[LUGargano] Il Mac passa a Intel: verso il partito unico del
computer?
Mauro LISANTI
nenetux@libero.it
Ven 13 Gen 2006 17:54:28 CET
*da www.unita.it
Il Mac passa a Intel: verso il partito unico del computer?*
di Toni De Marchi
Quando Paul Otellini è uscito da una nuvola vestito con lo scafandro dei
tecnici delle camere sterili dove si costruiscono i microchip, le
migliaia di persone che affollavano l'auditorium del Moscone Center di
San Francisco hanno reagito come fanno sempre di fronte alle genialate
di marketing di Steve Jobs: fischi (americani) e applausi. E Otellini,
amministratore delegato di Intel, sembrava un tantino imbarazzato
consegnando al suo omologo della Apple un wafer di sicilio. /Intel is
ready/, siamo pronti. /Apple is ready too/, anche Apple.
Una piccola sceneggiata (trasmessa in videoconferenza a Londra) per
spiegare un passaggio epocale per Apple, ma anche a sottolineare un
cambiamento che influirà probabilmente moltissimo sul mondo dei computer
e che presto o tardi ci toccherà tutti più o meno direttamente. Il
passaggio non è certo giunto inaspettato. Apple lo aveva preannunciato
sei mesi fa. Un cambiamento come questo coinvolge decine di migliaia di
persone. Non solo i tecnici delle due aziende interessate (oltre mille
persone alle Intel, ha spiegato Otellini, sono impegnate nel programma),
ma anche gli sviluppatori di software, quelli che fanno vivere, in
definitiva, il computer. Sono miliardi di righe di istruzioni che devono
essere riscritte perché i programmi possano girare sui nuovi computer.
Un lavoro gigantesco che non si compie in mezza giornata.
Certo, forse la casalinga di Voghera non si sentirà granché toccata da
quanto è successo martedì mattina in un centro congressi di San
Francisco. Ma per l'utilizzatore un po' più smaliziato di computer, uno
dei tanti abituato al suo Wintel o al suo Mac, qualche ragionevole
dubbio forse può arrivare. Per non parlare poi dei tanti fan dell'uno o
dell'altro mondo, gente disposta a vendersi la nonna pur di far passare
le proprie ragioni. Basta guardare il forum del sito dell'Unità dedicato
proprio al mondo Mac. Un forum nato per scherzo su una (ammettiamolo:
sciocca) domanda, «Il Mac è più politically correct di Windows?», e
prosperato tra infinite discussioni a colpi di centinaia di messaggi gli
uni contro gli altri armati.
Certo, un qualche sconcerto la mossa lo provoca. A giugno i siti Mac di
mezzo mondo erano pieni di invettive contro il tradimento: «Il Mac è
morto». L'altro mezzo mondo gioiva al grido di: «Il Mac è morto». Ovvio,
d'altronde: per una ventina d'anni la Apple ha brandito la Durlindana
della sua diversità, che aveva un nome, anzi due: Motorola e Ibm. Perché
dal 68000 al G5 tutti i processori montati sui computer della mela
sbocconcellata sono stati progettati e prodotti da queste due aziende.
Un lungo cammino cadenzato dal ritmo della legge di Moore. Gordon Moore
(che, per inciso, è anche uno dei fondatori della Intel), predisse che
il numero di transistor per pollice quadrato su di un processore sarebbe
raddoppiato ogni dodici mesi. La legge fu corretta dallo stesso Moore
qualche tempo dopo, ed il raddoppio rallentò un po': ogni 18 mesi. Ma la
sostanza non cambia molto. Se raddoppiano i transistor raddoppiano
velocità e prestazioni, per capirci.
La guerra dei due mondi si è combattuta per un ventennio sull'assioma
velocità = potenza, e dunque prestazioni. Intel giocava duro su questo
punto. Chi aveva un computer Intel Inside snocciolava prima i megahertz
o i gigahertz a dimostrazione della superiorità del proprio computer.
Qualcosa che gli altri, i macintoshisti, non potevano fare per la
semplice ragione che i due processori erano strutturalmente diversi e
dunque imparagonabili. Ma si è trattato, alla fine, di un assioma
fallace, che definiva solo una parte delle prestazioni di un computer, e
forse neppure quella più significativa. Tant'è che la stessa Intel, un
paio d'anni fa, ha silenziosamente abbandonato il sistema dei nomi dei
processori costruiti attorno alle prestazioni velocistiche. Quel che è
sicuro, è che per tutto questo tempo Intel si è sempre identificata con
quell'altro mondo, quello del pc su cui gira prevalentemente Windows. Al
punto che il pc è spesso definito come una macchina
Wintel,Windows-Intel. Eppure, anche questo non è più vero, e da molto
tempo ormai, a dimostrazione che le percezioni persistono molto più a
lungo della realtà alla quale si riferiscono. Oggi il mondo dei pc è
ormai per meno della metà Intel. Il resto usa processori realizzati da
altre società.
Insomma, appurato che la realtà è molto più complessa di quanto noi non
siamo disposti ad ammettere, la domanda è: andiamo verso il partito
unico? Ci avviamo sulla strada di una dittatura dolce, dove i diversi
sono esclusi e resi impotenti? Se a qualcuno una domanda del genere
dovesse sembrare troppo impegnativa, o forse fuori luogo visto che
stiamo parlando «solo» di macchine e di tecnologie, probabilmente
farebbe bene a ricredersi. Il tempo della tecnologia dolce, del computer
accessorio che si può spegnere, è finito. È finito nel giorno in cui la
rete è entrata nelle nostre vite per non lasciarci più. Il futuro
prossimo venturo è già delineato nei laboratori e nelle infrastrutture:
l'uomo reticolare non esiste solo nella fantasia di qualche visionario
ma nei progetti delle multinazionali.E dei governi.E delle majors
cinematografiche e del disco. E forse di potrebbe continuare, ma per il
momento non serve.
Steve Jobs non ha dato molte spiegazioni sul perché Apple abbia fatto la
transizione. C'è da dire che non è stato un colpo di testa: cinque anni
fa, quando nacque l'attuale sistema operativo Macintosh, il MacOS X, gli
ingegneri della Apple decisero di crearlo anche per i processori Intel.
Un segreto custodito con infinita cura tanto che nessuno ne aveva mai
saputo nulla. Ma le ragioni della transizione sono state spiegate
soprattutto con problemi legati alle prestazioni: velocità, consumi,
potenza per watt, eccetera. Cose probabilmente vere. Motorola e Ibm
preferiscono fare microchip per applicazioni /embedded/ (sono i computer
invisibili, quelli che non si vedono ma fanno girare il mondo e stanno
ormai ovunque: nei lettori di dvd e nelle pipeline che portano il gas,
sui treni e nelle tac degli ospedali) e per le consolle da gioco. Ma
credo che le ragioni siano altre, e siano da leggere proprio nella
prospettiva dell'uomo reticolare. Per vivere nel mondo integrato della
rete servono macchine che si vedano, si sentano, si riconoscano senza la
necessità di interpreti, di decodificatori. Prendiamo la musica. Apple
con l'iPod vince la scommessa della musica digitale (tra l'altro,
nell'ultimo trimestre del 2005 ne sono stati venduti 14 milioni, come
dire cento al minuto per 24 ore al giorno, sette giorni su sette). E
l'entertainment digitale è la sfida su cui nei prossimi anni si gioca il
futuro di buona parte dell'industria elettronica. Ma il divertimento
prossimo venturo sarà ancora di più un affare in rete, e non perché ci
piace Internet. Certo, c'è la rete sempre più veloce e dunque sarà molto
più facile decidere di comprarsi un film dal salotto di casa piuttosto
che andare al Blockbuster sotto casa. Ma ci sono soprattutto i
fornitori, le majors, ossessionate dalla copia illegale. Per cui vedremo
sempre meno contenuti distribuiti fisicamente, scaricati o montati su
dischi, e sempre più contenuti diffusi in rete. Lo streaming digitale è
la parola da tenere a mente. In futuro (domani, non dopodomani), anche
il disco che ci compreremo starà su qualche server remoto: lo potremo
sempre ascoltare, mai fisicamente possedere.
Se ciò è vero, il computer dell'uomo reticolare dovrà essere un computer
capace di comunicare e di gestire le prossime declinazioni di quello che
va sotto la sigla di Drm (/digital rights management/, gestione dei
diritti digitali). Un ambito nel quale si stanno combattendo battaglie
senza esclusioni di colpi. Ma anche un computer che sappia muoversi con
indifferenza tra film e musica, giochi e applicazioni «serie», che
sappia comunicare con il televisore (o quello che ne rimane) e con il
telefono (o quello che ne sarà). Intel promette questo e la Apple ci
scommette. Anche se non rinuncia alla stoccata finale al mondo pc. «Per
anni il processore Intel è stato intrappolato dentro scatole noiose a
fare diligentemente piccole cose noiose… Adesso è libero dentro un
Macintosh di viversi la vita» recita l'ultimo spot.
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