[LUG-Ischia] Stallman: "Libero software in libera società"

Linux User Group Ischia info@lug-ischia.org
Lun 21 Giu 2004 11:18:10 CEST


ntervista al fondatore del Free Software Movement
Stallman: "Libero software
in libera società"
"I brevetti e il copyright limitano lo sviluppo
e concentrano la ricchezza nelle mani di pochi" 

Richard Stallman 

di EUGENIO OCCORSIO
ROMA - "Happy hacking", saluta Richard Stallman, il profeta del Free 
Software, dopo due ore ininterrotte in cui ha cercato di spiegare in tutti i 
modi possibili, perché i veri hacker non sono i ragazzi che copiano il 
software ma le grandi multinazionali che cercano affannosamente di difendere 
i loro sistemi "proprietari". "Qui mi sembra di stare in Unione Sovietica, 
dove c'era una guardia armata vicino ad ogni fotocopiatrice per impedire che 
qualcuno andasse a copiarsi documenti e passasse chissà quali informazioni. 
L'unica differenza è che lì il motivo era politico, qui è il profitto. I 
metodi sono identici: la massiccia propaganda in questo paese che dice che è 
sbagliato disobbedire ai padroni per aiutare i tuoi amici, le sollecitazioni 
perché i più ingenui si trasformino in informatori sulle attività dei loro 
colleghi, i raid della polizia nelle scuole in cui la gente deve dimostrare 
che è innocente dall'aver copiato illegalmente..." 

I metodi saranno brutali, però il copyright è una legge e va fatta 
rispettare...
"E' una legge sbagliata, poteva andar bene quando si trattava di documenti 
cartacei. Intendiamoci: non sto incentivando al furto di dischi o programmi. 
Sto parlando dei casi in cui copyright e brevettabilità bloccano la ricerca 
e gli avanzamenti del software. Chi è bravo, ed è in grado di migliorare un 
prodotto deve poterlo fare, senza aspettare che qualcun altro abbia la 
stessa idea e poi la venda. Nell'epoca della digital information technology 
i computer ci permettono miglioramenti della qualità della vita impensabili, 
straordinari. E non è possibile che chi lavora per questi miglioramenti 
debba trovarsi ad un certo punto del cammino un ostacolo perché qualcuno ha 
brevettato quel software e su di esso non si può lavorare. E' un errore, un 
blocco al progresso. Ognuno deve poter avere liberamente il software di cui 
ha bisogno, così come può avere l'aria. E non mi vengano a dire che i 
proprietari di software perdono soldi quando il software viene copiato: 
perde solo se chi si mette a lavorare su un programma altrimenti lo avrebbe 
comprato da loro".
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Quindi lei è d'accordo con chi prospetta di fare ricorso alla Corte Suprema 
contro la brevettabilità del software?
"Non è che mi interessi molto, comunque vada a finire. Anche se la Corte 
Suprema dichiarerà costituzionale la legge, non vorrà dire che la legge sia 
buona, e altrettanto vale il contrario. E' semplicemente una questione di 
libertà. Il software non deve avere padroni. Le leggi non sono precetti 
morali, e si possono cambiare: quarant'anni fa in America era illegale per 
un nero sedersi in autobus a fianco di un bianco". 

Lo sa che anche in Europa la presidenza di turno irlandese spinge perché sia 
varato il brevetto del software. Si dice che gli irlandesi vogliano 
ricambiare il favore agli americani che hanno riempito l'isola di fabbriche 
e sedi delle loro aziende...
"Non conosco i motivi ma vi dico: fate attenzione, non fate quest'errore. 
Copyright e brevetto sul software peggiorano il digital divide e concentrano 
la ricchezza nelle mani di pochi". 

Però c'è chi ci vive, o no?
"C'è un sacco di modi con cui i programmatori possono guadagnarsi da vivere 
senza vendere i diritti d'uso dei programmi". 

Lei è proprio il profeta del Free Software...
"Odio sentirmi chiamare profeta, mi ci chiamano i miei detrattori. Io sono 
ateo, credo solo nella giustizia e nella libertà. Attribuire un significato 
religioso al nostro lavoro, che coinvolge migliaia di programmatori in tutto 
il mondo, significa bollarlo come fossimo una setta un po' paranoica". 

Allora, mettiamola così: che differenza c'è fra free software e open source?
"Innanzitutto il free software è free non nel senso di gratuito ma in quello 
di "libero". In inglese purtroppo abbiamo quest'ambiguità, ma come dicevo 
poco fa chi scopre un programma innovativo e vuole venderlo, può farlo 
benissimo, com'è avvenuto centinaia di volte in tutti questi anni. Certo, si 
guadagna meno rispetto al software commerciale, ma un sacco di gente ha 
grazie al cielo la capacità di vivere benissimo senza fare immense fortune. 
Perfino chi lavora direttamente con me ha un piccolo stipendio. La filosofia 
dell'open source è diversa: i soldi li fanno, e parecchi, vendendo servizi 
collaterali, installazioni, assistenza. Le spiego come si sono incrociati i 
nostri destini. Noi abbiamo fondato nel 1984 la Free Software Foundation e 
contemporaneamente abbiamo lanciato il progetto GNU, che è l'acronimo di 
"Gnu's not Unix", per creare un sistema operativo alternativo a Unix. Le 
ricordo che siamo nel 1984, quando non c'era ancora Windows. Poi, nel 1991 
Linus Torvalds ha preso i risultati fino allora conseguiti del progetto GNU, 
ci ha aggiunto un kernel, una componente oggettivamente importante, e ha 
creato Linux, che infatti è corretto definire GNU/Linux, ed è oggi 
ampiamente utilizzato. Poi nel 1998 è nato il movimento open source per 
differenziarsi e spesso contrastare le nostre posizioni". 

Ci sembra di capire che lei non collabora con Torvalds.
"No, ci siamo sentiti ogni tanto, ma seguiamo percorsi diversi. Non c'è 
polemica: lui ha in qualche modo contribuito alla nostra comunità, e poi chi 
sviluppa un sistema operativo merita qualche credito". 

Per identificare i prodotti del software libero lei ha creato la Gpl 
(general public license). Ora è nata una Lgpl (lesser general public 
license). Cosa significa?
"E' stata una parziale ritirata strategica, un compromesso a fin di bene: 
ora i prodotti licenziati con la Lgpl, frutto del lavoro delle comunità del 
software libero, possono essere utilizzati anche dai produttori di software 
commerciale. Tutto qui. L'ho fatto per promuovere l'uso e lo sviluppo del 
software libero, e in ultimo per difendere la possibilità per chiunque di 
studiare come lavorano i programmi e adattarli ai propri bisogni. Per non 
autoisolarci, insomma. Ripeto ancora: l'accesso ai codici è la precondizione 
per lo sviluppo". 

Quali sono i suoi rapporti attuali con l'Mit?
"Resta uno dei miei punti di riferimento, anche se a volte mi hanno 
boicottato in questi anni. Negli anni 70 ero un ricercatore interno e 
avevamo un gruppo straordinario, creativo, libero. Poi si è sciolto, tutti 
se ne sono andati a lavorare chi per le corporation, chi coi governi. Allora 
ho cercato di ricreare una comunità online basata sullo stesso spirito. Oggi 
solo sporadicamente collaboro con l'Mit. Anche di Harvard, dove invece 
studiavo, ho un bel ricordo: pensi che lì, già allora, nessun programma 
poteva essere installato senza che i codici sorgenti fossero consultabili. 
Io comunque ho lasciato il lavoro di ricerca e di programmazione perché devo 
girare il modo per diffondere il verbo del free software, chiedere fondi e 
macchinari alle aziende nonché tempo e passione agli individui. E' una 
battaglia di democrazia, questo sì che significa esportare la democrazia". 

Qualsiasi riferimento a chi esporta la democrazia con le armi è puramente 
voluto?
"Come può Bush parlare di democrazia, lui che non sa neanche cosa sia? Ma lo 
sa com'è diventato presidente? Non come si dice intrallazzando presso le 
Corti Supreme degli stati del sud dove tutti sono amici suoi. Molto peggio: 
il fratello, governatore della Florida, ha impedito di votare a centinaia di 
migliaia di persone. In America non può votare chi ha procedimenti penali in 
corso. Ora, c'era l'elenco di tutti questi da verificare per ripulirlo da 
omonimie o nomi simili. Il fratello di Bush non ha permesso che ciò 
avvenisse. Lo sa perché? Perché al sud molti indagati sono neri, e molti 
neri hanno nomi simili, che sono rimasti impigliati in questa trappola e non 
hanno potuto votare. E lei lo sa, vero, per chi votano di solito i neri?" 

Tanto per chiudere questa parentesi, pensa che se vince Kerry si risolverà 
la situazione irachena?
"Macché, Kerry ha votato per la guerra, si figuri. La verità è che in 
America il potere non ce l'ha il popolo, ce l'hanno le corporation. Quelle 
del petrolio, che hanno voluto la guerra, e quelle del software nel nostro 
campo. I governi dovrebbero avere tutt'altra missione, quella di condurre i 
paesi a condizioni migliori, e non pochi cittadini". 

Lei è per caso amico di Michael Moore?
"Non l'ho mai conosciuto ma abbiamo diverse idee in comune". 

Ma il suo nemico è lo strapotere delle corporation o la Microsoft?
"Macché, loro sono bravissimi e faranno ancora tante cose buone. Noi abbiamo 
cominciato questa battaglia prima che facessero sistemi operativi. Non siamo 
contro nessuno, siamo solo a favore della libertà, abbiamo scopi 
costruttivi. Ma nessuno deve imporre restrizioni sul software, tutti devono 
essere liberi di lavorarci per migliorarlo nell'interesse collettivo. E 
quindi è necessario poter avere accesso ai "codici sorgenti", l'essenza 
stessa, dei programmi. E' una questione fondamentale per la scienza, 
l'economia e l'umanità intera. La società ha bisogno di libertà: quando un 
programma ha un proprietario, l'utilizzatore perde la libertà di controllare 
parte della sua vita".
(21 giugno 2004) 

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