[toscana] dall'UE

Paolo Cavallini cavallini@faunalia.it
Lun 20 Giu 2005 16:49:15 CEST



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                          18 Giugno 2005

                                SOFTWARE: LO SCONTRO È MORBIDO
                                Zingaretti: in Parlamento la via del
compromesso ragionevole tra sistema giuridico e riconoscimento del
diritto al profitto




                                In vista del voto in Commissione
Giuridica sulla "brevettabilità del software", la Delegazione Italiana
ha organizzato a Roma il 16 giugno un incontro con gli esperti del
settore. I lavori sono stati aperti da una relazione* di Nicola
Zingaretti, presidente della delegazione Italiana nel Gruppo del PSE e
membro della Commissione Giuridica, il quale ha sottolineato
l'importanza del dialogo e del confronto in merito alla direttiva e
non lo scontro sul testo.







                                * Abbiamo usato volutamente per questa
iniziativa il termine "audizione". Forse per le sue caratteristiche è
una definizione impropria, ma ciò che ci premeva, nel corso di un
appassionato dibattito, era dare un segnale di volontà di ascolto,
offrire un luogo di confronto su un tema delicatissimo quale quello
affrontato dalla direttiva "relativa alla brevettabilità delle
invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici" che nelle
prossime settimane sarà votata dal Parlamento Europeo.



                                Su un tema così delicato crediamo,
infatti, che sia importante non rinunciare al confronto delle idee e
delle posizioni, anche perché a prescindere dal calendario
parlamentare, per quanto riguarda l’industria ICT, il software, la sua
ideazione, produzione e commercializzazione, si apre una fase del
tutto nuova e i cui sviluppi ci accompagneranno per anni. E’ quindi
fondamentale costruire e mantenere viva una rete di relazioni tra
sapere, ricerca, governo o impresa affinché l’Italia e, in Italia, le
nostre comunità locali non subiscano i processi in corso, ma di questi
processi siano parte attiva.



                                Il mio compito, dunque, in questo
breve intervento, è semplicemente quello di introdurre e chiarire i
termini del problema che abbiamo di fronte: le caratteristiche e l’
evoluzione della discussione in atto e offrire un punto di vista
sapendo che, come ha detto recentemente il relatore del Parlamento
Michel Rocard, "dopo due anni di discussioni appare evidente che nell’
ambito delle difficoltà a trovare delle soluzioni comuni, sono molto
più rilevanti i dissensi riguardanti le definizioni e i malintesi di
quanto non lo siano i contrasti nel merito".



                                Prima di entrare nel merito della
direttiva, però, permettetemi di fare una premessa doverosa sull’
atteggiamento da avere rispetto all’attività delle Istituzioni
Europee. Tendenzialmente, quando ci si trova davanti a un testo, una
direttiva europea, la nostra cultura politica ci porta ad avere una
discussione nella quale i termini del confronto si limitano ad
esprimersi a favore o contro alla direttiva. Questo atteggiamento è
conseguenza di una idea di attività parlamentare nella quale una
maggioranza, un governo o una giunta propone provvedimenti, leggi o
delibere, e una opposizione le giudica, le critica per modificarle o
bocciarle.



                                Le relazioni tra Consiglio,
Commissione e Parlamento Europeo non sono fondate su questo schema o
principio politico.



                                C’è il Consiglio, cioè i Governi
nazionali con gli orientamenti delle loro diverse maggioranze;  la
Commissione, nella quale sono presenti tutti gli orientamenti politici
e, poi, il Parlamento anch’esso con i suoi orientamenti. Su questo
equilibrio complesso, molto complesso, che diventa ancora più
complesso se si pensa al diritto di veto, si fonda l’iniziativa dell’
Europa.



                                Un'attività a volte frenetica, ma
utilissima, di produzione di direttive e atti giuridici che ha uno
scopo, una missione: quella di armonizzare le legislazioni, la vita,
le attività nei 25 Paesi membri. Un'attività che permette la
costruzione dell’Europa. Se non c’è questa attività, non c'è l’Europa.
Quando c'è un deficit di questa attività a seguito degli egoismi
nazionali, pensiamo alla politica estera, l'Europa è debole. Non a
caso, nella motivazione di questa direttiva è scritto, tra l'altro,
"....esistono discrepanze nella tutela giuridica delle invenzioni
attuate per mezzo di elaboratori elettronici assicurata dalle pratiche
amministrative e dalla giurisprudenza dei vari Stati membri. Tali
divergenze possono creare ostacoli agli scambi commerciali e, quindi,
al buon funzionamento del mercato interno”. Per questo è utile una
direttiva.



                                Per il Parlamento è dunque sbagliato
limitarsi, con un atteggiamento burocratico, ad accettare in maniera
passiva tutte le proposte della Commissione o del Consiglio, ma credo
sia infantile al contempo illudersi che l'unica arma nelle nostre mani
sia quella di opporvisi. Di dire dei no. Il compito, molto più che in
qualsiasi altra assemblea elettiva, è quello di partecipare alla
definizione di indirizzi e scelte, e occorre quindi un grande sforzo
creativo e intellettuale affinché ci sia una "buona Europa"; direi una
Europa utile agli interessi generali degli Europei e del mondo.



                                Ma veniamo alla direttiva in
questione. Come sapete, la Convenzione di Monaco del 1973 esclude
esplicitamente il software dal campo di applicazione del brevetto. In
sostanza, si riconosce che il software non è un campo della tecnologia
ma della scienza. Oggi i programmi per calcolatore (software) sono
legalmente protetti dal diritto d'autore (copyright): il programmatore
cioè controlla la pubblicazione, l'esecuzione, la copia di un
programma che ha scritto, allo stesso modo in cui un compositore
controlla una sua sinfonia o uno scrittore un suo romanzo.



                                Ciò che viene protetto è, dunque, lo
specifico programma scritto da un programmatore ma non le idee che
stanno alla base del programma. E’ così da sempre, o meglio, come ci
ha ricordato alcune settimane fa Guido Rossi, da quando la Repubblica
di Venezia concesse il primo copyright allo stampatore delle “Storie”
di Plinio il Vecchio. In seguito, il privilegio di Venezia si
estenderà agli autori. Alla base c’è il principio che dove esiste un
valore, allora deve esserci anche un diritto. E, così, in epoca più
tarda nasce il brevetto a tutela delle invenzioni, soprattutto quelle
ad uso industriale.



                                E’ stato scritto, forse un po’
forzando la mano, che "compositori e romanzieri hanno facoltà di
impedire che vengano effettuate copie illegali dei loro lavori, ma
nessuno scrittore può brevettare, per esempio, l'idea di scrivere
delle vicende di una coppia di fidanzati lombardi del '600”.



                                Il copyright tutela l'attuazione di
una idea nella forma di un prodotto finito, mentre il brevetto l'idea
stessa.



                                Negli USA, negli anni 80, si è
sviluppata una riflessione sull’opportunità di brevettare il software
che ha portato, negli anni '90, ad una adozione piena del sistema dei
brevetti. Non voglio soffermarmi sui risultati controversi di questa
scelta, ma limitarmi a segnalare che questo fatto ha indubbiamente
costituito un elemento di turbativa e concorrenza tra le imprese USA
e non.



                                Ora, e qui nasce e trova radici il
problema di cui discutiamo , è noto che da venti anni a questa parte,
i rapidissimi sviluppi dell'informatica hanno interessato tutti i
settori dell'industria e dei servizi. Al di là degli usi
professionali, non esistono più oggetti di uso corrente che non
prevedano la presenza di software integrato: autovetture, telefonia
mobile, televisioni, videoregistratori, lavatrici, comandi degli
ascensori e così via. Le università, i laboratori la ricerca nel mondo
sono proiettati sempre più in questo orizzonte.



                                I costi per la messa a punto e la loro
produzione sono ingenti. E' naturale e auspicabile, dunque, che
l'industria possa brevettare i risultati dei propri investimenti al
fine di ricavarne un guadagno e proteggerli dalla contraffazione e
dalla concorrenza sleale.



                                Da tempo esiste il problema della
regolazione dei processi fisici applicati nell'ambito delle
invenzioni, che hanno forme diverse, in particolare di tipo meccanico
o pneumatico. Mettere a punto tali regolazioni, brevettabili quando
esse stesse risultavano innovative nella loro realizzazione, risultava
estremamente oneroso. Sostituirle con un software, dai costi di
sviluppo ben più contenuti, rappresenta un enorme risparmio e ciò ha
determinato la sua grande diffusione.



                                Ma un software, ecco il punto, e' di
natura diversa: si tratta di un bene immateriale.



                                Di fatto, il software e' dato dalla
combinazione, all'interno di un opera originale, di uno o più
algoritmi, vale a dire un insieme di formule matematiche. Ora, come ha
affermato Albert Einstein, che, caso della vita, inizia la sua
attività come funzionario dell’ufficio brevetti di Berna, “una formula
matematica non e' brevettabile”. Essa rientra nell'ambito delle idee,
come una storia, un insieme di parole o un accordo musicale.



                                Da millenni il sapere si costruisce e
si diffonde copiando e migliorando, vale a dire avendo libero accesso
alle idee. Il fatto che il sapere moderno, almeno in quei contesti che
hanno qualche rapporto con la logica o la quantizzazione, possa più
agevolmente essere espresso in forma di software non deve in alcun
caso portare a rinunciare al principio del libero accesso, che è il
solo a garantire la straordinaria capacità dell'umanità di creare
nuovo sapere.  Pensiamo ai limiti che questo sistema porterebbe alla
ricerca universitaria o alla libera iniziativa dei programmatori che
non solo dovrebbero essere in grado di sviluppare un programma da
zero, ma dovrebbero anche assicurarsi che il loro codice non violi
nessuno delle decine di migliaia di brevetti software esistenti.



                                Quale è, dunque, la natura del
problema che abbiamo davanti? Il tema é fondamentale sia a livello
economico che a livello politico o filosofico: si tratta di
regolamentare la diffusione del sapere e delle idee nella nostra
società e il problema scaturisce dalla contraddizione fra il sistema
giuridico e la tradizione ereditata, da un lato, e le esigenze di
remunerazione rispetto agli investimenti, riconoscimento del diritto
ai profitti derivati e di sicurezza dell’industria, dall'altro.



                                Da lungo tempo si cerca una
conciliazione fra queste due contraddittorie esigenze ed e proprio
tale ricerca ad essere oggetto della direttiva in esame. E
permettetemi di dire che nelle decine e decine di incontri che ho
avuto in questi mesi, con operatori del settore, docenti universitari
e imprese, ho avuto a volte la sensazione che tutti abbiano ragione se
non si riesce, fino in fondo, ad assumere la complessità del problema.



                                La via emendativa alla direttiva, che
il Parlamento sta provando ad attuare su spinta di Michel Rocard,
parte da qui: un software, formulazione di un idea, è di natura
immateriale. Le funzionalità che determina all'interno di un
elaboratore elettronico sono incluse al suo interno e non sono
direttamente comunicabili a cosa o persona esterna. Affinché tali
funzionalità siano comunicabili ed abbiano effetto, è necessario che
un componente si metta in movimento, che un segnale elettrico, radio o
luminoso venga prodotto, che una informazione appaia su uno schermo o
che si scateni un qualsiasi effetto fisico.



                                Ciò che, in modo quanto mai evidente,
e' brevettabile sono i sensori da una parte e tutti gli effettori
dall'altra che alimentano l'elaboratore di informazioni trattabili dal
software e che traggono dall'informazione prodotta infine dal
software, nel suo linguaggio, un effetto fisico che costituisce la
soluzione tecnica al problema tecnico che é stato posto. La
distinzione da cercare separa, dunque, il mondo immateriale dal mondo
materiale o piuttosto dal mondo fisico. Anche se entrambi i termini
sono alquanto insufficienti per riguardare l'intero settore
interessato. Materiale evoca troppo la materia e non l'energia, fisico
richiama implicitamente una quantità tangibile. Ma io mi fermo qui.



                                Di audizione si tratta e a me il
compito di indicare solo una traccia, una possibilità di sviluppo
della discussione per orientarci meglio. Ma il dibattito è aperto e
fondamentale che vada avanti con il contributo intellettuale di tutte
le esperienze. Del resto, anche il Governo Italiano e il Ministro
Stanca, per tutelare la nostra industria, si sono pronunciati e
orientati a sostenere gran parte del lavoro emendativo  che  Rocard
sta approntando e che ha, alla base, questa impostazione: modificare e
approvare la direttiva, ribadendo con più forza e nettezza la non
brevettabilità del software e individuando al contempo i limiti e
confini delle invenzioni brevettabili.



                                L'importante ora è confrontarsi, e mi
permetto di dire, qui a Roma, non perdersi di vista. Continuare a
tenere viva una rete di rapporti che sappia, in maniera feconda,
tenere aperti i canali di comunicazione tra il Parlamento e le
Istituzioni Europee e i luoghi del sapere e della scienza le
professioni e l’impresa. Almeno, conoscere i processi in atto è
indispensabile per poi provare con ambizione a condizionarli, perché
in giuoco alla fine c’è il futuro del nostro modo di vivere.



                                Nicola Zingaretti
-- 
Paolo Cavallini
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