Plurali latini
Monica Badia
monica.badia@sun.com
Ven 13 Ago 2004 11:02:23 CEST
Ri-ciao!
sono la prima a dire che si dovrebbe tradurre tutto (come i nostri
cugini d'oltralpe) per preservare la nostra bella lingua. L'importazione
di parole straniere... il dire "è intraducibile" è un fatto di pigrizia,
a mio avviso molto pericoloso.
Ma una lingua viva è anche questo.
Il fatto è che la traduzione tecnica si basa anche sulla
standardizzazione (brutta parola, mi ricorda per certi vesi "global").
La chiarezza e coerenza terminologica in un testo tecnico è tutto.
L'invenzione della regola è parte di questo: ha lo scopo di rendere
immediatamente riconoscibile l'oggetto di cui si parla o di comprendere
la descrizione per ottenere una certa azione, senza doverci pensare
mezzo secondo. Nella traduzione letteraria è quasi il contrario...
Non mi fraintendere, io ho fatto studi classici e letterari, e tradurre
manuali tecnici andava contro la mia natura. Ma tutto ha un suo scopo,
non sempre riconducibile a un semplice fatto di pigrizia. Siamo creativi
dove si può, ma in ambiente tecnico l'attenzione del lettore è tutta sul
contenuto, non sulla creatività letteraria.
Tutto sommato, sono quasi certa che diciamo le stesse cose, solo
espresse in modo diverso ;-)
Ciao,
Monica
Giuliano ha scritto:
> Monica Badia ha scritto:
>
>> Ciao ragazzi,
>>
>> questa discussione sul latino la trovo stupenda! Non avrei mai
>> creduto che dopo tanti anni avrei ripreso in mano la mia
>> superingiallita grammatica del "Corso di latino per licei". Miracolo!
>> (direbbe la mi' mamma)
>
>
> Non è soltanto sul latino, ma anche sul modo di affrontare le
> questioni che si pongono. Su come si vede la vita!
>
>>
>> Ma qui il problema è un altro... cioè, per meglio dire, non sussiste
>> a mio avviso.
>>
>> Se consideriamo parole prese dall'inglese come "file", la regola dice
>> che, se non tradotte o italianizzate, le parole straniere si
>> importano in italiano senza flessione, quindi diremo "il file", "i
>> file".
>>
>> Il latino è lo stesso: non è italiano.
>
>
> L'italiano veramente sarebbe un dialetto sorto sulla base del latino
> .... e poi evoluto nel corso del tempo. L'etimo, ah l'etimo!!!
>
>> Quindi "medium" sarà "il medium", "i medium" (se proprio non si vuole
>> utilizzare la forma italiana).
>
>
> La realtà è proprio questa: usare termini propri della lingua in cui
> traduce. La regola cui fai accenno più che una regola è una
> consuetudine, più o meno consolidata. Altrimenti come la mettiamo con
> i "curricula"? Qualcuno si è risentito un pochino degli esiti di
> questa discussione ieri, ed ha invocato il ricorso ad una "regola
> universale". La standardizzazione è una parola brutta già di per se'.
> Si usa per pigrizia e piace tanto perchè non costringe a fare sforzi
> di natura creativa. Quando mi imbatto, traducendo il notiziario
> settimanale di Debian, in quei bei termini contratti, omnicomprensivi,
> propri delle lingue sassoni, ho due vie di uscita: o dico "tanto è
> intraducibile" e riporto la parola così come essa è, ovvero mi sforzo
> di rendere il concetto con una perifrasi, più effusiva, più lunga, ma
> anche più gradevole. La discriminante è una sola: quel lavoro
> riporterà una sentenza su chi lo ha svolto.
> Subisco volentieri le critiche aspre riferite alla mia "eccessiva
> verbosità". Non altrettanto quelle che stigmatizzassero la mia cattiva
> disposizione o la mia ignoranza. (anche se so che anche quest'ultima
> esiste non ci tengo particolarmente a riaffermarla con ogni pretesto).
>
>>
>> Un altro esempio: la parola "medium" ha anche un significato
>> esoterico, volendo. In italiano si usa la parola "la medium" per
>> indicare una specie di veggente (chiedo scusa se la definizione non
>> sarà proprio esatta... tanto per capirci). L'origine è la stessa: il
>> medium, la medium, i medium, le medium.
>>
>> La regola vale per tutti.
>>
>>
>> Ciao,
>> Monica
>>
> Ciao
> Giuliano
>
--
Monica Badia
Italian Language Project Manager
Translation and Language Information Services
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