stata senza dubbio pura
immaginazione; il fratello di Sybil Vane non era tornato indietro
per ucciderlo; era partito a bordo del suo bastimento chi sa per
dove, per naufragare in qualche burrasca invernale. Da lui almeno
era al sicuro. Quell'uomo non sapeva nemmeno chi egli fosse; non
poteva saperlo. La maschera della giovent? lo aveva salvato.
Peraltro, se si trattava di una semplice illusione, non era
tremendo pensare che la coscienza potesse far nascere simili
paurosi fantasmi e dare loro forma visibile e farli muovere sotto
i nostri occhi? Che razza di vita sarebbe stata la sua, se le
ombre del suo delitto dovevano spiarlo giorno e notte dagli angoli
silenziosi, schernirlo da luoghi segreti, sussurrargli
all'orecchio durante il festino, svegliarlo dal sonno con gelide
dita! Quando gli si insinu? nel cervello quest'idea, il terrore lo
fece impallidire e gli sembr? che l'aria fosse diventata
improvvisamente pi? fredda. Che momento di pazzia furiosa era
stato quello nel quale aveva ucciso il suo amico! Com'era orribile
il solo ricordo di quella scena! La rivedeva tutta quanta; tutti i
dettagli spaventosi gli tornavano in mente con un orrore
intensificato. L'immagine del suo delitto usciva dalla nera
caverna del tempo, terribile e drappeggiata di scarlatto. Quando
Lord Henry entr? alle sei, lo trov? in lacrime, come uno al quale
si spezzi il cuore.
Soltanto il terzo giorno si arrischi? a uscire. Nell'aria serena,
profumata di resina, di quella mattinata invernale c'era qualcosa
che sembrava restituirgli l'allegria e l'ardore di vivere. Ma
questo cambiamento non era dovuto solo alle condizioni fisiche
dell'ambiente; era la sua stessa natura che si era ribellata
contro l'angoscia eccessiva che aveva tentato di sovvertire e
distruggere la perfezione della sua calma. Succede sempre cos? nei
temperamenti raffinati e complessi; le loro passioni violente o li
fiaccano o devono piegarsi, o uccidono l'uomo o muoiono esse
stesse. I dolori superficiali, come gli amori superficiali, vivono
a lungo; gli amori e i dolori veramente grandi sono distrutti
dalla loro stessa pienezza. Inoltre, si era convinto di essere
stato vittima della propria immaginazione terrorizzata e ora
ripensava alla sua paura con una certa piet? mista a un certo
disprezzo.
Dopo colazione passeggi? per un'ora in giardino con la duchessa,
poi attravers? il parco in carrozza per raggiungere i cacciatori.
La brinata scricchiolante copriva il metallo turchino e una
sottile striscia di ghiaccio orlava il laghetto tranquillo e ricco
di canne.
Al limitare del bosco di pini vide Sir Geoffrey Clouston, il
fratello della duchessa, che estraeva dal fucile due cartucce
vuote. Salt? gi? dalla vettura e, dopo aver detto al "groom" di
riportare a casa la cavalla si avvi? verso l'ospite tra i rami
secchi e i cespugli irti.
- Buona caccia, Geoffrey? - chiese.
- Non troppo, Dorian. La maggior parte degli uccelli dev'essere
uscita all'aperto. Credo che andr? meglio nel pomeriggio, quando
passeremo su un terreno nuovo.
Dorian si un? a lui. L'aria aromatica e frizzante, le luci brune e
rosse che apparivano nel bosco, le grida rauche dei battitori che
si alzavano ogni tanto e alle quali seguivano gli spari secchi dei
fucili lo affascinavano e gli davano un delizioso senso di
libert?. La noncuranza della felicit?, la suprema indifferenza
della gioia si erano impadronite di lui.
Di colpo, a una ventina di metri da loro, una lepre, con gli
orecchi dalla punta nera dritti, spinta in avanti dalle lunghe
zampe posteriori, sbuc? da un folto cespuglio di erbe aride
correndo come una freccia in direzione di un folto di ontani. Sir
Geoffrey imbracci? il fucile; ma nella grazia dei movimenti
dell'animale c'era qualcosa che affascin? stranamente Dorian Gray
e lo fece gridare subito:
- Non sparare, Geoffrey. Lasciala vivere.
- Che sciocchezza, Dorian! - rise il suo compagno e mentre la
lepre stava per balzare nel folto spar?. Si sentirono due gridi:
quello di una lepre ferita, che ? tremendo, e quello di un uomo in
agonia, che ? ancora pi? tremendo.
- Signore Iddio! - esclam? Sir Geoffrey. - Ho colpito un
battitore! Ma che idiota, a mettersi cos? davanti ai fucili! Voi,
laggi?, smettete di sparare! - grid? a voce altissima. C'? un
ferito.
Il capo dei guardacaccia arriv? di corsa con un bastone in mano.
- Dove, signore? dov'?? - grid?; e nello stesso momento il fuoco
cess? su tutta la linea.
- Qui - rispose Sir Geoffrey, furibondo, affrettandosi verso il
folto. - Perch? diavolo non tenete indietro i vostri uomini? Per
oggi la mia caccia ? rovinata.
Dorian li segu? con lo sguardo mentre penetravano nel boschetto di
ontani, scostando i rami esili e flessuosi. Dopo poco tornarono
fuori, trascinandosi dietro un corpo nella luce del sole. L'orrore
gli fece girare la testa; gli sembr? che la sventura lo seguisse
dovunque. Sent? Sir Geoffrey chiedere se l'uomo era proprio morto
e il guardacaccia rispondere affermativamente. Tutto il bosco,
improvvisamente, gli sembr? pieno di volti umani; sent? il
calpest?o di migliaia di piedi e il ronzio sommesso delle voci. Un
grande fagiano dal petto di rame venne a svolazzare tra i rami
sulle loro teste.
Dopo pochi momenti che, nello stato di turbamento in cui era, gli
sembrarono ore interminabili di sofferenza, sent? una mano che gli
si posava sulla spalla; trasal? e si gir?.
- Dorian - disse Lord Henry, - sar? meglio dire che per oggi la
battuta ? sospesa. Continuarla non farebbe buona impressione.
- Harry, vorrei che fosse sospesa per sempre - rispose, amaro. E'
tutta una cosa ripugnante e crudele. Quell'uomo ?...
Non riusc? a finire la frase.
- Temo di s? - rispose Lord Henry. - La scarica l'ha colpito in
pieno petto. La morte deve essere stata istantanea. Vieni, andiamo
a casa.
Camminarono fianco a fianco per una cinquantina di metri in
direzione del viale, senza pronunciare una sola parola; poi Dorian
guard? Lord Henry e disse, con un profondo sospiro:
- Brutto presagio, Harry; bruttissimo presagio.
- Che cosa? - chiese Lord Henry. - Ah, s?, quest'incidente. Ma,
amico mio, era inevitabile. La colpa ? tutta dell'uomo; perch? si
? messo davanti ai fucili? E poi la cosa non ci riguarda.
Naturalmente ? piuttosto seccante per Geoffrey. Impallinare i
battitori non ? una bella cosa; la gente pensa che chi l'ha fatto
sia uno che spara all'impazzata, e Geoffrey non lo ?; ? un
tiratore molto preciso. Ma parlarne non serve a niente.
Dorian scosse la testa.
- E' un brutto presagio, Harry. Ho la sensazione che qualcosa di
orribile stia per succedere a qualcuno di noi; a me, forse
aggiunse, passandosi la mano davanti agli occhi con un gesto di
paura.
L'altro rise.
- Dorian, al mondo c'? una sola cosa orribile, la noia; ? l'unico
peccato che non trova perdono. Ma non ? probabile che noi ne
soffriremo, a meno che a pranzo questa gente non continui a
chiacchierare di questa storia. Bisogner? che faccia sapere che ?
un argomento da considerare vietato. Quanto ai presagi, non esiste
niente di simile. Il destino ? troppo saggio e troppo crudele per
mandarci degli araldi. E poi, Dorian, a te che diavolo potrebbe
accadere? Tu hai tutto quello che si pu? desiderare al mondo; non
c'? uomo che non sarebbe felice di fare a cambio con te.
- Harry, non c'? uomo con il quale io non farei a cambio. Non
ridere; ti sto dicendo la verit?. Quel disgraziato contadino che ?
morto poco fa sta molto meglio di me. Io non ho paura della morte:
? la venuta della morte che mi atterrisce. Mi sembra di sentire in
quest'aria di piombo il battito delle sue ali mostruose. Buon Dio!
non vedi laggi? dietro gli alberi muoversi un uomo, che mi
aspetta, che mi spia?
Lord Henry guard? nella direzione che additava quella mano
inguantata.
- S? - disse sorridendo, - vedo il giardiniere che ti aspetta.
Probabilmente vorr? chiederti che fiori vuoi avere in tavola
stasera. Sei nervoso in un modo incredibile, Dorian; quando
torniamo in citt? devi farti visitare dal mio medico.
Vedendo avvicinarsi il giardiniere, Dorian trasse un sospiro di
sollievo. Questi si tocc? il cappello, diede un'occhiata esitante
a Lord Henry, poi tir? fuori una lettera e la porse al padrone.
- Sua Grazia mi ha detto di aspettare la risposta - mormor?.
Dorian si mise in tasca la lettera e disse freddamente:
- Dite a Sua Grazia che sto venendo.
L'uomo si gir? e si diresse rapidamente verso la casa.
- Quanto piace alle donne fare le cose pericolose! - disse Lord
Henry. - E' una delle qualit? che pi? ammiro in loro. Una donna
flirter? con chiunque, a condizione che ci sia qualcuno a
guardare.
- Quanto piace a te dire le cose pericolose, Harry! In questo caso
sei del tutto fuori strada. La duchessa mi piace moltissimo, ma
non l'amo.
- E la duchessa ti ama molto, ma le piaci meno; e dunque l'accordo
? perfetto.
- Harry, tu stai parlando di scandali e per uno scandalo non
esiste la pi? piccola base.
- La base per qualunque scandalo ? una certezza immorale - disse
Lord Henry, accendendo una sigaretta.
- Tu sacrificheresti chiunque per il gusto di fare un epigramma.
- Il mondo va all'altare spontaneamente - fu la risposta.
- Vorrei poter amare - grid? Dorian Gray, con una nota
profondamente patetica nella voce. - Ma mi sembra di aver perduto
la passione e dimenticato il desiderio. Mi sono concentrato troppo
su me stesso; la mia personalit? mi ? diventata un peso. Voglio
evadere, andarmene, dimenticare. Sono stato uno sciocco a venire
qui. Credo che telegrafer? a Harvey di allestire lo yacht; a bordo
si ? al sicuro.
- Al sicuro da che cosa, Dorian? Tu ti trovi in qualche pasticcio.
Perch? non mi dici di che si tratta? Sai bene che ti aiuterei.
- Non posso dirtelo, Harry - rispose tristemente, - e forse non ?
che una mia immaginazione. Questo disgraziato incidente mi ha
sconvolto. Ho un orribile presentimento che qualche cosa di simile
accadr? a me.
- Che sciocchezze!
- Speriamo; ma non riesco a difendermi da questa sensazione. Ah,
ecco la duchessa, che sembra Artemide in tailleur. Come vedete,
duchessa, sono tornato.
- Ho sentito tutto, signor Gray - rispose lei. - Il povero
Geoffrey ? fuori di s?. E sembra che voi gli avevate chiesto di
non tirare a quella lepre. Che cosa strana!
- S?, molto strana. Non so che cosa mi abbia spinto: un capriccio,
penso. Sembrava la pi? graziosa di tutte le cose viventi. Per? mi
dispiace che vi abbiano detto di quell'uomo; non ? un argomento
attraente.
Lord Henry intervenne:
- E' un argomento noioso. Non ha nessun valore psicologico. Ah, se
Geoffrey l'avesse fatto apposta, questo lo renderebbe molto
interessante. Mi piacerebbe conoscere uno che avesse commesso un
vero assassinio.
- Che brutte cose, Harry! - grid? la duchessa, - non ? vero,
signor Gray? Harry, il signor Gray sta male di nuovo: sta per
svenire.
Dorian, con uno sforzo, si irrigid? e sorrise.
- Non ? niente, duchessa - mormor?. - Ho i nervi terribilmente in
disordine, ecco tutto. Temo di aver camminato troppo stamani. Non
ho sentito quello che ha detto Harry; era una cosa molto brutta?
Bisogner? che tu me la ridica un'altra volta. Credo che dovr?
andare a coricarmi. Mi scuserete, non ? vero?
Erano arrivati al grande salone che portava dalla serra alla
terrazza. Quando la porta vetrata si fu chiusa dietro le spalle di
Dorian Gray, Lord Henry si gir? a guardare la duchessa con i suoi
occhi sonnolenti e le disse:
- Sei molto innamorata di lui?
Lei non rispose per qualche momento e rimase a contemplare il
paesaggio.
- Vorrei saperlo - disse finalmente.
Lui scosse la testa.
- Saperlo sarebbe fatale. Quello che affascina ? l'incertezza. La
nebbia rende meravigliose tutte le cose.
- Si pu? smarrire la strada.
- Mia cara Gladys, tutte le strade finiscono nello stesso punto.
- Qual ??
- La delusione.
- E' stata il mio "d?but" nella vita - sospir? lei.
- E' venuta da te con una corona in testa.
- Le foglie di fragola mi hanno stancato.
- Ma ti stanno bene.
- Soltanto in pubblico.
- Ne sentiresti la mancanza - disse Lord Henry.
- Non intendo separarmi neanche da un petalo.
- Monmouth ha gli orecchi.
- I vecchi sono duri d'orecchio.
- Non ? mai stato geloso?
- Vorrei che lo fosse stato.
Egli diede un'occhiata in giro, come se cercasse qualcosa.
- Che cerchi? - gli domand? essa.
- Il bottone del tuo fioretto - rispose lui. - L'hai lasciato
cadere.
Lei rise. - S?, ma la maschera ce l'ho ancora.
- Rende pi? graziosi i tuoi occhi - fu la risposta.
Essa rise, e i suoi denti si mostrarono, simili a semi bianchi in
un frutto scarlatto.
Di sopra, Dorian Gray, in camera sua, era disteso su un divano e
il terrore scuoteva tutte le fibre del suo corpo. Per lui la vita,
di colpo, era diventata un peso troppo ripugnante per sopportarlo.
La morte tremenda di quel disgraziato battitore, ucciso nel
boschetto come un animale selvatico, gli era parsa come una
prefigurazione della morte che avrebbe colpito anche lui. Le
parole pronunciate da Lord Henry per un capriccio passeggero di
cinismo faceto gli avevano dato le vertigini.
Alle cinque suon? per il servitore e gli diede ordine di fare le
valigie in tempo per il direttissimo notturno per la capitale e di
fargli avere la carrozza alla porta per le otto e mezzo. Era
deciso a non passare un'altra notte a Selby Royal. Era un posto di
malaugurio; la morte vi si aggirava in pieno sole e l'erba della
foresta era stata sporcata di sangue.
Scrisse poi un biglietto a Lord Henry, dicendogli che andava in
citt? per consultare un medico e pregandolo di fare gli onori di
casa durante la sua assenza. Stava introducendolo nella busta
quando bussarono alla porta e il servitore lo inform? che il capo
guardacaccia voleva vederlo. Si rabbui? e si morse le labbra.
- Fatelo entrare - mormor? dopo un attimo di esitazione.
Appena l'uomo fu entrato, Dorian tir? fuori da un cassetto il
libretto degli assegni e l'apr? davanti a lui.
- Suppongo che siate venuto per quel disgraziato incidente di
stamattina, Thornton - disse nel prendere la penna.
- Sissignore - rispose il guardacaccia.
- Era ammogliato quel poveretto? Aveva qualcuno a carico? chiese
Dorian, con aria annoiata. - Se ? cos?, non vorrei che rimanessero
in miseria e manderei loro qualsiasi somma di denaro che vi sembri
necessaria.
- Non sappiamo chi sia, signore. E' per questo che mi sono
permesso di venire da voi.
- Non sapete chi sia? - disse distrattamente Dorian. - Che volete
dire? Non era uno dei vostri uomini?
- Nossignore. Mai visto prima. Sembra un marinaio.
A Dorian Gray cadde di mano la penna. Gli sembr? che il suo cuore
avesse smesso di battere di colpo.
- Marinaio? - grid?. - Marinaio, avete detto?
- Sissignore. Ha l'aria di essere stato una specie di marinaio;
tatuato su tutt'e due le braccia e cos? via.
- Non gli si ? trovato niente indosso? - disse Dorian, piegandosi
in avanti e guardandolo cogli occhi spalancati. Niente che riveli
il suo nome?
- Un po' di denaro, non molto, e una pistola a sei colpi. Non
c'era nessun nome. Ha l'aria di una persona per bene, ma rozza:
una specie di marinaio, pensiamo noi.
Dorian si alz?. Una speranza terribile gli era balenata e lui vi
si aggrapp? follemente.
- Dov'? il cadavere? - esclam?. - Presto! voglio vederlo subito.
- In una stalla vuota alla Home Farm. La gente non ha piacere di
avere in casa quella specie di cose; dicono che un cadavere porta
disgrazia.
- Alla Home Farm! - Andate subito l? e aspettatemi. Dite a uno dei
miei "grooms" di portare fuori il mio cavallo. No, non importa;
andr? io stesso alle scuderie. Guadagneremo tempo.
Meno d'un quarto d'ora dopo, Dorian Gray galoppava a tutta forza
gi? per il lungo viale. Gli sembrava che gli alberi gli sfilassero
accanto come una processione di spettri e che delle ombre furiose
gli si gettassero attraverso la strada. A un certo punto la
cavalla fece uno scarto davanti a un pilastro bianco e per poco
non lo sbalz? di sella. La sferz? sul collo con lo scudiscio.
Fendeva come una freccia l'aria crepuscolare e gli zoccoli
facevano volare i sassi.
Arriv? finalmente alla Home Farm. Nel cortile aspettavano due
uomini. Salt? gi? di sella gettando le redini a uno di loro. Nella
stalla pi? lontana si vedeva il bagliore di una lampada. Qualcosa
gli disse che l? c'era il cadavere; si affrett? verso la porta e
mise la mano sul paletto.
Si ferm? per un attimo, perch? provava la sensazione di essere sul
punto di scoprire una cosa che avrebbe fatto o disfatto la sua
esistenza; poi spalanc? la porta ed entr?.
Nell'angolo pi? lontano il cadavere di un uomo vestito di una
rozza camicia e di un paio di calzoni turchini era steso su un
mucchio di sacchi. Gli avevano messo un fazzoletto sudicio sul
viso; accanto, scoppiettava una candela da pochi soldi, infilata
in una bottiglia.
Dorian Gray rabbrivid?. Sapeva che la mano che doveva tirar via il
fazzoletto non poteva essere la sua e chiam? uno dei contadini.
- Levagli quella roba dal viso. Voglio vederlo - disse,
aggrappandosi allo spigolo della porta per reggersi in piedi.
Quando il contadino ebbe rimosso il cencio, fece un passo avanti e
un grido di gioia gli sfugg? dalle labbra. L'uomo ucciso nel
boschetto era James Vane.
Rest? per qualche minuto a osservare il cadavere. Tornando a casa
aveva gli occhi pieni di lacrime, perch? sapeva di essere in
salvo.
Capitolo diciannovesimo.
- E' inutile che tu mi dica che sarai buono - esclam? Lord Henry,
tuffando le dita bianche in una coppa piena d'acqua profumata
all'essenza di rose. - Tu sei perfetto e ti prego di non cambiare.
Dorian Gray tentenn? il capo.
- No, Harry. In vita mia ho fatto troppe azioni tremende e non ne
far? pi?. Ieri ho cominciato quelle buone.
- Dove eri ieri?
- In campagna, solo, in un piccolo albergo.
- Caro figliuolo - disse Lord Henry sorridendo, - in campagna
chiunque pu? essere buono, perch? non ci sono tentazioni; e ?
questa la ragione per la quale quelli che vivono in campagna sono
cos? assolutamente privi di civilt?. La civilt? non ? affatto una
cosa facile da raggiungere. L'uomo vi pu? arrivare in due modi:
essendo colto oppure essendo corrotto. La gente di campagna non ha
nessuna possibilit? di essere n? l'una n? l'altra cosa e perci?
rimane stagnante.
- Cultura e corruzione - fece eco Dorian. - Ho conosciuto qualcosa
dell'una e dell'altra. Adesso mi sembra terribile che le due cose
debbano sempre trovarsi assieme, perch? ho un nuovo ideale, Harry.
Sar? diverso; credo anzi di essere gi? diverso.
- Non mi hai ancora detto in che cosa consisteva la tua buona
azione; oppure hai detto di averne compiuta pi? di una? - chiese
il suo compagno, versandosi sul piatto una piccola piramide
cremisina di fragole senza gambo e facendovi cadere sopra una
bianca nevicata di zucchero attraverso un cucchiaio traforato a
forma di conchiglia.
- Te lo dir?, Harry; non ? una storia che potrei raccontare a
nessun altro. Ho risparmiato una persona. La frase sembra
vanitosa, ma tu capisci che cosa voglio dire. Era molto bella e
assomigliava mirabilmente a Sybil Vane; credo che la prima cosa
che mi ha attratto verso di lei sia stata questa somiglianza. Ti
ricordi di Sybil, non ? vero? Quanti anni sono passati! Hetty,
naturalmente, non apparteneva alla nostra classe; era una ragazza
di villaggio, ma io l'amavo veramente; sono sicurissimo che
l'amavo. Durante tutto questo meraviglioso mese di maggio che
abbiamo passato, andavo a vederla due o tre volte la settimana.
Ieri ci siamo incontrati in un orto. I fiori del melo le cadevano
continuamente sui capelli e lei rideva. Stamattina all'alba
dovevamo partire insieme, ma improvvisamente ho preso la decisione
di lasciarla simile a un fiore, cos? come l'avevo trovata.
- Credo che la novit? dell'emozione debba averti procurato un
fremito di vero piacere, Dorian - interruppe Lord Henry. - Ma sono
in grado di portare il tuo idillio alla conclusione. Tu le avrai
dato qualche buon consiglio e le hai spezzato il cuore: e questo ?
il modo col quale hai incominciato a riformare te stesso.
- Harry, sei tremendo! Non devi dire queste cose orrende. Il cuore
di Hetty non ? spezzato. Naturalmente ha pianto, si capisce; ma ha
schivato la vergogna e pu? vivere, come Perdita, nel suo giardino
fiorito di menta e di girasoli.
- E piangere il suo infedele Florizello - disse Lord Henry,
ridendo e appoggiandosi alla spalliera della sedia. - Mio caro
Dorian, hai delle idee curiosamente puerili. Credi che ora quella
ragazza potr? accontentarsi di una persona del suo rango? Un bel
giorno, immagino, sposer? qualche rozzo carrettiere o qualche
contadino. Orbene, il fatto di averti conosciuto e di averti amato
le insegner? a disprezzare il marito e sar? infelicissima. Dal
punto di vista morale, non posso dire di apprezzare eccessivamente
la tua grande rinuncia; anche come inizio ? meschino. E poi, chi
ti dice che in questo momento Hetty non stia galleggiando in
qualche stagno, come Ofelia, alla luce delle stelle, tutta
attorniata da graziosi gigli acquatici?
- Harry, tutto questo ? veramente intollerabile. Prima metti tutto
sul ridere, poi suggerisci le tragedie pi? spaventose. Mi dispiace
di avertelo raccontato. Di quello che mi dici non me ne importa
niente; so di aver fatto bene ad agire come ho agito. Povera
Hetty! stamattina, passando davanti al podere, ho visto alla
finestra il suo viso che sembrava un cespo di gelsomini. Non ne
parliamo pi? e non provare a convincermi che la prima buona azione
che ho compiuto da anni, il primo piccolo sacrificio che mi sono
imposto, sia in realt? una specie di peccato. Voglio diventare
migliore di quello che sono e lo diventer?. Parlami di te stesso.
Che c'? di nuovo in citt?? Da molti giorni non sono andato al
circolo.
- La gente parla ancora della scomparsa del povero Basil.
- Avrei creduto che a quest'ora si fossero stancati di questo
soggetto - disse Dorian, versandosi del vino e facendosi scuro in
volto.
- Caro figliuolo, sono solo sei settimane che ne parlano, e il
pubblico britannico non ? proprio in grado di affrontare la
tensione mentale che comporta l'avere pi? di un argomento ogni tre
mesi. Per? negli ultimi tempi sono stati fortunatissimi; hanno
avuto la mia causa di divorzio e il suicidio di Alan Campbell e
ora hanno la scomparsa misteriosa di un artista. Scotland Yard
insiste nel sostenere che l'uomo col pastrano grigio che part? per
Parigi il 9 novembre col treno di mezzanotte era il povero Basil e
la polizia francese dichiara che Basil non ? mai arrivato a
Parigi. Immagino che tra una settimana si dir? che l'hanno visto a
San Francisco. E' una cosa strana, ma di tutti quelli che
spariscono si dice che sono stati visti a San Francisco.
Dev'essere una citt? deliziosa, dotata di tutte le attrattive
dell'altro mondo.
- Che cosa credi che sia successo a Basil? - chiese Dorian,
alzando il bicchiere di borgogna contro luce e meravigliandosi lui
stesso di poter discutere la faccenda con tanta tranquillit?.
- Non ne ho la minima idea. Se Basil ha voluto nascondersi, la
cosa non mi riguarda; se ? morto non voglio pensare a lui. La
morte ? la sola cosa che mi atterrisce e che odio.
- Perch?? - disse il giovane, con fare stanco.
- Perch? - disse Lord Henry, passandosi sotto il naso il graticcio
dorato di una scatola aperta di vinaigrette, oggi si pu?
sopravvivere a qualunque cosa, eccetto che a quella. Nel
diciannovesimo secolo la morte e la volgarit? sono gli unici fatti
che non si possono eliminare a furia di spiegazioni. Andiamo a
prendere il caff? nella sala da musica, Dorian. Devi suonarmi un
po' di Chopin. L'uomo con il quale ? scappata mia moglie suonava
Chopin divinamente. Povera Victoria! Io le ero molto affezionato.
Senza di lei la casa sembra vuota. Certo, la vita coniugale ? solo
un'abitudine, una cattiva abitudine, ma si rimpiange la perdita
anche delle peggiori abitudini. Forse sono quelle che si
rimpiangono di pi?, perch? formano una parte cos? essenziale della
personalit?.
Dorian non disse niente, ma si alz? da tavola, pass? nella stanza
vicina, si sedette al pianoforte e lasci? vagare le dita
sull'avorio bianco e nero dei tasti. Dopo che fu portato il caff?,
si ferm? e disse, fissando Lord Henry:
- Harry, ti ? mai venuto in mente che Basil sia stato assassinato?
Lord Henry sbadigli?.
- Basil era molto popolare e portava sempre un orologio da pochi
soldi. Perch? dovrebbero averlo assassinato? Non era abbastanza
intelligente da avere dei nemici. Certo, per dipingere aveva un
genio meraviglioso; ma un uomo pu? dipingere come Velasquez e per?
essere perfettamente insignificante, e Basil in verit? era
piuttosto insignificante. Mi ha interessato una volta soltanto,
quando mi disse, anni fa, che nutriva un'adorazione frenetica per
te e che tu eri il motivo dominante della sua mente.
- Io volevo molto bene a Basil - disse Dorian, con una nota di
tristezza nella voce. - Ma la gente non dice che ? stato
assassinato?
- S?, qualche giornale l'ha detto; ma a me non sembra per niente
probabile. So bene che a Parigi ci sono dei posti tremendi, ma
Basil non era tipo da frequentarli. Non conosceva la curiosit?;
era questo il suo difetto capitale.
- Che diresti, Harry, se ti dicessi che Basil l'ho assassinato io?
- disse Dorian fissandolo intensamente dopo aver parlato.
- Direi, mio caro, che stai posando per un personaggio per il
quale non sei tagliato. Qualunque delitto ? volgare, cos? come
qualunque volgarit? ? un delitto. Tu, Dorian, non sei tipo da
commettere un assassinio. Mi dispiace se parlando in questo modo
offendo la tua vanit?, ma ti assicuro che ? cos?. Il delitto
appartiene esclusivamente alle classi inferiori e io non gliene
faccio un rimprovero. Mi immagino che per loro il delitto sia
quello che per noi ? l'arte, e cio? semplicemente un mezzo per
procurarsi delle sensazioni straordinarie.
- Un mezzo per procurarsi delle sensazioni? Credi dunque che un
uomo che ha commesso un omicidio una volta potrebbe tornare a
commettere lo stesso delitto? Non dirmi questo.
- Qualunque cosa, a farla troppo spesso, diventa un piacere
esclam? Lord Henry ridendo. - Questo ? uno dei pi? importanti
segreti della vita. Penso per? che l'omicidio sia sempre un
errore; non si dovrebbe mai fare niente di cui non si possa
parlare dopo un pranzo. Ma lasciamo in pace il povero Basil.
Vorrei poter credere che abbia incontrato una fine cos? veramente
romantica, ma non posso; penso che sia caduto nella Senna da un
omnibus e che il conducente abbia soffocato lo scandalo. S?, credo
che la sua fine debba essere stata questa. Mi sembra di vederlo
ora, disteso sul dorso sotto quelle acque verdastre, coi barconi
che gli passano sopra e lunghe alghe che gli si impigliano nei
capelli. Sai, non credo che avrebbe potuto pi? fare gran che di
buono; negli ultimi dieci anni la sua maniera era molto
peggiorata.
Dorian sospir? e Lord Henry attravers? la stanza e cominci? ad
accarezzare sulla testa un curioso pappagallo giavanese, un grosso
uccello dalle piume grigie, col ciuffo e la coda di colore rosa,
che si teneva in equilibrio su una bacchetta di bamb?. Quando le
sue dita affusolate lo toccarono, cal? la crosta biancastra delle
palpebre rugose sugli occhi che sembravano di vetro nero e
cominci? a dondolarsi avanti e indietro.
- S? - aggiunse, girandosi e togliendo di tasca il fazzoletto, la
sua maniera era molto peggiorata. Mi sembrava che avesse perso
qualcosa: aveva perso un ideale. Quando venne meno la grande
amicizia tra voi due, smise di essere un grande artista. Che cosa
vi ha separato? Immagino che lui ti annoiasse, e se ? cos? non te
l'avr? mai perdonato; ? questa l'abitudine di tutti i seccatori. A
proposito, che ne ? stato di quel meraviglioso ritratto che ti
fece? Non mi sembra di averlo mai visto dopo che fu dipinto. Oh,
s?, mi ricordo che qualche anno fa mi dicesti che l'avevi spedito
a Selby e che era stato rubato o si era smarrito durante il
tragitto. Non l'hai pi? riavuto? Che peccato! Era un vero
capolavoro. Mi ricordo che lo volevo comperare, e sarebbe stato
meglio se l'avessi fatto. Apparteneva al periodo migliore di
Basil. Dopo, la sua opera era quel curioso miscuglio di cattiva
pittura e di buone intenzioni che da sempre a un uomo il diritto
di aspirare a essere chiamato un artista inglese rappresentativo.
Facesti qualche inserzione per ritrovarlo? L'avresti dovuto fare.
- Non ricordo - disse Dorian. - Credo di averlo fatto. Ma a me in
realt? non piacque mai. Mi dispiace di aver posato per quel
ritratto. Il ricordo mi ? odioso. Perch? ne parli? Mi ricordava
sempre quei curiosi versi di un dramma, Amleto, credo, come
dicono?
Come il ritratto di un'afflizione,
Un volto senza un cuore.
S?, a questo somigliava.
Lord Henry rise.
- Quando un uomo tratta artisticamente la propria vita, il suo
cervello ? il suo cuore - rispose, lasciandosi cadere in una
poltrona.
Dorian Gray scosse la testa ed esegu? piano qualche accordo sul
pianoforte. - Come il ritratto di un'afflizione - ripet?, - un
volto senza un cuore.
L'altro si appoggi? alla spalliera e lo guard? con gli occhi
semichiusi.
- A proposito, Dorian - disse, - che cosa guadagna un uomo com'?
esattamente la citazione? - se acquista il mondo intero e perde la
sua anima?
La musica si interruppe su una stonatura e Dorian Gray trasal? e
guard? l'amico.
- Perch? questa domanda, Harry?
- Mio caro - disse Lord Henry, inarcando le sopracciglia per la
sorpresa, - te l'ho fatta perch? credevo che tu potessi darmi una
risposta, ecco tutto. Domenica scorsa passavo per il parco e
vicino al Marble Arch c'era una piccola folla di gente mal vestita
che ascoltava un volgare predicatore da strada. Nel passare,
sentii quell'uomo che urlava al suo uditorio quella domanda e mi
colp? come abbastanza drammatica. Londra ? piena di effetti
curiosi di questo genere. Una domenica piovigginosa; un cristiano
trasandato con l'impermeabile addosso; un cerchio di facce poco
sane sotto un soffitto ininterrotto di ombrelli gocciolanti, e una
frase meravigliosa lanciata nell'aria da labbra stridule e
isteriche. Nel suo genere era davvero una cosa eccellente, una
cosa suggestiva. Mi venne voglia di dire a quel profeta che l'arte
ha un'anima, ma l'uomo no; per? ho paura che non mi avrebbe
compreso.
- Harry, non parlare cos?. L'anima ? una terribile realt?. Pu?
essere comperata, venduta, barattata; pu? essere avvelenata o resa
perfetta. C'? un'anima in ognuno di noi; lo so.
- Ne sei proprio sicuro, Dorian?
- Sicurissimo.
- Ah, allora dev'essere un'illusione. Le cose delle quali ci
sentiamo assolutamente sicuri non sono mai vere; questa ? la
fatalit? della fede e la lezione del romanzo. Che aria seria hai!
Non essere cos? serio. Che cosa abbiamo in comune, tu ed io, con
le superstizioni del nostro tempo? No; abbiamo rinunciato a
credere nell'anima. Suonami qualcosa, Dorian; suonami un Notturno,
e mentre suoni dimmi sottovoce come hai fatto a conservare la
giovinezza. Devi avere un segreto. Io ho solo dieci anni pi? di te
e sono grinzoso, logorato, giallo. Sei veramente meraviglioso,
Dorian. Il tuo aspetto non ? mai stato cos? incantevole come
stasera; mi ricorda il giorno che ti vidi per la prima volta. Eri
un po' insolente, molto timido e assolutamente straordinario.
Naturalmente sei cambiato, ma nell'aspetto no. Vorrei che tu mi
dicessi il tuo segreto. Per recuperare la giovent? farei qualunque
cosa, salvo che fare ginnastica, alzarmi presto ed essere
rispettabile. La giovent?! non c'? niente che le stia alla pari.
Parlare dell'ignoranza della giovent? ? assurdo; ormai gli unici
dei quali ascolto le opinioni con un certo rispetto sono tutti
molto pi? giovani di me. Mi sembra che siano pi? avanti di me, che
la vita abbia rivelato loro le sue ultime meraviglie. Quanto agli
anziani, io contraddico sempre gli anziani; lo faccio per
principio. Quando chiedi la loro opinione su una cosa successa
ieri, ti danno solennemente le opinioni che erano diffuse nel
1820, quando si portavano le calze lunghe, si credeva a tutto e
non si sapeva assolutamente niente. Com'? bello il pezzo che stai
suonando! Mi chiedo se Chopin l'abbia scritto a Maiorca, con il
mare che piangeva intorno alla villa e gli spruzzi salmastri che
battevano sui vetri. E' mirabilmente romantico. Che fortuna che ci
sia rimasta un'arte che non ? imitativa! Non smettere; stasera ho
voglia di musica. Mi sembra che tu sia Apollo giovane e che io sia
Marsia che ti sta ad ascoltare. Dorian, anch'io ho i miei dolori,
dei quali non sai niente neanche tu. La tragedia della vecchiaia
non sta nell'essere vecchi, ma nell'essere giovani. A volte la mia
stessa sincerit? mi stupisce. Ah, Dorian, come sei felice! Che
vita meravigliosa ? stata la tua! Hai bevuto di tutto, a lunghi
sorsi; hai morso l'uva a piena bocca; niente ti ? rimasto
nascosto; e per te tutto questo non ? stato niente di pi? che un
suono musicale. Non ti ha distrutto; sei sempre lo stesso.
- Non sono lo stesso, Harry.
- Ma s?, che sei lo stesso. Chi sa come sar? il resto della tua
vita! Non rovinarla con le rinunce. Attualmente sei un tipo
perfetto; non renderti incompleto. Ora sei assolutamente senza
difetti; non scuotere la testa, perch? sai che ? cos?. E poi,
Dorian, non trarre in inganno te stesso. La vita non ? una
questione di nervi, di fibre, di cellule costruite lentamente,
nelle quali il pensiero si nasconde e la passione ha i suoi sogni.
Tu puoi pensare di essere al sicuro e credere di essere forte. Ma
una sfumatura di colore vista per caso in una stanza oppure in un
cielo mattutino, un profumo speciale che ti piacque un tempo e che
porta con s? ricordi delicati, un verso di una poesia dimenticata
che torna a caderti sotto gli occhi, una cadenza di un pezzo di
musica che da anni non suoni pi?, ti dico, Dorian, che ? da cose
come queste che dipendono le nostre vite. Il Browning ne ha detto
qualcosa, ma sono i nostri sensi a immaginarle per noi. Ci sono
dei momenti in cui l'odore del "lilas blanc" mi colpisce
improvvisamente, e allora devo rivivere il mese pi? straordinario
della mia esistenza. Vorrei poter fare a cambio con te, Dorian. Il
mondo ha sparlato di noi due, ma ti ha sempre adorato e ti adorer?
sempre, perch? tu sei il tipo del quale il nostro tempo va in
cerca e che ha paura di aver trovato. Sono felice che tu non abbia
mai fatto niente, che tu non abbia scolpito una statua o dipinto
un quadro o prodotto niente al di l? di te stesso. La vita ? stata
la tua arte. Hai musicato te stesso e le tue giornate sono i tuoi
sonetti.
Dorian si alz? dal pianoforte e si pass? la mano nei capelli.
- S? - mormor?, - la vita ? stata deliziosa; ma non far? pi? la
stessa vita, Harry, e tu non devi dirmi queste cose stravaganti.
Tu non sai tutto sul mio conto; e credo che se tu lo sapessi anche
tu ti allontaneresti da me. Tu ridi; non ridere.
- Dorian, perch? hai smesso di suonare? Ricomincia e suona
un'altra volta quel notturno. Guarda quella grossa luna color del
miele, sospesa nell'aria del crepuscolo: aspetta di essere
affascinata da te e se tu suoni verr? pi? vicina alla terra. Non
vuoi? Allora andiamo al circolo. Abbiamo passato una serata
deliziosa e dobbiamo concluderla deliziosamente. Al White c'?
qualcuno che desidera immensamente conoscerti, il giovane Lord
Poole, il figlio maggiore di Bournemouth. Ha gi? copiato le tue
cravatte e mi ha pregato di esserti presentato. E' un uomo
simpaticissimo e mi ricorda un po' te.
- Spero di no - disse Dorian, con un'espressione rattristata negli
occhi. - Ma stasera sono stanco, Harry. Non vengo al circolo; sono
gi? quasi le undici e vorrei andarmene a letto presto.
- Allora rimani. Non hai mai suonato cos? bene come stasera. Nel
tuo tocco c'era qualcosa di meraviglioso; aveva pi? espressione di
qualunque altra volta che ti ho ascoltato.
- E' perch? da ora in avanti sar? buono - rispose lui, sorridendo.
- Sono gi? un po' cambiato.
- Per me non puoi cambiare, Dorian - disse Henry. - Tu e io saremo
sempre amici.
- Eppure una volta mi avvelenasti con un libro e io non dovrei
perdonartelo, Harry. Promettimi che non presterai mai quel libro a
nessuno; ? nocivo.
- Figlio caro, stai gi? cominciando a fare il moralista. Tra poco
te ne andrai in giro a fare il convertito e il missionario e a
mettere in guardia la gente contro tutti i peccati di cui ti sei
stancato. Sei troppo delizioso per fare una cosa del genere; e poi
non serve a niente: tu ed io siamo quello che siamo e saremo
quello che saremo. In quanto a essere avvelenato da un libro, non
esiste una cosa cos?. L'arte non ha nessuna influenza sull'anima;
annulla il desiderio di agire; ? superbamente sterile. I libri che
la gente chiama immorali sono i libri che fanno vedere al mondo la
sua ignominia, e basta. Ma non stiamo a discutere di letteratura.
Vieni da me domani. Monto a cavallo alle undici; potremmo uscire
insieme e dopo ti porter? a colazione con Lady Branksome. E' una
donna incantevole e vuole consultarti riguardo a certi arazzi che
pensa di comprare. Oppure vogliamo fare colazione con la nostra
piccola duchessa? Mi ha detto che adesso non ti vede pi?. Ti sei
forse stancato di Gladys? Me l'aspettavo; quella sua lingua ?
troppo abile per non finire con l'urtare i nervi. In ogni caso sii
qui alle undici.
- Devo proprio venire, Harry?
- Certamente. In questo momento il parco ? bellissimo. Non credo
che ci siano mai stati tanti gigli dall'anno in cui ti ho
conosciuto in poi.
- Va bene. Alle undici sar? qui - disse Dorian. - Buona notte,
Harry.
Arrivato sulla soglia, esit? un attimo, come se avesse avuto
qualche altra cosa da dire; poi sospir? e usc?.
Capitolo ventesimo.
Era una bella serata, tanto calda che Dorian prese il soprabito
sul braccio e non si avvolse nemmeno la sciarpa di seta intorno al
collo. Mentre andava verso casa fumando una sigaretta, gli
passarono accanto due giovanotti in abito da sera e sent? uno di
loro sussurrare all'altro: "Quello ? Dorian Gray". Gli torn? in
mente il piacere che era solito provare una volta quando la gente
lo indicava, o lo guardava, o parlava di lui. Ora era stanco di
sentir pronunciare il suo nome. Il fascino del modesto villaggio
dove negli ultimi tempi era andato tanto di frequente consisteva
per met? nel fatto che nessuno sapeva chi fosse. Alla fanciulla
dalla quale era riuscito a farsi amare aveva detto pi? volte che
era povero e lei gli aveva creduto: una volta le aveva detto che
era cattivo e lei aveva riso e gli aveva risposto che i cattivi
sono sempre molto vecchi e molto brutti. Com'era dolce il suo
riso! sembrava il canto di un cardellino. E quanto era graziosa,
col suo vestito di cotone e i suoi grandi cappelli! Non sapeva
niente, ma possedeva tutto quello che lui aveva perduto.
Arrivato a casa trov? il servitore che lo aspettava; lo mand? a
letto, si adagi? sul divano della biblioteca e cominci? a
riflettere su alcune delle cose che Lord Henry gli aveva detto.
Era proprio vero che non si poteva mai cambiare?
Sent? un desiderio violento della purezza immacolata della sua
adolescenza; la sua adolescenza candida e rosea, come Lord Henry
l'aveva chiamata un giorno. Sapeva di aver sporcato se stesso, di
aver riempito di corruzione la propria mente e di orrore la
propria fantasia; di aver esercitato un'influenza deleteria sugli
altri e di aver provato in questo una gioia terribile; e sapeva
che di tutte le vite che si erano incontrate con la sua, quella
che aveva portato all'ignominia era la pi? bella e la pi?
promettente. Ma tutto questo era irreparabile? Non c'era nessuna
speranza per lui?
Ah, che momento mostruoso di orgoglio e di passione era stato
quello nel quale aveva pregato perch? il ritratto portasse il peso
dei suoi giorni e a lui restasse intatto lo splendore dell'eterna
giovinezza! Il suo fallimento era interamente colpa di quel
momento. Sarebbe stato meglio per lui se ogni peccato della sua
vita avesse portato con s? la propria punizione, sicura, rapida.
Nella punizione c'? la purificazione; non "perdona a noi i nostri
peccati", ma "colpisci noi per le nostre iniquit?", questa
dovrebbe essere la preghiera rivolta dall'uomo a un Dio di
giustizia.
Sul tavolino c'era lo specchio curiosamente intagliato che Lord
Henry gli aveva regalato tanti anni prima e, come per il passato,
gli amorini dalle candide membra vi ridevano tutt'intorno. Lo
prese, come aveva fatto in quella notte d'orrore, quando aveva
osservato per la prima volta il cambiamento nel fatale ritratto e
aveva guardato in quella superficie lucida con occhi sconvolti,
pieni di lacrime. Un giorno, una persona che lo aveva furiosamente
amato gli aveva scritto una lettera pazzesca, che finiva con
queste parole idolatre: "Il mondo ? cambiato perch? tu sei fatto
d'avorio e d'oro. La curva delle tue labbra riscrive la storia".
Queste frasi gli tornarono alla mente e se le ripet? pi? volte;
poi ebbe disgusto della propria bellezza e, gettando in terra lo
specchio, lo schiacci? con il tallone fino a ridurlo un mucchio di
schegge d'argento. Era la sua bellezza che lo aveva rovinato, la
bellezza e la giovinezza per la quale aveva pregato; senza quelle
la sua vita avrebbe potuto essere priva di ogni macchia. Per lui
la bellezza era stata solo una maschera, la giovinezza una beffa.
Che cos'era, dopo tutto, la giovinezza? Un periodo acerbo,
immaturo; un periodo di stati d'animo superficiali e di pensieri
malsani. Perch? ne aveva indossato la livrea? La giovinezza era
stata la sua rovina.
Meglio non pensare al passato, che nessuno aveva pi? il potere di
modificare; doveva pensare a se stesso e al proprio futuro. James
Vane era sepolto in una tomba anonima nel cimitero di Selby; Alan
Campbell si era sparato nel suo laboratorio, una sera, senza
rivelare il segreto che era stato costretto a conoscere. Quel po'
di agitazione a proposito della scomparsa di Basil Hallward
sarebbe svanita ben presto; stava gi? attenuandosi. Da quel punto
di vista era perfettamente al sicuro. Del resto, quello che pi?
opprimeva il suo spirito non era la morte di Basil Hallward;
quello che lo sconvolgeva era la morte vivente della sua anima.
Basil aveva dipinto il ritratto che gli aveva rovinato la vita e
lui non poteva perdonarglielo; quel ritratto era stato la causa di
tutto. Basil gli aveva detto cose insopportabili e lui tuttavia le
aveva tollerate pazientemente; l'omicidio era stato semplicemente
la pazzia di un momento. Quanto ad Alan Campbell, il suo suicidio
l'aveva commesso da solo, vi si era deciso da solo. Era una cosa
che non lo riguardava.
Una nuova vita: ecco quello che gli serviva, quello che aspettava.
Certo l'aveva gi? iniziata; se non altro, aveva risparmiato una
creatura innocente. Non avrebbe mai pi? tentato l'innocenza.
Voleva essere buono.
Il pensiero di Hetty Merton lo spinse a chiedersi se il ritratto
nella stanza chiusa fosse cambiato. Certo non doveva pi? essere
orribile come prima. Forse, se la sua vita diventava pura, gli
sarebbe riuscito di scacciare da quel viso tutte le impronte delle
malvagie passioni. Forse i segni del male erano gi? scomparsi;
doveva andare a vedere.
Prese la lampada dalla tavola e si avvi? su per le scale. Mentre
apriva la porta, un sorriso di gioia gli illumin? il viso
stranamente giovanile e si ferm? un attimo sulle sue labbra. S?,
sarebbe stato buono e quell'oggetto ripugnante che aveva tenuto
nascosto non sarebbe pi? stato per lui una fonte di terrore. Gli
sembrava gi? che il peso gli fosse stato tolto dalle spalle...
Entr? pian piano, chiuse la porta a chiave dietro di s?, com'era
suo abitudine, e strapp? via dal ritratto la cortina purpurea.
Diede in un grido di pena e di sdegno. Nessun cambiamento era
visibile, senonch? negli occhi c'era un'espressione di furbizia e
sulla bocca la piega sinuosa dell'ipocrisia. Era ancora una cosa
disgustosa, pi? disgustosa di prima, se possibile; e quella
rugiada scarlatta che macchiava la mano sembrava pi? accesa, pi?
somigliante a sangue versato di fresco. Cominci? a tremare. Era
stata soltanto la vanit? a spingerlo a compiere la sua unica buona
azione? Oppure il desiderio di una sensazione nuova, come aveva
accennato Lord Henry, con il suo sorriso di scherno? O quella
passione di recitare una parte che ci fa fare a volte delle cose
che sono migliori di noi stessi? O tutte queste cose insieme? E
perch? la macchia rossa si era allargata? Sembrava essersi
insinuata su per le dita grinzose, come un'orrenda malattia. Sui
piedi dipinti c'era del sangue, come se ci fosse gocciolato sopra;
c'era sangue perfino sulla mano che non aveva impugnato il
coltello. Confessare? Significava forse che avrebbe dovuto
confessare? Costituirsi e lasciarsi mettere a morte? Rise. L'idea
gli sembr? mostruosa; e poi, anche se avesse confessato, chi gli
avrebbe creduto? Nessuna traccia della vittima esisteva in nessun
posto; tutto quello che gli apparteneva era stato distrutto; le
cose che si trovavano al piano di sotto le aveva bruciate lui
stesso. La gente avrebbe detto semplicemente che era impazzito; e
se avesse insistito a raccontare quella storia avrebbero finito
con il rinchiuderlo in un manicomio... Tuttavia, il suo dovere era
di confessare, di subire l'ignominia in pubblico, di espiare
pubblicamente. C'era un Dio che chiamava gli uomini a dire i loro
peccati alla terra come al cielo. Qualunque cosa facesse non
l'avrebbe mondato finch? non avesse detto il suo peccato. Il suo
peccato! Scroll? le spalle. La morte di Basil Hallward gli
sembrava ben poca cosa; pensava invece a Hetty Merton, poich? lo
specchio della sua anima nel quale stava specchiandosi era uno
specchio ingiusto. Vanit?? curiosit?? ipocrisia? Nella sua
rinuncia non c'era stato altro? C'era stato qualcosa d'altro, o
almeno cos? credeva; ma chi poteva dirlo?... No, non c'era stato
altro. L'aveva risparmiata per vanit?, si era messo la maschera
della bont? per ipocrisia, aveva sperimentato la rinuncia per
curiosit?: ora se ne rendeva conto.
Ma quell'omicidio doveva seguirlo per tutta la vita? Doveva sempre
essere schiacciato dal suo passato? Doveva veramente confessare?
Mai. Contro di lui esisteva solo un frammento di prova, il
ritratto stesso. La prova era quella: l'avrebbe distrutto. Perch?
l'aveva conservato tanto a lungo? Un tempo aveva provato piacere
nel seguirne il cambiamento e l'invecchiamento, ma negli ultimi
anni non l'aveva provato pi?. Gli aveva fatto passare notti
insonni; quand'era lontano era stato costantemente spaventato
dall'idea che potesse essere guardato da occhi estranei; aveva
portato la melanconia nelle sue passioni; il solo ricordo di esso
era bastato a guastargli molti momenti di gioia; era stato come
una coscienza per lui. S?, era stato come la coscienza. Lo avrebbe
distrutto.
Si guard? intorno e vide il coltello che aveva ucciso Basil
Hallward. Era stato ripulito pi? volte, finch? non c'era rimasta
la pi? piccola macchia; era lucido e brillava. Come aveva ucciso
il pittore, cos? avrebbe ucciso l'opera del pittore e tutto quello
che essa significava. Avrebbe ucciso il passato; morto questo,
sarebbe stato libero. Avrebbe ucciso quella mostruosa vita
dell'anima e senza le orrende ammonizioni di questa sarebbe stato
in pace. Afferr? l'arma e colp? il ritratto.
Si sent? un grido e un fracasso: un grido cos? orribilmente
straziante che i servi spaventati si svegliarono e uscirono dalle
loro camere. Due signori che passavano di sotto sulla piazza si
fermarono a guardare la grande casa, poi ripresero il cammino
finch? incontrarono un agente e lo portarono indietro. L'agente
suon? pi? volte il campanello ma nessuno rispose. La casa era
tutta al buio, eccetto una luce a una finestra dell'ultimo piano.
Dopo un po' si allontan?, fermandosi in un portico vicino a
sorvegliare la casa.
- Di chi ? questa casa? - chiese il pi? anziano dei due signori.
- Del signor Dorian Gray - rispose la guardia.
Si guardarono l'un l'altro con un sorrisetto e si allontanarono.
Uno dei due era lo zio di Sir Henry Ashton.
Dentro, nel quartiere della servit?, i domestici mezzo vestiti si
parlavano tra di loro bisbigliando; la vecchia signora Leaf
piangeva e si torceva le mani; Francis era pallido come un morto.
Dopo un quarto d'ora circa, prese con s? il cocchiere e uno dei
lacch? e sal? le scale. Bussarono, ma nessuno rispondeva;
gridarono, ma tutto taceva. Finalmente, dopo un vano tentativo di
forzare la porta, salirono sul tetto e si calarono sul balcone. Le
finestre cedettero con facilit?; i serramenti erano vecchi.
Entrando, trovarono, appeso al muro, uno splendido ritratto del
loro padrone, come lo avevano visto l'ultima volta, mirabile di
giovent? e di bellezza eccezionali. Steso sul pavimento c'era il
cadavere di un uomo in abito da sera, con un coltello nel cuore.
Aveva il viso avvizzito, rugoso, repellente. Solo dopo aver
esaminato gli anelli poterono identificarlo.
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Gulli