[Gulli] caratteri accentati

enricoxy@gmail.com enricoxy@gmail.com
Mer 8 Lug 2015 13:12:09 CEST


Buongiorno a tutti,
ho il problema di visualizzare in maniera non corretta (caratteri 
speciali) i file di testo provenienti da altri sistemi operativi.....
vi lascio indovinare quale :-)
sono andato subito a vedere il mio charset che con il comando locale da:
> enrico14@enrico-Superdesktop:~$ locale
> LANG=it_IT.UTF-8
> LANGUAGE=it:en
> LC_CTYPE="it_IT.UTF-8"
> LC_NUMERIC=it_IT.UTF-8
> LC_TIME=it_IT.UTF-8
> LC_COLLATE="it_IT.UTF-8"
> LC_MONETARY=it_IT.UTF-8
> LC_MESSAGES="it_IT.UTF-8"
> LC_PAPER=it_IT.UTF-8
> LC_NAME=it_IT.UTF-8
> LC_ADDRESS=it_IT.UTF-8
> LC_TELEPHONE=it_IT.UTF-8
> LC_MEASUREMENT=it_IT.UTF-8
> LC_IDENTIFICATION=it_IT.UTF-8
> LC_ALL=
> enrico14@enrico-Superdesktop:~$
e

> enrico14@enrico-Superdesktop:~$ set | grep LANG
> GDM_LANG=it_IT
> LANG=it_IT.UTF-8
> LANGUAGE=it:en
mi sembra tutto a posto...ma allora?
chi come me ha ubuntu 14.04 riesce a visualizzare bene il file che ho 
allegato???
Saluti Enrico


-------------- parte successiva --------------







    Traduzioni telematiche a cura di
    Rosaria Biondi, Nadia Ponti, Giulio Cacciotti, Vincenzo Guagliardo
    (Casa di reclusione - Opera)



    Oscar Wilde.
    IL RITRATTO DI DORIAN GRAY.







    INDICE.

    Profilo di Oscar Wilde (di James Joyce): pagina 4.
    Prefazione:                              pagina 12.
    Capitolo primo:                          pagina 15.
    Capitolo secondo:                        pagina 37.
    Capitolo terzo:                          pagina 63.
    Capitolo quarto:                         pagina 85.
    Capitolo quinto:                         pagina 111.
    Capitolo sesto:                          pagina 131.
    Capitolo settimo:                        pagina 145.
    Capitolo ottavo:                         pagina 165.
    Capitolo nono:                           pagina 189.
    Capitolo decimo:                         pagina 206.
    Capitolo undicesimo:                     pagina 221.
    Capitolo dodicesimo:                     pagina 254.
    Capitolo tredicesimo:                    pagina 266.
    Capitolo quattordicesimo:                pagina 278.
    Capitolo quindicesimo:                   pagina 299.
    Capitolo sedicesimo:                     pagina 315.
    Capitolo diciassettesimo:                pagina 330.
    Capitolo diciottesimo:                   pagina 340.
    Capitolo diciannovesimo:                 pagina 356.
    Capitolo ventesimo:                      pagina 372.




















    OSCAR WILDE.  (Articolo di James Joyce apparso sul "Piccolo  della
    Sera"   di   Trieste   (24  marzo  1909)  e  scritto  in  italiano
    dall'autore.

    Oscar  Fingal  O'Flahertie  Wills  Wilde.  Tali  furono  i  titoli
    altisonanti ch'egli,  con alterigia giovanile,  volle far stampare
    sul frontespizio della sua prima raccolta  di  versi  e  con  quel
    medesimo  gesto altiero con cui credeva nobilitarsi scolpiva forse
    in modo simbolico,  il segno delle sue pretese vane e la sorte che
    gi? l'attendeva.  Il suo nome lo simboleggia: Oscar, nipote del re
    Fingal e figlio unigenito di Ossian nella amorfa odissea  celtica,
    ucciso  dolorosamente  per  mano  del  suo  ospite mentre sedeva a
    mensa: O'Flahertie,  truce trib? irlandese il cui destino  era  di
    assalire  le porte di citt? medievali,  ed il cui nome,  incutendo
    terrore ai pacifici,  si  recita  tuttora  in  calce  all  'antica
    litania  dei  santi  fra  le  pesti,  l'ira di Dio e lo spirito di
    fornicazione "dai feroci O'Flahertie, libera nos Domine". Simile a
    quell'Oscar egli pure,  nel fior degli anni,  doveva incontrare la
    morte  civile  mentre  sedeva  a mensa coronato di finti pampini e
    discorrendo di Platone: simile a  quella  trib?  selvatica  doveva
    spezzare le lance della sua facondia paradossale contro la schiera
    delle convenzioni utili: ed udire, esule e disonorato, il coro dei
    giusti  recitare  il  suo  nome  assieme  a  quello  dello spirito
    immondo.
    Il Wilde nacque cinquantacinque anni fa.  Suo padre era un valente
    scienziato,  ed  ?  stato chiamato il padre dell'otologia moderna:
    sua madre partecip? al  movimento  rivoluzionario  letterario  del
    '48,  collaborando  all'organo  nazionale  sotto  lo pseudonimo di
    Speranza con le sue poesie e con articoli incitanti il popolo alla
    presa  del  castello  di  Dublino.   Ci  sono  delle   circostanze
    riguardanti  la  gravidanza  di Lady Wilde e l'infanzia del figlio
    che,  al parer di alcuni,  spiegano in parte la triste  mania  (se
    cosi ? lecito chiamarla) che lo trasse pi? tardi alla rovina, ed ?
    certo   almeno   che   il  fanciullo  crebbe  in  un  ambiente  di
    sregolatezze e di prodigalit?.
    La vita pubblica di Oscar Wilde si aperse all'Universit? di Oxford
    ove,  all'epoca della sua immatricolazione,  un solenne professore
    di  nome Ruskin,  conduceva uno stuolo di ef?bi anglosassoni verso
    la terra promessa della societ? avvenire, dietro una carriola.
    Il temperamento suscettibile di sua madre riviveva nel giovane; ed
    egli risolse di mettere in pratica, cominciando da se stesso,  una
    teoria  di  bellezza  in  parte  derivata  dai libri di Pater e di
    Ruskin ed in parte  originale.  Sfidando  le  beffe  del  pubblico
    proclam?  e  pratic? la riforma estetica del vestito e della casa.
    Tenne dei cicli di conferenze negli Stati Uniti e  nelle  province
    inglesi  e  divent?  il  portavoce  della scuola estetica,  mentre
    intorno  a  lui   andava   formandosi   la   leggenda   fantastica
    dell'apostolo  del  bello.  Il  suo  nome  evocava  alla mente del
    pubblico un'idea vaga di sfumature delicate, di vita illeggiadrita
    di fiori: il culto del  girasole,  il  suo  fiore  prediletto,  si
    propag?  fra  gli  oziosi  ed il popolo minuto ud? narrare del suo
    famoso bastone d'avorio candido luccicante  di  turchesi  e  della
    acconciatura neroniana dei suoi capelli.
    Il  fondo  di questo quadro smagliante era pi? misero di ci? che i
    borghesi immaginavano. Medaglie, trofei della giovent? accademica,
    salivano di quando in quando il sacro monte  che  ha  il  nome  di
    piet?;  e  la  giovane  moglie  dell'epigrammatico dovette qualche
    volta farsi prestare da una  vicina  il  danaro  per  un  paio  di
    scarpe.  Il  Wilde  si  vide  costretto  ad  accettare il posto di
    direttore  di  un   giornale   molto   insulso;   e   solo   colla
    rappresentazione  delle  sue  commedie  brillanti egli entr? nella
    breve fase penultima della sua vita: il lusso e la  ricchezza.  Il
    "Ventaglio  di Lady Windermere" prese Londra d'assalto.  Il Wilde,
    entrando  in  quella  tradizione   letteraria   di   commediografi
    irlandesi  che si stende dai giorni di Sheridan e Goldsmith fino a
    Bernard Shaw, divent?,  al par di loro,  giullare di corte per gli
    inglesi.  Divent?  un  arbitro d'eleganze nella metropoli e la sua
    rendita annua, provento dei suoi scritti, raggiunse quasi il mezzo
    milione di franchi.  Sparse il suo oro fra una  sequela  di  amici
    indegni.  Ogni  mattina  acquist?  due fiori costosi,  uno per s?,
    l'altro per il suo cocchiere; e persino il giorno del suo processo
    clamoroso si fece condurre al tribunale nella sua carrozza  a  due
    cavalli   col   cocchiere   vestito  di  gala  e  collo  staffiere
    incipriato.
    La sua caduta fu salutata da  un  urlo  di  gioia  puritana.  Alla
    notizia della sua condanna la folla popolare,  radunata dinanzi al
    tribunale,  si mise a ballare una pavana sulla strada  melmosa.  I
    redattori   dei   giornali   furono  ammessi  all'ispettorato  ed,
    attraverso la finestrina della sua cella,  poterono pascersi dello
    spettacolo  della  sua vergogna.  Strisce bianche coprirono il suo
    nome sugli albi teatrali;  i suoi amici lo abbandonarono;  i  suoi
    manoscritti  furono rubati mentre egli,  in prigione,  scontava la
    pena inflittagli di due anni di lavori  forzati.  Sua  madre  mor?
    sotto un nome d'infamia: sua moglie mor?.  Fu dichiarato in istato
    di fallimento,  i suoi effetti furono  venduti  all'asta,  i  suoi
    figli  gli  furono  tolti.  Quando  usc?  di  carcere  i  teppisti
    sobillati  dal  nobile  marchese  Queensberry   l'aspettavano   in
    agguato.  Fu  cacciato,  come  una  lepre dai cani,  da albergo in
    albergo.   Un  oste  dopo  l'altro  lo   respinse   dalla   porta,
    rifiutandogli  cibo  ed  alloggio,  e  al cader della notte giunse
    finalmente  sotto  le  finestre  di  suo  fratello   piangendo   e
    balbettando come un fanciullo.
    L'epilogo  volse  rapidamente  alla sua fine e non vale la pena di
    seguire l'infelice dalla suburra napoletana al povero albergo  nel
    quartiere   latino,   ove   mor?  di  meningite  nell'ultimo  mese
    dell'ultimo anno del  secolo  decimonono.  Non  vale  la  pena  di
    pedinarlo  come fecero le spie parigine: mor? da cattolico romano,
    aggiungendo allo sfacelo della sua vita civile la propria smentita
    della sua fiera dottrina.  Dopo aver schernito gli idoli del foro,
    pieg?  il  ginocchio,  essendo  compassionevole e triste chi fu un
    giorno cantore della divinit? della gioia: e  chiuse  il  capitolo
    della  ribellione  del  suo  spirito  con  un  atto  di  dedizione
    spirituale.

    Questo non ? il luogo di indagare lo strano problema della vita di
    Oscar Wilde n? di determinare fino a che  punto  l'atavismo  e  la
    forma epilettoide della sua nevrosi possano scagionarlo di ci? che
    a  lui  si  imput?.  Innocente  o colpevole che fosse delle accuse
    mossegli, era indubbiamente un capro espiatorio.
    La sua maggior colpa era quella di aver provocato uno scandalo  in
    Inghilterra;  ed  ?  ben  noto  che  l'autorit?  inglese  fece  il
    possibile per indurlo a fuggire prima di spiccare contro di lui un
    mandato di cattura.  A Londra  sola,  dichiar?  un  impiegato  del
    ministero  dell'interno,  durante  il  processo,  pi? di ventimila
    persone sono sotto la sorveglianza della polizia,  ma rimangono  a
    piede  libero fintantoch? non provochino uno scandalo.  Le lettere
    di Wilde ai suoi amici furono lette dinanzi alla Corte ed il  loro
    autore  venne  denunziato  come  un  degenerato,  ossessionato  da
    pervertimenti erotici. "Il tempo guerreggia contro di te; ? geloso
    dei tuoi gigli e delle tue  rose."  "Amo  vederti  errare  per  le
    vallate  violacee,  fulgido  colla  tua chioma color miele." Ma la
    verit? ? che Wilde,  lungi dall'essere un mostro di  pervertimento
    sorto  in  modo  inesplicabile  nel  mezzo  della  civilt? moderna
    d'Inghilterra,  ? il prodotto  logico  e  necessario  del  sistema
    collegiale ed universitario anglosassone,  sistema di reclusione e
    di segretezza.  L'incolpazione del popolo procedeva da molte cause
    complicate; ma non era la reazione semplice di una coscienza pura.
    Chi studi con pazienza le iscrizioni murali,  i disegni franchi, i
    gesti espressivi del popolo,  esiter? a crederlo mondo  di  cuore.
    Chi  segua  dal  di presso la vita e la favella degli uomini,  sia
    nello stanzone dei soldati,  che nei  grandi  uffici  commerciali,
    esiter?  a  credere che tutti coloro che scagliarono pietre contro
    il Wilde furono essi stessi senza macchia. Difatti ognuno si sente
    diffidente nel parlare con altri di questo argomento,  temendo che
    forse  il suo interlocutore ne sappia pi? di lui.  L'autodifesa di
    Oscar Wilde nello "Scots Observer" deve ritenersi  valida  dinanzi
    alla sbarra della critica spassionata.  Ognuno,  scrisse,  vede il
    proprio peccato in Dorian Gray (il pi? celebre romanzo di  Wilde).
    Quale  fu il peccato di Dorian Gray nessun lo dice e nessun lo sa.
    Chi lo scopre l'ha commesso.
    Qui tocchiamo il centro motore dell'arte di Wilde: il peccato.  Si
    illuse   credendosi   il  portatore  della  buona  novella  di  un
    neopaganesimo alle genti travagliate.  Mise tutte le  sue  qualit?
    caratteristiche,  le  qualit? (forse) della sua razza,  l'arguzia,
    l'impulso generoso,  l'intelletto asessuale  al  servizio  di  una
    teoria del bello che doveva,  secondo lui, riportare l'evo d'oro e
    la gioia della giovent? del mondo. Ma in fondo in fondo se qualche
    verit?  si  stacca  dalle  sue   interpretazioni   soggettive   di
    Aristotele,  dal suo pensiero irrequieto che procede per sofismi e
    non per sillogismi,  dalle  sue  assimilazioni  di  altre  nature,
    aliene  dalla  sua,  come  quelle del delinquente e dell'umile,  ?
    questa verit? inerente nell'anima del  cattolicesimo:  che  l'uomo
    non  pu?  arrivare  al cuor divino se non attraverso quel senso di
    separazione e di perdita che si chiama peccato.
    Nell'ultimo suo libro "De Profundis",  si inchina  davanti  ad  un
    Cristo  gnostico,  risorto  dalle  pagine apocrife della "Casa dei
    melograni"  ed  allora  la  sua  vera  anima,  tremula,  timida  e
    rattristata,  traluce  attraverso  il manto di Eliogabalo.  La sua
    leggenda fantastica,  l'opera sua,  una variazione polifonica  sui
    rapporti  fra l'arte e la natura anzich? una rivelazione della sua
    psiche,   i   libri   dorati,   scintillanti   di   quelle   frasi
    epigrammatiche che lo resero,  agli occhi di alcuno, il pi? arguto
    parlatore del secolo scorso, sono ormai un bottino diviso.
    Un versetto  del  libro  di  Giobbe  ?  inciso  sulla  sua  pietra
    sepolcrale  nel povero cimitero di Bagneux.  Loda la sua facondia,
    "eloquium suum",  il gran manto leggendario che ? ormai un bottino
    diviso.  Il  futuro  potr? forse scolpire l? un altro verso,  meno
    altiero,  pi? pietoso: "Partiti sunt sibi vestimenta mea et  super
    vestem meam miserunt sortes."
    JAMES JOYCE.






    Prefazione.

    L'artista ? il creatore di cose belle.
    Rivelare l'arte e nascondere l'artista ? la scopo dell'arte.
    Il critico ? colui che pu? tradurre in una maniera diversa o in un
    materiale nuovo l'impressione che le cose belle suscitano in lui.
    La  pi?  alta e la pi? bassa forma di critica sono tutte e due una
    maniera di autobiografia.
    Quelli che  trovano  nelle  cose  belle  significati  brutti  sono
    corrotti senza essere attraenti. Questo ? una colpa.
    Quelli che trovano nelle cose belle significati belli sono persone
    colte. Per questi c'? speranza.
    Gli  eletti  sono  quelli  per  i  quali le cose belle significano
    soltanto bellezza.
    Non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono o scritti
    bene o scritti male: nient'altro.
    L'antipatia del Diciannovesimo  secolo  verso  il  Realismo  ?  la
    rabbia di Calibano che vede nello specchio il proprio volto.
    L'antipatia  del  Diciannovesimo secolo verso il Romanticismo ? la
    rabbia di Calibano che non vede nello specchio il proprio volto.
    La vita morale dell'uomo ? per l'artista una parte del soggetto, o
    materia;  ma la moralit? dell'arte consiste nell'impiego  perfetto
    di un mezzo imperfetto.  Nessun artista vuole dimostrare alcunch?.
    Anche le cose vere possono essere dimostrate.
    Nessun artista prova simpatie di tipo etico. Una simpatia etica in
    un artista ? un'imperdonabile affettazione stilistica.
    Nessun artista ? mai morboso.  L'artista pu?  esprimere  qualunque
    cosa.
    Pensiero  e  linguaggio  sono  per l'artista strumenti di un'arte.
    Vizio e virt? sono per l'artista materiali di un'arte.  Dal  punto
    di  vista  della  forma il prototipo di tutte le arti ? l'arte del
    musicista. Dal punto di vista del sentimento il prototipo ? l'arte
    dell'attore.
    Tutta l'arte ? insieme superficie e simbolo.
    Quelli che penetrano al di  sotto  della  superficie  lo  fanno  a
    proprio rischio e pericolo.
    Quelli  che  interpretano  il simbolo lo fanno a proprio rischio e
    pericolo.
    E' lo spettatore, non la vita, che l'arte, in realt?, rispecchia.
    La divergenza di opinioni a proposito di un'opera d'arte  dimostra
    che l'opera ? nuova, complessa e vitale.
    Quando  i  critici  sono  discordi,  l'artista  ? d'accordo con se
    stesso.
    Un uomo pu? esser perdonato se fa una cosa utile,  a patto che non
    l'ammiri.  L'unica  scusa  per  chi fa una cosa inutile ? che egli
    l'ammiri intensamente.
    Tutta l'arte ? perfettamente inutile.
    OSCAR WILDE.


















    Capitolo primo.

    Lo studio era pieno dell'odore intenso delle  rose,  e  quando  il
    venticello  estivo passava tra gli alberi del giardino,  penetrava
    dalla porta aperta il profumo greve del glicine o la fragranza pi?
    delicata del biancospino.
    Dall'angolo  del  divano  di  cuscini  persiani  sul  quale  stava
    disteso,  fumando, com'era sua abitudine, numerose sigarette, Lord
    Henry Wotton poteva appena intravedere lo splendore dei  fiori  di
    citiso,  che  hanno  la dolcezza e il colore del miele.  I rametti
    fragili sembravano quasi incapaci di sostenere il  peso  di  tanta
    scintillante bellezza.  Le ombre fantastiche degli uccelli in volo
    penetravano ogni tanto attraverso le lunghe tende di  seta  cruda,
    che,  aperte  davanti  alla grande finestra,  producevano quasi un
    temporaneo effetto giapponese e facevano pensare  a  quei  pallidi
    pittori  di Tokyo,  con la faccia di giada,  che,  impiegando come
    strumento un'arte che ? per forza  di  cose  statica,  cercano  di
    darci il senso della velocit? e del movimento.  Il ronzio testardo
    delle api che si facevano  strada  attraverso  l'erba  lunga,  non
    rasata,  o  giravano  con  insistenza  monotona intorno alle punte
    dorate e impolverate del caprifoglio rampicante, pareva rendere il
    silenzio  ancora  pi?  opprimente.  Il  rombo  confuso  di  Londra
    sembrava l'accompagnamento di un organo lontano.
    Nel centro della camera,  posto su un cavalletto verticale,  c'era
    il ritratto in piedi di un giovane di una  straordinaria  bellezza
    fisica;  e  davanti,  a  una certa distanza,  era seduto l'artista
    stesso, Basil Hallward, la repentina scomparsa del quale,  qualche
    anno  fa,  suscit?  tanto  scalpore  quando avvenne e fece nascere
    parecchie strane congetture.
    Mentre il pittore ammirava la forma graziosa e attraente che aveva
    cos?  abilmente  riflessa  nella  sua  arte,   passava  e   pareva
    soffermarsi  sul  suo viso un sorriso di piacere.  Improvvisamente
    per? si alz? in piedi e,  chiudendo gli occhi,  si  mise  le  dita
    sulle palpebre,  come se volesse imprigionare nel proprio cervello
    qualche sogno strano dal quale avesse paura di esser svegliato.
    - E' la tua opera migliore, Basil, quanto di meglio tu abbia fatto
    - disse languidamente Lord Henry.  - Devi mandarla  senz'altro  al
    Grosvenor  l'anno  prossimo.  L'Accademia ? troppo grande e troppo
    volgare.  Tutte le volte che ci sono andato c'era tanta gente  che
    non ho potuto vedere i quadri, cosa tremenda, oppure c'erano tanti
    quadri  che  non  ho  potuto  vedere  la gente,  ci? che era anche
    peggio. Il Grosvenor ? veramente l'unico posto.
    - Non credo che  lo  mander?  da  nessuna  parte  -  rispose  lui,
    piegando  la  testa  all'indietro,  in  quel suo strano modo che a
    Oxford faceva sempre ridere i suoi amici. - No,  non lo mander? in
    nessun posto.
    Lord  Henry  inarc?  le  sopracciglia  e  lo  guard?  meravigliato
    attraverso i sottili anelli di fumo che salivano dalla sua  grossa
    sigaretta oppiata.  - Non lo manderai in nessun posto? E perch?? E
    perch?,  mio caro?  Hai qualche motivo?  Che tipi strani siete voi
    pittori! Fate tutto il possibile per conquistarvi la fama e appena
    l'avete conquistata sembra che vogliate gettarla via.  E' sciocco,
    perch? in questo mondo c'? una sola cosa peggiore del  far  parlar
    di  s?,  ed ? il non far parlar di s?.  Un ritratto come questo ti
    metterebbe molto al disopra di tutti i giovani  in  Inghilterra  e
    ingelosirebbe terribilmente i vecchi, se pure i vecchi sono capaci
    di un'emozione qualsiasi.
    -  So che riderai di me - rispose l'altro,  - ma proprio non posso
    esporlo. Ci ho messo dentro troppo di me stesso.
    Lord Henry si allung? sul divano, ridendo.
    - S?, lo sapevo che avresti riso; per? ? esattamente la verit?.
    - Troppo di te stesso! Parola d'onore,  Basil non ti credevo tanto
    vanitoso.  Non  riesco  davvero a vedere la minima somiglianza fra
    te, colla tua faccia forte e angolosa,  e questo giovane Adone che
    pare fatto d'avorio e di petali di rosa.  Andiamo, caro Basil, lui
    ? un Narciso e tu - certo,  naturalmente,  tu  hai  un'espressione
    intellettuale e tutto il resto;  ma la bellezza, la vera bellezza,
    finisce l? dove l'espressione intellettuale inizia. L'intelletto ?
    per sua natura una forma di esagerazione e distrugge l'armonia  di
    qualsiasi volto. Appena uno si mette a pensare, diventa tutto naso
    o tutta fronte,  o qualche cosa di orribile. Guarda gli uomini che
    hanno avuto successo in una qualsiasi delle professioni dotte. Non
    fanno   perfettamente   schifo?    Eccetto   che   nella   Chiesa,
    naturalmente;  ma  nella  Chiesa  non  pensano.  A  ottant'anni un
    Vescovo continua a dire quello che  gli  hanno  insegnato  a  dire
    quando ne aveva diciotto, e naturalmente ne deriva che mantiene un
    aspetto assolutamente delizioso.  Il tuo giovine amico,  del quale
    non mi hai mai detto il nome,  ma il cui ritratto mi affascina per
    davvero,  non pensa mai, ne sono assolutamente certo. E' un essere
    senza cervello,  bello,  che dovrebbe essere sempre qui d'inverno,
    quando  non  abbiamo  fiori  da contemplare e sempre qui d'estate,
    quando ci serve qualcosa che raffreddi la nostra intelligenza. Non
    lusingarti, Basil; tu non gli somigli per niente.
    - Non mi capisci,  Harry - rispose l'artista.  - Certo che non gli
    assomiglio,   lo  so  benissimo.  Ti  dir?  che  mi  dispiacerebbe
    assomigliargli. E' inutile che tu scrolli le spalle: quello che ti
    dico  ?  la  pura  verit?.  Su  qualsiasi  distinzione,  fisica  o
    intellettuale che sia,  pesa una fatalit?,  la stessa fatalit? che
    sembra che accompagni nella storia i  passi  incerti  dei  Re.  E'
    meglio  non  essere  diversi dai propri simili.  In questo mondo i
    brutti e gli stupidi hanno la  sorte  migliore;  possono  starsene
    comodamente  seduti  a  guardare  la  commedia.  Non  conoscono la
    vittoria,  ma in  compenso  non  sono  costretti  a  conoscere  la
    sconfitta;   vivono  come  dovremmo  vivere  tutti,  indisturbati,
    indifferenti e senza fastidi.  La tua ricchezza e  il  tuo  rango,
    Harry,  il mio talento,  qualunque esso sia, la mia arte, per quel
    che pu? valere,  la bellezza di Dorian Gray - noi  soffriremo  per
    quello che gli D?i ci hanno donato, soffriremo terribilmente.
    - Dorian Gray?  Si chiama cos??  - chiese Lord Henry,  dirigendosi
    attraverso lo studio verso il pittore.
    - S?. Non volevo dirti il suo nome.
    - E perch??
    - Oh,  non saprei spiegartelo.  Quando voglio enormemente  bene  a
    qualcuno  non  ne dico mai il nome a nessuno.  E' come cederne una
    parte.  Mi sono abituato ad amare la segretezza;  mi pare la  sola
    cosa  che  possa rendere misteriosa e meravigliosa la vita moderna
    per noi.  La cosa pi? ordinaria diventa deliziosa quando ?  tenuta
    nascosta.  Quando  mi  allontano  dalla citt? non dico mai ai miei
    dove vado;  se lo dicessi mi  rovinerei  tutto  il  piacere.  Sar?
    un'abitudine  sciocca,  lo  ammetto,  ma a me sembra che introduca
    nella vita un grande elemento romanzesco. Sono sicuro che mi trovi
    terribilmente sciocco, non ? vero?
    - Proprio per niente - rispose Lord Henry -  proprio  per  niente,
    mio  caro  Basil.  Mi  sembra  che tu dimentichi che ho moglie;  e
    l'unico  pregio  del  matrimonio  ?   di   rendere   assolutamente
    necessaria  per tutti e due una vita di inganno reciproco.  Io non
    so mai dove sia mia moglie e mia moglie  non  sa  mai  quello  che
    faccio  io.   Quando  ci  incontriamo,  poich?  qualche  volta  ci
    incontriamo, quando siamo invitati a pranzo insieme, oppure quando
    andiamo dal Duca,  ci raccontiamo a vicenda le storie pi?  assurde
    con  la  faccia  pi?  seria  del  mondo.  In  questo  mia moglie ?
    bravissima,  molto pi? brava di me.  Lei non confonde mai le date,
    io  sempre;  per?  quando  mi coglie in fallo non fa mai scene.  A
    volte mi piacerebbe che ne facesse; e invece si limita a ridere di
    me.
    - Non mi piace sentirti parlare cos? della tua vita  matrimoniale,
    Harry  -  disse il pittore,  dirigendosi lentamente verso la porta
    che dava sul giardino.  - Credo che in realt?  tu  sia  un  ottimo
    marito,  ma  che  tu  ti  vergogni  della  tua virt?.  Sei un tipo
    straordinario;  non dici mai una cosa che sia morale e non fai mai
    una  cosa  che  non  sia  giusta.  Il  tuo cinismo ? semplicemente
    un'atteggiamento.
    - Essere naturale  ?  semplicemente  un'atteggiamento,  e  il  pi?
    fastidioso  che  io  conosca  - esclam? ridendo Lord Henry.  I due
    giovani uscirono insieme in giardino e si sedettero su  una  lunga
    panchina  di  bamb?,  all'ombra di un alto cespuglio di alloro.  I
    raggi  del  sole  scivolavano  sulle  foglie  lucide  e  nell'erba
    tremolavano bianche le margheritine.
    Lord  Henry,  dopo  una  pausa,  tir?  fuori  l'orologio.  - Basil
    mormor?,  - ho paura di dovermene andare,  e prima di  andare  via
    insisto perch? tu risponda a una domanda che ti ho fatto poco fa.
    - Che cosa? - disse il pittore, con gli occhi fissi a terra.
    - Lo sai benissimo.
    - No, Harry, non lo so.
    -  Va  bene,  ti  dir? di che si tratta.  Voglio che tu mi spieghi
    perch? non vuoi esporre il ritratto di Dorian Gray.  Voglio sapere
    la vera ragione.
    - Te l'ho detta.
    -  No,  non  l'hai  detta.  Hai detto che era perch? in esso c'era
    troppo di te stesso, e questo ? puerile.
    - Harry - disse Basil Hallward guardandolo dritto in faccia,  ogni
    ritratto  dipinto  con sentimento ? il ritratto dell'artista,  non
    del modello. Questi non ? che l'accidente, l'occasione;  non ? lui
    che  viene rivelato dal pittore,  ma ? il pittore che,  sulla tela
    dipinta,  rivela se stesso.  La ragione per cui non voglio esporre
    quel  ritratto  ? che in esso ho messo a nudo il segreto della mia
    stessa anima.
    Lord Henry scoppi? in una risata. - E qual ?? - domand?.
    -  Te  lo  dir?  -  disse  Hallward;  ma  sul  suo  volto  apparve
    un'espressione di perplessit?.
    -  Pendo  dalle  tue  labbra,  Basil  -  riprese  il suo compagno,
    guardandolo.
    - Oh,  Harry,  c'? proprio ben poco da dire - replic? il pittore e
    temo che non lo capiresti e forse nemmeno lo crederesti.
    Lord Henry,  sorridendo,  si chin?, colse dal prato una margherita
    dai petali rosei e la esamin?.  - Sono sicurissimo che lo capir?,-
    rispose,  fissando intensamente il dischetto d'oro incorniciato di
    piume bianche,  - e,  quanto a credere,  posso  credere  qualsiasi
    cosa, a condizione che sia perfettamente incredibile.
    Il  vento  fece  cadere  qualche  fiore  dagli alberi e i grappoli
    pesanti dei fiori di glicine oscillarono  nell'aria  languida.  Un
    grillo  cominci?  a  trillare  vicino  al  muro  e,  come  un filo
    azzurrino, una libellula lunga ed esile pass? librandosi sulle ali
    di garza bruna. Lord Henry ebbe la sensazione di sentir battere il
    cuore di Basil Hallward e si  domand?  che  cosa  mai  stesse  per
    accadere.
    -  La  storia  ? semplicemente questa - disse il pittore,  dopo un
    istante.  - Due mesi fa andai a un ricevimento  in  casa  di  Lady
    Brandon.  Sai  che  ogni  tanto  noi poveri artisti dobbiamo farci
    vedere in societ? per ricordare al  pubblico  che  non  siamo  dei
    selvaggi.  Come  mi  dicesti  una  volta,  con  una  marsina e una
    cravatta  bianca  chiunque,   anche  un  agente  di  cambio,   pu?
    conquistarsi la reputazione di essere civilizzato.  Dunque ero nel
    salone da una decina di minuti, a parlare con certe matrone enormi
    e troppo vestite e con certi accademici  noiosi,  quando  ebbi  di
    colpo la consapevolezza che qualcuno mi stava guardando.  Mi girai
    e vidi Dorian Gray per la prima volta.  Quando i nostri sguardi si
    incontrarono   sentii  che  impallidivo.   Mi  prese  una  curiosa
    sensazione di terrore.  Sapevo di trovarmi faccia a faccia con uno
    la cui personalit? era cos? affascinante che, se lo lasciavo fare,
    avrebbe  assorbito  tutta  la  mia  natura,  tutta  la mia anima e
    perfino la mia  arte.  Nella  mia  esistenza  non  volevo  nessuna
    influenza esterna: tu sai,  Harry,  quanto io sia indipendente per
    natura. Sono sempre stato il padrone di me stesso, o almeno lo ero
    sempre stato, finch? non incontrai Dorian Gray.  Allora...  ma non
    so  come  spiegartelo.  Mi  sembra che qualcosa mi dicesse che ero
    sulla  soglia  di  una  terribile  crisi  nella  vita;   avevo  la
    sensazione  strana  che  il  fato  mi  riservava gioie deliziose e
    dolori non meno deliziosi.  Ebbi paura e  feci  per  uscire  dalla
    stanza.  Non  era la coscienza che mi spingeva;  era una specie di
    vigliaccheria. Non mi faccio un merito di aver tentato di fuggire.
    - Coscienza e vigliaccheria sono in realt? una cosa  sola,  Basil.
    Coscienza ? l'insegna commerciale della ditta; questo ? tutto.
    -  Non  lo credo,  Harry,  e non credo che tu lo creda.  Comunque,
    qualunque fosse il motivo che mi spingeva -  poteva  anche  essere
    orgoglio, dato che prima ero molto orgoglioso - ? certo che lottai
    per raggiungere la porta.  Sulla soglia,  naturalmente, m'imbattei
    in Lady Brandon.  "Non ve ne  andrete  mica  cos?  presto,  Mister
    Hallward?", grid? lei. Conosci quella sua curiosa voce stridula?
    - S?;  ? un pavone in tutto, salvo che nella bellezza - disse Lord
    Henry,  facendo a pezzi la  margherita  con  le  sue  lunghe  dita
    nervose.
    - Non riuscii a liberarmene.  Mi present? a delle Altezze, a degli
    uomini con placche e Giarrettiere,  a delle  vecchie  signore  con
    certi gioielli giganteschi e certi nasi da pappagallo. Parl? di me
    come se fossi stato il suo amico pi? caro; prima di allora l'avevo
    incontrata  una  volta  soltanto,  ma lei si era messa in testa di
    lanciarmi.  Mi pare che in quel momento un mio quadro aveva  avuto
    un grande successo,  o almeno se ne era parlato nei giornali da un
    soldo,   ci?  che  costituisce  il   tipo   di   immortalit?   del
    Diciannovesimo  secolo.  Di  colpo  mi  trovai faccia a faccia col
    giovane la cui personalit? mi  aveva  agitato  in  un  modo  tanto
    strano.  Eravamo vicini,  quasi ci toccavamo,  i nostri sguardi si
    incontrarono un'altra volta.  Fu un'imprudenza da  parte  mia,  ma
    chiesi a Lady Brandon di presentarmi a lui. Forse, dopo tutto, non
    fu neanche un'imprudenza; era semplicemente inevitabile. Dorian mi
    ha  detto  cos?,  pi?  tardi;  anche  lui  aveva la sensazione che
    eravamo destinati a conoscerci.
    - E Lady  Brandon  come  descrisse  questo  giovane  meraviglioso?
    chiese il suo compagno.  - So che ha l'abitudine di dare un rapido
    "pr?cis" di tutti i suoi invitati.  Mi ricordo che  una  volta  mi
    port?  da  un  vecchio signore truculento e tutto rosso in faccia,
    coperto di nastri e di decorazioni dalla  testa  ai  piedi,  e  mi
    sibil?  nell'orecchio  i dettagli pi? stupefacenti,  in un tragico
    sussurr?o che deve essere stato  sentito  perfettamente  da  tutti
    quelli  che  si  trovavano nella stanza.  Io tagliai la corda.  Le
    persone mi piace scoprirle da me.  Ma Lady Brandon tratta  i  suoi
    ospiti  come  il commissario di un'asta tratta le sue mercanzie: o
    li spiega completamente,  oppure riguardo a loro  ti  dice  tutto,
    eccetto quello che bisognerebbe sapere.
    - Povera Lady Brandon!  Come sei crudele con lei,  Harry!  - disse
    distrattamente Hallward.
    - Mio caro, lei ha provato a fondare un "salon" ed ? riuscita solo
    ad aprire un ristorante. Vorresti che l'ammirassi?  Ma dimmi,  che
    disse del signor Dorian Gray?
    - Oh,  qualcosa come "ragazzo delizioso - la sua povera cara mamma
    ed io assolutamente inseparabili - oh,  s?,  suona il piano oppure
    il violino, Mister Gray?". N? lui n? io potemmo frenare il riso, e
    diventammo subito amici.
    -  Il  riso  non ? un brutto modo per cominciare un'amicizia,  e ?
    sicuramente il miglior modo di finirla - disse  il  giovane  Lord,
    cogliendo un'altra margherita.
    Hallward scosse il capo. - Tu non capisci che cosa sia l'amicizia,
    Harry - mormor?,  - e del resto neppure che cosa sia l'inimicizia.
    Tutti ti piacciono, cio? tutti ti sono indifferenti.
    -  Questo  ?  terribilmente  ingiusto!   -  esclam?  Lord   Henry,
    spingendosi  all'indietro il cappello e guardando in su,  verso le
    nuvolette, simili a gomitoli arruffati di lucida seta bianca,  che
    navigavano  nella  volta  turchese  del  cielo  estivo.  -  S?,  ?
    terribilmente ingiusto da parte tua. Io faccio una gran differenza
    tra una persona e un'altra. Scelgo gli amici per la loro bellezza,
    i conoscenti per il loro buon carattere e i  nemici  per  la  loro
    intelligenza.  Non  ho  un  solo  nemico che sia uno stupido: sono
    tutti uomini che possiedono un certo  potere  intellettuale  e  di
    conseguenza mi apprezzano tutti.  E' una forma di vanit?,  questa?
    S?, credo che in fondo sia una vanit?.
    - Lo credo anch'io, Harry. Per?, in base alla tua classificazione,
    io dovrei essere un semplice conoscente.
    - Caro il mio vecchio Basil, tu sei ben pi? che un conoscente.
    - E molto meno che un amico. Una specie di fratello, non ? vero?
    - Oh, i fratelli!  I fratelli non mi interessano.  Il mio fratello
    maggiore  non vuole morire e quelli minori sembra che non facciano
    altro.
    - Harry! - esclam? Hallward, facendosi scuro in volto.
    - Caro amico,  non parlo completamente sul serio;  per? non  posso
    fare  a  meno  di detestare i miei parenti.  Penso che dipenda dal
    fatto che nessuno di noi riesce a sopportare che gli altri abbiano
    gli stessi nostri difetti.  Capisco perfettamente la rabbia  della
    democrazia  inglese contro quelli che chiamano i vizi delle classi
    elevate.  Le masse  pensano  che  l'ubriachezza,  la  stupidit?  e
    l'immoralit?  debbano  essere  una  loro propriet? esclusiva e che
    quando uno di noi fa una sciocchezza ? come se  andasse  a  caccia
    nella loro riserva. Quando il povero Southwark comparve davanti al
    Tribunale  dei  Divorzi la loro indignazione fu davvero magnifica:
    eppure credo che neppure  il  dieci  per  cento  del  proletariato
    conduca una vita decente.
    -  Non  sono d'accordo con una sola delle parole che hai detto,  e
    ci? che ? peggio, Harry, sono sicuro che non sei d'accordo neppure
    tu.
    Lord Henry si accarezz? l'aguzza barbetta  bruna  e  si  batt?  la
    punta  delle  scarpe  di  coppale  con un bastone da cui pendevano
    delle palline d'ebano.  - Come sei Inglese,  Basil!  E' la seconda
    volta che fai quest'osservazione. Quando si espone un'idea davanti
    a un vero Inglese,  cosa che ? sempre imprudente, l'Inglese non si
    sogna mai di considerare se l'idea ? giusta o sbagliata.  La  sola
    cosa  alla  quale attribuisce importanza ? se colui che la formula
    ci crede lui stesso.  Ma il  valore  di  un'idea  ?  assolutamente
    indipendente  dalla  sincerit?  dell'uomo  che  la espone;  anzi ?
    probabile che quanto meno l'uomo ? sincero, tanto pi? intelligente
    sia l'idea,  perch? in quel caso non prende il colore n? delle sue
    aspirazioni,  n? dei suoi desideri, n? dei suoi pregiudizi. Ma non
    ho intenzione di discutere con te di politica,  di sociologia o di
    metafisica.  Le  persone  mi  piacciono  pi?  dei principii,  e le
    persone che non hanno principii  mi  piacciono  pi?  di  qualunque
    altra  cosa  al mondo.  Parlami ancora del signor Dorian Gray.  Lo
    vedi spesso?
    - Tutti i giorni. Non mi sentirei felice se non lo vedessi tutti i
    giorni. Mi ? assolutamente necessario.
    - E' straordinario!  Credevo che tu non ti saresti mai interessato
    a niente eccetto che alla tua arte.
    -  Lui  ora  ?  per  me  tutta  la  mia arte - disse gravemente il
    pittore.  - A volte penso che nella storia del mondo ci sono  solo
    due eventi che hanno una qualche importanza.  Uno ? la comparsa di
    un nuovo mezzo a disposizione dell'arte;  l'altro ? la comparsa di
    una personalit? nuova,  sempre ai fini dell'arte. Quello che per i
    Veneziani fu l'invenzione  della  pittura  a  olio,  il  volto  di
    Antinoo  fu  per la tarda scultura greca e il volto di Dorian Gray
    sar? un giorno o l'altro per me. Non ? solo perch? lo dipingo,  lo
    disegno,  lo schizzo.  Naturalmente ho fatto tutte queste cose; ma
    per me egli ? molto pi? che un  modello.  Non  ti  dir?  che  sono
    insoddisfatto  di  quello  che  ho  fatto  di  lui,  n? che la sua
    bellezza ? tale che l'arte non pu? esprimerla.  Non esiste nessuna
    cosa  che l'arte non possa esprimere;  e so bene che quello che ho
    fatto dopo aver conosciuto Dorian Gray ? buono, ? quanto di meglio
    abbia fatto in vita mia. Ma, in un modo curioso, - mi chiedo se mi
    capirai - la sua personalit? mi ha suggerito un modo completamente
    nuovo nell'arte,  uno stile completamente  nuovo;  vedo  le  cose,
    penso le cose in modo diverso;  posso oggi ricreare la vita in una
    maniera che prima non conoscevo.  "Sogno di  forma  in  giorni  di
    pensiero"  -  chi  ? che ha detto cosi?  Non ricordo;  ma questo ?
    quello che Dorian Gray  ?  stato  per  me.  La  semplice  presenza
    visibile  di  quel  ragazzo,  dato  che  a me pare poco pi? che un
    ragazzo, bench? in realt? abbia pi? di vent'anni,  la semplice sua
    presenza  visibile- ah,  mi chiedo se puoi renderti conto di tutto
    quello che significa?  Egli traccia  per  me,  inconsciamente,  le
    linee di una nuova scuola,  una scuola che dovr? avere in s? tutta
    la passione dello spirito romantico e tutta  la  perfezione  dello
    spirito ellenico. L'armonia del corpo e dell'anima - quale immenso
    valore  ? in essa!  Noi nella nostra stupidit? abbiamo separato le
    due cose e abbiamo inventato  un  realismo  che  ?  volgare  e  un
    idealismo  che ? vuoto.  Se tu sapessi,  Harry,  che cosa ? per me
    Dorian Gray!  Ti ricordi di quel mio paesaggio per il quale  Agnew
    mi offr? un prezzo cos? enorme,  ma dal quale non volli separarmi?
    E' una delle cose migliori che io abbia fatto;  e  perch??  Perch?
    Dorian  Gray era seduto vicino a me mentre lo dipingevo.  Da lui a
    me passava un qualche influsso sottile e per  la  prima  volta  in
    vita mia vedevo in quel semplice paesaggio boscoso il miracolo che
    avevo sempre cercato, senza mai riuscire a trovarlo.
    - Basil, ? straordinario! Bisogna che io veda Dorian Gray.
    Hallward si alz? e passeggi? su e gi? per il giardino. Dopo un po'
    torn?  indietro.  -  Harry  -  disse,  -  Dorian  Gray  per  me  ?
    semplicemente un motivo d'arte. Tu forse non vedrai niente in lui:
    io in lui vedo tutto.  Non ? mai tanto presente  nella  mia  opera
    come quando di lui non c'? nessun'immagine.  E', come ti ho detto,
    un suggerimento di una maniera nuova: lo ritrovo  nella  curva  di
    certe  linee,  nella grazia e nella finezza di certi colori.  Ecco
    tutto.
    - Allora perch? non vuoi esporre il suo ritratto?  - domand?  Lord
    Henry.
    -  Perch?,  senza  averne  l'intenzione,  ci ho messo in una certa
    misura l'espressione di tutta questa  strana  idolatria  artistica
    della quale,  naturalmente,  non ho mai voluto parlare a lui.  Lui
    non ne sa niente e non ne sapr? mai niente.  Ma la gente  potrebbe
    indovinarlo;  e  io non voglio mettere a nudo la mia anima davanti
    alla superficiale curiosit? dei  suoi  occhi.  Il  mio  cuore  non
    finir?  mai sotto il microscopio.  C'? troppo di me stesso in quel
    quadro, Harry; troppo di me stesso!
    - I poeti non hanno tanti scrupoli;  sanno quanto la passione  sia
    utile  alla  pubblicit?.  Al  giorno d'oggi un cuore spezzato tira
    parecchie edizioni.
    - Per questo li odio -  grid?  Hallward.  -  Un  artista  dovrebbe
    creare delle cose belle, ma senza mettervi niente della sua anima.
    Viviamo  in  un tempo in cui la gente tratta l'arte come se questa
    dovesse costituire una forma di autobiografia.  Abbiamo  perso  il
    senso  astratto  della  bellezza.  Voglio  mostrare  al mondo,  un
    giorno,  che cosa sia quel senso;  e ? per questo che il mondo non
    vedr? mai il mio ritratto di Dorian Gray.
    - Penso che tu abbia torto, Basil; ma non voglio discutere con te.
    Discutono  soltanto quelli che sono intellettualmente perduti.  Ma
    dimmi: Dorian Gray ti vuole molto bene?
    Il pittore riflett? un momento.  - Gli piaccio - rispose dopo  una
    pausa;  -  so  che  gli piaccio.  Naturalmente lo adulo in un modo
    spaventoso;  sento uno strano piacere nel dirgli certe  cose,  pur
    sapendo  che  mi  pentir? di avergliele dette.  Con me di solito ?
    delizioso e ce ne stiamo seduti nello studio a  parlare  di  mille
    cose;  a  volte  per? non ha nessun riguardo e sembra divertirsi a
    farmi dispiacere. Allora, Harry,  ho la sensazione di aver dato la
    mia  anima  a  qualcuno  che  la  tratta come se fosse un fiore da
    mettere all'occhiello,  una decorazione che lusinga la sua vanit?,
    un ornamento per una giornata d'estate.
    - Le giornate d'estate sono alquanto lunghe,  Basil - mormor? Lord
    Henry.  - Forse sarai tu il primo che si  stancher?.  E'  doloroso
    pensarlo,  ma  non  c'? dubbio che il genio dura pi? a lungo della
    bellezza;  e questo spiega il fatto che tutti noi  facciamo  tanti
    sforzi  per  istruirci  all'eccesso.  Nella  lotta  selvaggia  per
    l'esistenza, vogliamo avere qualche cosa che duri e cos? riempiamo
    la nostra mente di ciarpami e di fatti,  nella stupida speranza di
    riuscire  a  conservare  il nostro posto.  L'uomo perfettamente al
    corrente ? una  cosa  spaventosa;  assomiglia  a  una  bottega  di
    rigattiere,  piena  di  mostri  e  di polvere,  dove a ogni cosa ?
    attribuito un prezzo superiore al suo valore. Per? credo che sarai
    tu il primo che si stancher?.  Un giorno nel guardare il tuo amico
    ti  sembrer?  che  sia  un po' mal disegnato,  o non ti piacer? la
    tonalit? del suo colore o un'altra cosa  qualsiasi.  In  cuor  tuo
    gliene  farai  aspri  rimproveri  e  penserai  seriamente che si ?
    comportato molto male con te.  Quando verr? a  trovarti  la  volta
    dopo,  sarai  assolutamente  freddo e indifferente: e sar? un gran
    peccato, perch? questo ti cambier?. Quello che mi hai raccontato ?
    un  vero  romanzo,  un  romanzo  d'arte,   si  potrebbe  dire;   e
    l'inconveniente di avere un romanzo di qualsiasi tipo consiste nel
    fatto che dopo si rimane cos? poco romantici.
    - Harry,  non dir cos?.  La personalit? di Dorian Gray mi dominer?
    finch? vivo.  Tu non puoi sentire quello che sento io;  sei troppo
    volubile.
    - Ah,  mio caro Basil,  proprio per questo posso sentirlo.  Quelli
    che sono fedeli conoscono soltanto il  lato  triviale  dell'amore;
    sono  gli  infedeli quelli che ne conoscono le tragedie.  - E Lord
    Henry accese un fiammifero sfregandolo contro un piccolo  astuccio
    d'argento   e  cominci?  a  fumare  una  sigaretta,   con  un'aria
    presuntuosa e soddisfatta,  come  se  avesse  riassunto  il  mondo
    intero  in una frase.  Nelle verdi foglie laccate dell'edera c'era
    un frusc?o di passeri cinguettanti e sull'erba  le  ombre  azzurre
    delle nuvole si rincorrevano come rondini.  Com'era piacevole quel
    giardino! e come erano deliziose le emozioni degli altri!  Ben pi?
    deliziose, a suo parere, delle idee degli altri! La sua anima e le
    passioni dei suoi amici, ecco le cose affascinanti nella vita. Con
    un  silenzioso  divertimento si raffigur? la colazione noiosa alla
    quale era mancato per essersi trattenuto tanto a lungo  con  Basil
    Hallward.  Se  fosse andato da sua zia vi avrebbe incontrato senza
    dubbio Lady  Hoodbody  e  la  conversazione  si  sarebbe  aggirata
    sull'alimentazione  dei  poveri e sulla necessit? di case popolari
    modello.  Ogni classe avrebbe  predicato  l'importanza  di  quelle
    virt?  delle quali la sua vita non rendeva necessario l'esercizio;
    i ricchi avrebbero parlato del valore del  risparmio,  gli  oziosi
    avrebbero  fatto sfoggio di eloquenza circa la dignit? del lavoro.
    Aver evitato tutto questo era una  delizia.  Pensando  a  sua  zia
    sembr? che un'idea lo colpisse.  Si gir? verso Hallward e disse: -
    Mio caro, ora mi ricordo.
    - Ti ricordi che cosa, Harry?
    - Dove ho sentito il nome di Dorian Gray.
    -  Dove?   -   chiese   Hallward,   aggrottando   leggermente   le
    sopracciglia.
    -  Non  fare quella faccia arrabbiata,  Basil.  A casa di mia zia,
    Lady  Agatha.   Mi  disse  che  aveva   scoperto   un   giovanotto
    meraviglioso,  che doveva aiutarla nell'East End,  che si chiamava
    Dorian Gray.  Debbo dichiarare che non mi disse mai che  era  cos?
    bello. Le donne non apprezzano la bellezza, almeno le donne buone.
    Mi  disse che era molto serio e che aveva un carattere eccellente.
    Immaginai  subito  un  tipo   occhialuto,   coi   capelli   rossi,
    orrendamente  lentigginoso,  con  di  un paio di piedi enormi.  Mi
    dispiace di non aver saputo che si trattava del tuo amico.
    - Io ne sono contentissimo, Harry.
    - E perch??
    - Non voglio che tu lo conosca.
    - Non vuoi che lo conosca?
    - No.
    - Il signor Dorian Gray  ?  nello  studio  -  disse  il  servitore
    uscendo nel giardino.
    - Ora mi dovrai presentare - grid? con una risata Lord Henry.
    Il  pittore  si  gir?  verso  il  domestico  che  stava,   un  po'
    abbagliato,  nel chiarore del sole.  - Pregate il signor  Gray  di
    aspettare, Parker; verr? dentro tra un minuto.
    Il servitore si inchin? e cominci? a risalire il vialetto.
    Egli  allora  fiss?  Lord  Henry.  - Dorian Gray ? il mio pi? caro
    amico - disse.  - E' una natura semplice e bella;  tua  zia  aveva
    perfettamente  ragione in quel che disse di lui.  Non lo guastare.
    Non provarti a influenzarlo.  La tua sarebbe un'influenza cattiva.
    Il  mondo  ?  grande  e contiene molte creature meravigliose.  Non
    allontanare da me l'unica persona che d? alla mia  arte  tutto  il
    fascino  che  questa  possiede.  La mia vita di artista dipende da
    lui.  Bada,  Harry: mi fido di te.  - Parlava molto  lentamente  e
    pareva che le parole gli uscissero di bocca quasi suo malgrado.
    -  Quante  sciocchezze  stai  dicendo!  -  disse Lord Henry con un
    sorriso e,  prendendo Hallward a braccetto,  quasi  lo  spinse  in
    casa.









    Capitolo secondo.

    Appena entrati videro Dorian Gray seduto al pianoforte, che girava
    loro  le  spalle  e  sfogliava le pagine di un volume delle "Scene
    della Foresta" di Schumann.  -  Devi  prestarmi  queste,  Basil  -
    grid?. - Voglio impararle; sono proprio deliziose.
    - Dipende soltanto dal modo in cui poserai oggi, Dorian.
    - Oh, sono stufo di posare e non voglio un ritratto di me stesso a
    grandezza  naturale - rispose il ragazzo girandosi sullo sgabello,
    con un fare testardo e petulante. Quando vide Lord Henry, un lieve
    rossore gli imporpor? per un momento le guance. Balz? in piedi.  -
    Scusami, Basil, non sapevo che ci fosse qualcuno con te.
    - Dorian,  questo ? Lord Henry Wotton, mio vecchio amico dei tempi
    di Oxford.  Stavo appunto dicendogli come sei bravo a posare e ora
    tu hai guastato tutto.
    -  Non  per?  il mio piacere di fare la vostra conoscenza,  signor
    Gray - disse Lord Henry, venendo avanti colla mano tesa. - Mia zia
    mi ha parlato spesso di voi.  Siete uno dei suoi favoriti e anche,
    temo, una delle sue vittime.
    -  Attualmente  sto sul libro nero di Lady Agatha - rispose Dorian
    con un'aria di comica contrizione.  - Avevo promesso di andare con
    lei  marted?  scorso  in  un  club  di Whitechapel e mi dimenticai
    completamente.  Dovevamo suonare un duetto insieme -  tre  duetti,
    credo.  Non  so  che  cosa  mi dir?;  ho troppa paura per andare a
    trovarla.
    - Oh,  vi far? far pace con mia zia.  Vi vuole tanto bene!  E  non
    credo  che importi gran che se non siete andato.  Probabilmente il
    pubblico avr? creduto che fosse un duetto.  Quando zia Agatha  sta
    al pianoforte fa un tale fracasso che basta ampiamente per due.
    -  Questo  ?  molto  duro nei suoi riguardi e non molto carino nei
    miei - rispose Dorian, ridendo.
    Lord Henry lo guardava.  Certo,  era meravigliosamente bello,  con
    quelle sue labbra scarlatte dalla curva delicata,  quei suoi occhi
    azzurri pieni di freschezza, quei suoi capelli d'oro ondulati. Nel
    suo volto c'era qualcosa che ispirava fiducia a  prima  vista.  Si
    sentiva  che  si  era conservato immune dalle porcherie del mondo.
    Non c'era niente di strano se Basil Hallward lo adorava.
    - Avete troppo fascino per darvi alla  filantropia,  signor  Gray,
    troppo, troppo fascino. - E Lord Henry si lasci? cadere sul divano
    e apr? il portasigarette.
    Il pittore, intento a mescolare i colori e a preparare i pennelli,
    aveva  l'aria  preoccupata;  e  nel sentire l'ultima frase di Lord
    Henry lo guard?, esit? un istante, poi disse: - Harry, oggi vorrei
    finire questo ritratto.  Troveresti molto scortese da parte mia se
    ti chiedessi di andartene?
    Lord Henry sorrise e guard? Dorian Gray. - Debbo andarmene, signor
    Gray? - , chiese.
    - Oh no,  vi prego,  Lord Henry. Mi accorgo che Basil ? in uno dei
    suoi momenti di cattivo umore e quando fa il  muso  non  lo  posso
    soffrire.  E poi voglio che mi diciate perch? non dovrei dedicarmi
    alla filantropia.
    - Questo non so se ve lo dir?.  E' un argomento  cos?  noioso  che
    bisognerebbe  parlare  seriamente.  Ma io non me ne vado di certo,
    ora che mi avete chiesto di  restare.  Sul  serio,  Basil,  ti  d?
    veramente fastidio?  Mi hai detto tante volte che ti piaceva che i
    tuoi modelli potessero conversare con qualcuno.
    Hallward si morse il  labbro.  -  Naturalmente  devi  restare,  se
    Dorian  lo  desidera.  I  capricci di Dorian sono legge per tutti,
    eccetto che per lui stesso.
    Lord Henry prese il cappello e i  guanti.  -  Sei  molto  gentile,
    Basil,  ma  proprio  paura  di  dover  andar  via.  Ho promesso di
    incontrarmi con un tizio all'Orl?ans.  Arrivederci,  signor  Gray.
    Venite un pomeriggio a trovarmi in Curzon Street. Alle cinque sono
    quasi sempre in casa. Scrivetemi prima di venire; mi dispiacerebbe
    mancarvi.
    -  Basil - grid? Dorian Gray - se Lord Henry Wotton se ne va me ne
    vado anch'io.  Tu quando dipingi non apri mai la bocca ed ? troppo
    noioso  stare  su  questa  pedana  e  sforzarsi  di  avere un'aria
    piacevole. Digli di restare; ci tengo.
    - Resta,  Harry,  per far piacere a Dorian e per far piacere a me-
    disse  Hallward,   fissando  intensamente  il  suo  quadro.  -  E'
    perfettamente vero che quando  lavoro  non  parlo  mai  e  nemmeno
    ascolto, e per i miei disgraziati modelli dev'essere terribilmente
    noioso. Ti prego di restare.
    - E il mio uomo dell'Orl?ans?
    Il  pittore  rise.  -  In quanto a quello non credo che ci saranno
    difficolt?.  Torna a sederti,  Harry.  E tu,  Dorian,  sali  sulla
    pedana  e  guarda di non muoverti troppo e di non prestare nessuna
    attenzione a quello che dice Lord Henry.  E' un uomo  che  ha  una
    pessima influenza su tutti i miei amici, tranne me.
    Con  l'aria  di  un giovane martire greco,  una piccola smorfia di
    noia sul volto, Dorian Gray sal? sulla pedana. Si sentiva attirato
    da Lord Henry;  era tanto diverso da Basil che i due formavano  un
    contrasto  delizioso,  e  aveva una voce cos? bella.  Dopo qualche
    minuto gli disse:
    - Lord Henry,  ?  vero  che  avete  una  pessima  influenza,  come
    racconta Basil?
    - La buona influenza non esiste,  signor Gray. Qualunque influenza
    ? immorale; immorale dal punto di vista scientifico.
    - Perch??
    - Perch? influenzare qualcuno significa dargli la  propria  anima.
    Egli non pensa pi? i suoi pensieri naturali,  non brucia pi? delle
    sue passioni naturali;  le sue virt? non sono naturali per lui e i
    suoi  peccati,  se  i  peccati  esistono  veramente,  sono presi a
    prestito.  Diventa l'eco di una musica  altrui,  l'attore  di  una
    parte che non ? stata scritta per lui. Lo sviluppo di noi stessi ?
    lo  scopo  della  vita;  ognuno  di  noi  ?  al mondo per tradurre
    perfettamente in realt? la propria natura.  Al  giorno  d'oggi  la
    gente ha paura di se stessa.  Tutti hanno dimenticato quello che ?
    il pi? alto di tutti i doveri,  il dovere che  abbiamo  verso  noi
    stessi.  Sono caritatevoli, certo; danno da mangiare agli affamati
    e vestono gli ignudi,  ma le loro anime rimangono affamate e nude.
    Il  coraggio  ? scomparso dalla nostra razza;  in realt? forse non
    l'abbiamo mai avuto.  Il terrore della societ? che ? il fondamento
    della  morale e il terrore di Dio che ? il segreto della religione
    sono le due cose che ci governano. Eppure...
    - Gira  un  pochino  la  testa  verso  destra,  Dorian,  da  bravo
    figliuolo - disse il pittore, immerso nel suo lavoro e consapevole
    soltanto  del  fatto  che  sul  volto  del  ragazzo  era  comparsa
    un'espressione che non vi aveva mai vista prima.
    - E pure - continu? Lord Henry,  con la sua sommessa voce musicale
    e  con  quel  grazioso  gesto  della mano che era una sua abituale
    caratteristica e che lo accompagnava fin dai suoi tempi di  scuola
    a Eton,  - credo che se un uomo vivesse pienamente e compiutamente
    la propria vita, dando forma a ogni sentimento, espressione a ogni
    pensiero,  realt? a ogni sogno,  credo che ne deriverebbe al mondo
    un  tale  impulso  fresco  di  gioia da farci dimenticare tutte le
    infermit? del medievalismo e da farci tornare all'ideale  ellenico
    e  magari  a  qualche cosa di pi? bello,  di pi? ricco dell'ideale
    ellenico.  Ma il pi? coraggioso tra noi ha  paura  di  se  stesso.
    Nelle  rinunce  volontarie  che  rovinano  la  nostra  vita rivive
    tragicamente la mutilazione del selvaggio.  Noi siamo  puniti  per
    quello che rifiutiamo a noi stessi;  ogni impulso che ci sforziamo
    di strangolare fermenta nella mente e ci intossica. Il corpo pecca
    una volta sola e cos?  esaurisce  il  proprio  peccato,  dato  che
    l'azione  costituisce  una  forma  di purificazione,  e allora non
    resta che  il  ricordo  di  un  piacere  oppure  il  lusso  di  un
    rimpianto.  Cedere a una tentazione ? l'unico modo di liberarsene.
    Se si resiste,  l'anima si ammala di bramosia delle  cose  che  ha
    vietato  a  se  stessa,  di  desiderio  di  ci?  che  le sue leggi
    mostruose hanno fatto mostruoso e illegale.  Qualcuno ha detto che
    i  grandi avvenimenti del mondo avvengono nel cervello;  ma ? pure
    nel cervello e solo nel cervello che avvengono  i  grandi  peccati
    del  mondo.  Voi,  signor  Gray,  anche  voi,  con tutta la vostra
    giovent? che ? come una rosa rossa e la vostra adolescenza  che  ?
    come   una  rosa  bianca,   avete  avuto  passioni  che  vi  hanno
    terrorizzato,  idee che vi hanno riempito di spavento,  sogni,  di
    giorno e di notte,  che solo a ricordarli vi farebbero salire alle
    guance il rossore della vergogna...
    - Basta! - esclam? Dorian Gray. - Basta!  Voi mi stordite.  Non so
    che cosa dire.  C'? una risposta a quel che state dicendo,  ma non
    riesco a trovarla. Non parlate; lasciatemi pensare, o,  piuttosto,
    lasciatemi provare a non pensare.
    Rest? immobile per una decina di minuti,  con le labbra semiaperte
    e gli occhi stranamente splendenti.  Si rendeva conto confusamente
    che  dentro  di lui agivano influenze completamente nuove,  e pure
    gli sembrava che provenissero in realt? da lui  stesso.  Le  poche
    parole  che  gli  aveva  detto  l'amico  di  Basil,  parole  dette
    indubbiamente a caso e piene di paradossi voluti,  avevano toccato
    qualche  corda segreta che non era mai stata toccata prima,  e che
    egli ora sentiva vibrare e palpitare di una strana pulsazione.
    La musica gli aveva dato un turbamento analogo.  La musica l'aveva
    turbato molte volte;  ma la musica non era articolata,  non creava
    dentro di noi un  mondo  nuovo,  anzi  piuttosto  un  altro  caos.
    Parole!  solo  parole!  ma come erano terribili,  chiare,  vivide,
    crudeli! Ad esse non si poteva sfuggire;  e di quale magia sottile
    erano impregnate!  Pareva che riuscissero a plasmare cose informi,
    che avessero una musica loro  propria,  dolce  come  quella  della
    viola  o  del liuto.  Solo parole!  C'era qualcosa che fosse reale
    quanto le parole?
    S?,  nella sua  adolescenza  c'erano  state  cose  che  non  aveva
    compreso,  ma  che  ora comprendeva.  D'improvviso per lui la vita
    divent? color di fuoco. Gli sembr? di aver camminato in mezzo alle
    fiamme. Come mai non l'aveva saputo?
    Lord Henry lo guardava, col suo sorriso fine. Conosceva il momento
    psicologico preciso nel quale bisognava non dire nulla. Si sentiva
    fortemente interessato. Stupito dell'impressione improvvisa che le
    sue parole avevano prodotto, si ricord? di un libro letto a sedici
    anni,  che gli aveva rivelato  molte  cose  sconosciute  prima  di
    allora  e  si  chiese  se  Dorian  Gray stesse passando attraverso
    un'esperienza analoga.  Aveva semplicemente scagliato una  freccia
    nell'aria: aveva forse colpito il bersaglio?  Com'era affascinante
    quel ragazzo!
    Hallward continuava a dipingere,  con quel suo tocco  mirabilmente
    audace  che  aveva  la vera raffinatezza e la delicatezza perfetta
    che, almeno nell'arte, scaturiscono esclusivamente dalla forza;  e
    non si accorgeva del silenzio.
    - Basil,  sono stanco di stare in piedi - grid? a un tratto Dorian
    Gray. - Bisogna che vada fuori, a sedermi in giardino.  Si soffoca
    qui dentro.
    - Mio caro, ti chiedo scusa. Quando dipingo non riesco a pensare a
    nient'altro.  Tu  per?  non avevi mai posato cos? bene.  Sei stato
    perfettamente immobile e  io  ho  potuto  cogliere  l'effetto  che
    cercavo: le labbra semiaperte e la lucentezza degli occhi.  Non so
    che cosa ti abbia detto Harry,  ma senza dubbio ? riuscito a farti
    avere  la  pi?  meravigliosa delle espressioni.  M'immagino che ti
    avr? fatto dei complimenti.  Non devi credere una sola  parola  di
    quello che dice.
    - Non mi ha fatto proprio nessun complimento, e forse ? per questo
    motivo che non credo a niente di quello che mi ha detto.
    -  Sapete benissimo che credete a tutto quanto - disse Lord Henry,
    guardandolo coi suoi occhi sognanti e languidi.  - Usciamo insieme
    in giardino; in questo studio fa un caldo tremendo. Basil, mandaci
    una  cosa  ghiacciata  da  bere,  qualche  cosa  con delle fragole
    dentro.
    - Certo, Harry. Suona il campanello e quando Parker verr? gli dir?
    quello che desideri.  Voglio finire questo sfondo e vi raggiunger?
    pi?  tardi.  Non  trattenermi Dorian troppo a lungo.  Non sono mai
    stato cos? in forma per dipingere come oggi.  Questo sar?  il  mio
    capolavoro: ? gi? il mio capolavoro cos? com'?.
    Lord Henry usc? fuori in giardino e vi trov? Dorian Gray,  che con
    il viso sprofondato nei  grandi  fiori  freschi  del  glicine,  ne
    beveva avidamente il profumo come si beve un vino. Gli si avvicin?
    e  gli  mise la mano sulla spalla.  - Fate benissimo a fare cos? -
    mormor?. - Non c'? niente che curi l'anima come i sensi, cos? come
    niente pu? curare i sensi, come l'anima.
    Il ragazzo si riscosse e  fece  un  passo  indietro.  Era  a  capo
    scoperto  e le foglie avevano scompigliato i suoi riccioli ribelli
    intricandone  i  fili  d'oro.  Negli  occhi  aveva  un'espressione
    spaurita  come  quella delle persone svegliate di soprassalto.  Le
    sue narici  finemente  disegnate  vibravano  e  un  nervo  segreto
    agitava lo scarlatto delle sue labbra facendole tremare.
    -  S?  -  aggiunse  Lord Henry,  - ? questo uno dei grandi segreti
    della vita: curare l'anima per mezzo dei sensi e i sensi per mezzo
    dell'anima.  Siete un essere meraviglioso.  Sapete pi?  di  quanto
    credete  di sapere,  proprio come sapete meno di quanto desiderate
    di sapere.
    Dorian Gray aggrott? le sopracciglia e gir? la testa  da  un'altra
    parte.  Non poteva difendersi dalla simpatia che gli ispirava quel
    giovane alto  e  aggraziato  che  gli  stava  vicino.  Nella  voce
    sommessa  e  languida  di  lui  c'era  qualcosa  di  assolutamente
    affascinante.
    Persino le mani,  fresche,  bianche,  simili a fiori,  avevano  un
    fascino misterioso;  quando parlava si muovevano come una musica e
    sembravano avere un linguaggio loro proprio.  Per? aveva paura  di
    lui  e si vergognava di aver paura.  Perch? doveva essere stato un
    estraneo a rivelargli se stesso?  Conosceva Basil Hallward da mesi
    ma la loro amicizia non lo aveva minimamente cambiato;  e ora,  di
    colpo,  era comparso nella sua vita qualcuno che sembrava  avergli
    svelato  il  mistero  dell'esistenza.  Ma  di che cosa doveva aver
    paura?  Non era n? uno scolaretto n? una ragazzina;  quella  paura
    era assurda.
    -  Andiamo  a  sederci  all'ombra - disse Lord Henry.  - Parker ha
    portato le bibite e se restate ancora sotto questi riflessi vi  si
    sciuper?  il  colorito.  Non  dovete lasciarvi abbronzare;  non vi
    starebbe bene.
    - E che importa?  - grid? Dorian Gray,  ridendo e sedendosi  sulla
    panchina all'estremit? del giardino.
    - A voi dovrebbe importare moltissimo, signor Gray.
    - Perch??
    -  Perch?  siete  cos?  meravigliosamente  giovane e la giovent? ?
    l'unica cosa che valga la pena di avere.
    - Non ho quest'impressione, Lord Henry.
    - No, ora non l'avete. Un giorno, quando sarete vecchio,  grinzoso
    e brutto,  quando il pensiero vi avr? solcato la fronte con le sue
    linee e la passione vi avr?  bruciato  le  labbra  col  suo  fuoco
    odioso,  avrete quest'impressione,  l'avrete in un modo terribile.
    Adesso,  dovunque andate,  affascinate il mondo;  ma  sar?  sempre
    cos??...  Avete un viso meravigliosamente bello,  signor Gray; non
    aggrottate le sopracciglia,  ? cos?;  e la Bellezza ? una forma di
    genio, anzi, ? pi? alta del genio perch? non richiede spiegazioni.
    E'  uno  dei  grandi  fatti del mondo,  come la luce del sole o la
    primavera o il riflesso in  un'acqua  cupa  di  quella  conchiglia
    d'argento che chiamiamo luna.  Non pu? esser messa in discussione;
    possiede un suo diritto divino di sovranit?;  rende come  principi
    quelli che la possiedono.  Sorridete?  Ah, quando l'avrete perduta
    non sorriderete...  La gente dice a volte che la Bellezza  ?  solo
    superficiale. Pu? darsi, ma almeno non ? cos? superficiale come il
    Pensiero.  Per  me  la  Bellezza ? la meraviglia delle meraviglie.
    Soltanto le persone superficiali non giudicano dalle apparenze. Il
    vero mistero del mondo ?  il  visibile,  non  l'invisibile...  S?,
    signor  Gray,  gli D?i sono stati benevoli con voi,  ma gli D?i si
    riprendono ben presto ci? che hanno donato.  Avete solo pochi anni
    per vivere veramente,  perfettamente, pienamente. Quando finir? la
    vostra giovent? sparir? insieme con essa anche la vostra  bellezza
    e  allora  vi  accorgerete  di  colpo  che per voi non ci sono pi?
    trionfi, oppure che dovete accontentarvi di quei bassi trionfi che
    il  ricordo  del  passato  vi  far?  sembrare  pi?  amari  di  una
    sconfitta.  Ogni  mese  che  passa  vi  avvicina a qualche cosa di
    terribile.  Il tempo ? geloso di voi e  ha  dichiarato  guerra  ai
    vostri gigli e alle vostre rose. Diventerete giallo, con le guance
    incavate,  con  l'occhio  smorto.  Soffrirete orribilmente...  Ah,
    finch? avete la vostra giovinezza fate di  essa  una  realt?.  Non
    sprecate l'oro delle vostre giornate ad ascoltare gente noiosa,  a
    cercare di emendare  insuccessi  senza  speranza,  a  regalare  la
    vostra vita a gente ignorante,  ordinaria, volgare: sono queste le
    aspirazioni morbose,  i falsi ideali  del  nostro  tempo.  Vivete!
    Vivete  la  vita prodigiosa che ? in voi!  Fate che per voi niente
    vada perduto.  Cercate sempre sensazioni nuove,  non abbiate paura
    di  niente...  Un nuovo Edonismo,  ecco quello che serve al nostro
    secolo;  e voi potreste  esserne  il  simbolo  visibile.  Con  una
    personalit?  come  la vostra non c'? niente che non possiate fare;
    per lo spazio di  una  stagione  il  mondo  vi  appartiene...  Nel
    momento in cui vi ho conosciuto mi sono accorto che non avevate la
    minima coscienza di ci? che siete in realt? e di ci? che in realt?
    potete  essere.  C'era  in  voi qualche cosa che mi ha affascinato
    tanto da farmi sentire il dovere di parlarvi  di  voi  stesso.  Ho
    pensato  che  se doveste essere sprecato sarebbe una cosa tragica,
    perch? la vostra giovinezza durer? tanto,  tanto poco.  I fiori di
    campo  pi? comuni appassiscono,  ma tornano a fiorire;  nel giugno
    prossimo il citiso sar? giallo come  ?  adesso;  tra  un  mese  la
    clematide  si  orner?  di  stelle  rosse e un anno dopo l'altro il
    verde scuro delle sue foglie avr? le sue stelle di porpora;  ma  a
    noi  la  giovent?  non  viene data una seconda volta.  Il polso di
    gioia che batte in noi a vent'anni si intorbidisce,  le membra  si
    infiacchiscono,   i   sensi  si  consumano;   degeneriamo  fino  a
    trasformarci in schifosi fantocci,  ossessionati dal ricordo delle
    passioni  delle  quali  avemmo  eccessiva paura e delle tentazioni
    squisite alle quali non avemmo il coraggio di cedere.  Giovinezza!
    giovinezza!  nel  mondo non esiste assolutamente niente,  al di l?
    della giovinezza!
    Dorian Gray,  sbigottito,  ascoltava,  con gli occhi sbarrati.  Il
    ramoscello  di  glicine  gli  cadde  di mano sulla ghiaia.  Arriv?
    un'ape pelosa e vi ronz? intorno per un momento,  poi cominci?  ad
    arrampicarsi  sul  globo  ovale e stellato dei suoi piccoli fiori.
    Egli rest? a guardarla con quello  strano  interessamento  per  le
    cose  meschine  che  tentiamo  di  svegliare  in noi stessi quando
    qualcosa di pi? alto valore ci spaventa,  o ci agita qualche nuova
    emozione  che  non  riusciamo  a  reprimere  o qualche idea che ci
    terrorizza assedia improvvisamente il nostro cervello e ci  intima
    la resa.  Poco dopo l'ape vol? via e lui la vide introdursi dentro
    la tromba maculata di un convolvolo. Il fiore sembr? vibrare,  poi
    oscill? dolcemente di qua e di l?.
    Improvvisamente  comparve  sulla  soglia dello studio il pittore e
    fece loro cenno di rientrare. Si girarono a guardarsi l'un l'altro
    e sorrisero.
    - Sto aspettando - grid?  lui.  -  Venite  dentro.  C'?  una  luce
    proprio perfetta e potete portare le bibite con voi.
    Si alzarono avviandosi insieme per il vialetto. Due farfalle verdi
    e  bianche  svolazzarono  vicino a loro e sul pero nell'angolo del
    giardino una calandra cominci? a cantare.
    - Siete contento di avermi conosciuto,  signor Gray?  - disse Lord
    Henry, guardandolo.
    - S?, ora s?. Chi sa se ne sar? sempre contento?
    - Sempre!  E' una parola tremenda.  Tutte le volte che la sento mi
    fa rabbrividire.  Le donne l'adoperano tanto volentieri;  rovinano
    qualsiasi romanzo a forza di provare a farlo durare in eterno. Per
    di  pi?  ?  una  parola  senza  senso.  L'unica  differenza tra un
    capriccio e una passione che dura tutta la vita ? che il capriccio
    dura pi? a lungo.
    Nell'entrare nello studio Dorian Gray pos? la mano sul braccio  di
    Lord  Henry.  - In tal caso facciamo che la nostra amicizia sia un
    capriccio - bisbigli?, arrossendo della propria audacia;  poi sal?
    sulla pedana e riprese la posa.
    Lord  Henry si sprofond? in una grande poltrona di vimini e rimase
    a guardarlo. L'unico rumore che rompeva il silenzio era quello del
    fruscio e del tocco del pennello sulla tela,  eccetto  che  quando
    Hallward,  ogni  tanto,  faceva  un  passo indietro per guardare a
    distanza la sua opera.  Nei raggi obliqui del sole  che  entravano
    dalla porta aperta ballava il pulviscolo dorato.  Su tutte le cose
    sembrava aleggiare il profumo pesante delle rose.
    Dopo circa un quarto d'ora Hallward smise di dipingere,  guard?  a
    lungo  Dorian Gray e poi il ritratto,  mordendo l'estremit? di uno
    dei suoi enormi pennelli e corrugando  la  fronte.  -  E'  proprio
    finito  -  grid?  finalmente;  e,  chinatosi,  tracci? nell'angolo
    sinistro della tela il suo nome in lettere vermiglie.
    Lord Henry si avvicin? ed esamin? il ritratto.  Era certamente una
    mirabile   opera  d'arte,   e,   al  tempo  stesso,   mirabilmente
    somigliante.
    - Mio caro, ti faccio le mie pi? calorose felicitazioni disse.  E'
    il  pi?  bel  ritratto dell'epoca moderna.  Signor Gray,  venite a
    guardarlo anche voi.
    Il ragazzo si riscosse, come se si fosse svegliato da un sogno. E'
    proprio finito? - mormor?, scendendo dalla pedana.
    - Proprio finito  -  disse  il  pittore.  E  tu  oggi  hai  posato
    splendidamente. Te ne sono infinitamente grato.
    -  E'  tutto  merito  mio  - interruppe Lord Henry,  - non ? vero,
    signor Gray?
    Dorian  non  rispose,  ma  pass?  distrattamente  davanti  al  suo
    ritratto e si volt? a guardarlo.  Nel vederlo si ritrasse indietro
    e  per  un  attimo  le  guance  gli  si  arrossarono  di  piacere.
    Un'espressione  di gioia apparve nei suoi occhi,  come se si fosse
    riconosciuto per la prima volta.  Rest? immobile,  in ammirazione,
    rendendosi vagamente conto che Hallward gli stava parlando,  senza
    afferrare il senso delle sue parole.  La sensazione della  propria
    bellezza fu per lui come una rivelazione.  Non l'aveva mai provata
    prima di quel momento,  i complimenti di Basil Hallward gli  erano
    sembrati  semplicemente le cortesi esagerazioni dell'amicizia;  li
    aveva ascoltati,  ne aveva riso e se ne era  dimenticato,  ma  non
    avevano  avuto nessuna influenza sulla sua natura.  Poi era venuto
    Lord Henry Wotton col suo strano panegirico della giovinezza,  col
    suo  terribile  monito  della brevit? di questa.  L? per l? ne era
    rimasto turbato;  ma ora,  nel contemplare l'ombra  della  propria
    bellezza, gli balen? davanti la piena esattezza della descrizione.
    S?, sarebbe venuto il giorno in cui il suo volto sarebbe diventato
    rugoso  e  avvizzito,  i  suoi  occhi  si  sarebbero fatti vuoti e
    scialbi,  la grazia della sua  figura  sarebbe  stata  infranta  e
    deformata;  dalle  sue labbra sarebbe scomparso lo scarlatto e dai
    suoi capelli il fulgore dell'oro.  La vita doveva  creare  la  sua
    anima,  ma  avrebbe  distrutto  il  suo  corpo.  Sarebbe diventato
    orribile,  schifoso,  goffo.  A questo pensiero un acuto senso  di
    pena penetr? in lui come una lama,  facendo fremere tutte le fibre
    delicate della sua natura.  I suoi occhi  oscurandosi  presero  il
    colore  dell'ametista  e vi pass? sopra una nebbia di lacrime.  Fu
    come se una mano gelida gli si fosse posata sul cuore.
    - Non ti piace? - grid? Hallward, alla fine,  un po' risentito per
    il silenzio del ragazzo di cui non capiva il significato.
    -  Certo  che  gli piace - disse Lord Henry.  - A chi potrebbe non
    piacere?  E' una delle cose pi? grandi dell'arte moderna.  Ti dar?
    qualunque cifra tu chieda. Debbo averlo.
    - Non ? mio, Harry.
    - Di chi ??
    - Di Dorian, naturalmente - rispose il pittore.
    - Pu? considerarsi ben fortunato.
    - Che tristezza!  - mormor? Dorian Gray,  continuando a tenere gli
    occhi fissi sul  suo  ritratto.  -  Che  tristezza!  Io  diventer?
    vecchio,  orribile,  spaventoso, ma questo ritratto rimarr? sempre
    giovane.  Non sar? mai pi? vecchio di quel che non sia  in  questo
    particolare  giorno  di giugno...  Oh,  se fosse il contrario!  se
    fossi io a rimanere sempre giovane e il  ritratto  a  invecchiare!
    Per questo...  per questo darei qualunque cosa; s?, non c'? niente
    al mondo che non sarei disposto  a  dare!  Darei  perfino  la  mia
    anima, per questo!
    - Sarebbe un affare che a te piacerebbe poco, Basil - esclam? Lord
    Henry, ridendo. - Sarebbe piuttosto crudele per la tua opera.
    - Mi opporrei con tutte le forze, Harry - disse Hallward.
    Dorian Gray si gir? a guardarlo.  - Lo credo, Basil. Tu ami la tua
    arte pi? dei tuoi amici.  Per te io non conto  pi?  di  una  verde
    figurina di bronzo; magari meno, direi.
    Il  pittore  lo  guard?  stupefatto.  Questo non era il linguaggio
    abituale di Dorian.  Che cosa era successo?  Sembrava estremamente
    arrabbiato; aveva la faccia rossa e le guance accese.
    -  S? - continu?,  - per te io conto meno del tuo Ermes d'avorio o
    del tuo Fauno d'argento. Quelli ti piaceranno sempre;  ma io,  per
    quanto  ti  piacer??  Probabilmente finch? non avr? la prima ruga.
    Ora lo so, che quando si perde la bellezza, quale che essa sia, si
    perde tutto; il tuo quadro me l'ha insegnato. Lord Henry Wotton ha
    perfettamente ragione;  la giovinezza ? l'unica cosa che valga  la
    pena di avere. Quando mi accorger? di invecchiare mi uccider?.
    Hallward impallid? e lo prese per mano.  - Dorian, Dorian, esclam?
    - non parlare cos?! Non ho mai avuto un amico come te e non l'avr?
    mai.  Non sarai mica geloso di cose materiali,  tu che  sei  tanto
    superiore a qualunque di esse!
    -  Sono  geloso  di tutte le cose la cui bellezza non muore.  Sono
    geloso del ritratto che  mi  hai  fatto.  Perch?  deve  conservare
    quello  che  io dovr? perdere?  A me ogni istante che passa toglie
    qualcosa, ad esso aggiunge qualcosa. Oh se fosse il contrario!  Se
    il ritratto potesse cambiare e io potessi essere sempre quello che
    sono  adesso!  Perch? l'hai dipinto?  Verr? un giorno nel quale mi
    schernir?,  mi schernir? orribilmente!  - Gli salirono agli  occhi
    lacrime   brucianti,   si   sciolse  dalla  mano  dell'artista  e,
    gettandosi sul divano, affond? il viso nei cuscini, come se stesse
    pregando.
    - Questa ? opera tua, Harry - disse il pittore, amaro.
    Lord Henry  scroll?  le  spalle.  -  E'  il  vero  Dorian  Gray  e
    nient'altro.
    - Non ? cos?.
    - Se non ? cos?, che c'entro io?
    - Avresti dovuto andare via quando te l'ho chiesto - borbott?.
    -  Sono  rimasto  quando me l'hai chiesto - fu la risposta di Lord
    Henry.
    - Harry, io non posso litigare con i miei due migliori amici nello
    stesso momento;  ma fra tutti e due mi avete fatto odiare  l'opera
    pi?  bella  che  io  abbia  mai  fatto.  Mi  ? venuta la voglia di
    distruggerla.  Dopo tutto non ? che tela e colori e non permetter?
    che si metta di traverso alle nostre vite e le rovini.
    Dorian  Gray alz? la testa d'oro dal cuscino e lo guard?,  pallido
    in viso e con gli occhi umidi di pianto,  mentre andava  verso  il
    tavolino  sistemato sotto la finestra dalle alte tende.  Che stava
    facendo?  Le sue dita  frugavano  nel  mucchio  di  tubetti  e  di
    pennelli  asciutti,  cercando  qualche cosa.  S?,  si trattava del
    lungo coltello da tavolozza,  con la sua  sottile  lama  d'acciaio
    lucente.  L'aveva  trovato,  finalmente,  e  stava per lacerare la
    tela.
    Con un sospiro soffocato il ragazzo balz? dal divano e, lanciatosi
    su Hallward,  gli strapp? il coltello dalle mani  e  lo  gett?  in
    fondo  allo  studio.   -  No,  Basil,  no!  -  grid?.  Sarebbe  un
    assassinio.
    - Sono contento di vederti finalmente  apprezzare  la  mia  opera,
    Dorian  -  disse freddamente il pittore,  non appena si fu rimesso
    dalla sorpresa. - Non l'avrei mai creduto.
    - Apprezzarla?  Basil,  ne sono innamorato.  E' una  parte  di  me
    stesso, lo sento.
    - Va bene. Appena sarai asciutto, sarai verniciato, incorniciato e
    mandato a casa. Allora potrai fare di te stesso quello che vorrai.
    -  Attravers?  la  stanza  e  suon? per il t?.  - Prenderai il t?,
    naturalmente,  Dorian?  Anche tu,  Harry?  Oppure sei contrario  a
    questi piaceri semplici?
    -  Adoro  i  piaceri semplici - disse Lord Henry.  - Sono l'ultimo
    rifugio che resti alle persone complicate.  Per? non mi  piacciono
    le scene,  eccetto che al teatro. Che gente assurda siete voi due!
    Mi domando chi ? che ha definito l'uomo un animale ragionevole;  ?
    la  definizione  pi?  avventata che sia mai stata fatta.  L'uomo ?
    molte cose,  ma non ? ragionevole.  Dopo tutto,  mi fa piacere che
    sia  cos?;  per?  vorrei  che  voialtri  due  non litigaste per il
    ritratto. Faresti molto meglio a darlo a me, Basil; questo ragazzo
    sciocco in realt? non lo desidera, io s?.
    - Se lo dai a chiunque  altro  e  non  a  me,  Basil,  non  te  lo
    perdoner? mai!  - grid? Dorian Gray. - E non consento a nessuno di
    chiamarmi ragazzo sciocco.
    - Dorian,  sai bene che il ritratto ?  tuo.  Te  l'ho  dato  prima
    ancora che esistesse.
    - E sapete pure che siete stato un po' sciocco, signor Gray, e che
    in realt? non avete niente da obiettare se vi si ricorda che siete
    estremamente giovane.
    - Stamattina, Lord Henry, mi sarei opposto nel modo pi? violento.
    - Ah, stamattina! Ma da allora in poi avete vissuto.
    Bussarono  alla  porta e il servitore entr? portando un vassoio da
    t? ricolmo e lo pos? su un piccolo tavolino giapponese.  Ci fu  un
    rumore  di  tazze e di piattini e il sibilo di un bricco scanalato
    di stile giorgiano.  Un ragazzo port? due piatti  coperti  da  una
    campana di porcellana. Dorian Gray si fece avanti e vers? il t?; i
    due  uomini  si avvicinarono lentamente alla tavola ed esaminarono
    quello che c'era sotto i coperchi.
    - Andiamo a teatro stasera - disse Lord Henry. - Ci sar? di sicuro
    qualcosa in qualche posto. Ho promesso di pranzare al White, ma si
    tratta solo di un vecchio amico e posso  mandargli  un  telegramma
    dicendo  che non mi sento bene oppure che non posso andare a causa
    di un successivo impegno.  Questa mi sembra  una  scusa  piuttosto
    carina; avrebbe tutta la sorpresa della sincerit?.
    - Che noia,  vestirsi da sera - brontol? Hallward. - E poi, quando
    si hanno indosso, sono cos? orribili, quei vestiti.
    - S? - rispose Lord Henry, come se fantasticasse, - il costume del
    Diciannovesimo  secolo  ?  detestabile;   ?   cos?   scuro,   cos?
    deprimente.  Il  peccato  ? l'unico elemento di colore che rimanga
    nella vita moderna.
    - Davanti a Dorian certe cose non dovresti proprio dirle.
    - Davanti a quale Dorian?  Quello che ci  sta  versando  il  t?  o
    quello del ritratto?
    - L'uno e l'altro.
    -  Mi  piacerebbe  andare a teatro con voi,  Lord Henry - disse il
    ragazzo.
    - Allora verrete, e verrai anche tu, Basil, non ? vero?
    - Non posso, veramente. Preferisco di no. Ho un mucchio di cose da
    fare.
    - Allora voi ed io andremo soli, signor Gray.
    - Mi piacerebbe moltissimo.
    Il pittore si morse le labbra e and? verso il quadro, con la tazza
    in mano. - Io rester? col vero Dorian - disse tristemente.
    - E' questo il vero Dorian?  - esclam? l'originale  del  ritratto,
    avvicinandosi a lui. - Sono cos? per davvero?
    - S?, sei proprio cos?.
    - Basil, ? meraviglioso!
    -  Almeno  sei  cos?  nel  tuo  aspetto  esteriore;  ma quello non
    cambier? mai - sospir? il pittore, - e ? gi? qualche cosa.
    - Quanto chiasso si fa  riguardo  alla  fedelt?!  -  esclam?  Lord
    Henry.  -  Eppure  perfino  in  amore  si  tratta di una questione
    esclusivamente fisiologica.  I giovani vorrebbero essere fedeli  e
    non  lo  sono;  i vecchi vorrebbero essere infedeli e non possono:
    ecco tutto ci? che si pu? dire.
    - Non andare a teatro stasera, Dorian - disse Hallward. - Rimani a
    pranzo con me.
    - Non posso, Basil.
    - Perch??
    - Perch? ho promesso a Lord Henry Wotton di andare con lui.
    - Gli piacerai anche di pi? se non mantieni la tua  promessa.  Lui
    non mantiene mai le sue. Ti prego di non andare.
    Dorian Gray rise e scosse il capo.
    - Te ne supplico.
    Il  ragazzo  esit? e volse lo sguardo verso Lord Henry che,  dalla
    tavola da t?, stava guardandoli con un sorriso divertito.
    - Devo andare, Basil - rispose.
    - Benissimo - disse Hallward e and? a posare la tazza sul vassoio.
    - E' un po' tardi e se vi dovete vestire ? meglio che non perdiate
    tempo. Addio, Harry. Addio, Dorian; vieni a trovarmi presto. Vieni
    domani.
    - Certo.
    - Non lo dimenticherai?
    - No, certamente no - grid? Dorian.
    - E... Harry!
    - Che c'?, Basil?
    - Ricordati quello che ti ho chiesto stamattina, quando eravamo in
    giardino.
    - Me ne sono dimenticato.
    - Mi fido di te.
    - Vorrei potermi fidare di me stesso - disse Lord Henry,  ridendo.
    -  Andiamo,  signor  Gray.  Fuori  c'?  la  mia  carrozza  e posso
    accompagnarvi a casa vostra. Addio,  Basil;  ? stato un pomeriggio
    interessantissimo.
    Quando  la  porta  si fu richiusa alle loro spalle,  il pittore si
    lasci? cadere su un divano e un'espressione di sofferenza comparve
    sul suo volto.










    Capitolo terzo.

    Il giorno dopo,  a mezzogiorno e mezzo,  Lord Henry Wotton and?  a
    piedi da Curzon Street all'Albany a trovare suo zio,  Lord Fermor,
    un vecchio scapolo, gioviale anche se un po' rude di modi,  che la
    gente  in  generale  chiamava  egoista  perch? non ricavava da lui
    nessun vantaggio  speciale,  ma  che  la  buona  societ?  chiamava
    generoso perch? dava da mangiare a chi lo divertiva. Suo padre era
    stato Ambasciatore a Madrid,  al tempo in cui Isabella era giovane
    e nessuno pensava ancora a Prim, ma aveva dato le dimissioni dalla
    carriera diplomatica, per testardaggine,  in un momento in cui era
    seccato  perch?  non gli era stata offerta l'ambasciata di Parigi,
    posto al quale pensava di avere pieno diritto di aspirare a  causa
    della sua nascita, della sua indolenza, del buon inglese, dei suoi
    rapporti e della sua sfrenata passione per i piaceri.  Suo figlio,
    che era segretario del padre, si era dimesso insieme col suo Capo,
    cosa che allora venne giudicata una sciocchezza,  e  qualche  mese
    pi?  tardi,  succeduto  al  padre  nel  titolo,  si  era  dedicato
    seriamente allo studio della grande arte aristocratica di non fare
    assolutamente niente.  Possedeva due  grandi  case  in  citt?,  ma
    preferiva  abitare  in  un  appartamentino  perch? comportava meno
    fastidi e mangiava quasi sempre al circolo.  Si  occupava  un  po'
    dell'amministrazione delle sue miniere di carbone nelle Contee del
    Midland,  e  di  questa macchia di attivit? si scusava dicendo che
    uno dei vantaggi di avere del carbone consisteva nel permettere  a
    un  signore  di lusso di bruciare legna nel proprio caminetto.  In
    politica era conservatore,  salvo quando i conservatori  erano  al
    potere,   periodo  durante  il  quale  li  copriva  di  contumelie
    accusandoli di essere una massa di radicali.  Era un eroe  per  il
    suo cameriere,  che lo tiranneggiava,  e il terrore per la maggior
    parte dei  suoi  parenti,  che  lui  tiranneggiava  a  sua  volta.
    Soltanto  l'Inghilterra poteva aver prodotto un tipo come lui,  ed
    egli amava ripetere che il Paese stava andando a  rotoli.  I  suoi
    princ?pi erano fuori dal tempo,  ma ci sarebbe stato molto da dire
    in favore dei suoi pregiudizi.
    Entrando nella sua stanza,  Lord Henry lo  trov?  seduto,  in  una
    rozza  cacciatora,  che fumava un sigaro forte e brontolava contro
    il Times.  - Oh,  Harry - disse il vecchio gentiluomo,  - come mai
    sei  fuori  cos?  presto?  Credevo che voi giovani eleganti non vi
    alzaste che alle due e non foste visibili prima delle cinque.
    - Per puro affetto  di  famiglia,  zio,  te  lo  assicuro.  Voglio
    qualche cosa da te.
    -  Denari,  mi  immagino  - disse Lord Fermor,  facendo una faccia
    acida.  - Va bene;  siediti e raccontami tutto.  I giovani  d'oggi
    immaginano che il denaro sia tutto.
    -  S?  -  disse Lord Henry sistemandosi il fiore all'occhiello - e
    quando diventano vecchi lo sanno. Ma non voglio denaro.  Il denaro
    lo  vogliono  solo quelli che pagano i loro conti e io,  caro zio,
    non pago mai i miei.  Il credito costituisce  il  capitale  di  un
    cadetto  e  permette  di  fare una vita deliziosa.  Per di pi? non
    tratto se non coi fornitori di Dartmoor e  quelli  di  conseguenza
    non mi disturbano mai. Voglio delle informazioni; non informazioni
    utili, naturalmente; informazioni inutili.
    -  Bene,  io  posso  dirti qualunque cosa che si trovi in un Libro
    Azzurro inglese,  Harry,  bench? oggigiorno quei tipi scrivano  un
    sacco di sciocchezze. Quando io ero in diplomazia le cose andavano
    meglio. Ma ora sento dire che li fanno entrare per esami. Che cosa
    ci si pu? aspettare?  Gli esami,  caro mio,  sono una stupidaggine
    dall'inizio alla fine.  Se uno ? un gentiluomo ne sa assolutamente
    abbastanza;  e  se  non  ?  un  gentiluomo tutto quello che sa gli
    nuoce.
    - Il signor Dorian Gray non sta nei Libri  Azzurri,  zio  -  disse
    languidamente Lord Harry.
    -  Il  signor  Dorian  Gray?  e  chi ??  - gli chiese Lord Fermor,
    aggrottando le sopracciglia bianche.
    - Questo ? quello che vorrei sapere, zio; o, per dire meglio,  chi
    ?,  lo so.  E' il nipote dell'ultimo Lord Kelso. Sua madre era una
    Devereux, Lady Margaret Devereux. Vorrei che tu mi parlassi di sua
    madre. Com'era? Chi spos?? Tu, ai tuoi tempi, hai conosciuto tutti
    quanti e potresti aver conosciuto anche lei.  In questo momento il
    signor  Dorian  Gray  mi interessa molto.  L'ho conosciuto proprio
    ora.
    - Il nipote di Kelso! - replic? il vecchio gentiluomo. - Il nipote
    di Kelso!  Ma certo: ho conosciuto intimamente sua madre: credo di
    aver    assistito    al    suo   battesimo.    Era   una   ragazza
    straordinariamente bella,  Margaret Devereux,  e fece imbestialire
    tutti gli uomini scappando con un giovanotto squattrinato, un uomo
    da  niente,  ti  dico: subalterno in un reggimento di fanteria,  o
    qualcosa di simile.  Certo,  mi ricordo tutta la  storia  come  se
    fosse successa ieri.  Quel povero ragazzo fu ucciso in un duello a
    Spa, pochi mesi dopo il matrimonio.  Riguardo a questo circol? una
    brutta  storia.  Dissero  che  Kelso aveva trovato un cialtrone di
    avventuriero, un bruto belga qualsiasi,  che insultasse suo genero
    in pubblico,  pagandolo per farlo, ti dico, pagandolo; e quel tipo
    lo infilz? come un piccione.  La storia venne soffocata,  ma,  per
    Bacco,  per  un  pezzo  Kelso al circolo dovette fare colazione da
    solo. Riport? indietro sua figlia,  mi dissero,  ma questa non gli
    rivolse pi? la parola.  Oh s?,  un brutto affare.  Anche lei mor?:
    mor? quello stesso anno.  E allora ha lasciato un figlio,  ? vero?
    Questo me l'ero dimenticato.  Che tipo di ragazzo ?? Se assomiglia
    alla madre deve essere un bel figliuolo.
    - Bellissimo - disse Lord Henry.
    - Speriamo che finisca  in  buone  mani  -  continu?  il  vecchio.
    Dovrebbe avere un sacco di soldi se Kelso ha fatto le cose giuste.
    Anche sua madre era ricca; tutta la propriet? di Selby tocc? a lei
    attraverso  suo nonno.  Suo nonno odiava Kelso,  lo considerava un
    cane rognoso, com'era, del resto.  Venne una volta a Madrid quando
    c'ero io.  Per Bacco,  mi vergognai di lui.  La Regina mi chiedeva
    sempre di quel nobile inglese che litigava  con  i  vetturini  sul
    prezzo della corsa. Ne avevano fatto tutta una storia. Per un mese
    non  ebbi  il  coraggio  di farmi vedere a Corte.  Spero che abbia
    trattato suo nipote meglio di come trattava i vetturini.
    - Non so - disse Lord Henry.  - M'immagino che quel  ragazzo  sar?
    ricco;  ancora non ? maggiorenne.  So che Selby gli appartiene, me
    l'ha detto. E... sua madre era molto bella?
    - Margaret Devereux era una delle pi? belle creature che io  abbia
    mai visto. Che cosa possa averla indotta a fare quello che fece io
    non l'ho mai potuto capire. Avrebbe potuto sposare chiunque avesse
    voluto.  Carlington era pazzo per lei;  ma lei era romantica, come
    tutte le donne di quella famiglia.  Gli uomini non  valevano  gran
    che,  ma,  per Bacco,  le donne erano meravigliose.  Carlington si
    mise in ginocchio davanti a lei;  me l'ha raccontato  lui  stesso.
    Gli rise in faccia,  e pure non c'era ragazza a Londra che non gli
    corresse  dietro.  A  proposito,  Harry,   parlando  di  matrimoni
    stupidi, cos'? questo pasticcio che mi ha raccontato tuo padre, di
    Dartmoor  che  vuole sposare un'americana?  Le ragazze inglesi non
    sono abbastanza buone per lui?
    - In questo momento, zio, sposare le americane ? molto di moda.
    - Io sosterr? sempre le ragazze inglesi, di fronte al mondo intero
    - disse Lord Fermor, picchiando il pugno sulla tavola.
    - Le scommesse sono in favore delle americane.
    - Durano poco, a quanto mi dicono - brontol? suo zio.
    - Un fidanzamento lungo le esaurisce,  ma nelle corse ad  ostacoli
    sono  straordinarie.  Prendono  le cose a volo.  Non credo che per
    Dartmoor ci sia nessuna probabilit? di salvezza.
    - Che famiglia ? la sua?  - grugn? il  vecchio  gentiluomo.  -  Ce
    l'ha, una famiglia?
    Lord Henry scosse il capo.  Disse,  alzandosi per andarsene: - Nel
    nascondere i loro genitori le ragazze americane  hanno  la  stessa
    abilit? che hanno quelle inglesi nel nascondere il loro passato.
    - Saranno fabbricanti di salsicce, penso.
    - Lo spero,  zio,  nell'interesse di Dartmoor. Mi dicono che, dopo
    la politica,  la fabbricazione delle salsicce in  America  sia  la
    professione pi? redditizia.
    - E' graziosa?
    -  Si  comporta  come  se  fosse  bella.  La  maggior  parte delle
    americane fa cos?: ? il segreto del loro fascino.
    - Perch? queste americane non se ne  stanno  nel  loro  paese?  Ci
    raccontano sempre che ? il paradiso delle donne.
    -  S?,  e ? questa la ragione per la quale,  come Eva,  sono tanto
    impazienti di uscirne - disse Lord Henry.  -  Addio,  zio;  se  mi
    trattengo  ancora  sar?  in  ritardo per la colazione.  Grazie per
    avermi dato le informazioni che desideravo. Mi piace sempre sapere
    tutto sul conto dei miei nuovi amici e niente sul conto di  quelli
    vecchi.
    - Dove fai colazione, Harry?
    - Dalla zia Agatha.  Mi sono invitato insieme col signor Gray.  E'
    il suo ultimo "prot?g?".
    - Hum!  Harry,  d? a tua zia di non seccarmi pi? coi suoi  appelli
    caritatevoli;  ne  sono  stufo.  Si direbbe che quella buona donna
    creda che io non abbia altro da fare che riempire assegni  per  le
    sue sciocche ubbie.
    -  Va  bene,  zio,  glielo  dir?,  ma  senza  risultato.  La gente
    filantropica perde ogni senso di umanit?: ? la caratteristica  che
    li distingue.
    Il  vecchio  gentiluomo emise un brontolio di approvazione e suon?
    per chiamare il servitore.  Attraverso l'arcata,  Lord Henry pass?
    in Burlington Street e si avvi? verso Berkeley Square.  Questa era
    dunque la storia dei genitori di Dorian Gray.  Anche  nella  forma
    cruda  nella  quale  gli era stata raccontata,  lo aveva commosso,
    perch? lasciava intravedere uno strano romanzo quasi moderno.  Una
    bella  donna  che  rischia  tutto per una passione furiosa;  poche
    settimane ardenti di felicit? troncate da un  delitto  ripugnante,
    proditorio;  mesi  di strazio silenzioso e finalmente una creatura
    nata nel dolore;  la madre trascinata via dalla morte,  il bambino
    abbandonato  alla  solitudine e alla tirannia di un uomo vecchio e
    senza cuore. S?,  lo sfondo era interessante: dislocava,  per cos?
    dire,  quel giovane, lo rendeva pi? perfetto. Dietro tutte le cose
    squisite che esistono c'?  qualcosa  di  tragico:  il  mondo  deve
    essere  in  travaglio,  perch?  possa  sbocciare  il pi? umile dei
    fiori... Come era stato delizioso la sera prima, a pranzo,  seduto
    davanti  a  lui  al circolo,  con gli occhi spalancati e le labbra
    semiaperte,  con un piacere misto di spavento,  mentre i  paralumi
    rossi macchiavano di un rosa pi? intenso la vivente meraviglia del
    suo  volto!  Parlare con lui era come suonare un violino perfetto;
    rispondeva a ogni tocco,  a ogni fremito  dell'arco...  Quando  si
    esercita  un'influenza  si  prova  qualche  cosa  di terribilmente
    inebriante; non esiste altra attivit? come quella. Mettere l'anima
    di una persona dentro una forma graziosa  e  lasciarvela  riposare
    per  un  momento;   sentire  riecheggiare  le  proprie  concezioni
    intellettuali,  con l'aggiunta di tutta la musica della passione e
    della  giovinezza;  trasferire in un altro il proprio temperamento
    come se fosse un fluido sottile o  un  profumo  strano,  in  tutto
    questo c'? una vera gioia, forse la gioia pi? soddisfacente che ci
    sia  rimasta  in  un  tempo limitato e volgare come il nostro,  un
    tempo  grossolanamente  carnale  nei  piaceri  e   grossolanamente
    volgare  nelle  aspirazioni...  Ed era un tipo meraviglioso,  quel
    ragazzo,  che  una  coincidenza  tanto  curiosa  gli  aveva  fatto
    incontrare  nello studio di Basil;  o almeno di lui si poteva fare
    un tipo  meraviglioso.  Aveva  la  grazia  e  la  candida  purezza
    dell'adolescenza  e  una  bellezza  uguale  a  quella che ci hanno
    tramandato i marmi greci.  Che peccato  che  una  simile  bellezza
    fosse  destinata  a  svanire!...  E  Basil,  dal  punto  di  vista
    psicologico, com'era interessante! La sua nuova maniera artistica,
    il suo nuovo modo di guardare la vita,  che gli era suggerito cos?
    stranamente  dalla  semplice  presenza  visibile di uno che non ne
    aveva neppure lontanamente coscienza;  lo spirito  silenzioso  che
    vive  nell'oscurit?  dei  boschi  e vagava invisibile per l'aperta
    campagna e che improvvisamente, come una Driade, ma non impaurita,
    si manifestava perch? nell'anima di colui che ne andava in giro si
    era risvegliata quella prodigiosa visione alla quale  soltanto  si
    rivelano  le  cose prodigiose;  le linee e le forme delle cose che
    diventano,  per cos? dire,  affinate e acquistano  una  specie  di
    valore  simbolico,  come se esse stesse fossero modelli di qualche
    altra e pi? perfetta forma,  della quale mutano l'ombra in realt?:
    come  era  strano  tutto  questo!  Gli  torn? in mente qualcosa di
    analogo nella storia.  Non era stato  Platone,  quell'artista  del
    pensiero,  ad analizzarlo per primo? Non era stato il Buonarroti a
    scolpirlo nel marmo colorato di una quartina di  sonetto?  Ma  nel
    nostro secolo era una cosa strana...  S?,  egli avrebbe cercato di
    essere per Dorian Gray quello che il ragazzo,  senza saperlo,  era
    stato  per  il  pittore  che aveva dipinto quel mirabile ritratto;
    avrebbe cercato di dominarlo anzi,  a dire il    vero,  c'era  gi?
    riuscito  a  met?.   Si  sarebbe  impadronito  di  quello  spirito
    meraviglioso.  C'era  qualcosa  di  affascinante  in  quel  figlio
    dell'amore e della Morte.
    Di  colpo  si ferm? e alz? gli occhi verso le case.  Si accorse di
    aver oltrepassato un  po'  quella  della  zia  e  torn?  indietro,
    sorridendo  a se stesso.  Quando entr? nel vestibolo semibuio,  il
    maggiordomo gli  disse  che  tutti  erano  gi?  a  tavola.  Affid?
    cappello e bastone a uno dei servitori e pass? in sala da pranzo.
    - In ritardo,  come al solito, Harry - gli grid? sua zia, scotendo
    la testa.
    Invent? una scusa qualunque e,  sedutosi al posto vuoto accanto  a
    lei,   diede   un'occhiata   in   giro   per   vedere  chi  c'era.
    Dall'estremit? della tavola,  Dorian Gray lo  salut?  timidamente,
    mentre  le guance gli s'imporporavano di piacere.  Di fronte a lui
    c'era la Duchessa di Harley,  signora di buon carattere e di  buon
    umore,  simpatica a tutti quanti la conoscevano,  dotata di quelle
    ampie proporzioni architettoniche che gli  storici  contemporanei,
    quando  parlano  di  donne che non sono duchesse,  indicano con la
    parola pinguedine.  Vicino a lei,  a  destra,  sedeva  Sir  Thomas
    Burdon,  deputato radicale che nella vita pubblica seguiva il capo
    del suo partito e nella vita privata i migliori  cuochi,  pranzava
    coi  conservatori  e  pensava  coi  liberali,  in conformit? a una
    regola saggia e ben conosciuta.  Il posto a sinistra era  occupato
    dal signor Erskine di Treadley, vecchio signore simpatico e colto,
    che per? aveva preso la brutta abitudine del silenzio perch?, come
    spieg? una volta a Lady Agatha, aveva detto tutto quello che aveva
    da dire prima di aver raggiunto la trentina.  Accanto a lui sedeva
    la signora Vandeleur,  una delle pi? vecchie amiche  di  sua  zia,
    vera  santa  fra  le  donne,  ma cos? terribilmente infagottata da
    sembrare un libro di preghiere  mal  rilegato.  Per  sua  fortuna,
    dall'altro  lato di lei sedeva Lord Faudel,  una intelligentissima
    mediocrit? quarantenne,  calvo come una dichiarazione ministeriale
    alla  Camera  dei  Comuni;  e  lei conversava con lui in quel modo
    intensamente serio che, com'egli stesso aveva osservato una volta,
    ? l'unico errore imperdonabile nel quale cadono tutte  le  persone
    davvero  buone  e  che  nessuna  di  loro  riesce  mai  a  evitare
    interamente.
    - Stiamo parlando del povero  Dartmoor,  Lord  Henry  -  grid?  la
    duchessa,  facendogli  un  cenno  gentile  del  capo attraverso la
    tavola. - Credi che sposer? veramente quella ragazza?
    - Credo che lei sia decisa a chiedergli la sua mano, duchessa.
    - Terribile!  - esclam? Lady Agatha.  - Davvero qualcuno  dovrebbe
    intervenire.
    -  Mi  ?  stato  detto  da  ottima fonte che il padre di lei ha un
    negozio di novit? americane - disse Sir Thomas Burdon, con un'aria
    di superiorit?.
    - Novit? americane! e che cosa sono le novit? americane? chiese la
    duchessa,  alzando le grosse mani al cielo in un gesto di sorpresa
    e accentuando il verbo.
    - Romanzi americani - rispose Lord Henry, servendosi una quaglia.
    La duchessa rest? alquanto imbarazzata.
    -  Non  gli badare,  cara - sussurr? Lady Agatha.  - Non pensa mai
    quello che dice.
    - Quando fu scoperta l'America - disse  il  deputato  radicale,  e
    cominci? a citare dei fatti noiosi. Come tutti quelli che vogliono
    esaurire  un  argomento non riusc? che a esaurire gli ascoltatori.
    La duchessa sospir? ed esercit? il suo privilegio di interrompere.
    - Dio volesse che non fosse stata mai scoperta!- esclam?.  -  Oggi
    alle  nostre  ragazze  non  resta  nessuna possibilit?.  E' troppo
    ingiusto.
    - Forse, dopo tutto, l'America non ? stata mai scoperta - disse il
    signor Erskine.  - Io direi che ? stata scoperta come si scopre un
    delitto.
    - Oh, ma io ho visto qualche esemplare delle abitanti - rispose la
    duchessa,  vagamente.  -  Devo  confessare che la maggior parte di
    loro sono estremamente carine e si vestono bene,  anche.  Si fanno
    fare  tutti i vestiti a Parigi.  Vorrei potermi permettere di fare
    lo stesso.
    - Dicono che gli Americani buoni, quando muoiono,  vanno a Parigi-
    sogghign?   Sir  Thomas,   che  possedeva  un  grande  armadio  di
    spiritosaggini usate.
    - Davvero!  e dove vanno gli Americani  cattivi,  quando  muoiono?
    chiese la duchessa.
    - In America - mormor? Lord Henry.
    Sir  Thomas  si  accigli?.  - Ho paura che vostro nipote abbia dei
    pregiudizii contro quel grande Paese - disse a Lady Agatha.  -  Io
    l'ho  percorso  tutto,  viaggiando  in vagoni speciali messi a mia
    disposizione dai direttori delle ferrovie, che in queste cose sono
    di una cortesia straordinaria.  Vi assicuro che  visitarlo  ?  una
    cosa istruttiva.
    -  Ma  dobbiamo  proprio  vedere  Chicago per istruirci?  - chiese
    lamentosamente il signor Erskine.  - Non  mi  sento  in  grado  di
    sopportare il viaggio.
    Sir Thomas agit? la mano. - Il signor Erskine di Treadley possiede
    il  mondo  negli  scaffali  della sua biblioteca.  Noi siamo gente
    pratica, e le cose ci piace vederle,  e non leggere quel che se ne
    dice. Gli Americani sono un popolo estremamente interessante. Sono
    assolutamente   ragionevoli;   ?   questa,   a   mio  parere,   la
    caratteristica che li distingue.  S?,  signor Erskine,  un  popolo
    assolutamente ragionevole; vi assicuro che gli Americani non fanno
    sciocchezze.
    - Che cosa tremenda!  - esclam? Lord Henry.  - Io posso sopportare
    la forza bruta,  ma la ragione bruta ?  insopportabile.  L'uso  di
    essa ? antisportivo; ? un colpo basso vibrato all'intelletto.
    - Non capisco - disse Sir Thomas, facendosi rosso in faccia.
    - Io s?, Lord Henry - mormor? sorridendo il signor Erskine.
    - I paradossi saranno una bella cosa... - aggiunse il baronetto.
    -  Era  un  paradosso?  -  chiese  il  signor Erskine.  - A me non
    sembrava; ma ammettiamolo pure. Ebbene,  la strada dei paradossi ?
    la  strada della verit?.  Per mettere la realt? alla prova bisogna
    vederla camminare  sulla  corda.  Le  verit?  possiamo  giudicarle
    quando diventano acrobate.
    - Mio Dio - disse Lady Agatha,  - come discutete, voialtri uomini!
    Io non riesco mai a capire di cosa stiate parlando. Oh, Harry, con
    te sono proprio arrabbiata.  Perch? cerchi di convincere il nostro
    caro signor Dorian Gray ad abbandonare l'East End? Ti assicuro che
    sarebbe prezioso per noi. Andrebbero pazzi per la sua musica.
    -  Voglio  che  suoni  per  me  -  esclam? Lord Henry sorridendo e
    lanciando verso il fondo della tavola uno sguardo al quale rispose
    un'occhiata vivace.
    - Ma in Whitechapel sono tanto infelici - continu? Lady Agatha.
    - Io ho compassione di tutto, ma non della sofferenza - disse Lord
    Henry scrollando  le  spalle.  -  Per  quella  non  posso  sentire
    compassione;  ? troppo brutta, troppo orribile, troppo deprimente.
    Nelle simpatie moderne per il dolore c'? qualcosa di terribilmente
    morboso.  Si dovrebbe provare  simpatia  per  il  colore,  per  la
    bellezza, per la gioia della vita. Quanto meno si parla dei dolori
    della vita, tanto meglio ?.
    -  Eppure  l'East  End  costituisce  un  problema molto importante
    osserv? Sir Thomas, scrollando gravemente la testa.
    - Certo -  rispose  il  giovane  Lord.  -  E'  il  problema  della
    schiavit? e noi tentiamo di risolverlo divertendo gli schiavi.
    L'uomo  politico  lo  guard?  fisso.  Chiese:  -  E voi allora che
    cambiamento proponete?
    Lord Henry scoppi? a ridere.  - Non c'? niente che vorrei cambiare
    in  Inghilterra,  salvo  il  tempo  -  rispose.  -  Ma dato che il
    diciannovesimo secolo ha fatto fallimento per  il  suo  spreco  di
    simpatia,  suggerirei  che  facessimo  appello  alla  scienza  per
    rimettere le cose a posto.  Il vantaggio delle emozioni ?  che  ci
    portano  fuori strada e il vantaggio della scienza ? di non essere
    emozionante.
    - Ma noi abbiamo delle responsabilit? tanto gravi - si arrischi? a
    dire timidamente la signora Vandeleur.
    - Terribilmente gravi - fece eco Lady Agatha.
    Lord Henry guard? il signor Erskine. - L'umanit? prende troppo sul
    serio se stessa.  E' questo il peccato  originale  del  mondo.  Se
    l'uomo delle caverne avesse saputo ridere, la storia sarebbe stata
    diversa.
    -  Siete  una  vera  consolazione - cinguett? la duchessa.  - Ogni
    volta che sono venuta da vostra zia mi sono sempre sentita un  po'
    colpevole,  perch?  l'East  End  non  mi interessa per niente.  In
    futuro potr? guardarla in faccia senza arrossire.
    - Ma il rossore ? una cosa che dona, duchessa - disse Lord Henry.
    - Finch? si ? giovani - rispose lei.  - Quando una  donna  vecchia
    come me arrossisce ? un bruttissimo segno.  Ah, Lord Henry, vorrei
    che mi poteste dire come si fa per ridiventare giovani!
    Egli rimase un momento  sovrappensiero.  -  Potete  ricordarvi  di
    qualche   grosso   errore  che  avete  commesso  nei  vostri  anni
    giovanili? - chiese guardandola attraverso la tavola.
    - Di molti, ho paura - esclam? lei.
    - Allora commetteteli un'altra volta - disse lui. - Per recuperare
    la giovinezza basta ripetere le proprie pazzie.
    - Che teoria deliziosa! - esclam? la duchessa.  - Bisogner? che la
    metta in pratica.
    -  Che  teoria pericolosa!  - fu la frase che usc? dalle labbra di
    Sir Thomas. Lady Agatha scosse la testa, ma non poteva fare a meno
    di sentirsi divertita. Il signor Erskine ascoltava.
    - S? - aggiunse lui, - questo ? uno dei grandi segreti della vita.
    La maggior parte della gente di oggi muore di una specie di  senso
    comune strisciante e scopre,  quando ? ormai troppo tardi,  che le
    sole cose che non si rimpiangono mai sono gli errori.
    Tutta la tavola scoppi? in una risata.
    Egli giocava con l'idea e ci si ostinava; la lanciava in aria e la
    trasformava;  la lasciava sfuggire e la  riafferrava;  la  rendeva
    incandescente  di immagini,  le dava le ali del paradosso.  Mentre
    continuava  a  parlare,  l'elogio  della  follia  si  innalzava  a
    filosofia  e  la Filosofia stessa diventava giovane,  afferrava la
    musica folle del piacere,  si vestiva,  per cos? dire,  della  sua
    veste  macchiata  di  vino e della sua ghirlanda d'edera,  ballava
    come una Baccante sui colli della vita  e  scherniva  per  la  sua
    sobriet?  il  lento  Sileno.  I fatti fuggivano davanti a lei come
    spaventate creature della foresta.  I suoi piedi bianchi pestavano
    l'enorme  torchio  vicino al quale siede il savio Omar,  finch? il
    succo spumeggiante dell'uva non  sal?  in  purpuree  onde  spumose
    lungo  le  sue membra nude o col? gi? in una schiuma rossa lungo i
    fianchi gocciolanti,  viscidi,  del tino.  Era  un'improvvisazione
    straordinaria.  Egli  sentiva  gli  occhi  di  Dorian  Gray che lo
    fissavano e la coscienza di avere tra i propri  ascoltatori  colui
    del  quale voleva affascinare il temperamento sembrava aguzzare il
    suo spirito e dar calore alla  sua  immaginazione.  Fu  brillante,
    fantasioso,   irresponsabile.   Gli  ascoltatori,  presi  dal  suo
    fascino, si misero, ridendo, a seguire la sua musica.  Dorian Gray
    non  gli  toglieva  mai  gli  occhi  di dosso;  sembrava che fosse
    stregato.  Sulle sue labbra i sorrisi si susseguivano e  nei  suoi
    occhi  che  si  oscuravano  la  sorpresa  assumeva un carattere di
    gravit?.
    Alla fine,  vestita della livrea contemporanea,  la  Realt?  entr?
    nella  stanza  sotto  forma  di  un servitore,  venuto a dire alla
    duchessa che la sua carrozza era arrivata.
    Essa si torse le mani con finta disperazione. - Che noia! esclam?.
    - Devo andare via;  bisogna che vada  a  prendere  mio  marito  al
    circolo  per  accompagnarlo da Willis,  a una stupida riunione che
    deve presiedere.  Se sono in ritardo lui sar? certamente furioso e
    io non posso permettermi una scenata con questo cappello; ? troppo
    fragile e una parola dura lo rovinerebbe. No, cara Agatha, bisogna
    che  vada.  Arrivederci  Lord Henry.  Siete proprio delizioso,  ma
    tremendamente demoralizzante.  Non so proprio che cosa dire  delle
    vostre  idee.  Dovete  venire  una sera a pranzo da noi.  Marted??
    siete libero marted??
    - Per voi, duchessa, manderei all'aria chiunque altro - disse Lord
    Henry con un inchino.
    - Ah,  questo ? molto gentile da parte vostra,  e molto mal fatto-
    esclam?  la  duchessa.  -  Allora  badate  bene di venire - e usc?
    maestosamente dalla stanza,  seguita da Lady Agatha e dalle  altre
    signore.
    Quando  Lord  Henry torn? a sedersi il signor Erskine gir? intorno
    alla tavola,  prese una sedia vicino a lui e gli pos? la mano  sul
    braccio.
    - Voi parlate meglio di un libro - disse. - Perch? non ne scrivete
    uno?
    -  Mi  piace troppo leggere i libri per avere voglia di scriverne,
    signor Erskine.  Certo,  mi piacerebbe  scrivere  un  romanzo,  un
    romanzo che fosse piacevole come un tappeto persiano e allo stesso
    modo irreale. Ma in Inghilterra non esiste un pubblico letterario,
    salvo che per i giornali,  i sillabari e le enciclopedie. Di tutti
    i popoli del mondo quello inglese ? quello che  meno  possiede  il
    senso della bellezza della letteratura.
    -  Ho  paura che abbiate ragione - disse Erskine.  - Anch'io avevo
    delle ambizioni letterarie,  ma ci ho rinunciato da  un  pezzo.  E
    ora,  mio caro giovine amico,  se mi permettete di chiamarvi cos?,
    posso chiedervi se pensate veramente tutto  quello  che  ci  avete
    detto a colazione?
    -  Ho  dimenticato  completamente  quello  che  ho detto - rispose
    sorridendo Lord Henry. - Cose molto cattive?
    -  Molto  cattive  davvero.  Per  dire  la  verit?,  vi  considero
    estremamente  pericoloso;  e  se  dovesse  accadere  qualcosa alla
    nostra  buona  duchessa  noi  tutti  vi  riterremo  il  principale
    responsabile.  Per?  mi piacerebbe parlare della vita con voi.  La
    generazione alla quale appartengo era noiosa. Un giorno o l'altro,
    quando ne avete abbastanza di Londra,  venite fino  a  Treadley  a
    espormi  la  vostra  filosofia  del piacere,  assaggiando un certo
    mirabile Borgogna che ho la fortuna di possedere.
    - Ne sar? felice. Una visita a Treadley si pu? considerare un gran
    privilegio.  C'? un padrone di casa perfetto e una biblioteca  non
    meno perfetta.
    -  Voi la completerete - rispose il vecchio signore con un cortese
    inchino.  - E ora devo dire  addio  alla  vostra  ottima  zia.  Mi
    aspettano  all'Athenaeum.   Questa  ?  l'ora  nella  quale  l?  ci
    addormentiamo.
    - Tutti, signor Erskine?
    - Quaranta di noi,  quaranta poltrone.  Ci esercitiamo per formare
    un'accademia letteraria inglese.
    Lord Henry si alz? ridendo e disse: - Vado nel Parco.
    Mentre  stava  per  varcare  la  soglia,  Dorian Gray lo tocc? sul
    braccio. - Lasciate che venga con voi - mormor?.
    - Credevo che  aveste  promesso  a  Basil  Hallward  di  andare  a
    trovarlo - rispose Lord Henry.
    -  Preferirei venire con voi;  s?,  sento che devo venire con voi.
    Permettetemi di venire.  Mi promettete di parlare tutto il  tempo?
    Non c'? nessuno che parli cos? meravigliosamente come voi.
    - Ah, ma per oggi ho parlato pi? che abbastanza - disse Lord Henry
    sorridendo.  -  Tutto  quello che desidero adesso ? di guardare la
    vita. Potete venire a guardarla con me, se vi fa piacere.


















    Capitolo quarto.

    Un pomeriggio,  un mese dopo,  Dorian Gray  era  adagiato  in  una
    lussuosa  poltrona,  nella  piccola  biblioteca della casa di Lord
    Henry a Mayfair. Era una stanza simpaticissima nel suo genere, col
    suo  rivestimento  di  alti  pannelli  di  quercia  dai   riflessi
    olivastri,  i  suoi bordi color crema,  il soffitto di stucco e il
    tappeto di feltro color mattone disseminato  di  serici  tappetini
    persiani  dalle lunghe frange.  Su un tavolinetto di legno indiano
    stava una statuetta di Clodion e accanto  a  questa  un  esemplare
    delle  "Cent Nouvelles",  rilegato da Clovis Eve per Margherita di
    Valois e disseminato delle  margherite  d'oro  che  quella  Regina
    aveva  adottato  come  impresa.  Qualche grande vaso di porcellana
    turchina con alcuni tulipani stava sul caminetto  e  attraverso  i
    piccoli vetri piombati della finestra arrivava all'interno la luce
    color albicocca di una giornata estiva londinese.
    Lord  Henry non era ancora rientrato.  Era sempre in ritardo,  per
    principio,  essendo una delle sue teorie che la  puntualit?  ?  la
    ladra  del  tempo.  Perci?  il  ragazzo  aveva  un'aria  piuttosto
    imbronciata,  mentre sfogliava con dita  distratte  le  pagine  di
    un'edizione  riccamente  illustrata  di  "Manon Lescaut" che aveva
    trovato in uno degli scaffali.  Il tic-tac monotono  dell'orologio
    stile  Luigi  Quattordicesimo lo infastidiva.  Due o tre volte gli
    venne l'idea di andarsene.
    Finalmente sent? un passo fuori della stanza e la porta si apr?.
    - Come sei in ritardo, Harry! - mormor?.
    - Mi dispiace, signor Gray,  ma non ? Harry - gli rispose una voce
    acuta.
    Egli  si guard? intorno rapidamente e balz? in piedi.  - Vi chiedo
    scusa. Credevo...
    - Avete creduto che fosse mio  marito  e  invece  ?  soltanto  sua
    moglie.  Bisogna che mi presenti da me. Vi conosco benissimo dalle
    vostre fotografie. Mi pare che mio marito ne abbia diciassette.
    - Proprio diciassette, Lady Henry?
    - Diciamo diciotto,  allora.  Vi ho anche visto con lui  all'Opera
    l'altra sera.  - Rideva nervosamente nel parlare e lo guardava con
    i suoi occhi vaghi,  del colore dei non ti scordar di me.  Era una
    donna strana; i suoi vestiti avevano sempre l'aria di essere stati
    disegnati  in  un  momento  di rabbia e indossati in un momento di
    burrasca.  Era sempre innamorata  di  qualcuno  e  poich?  la  sua
    passione  non  era  mai  ricambiata  aveva conservato tutte le sue
    illusioni.  Provava ad avere un aspetto  pittoresco,  ma  riusciva
    solo  a  essere sciatta.  Si chiamava Victoria ed aveva una vera e
    propria man?a di frequentare la chiesa.
    - Era al "Lohengrin", Lady Henry, mi sembra.
    - S?, a quel caro "Lohengrin". Io preferisco la musica di Wagner a
    quella di chiunque altro;  ? tanto rumorosa  che  si  pu?  parlare
    tutto il tempo senza che gli altri sentano quello che si dice.  E'
    un gran vantaggio, non vi sembra signor Gray?
    Dalle sue labbra sottili usc? la stessa risata nervosa,  a scatti,
    e  le  sue dita cominciarono a giocare con un lungo tagliacarte di
    tartaruga.
    Dorian sorrise e scosse la testa.  - Mi dispiace,  Lady Henry,  ma
    non sono di questo parere. Durante la musica non parlo mai, almeno
    durante una buona musica.  Se la musica ? cattiva, si ha il dovere
    di annegarla nella conversazione.
    - Ah,  questa ? una delle idee di mio marito,  non ? vero,  signor
    Gray?  Io  imparo  sempre  le idee di mio marito attraverso i suoi
    amici: ? l'unico modo nel quale arrivo a conoscerle. Ma non dovete
    credere che non mi piaccia la buona  musica;  l'adoro,  ma  mi  fa
    paura; mi rende troppo romantica. Ho avuto una vera adorazione per
    i pianisti,  due nello stesso momento, a volte, dice Harry. Non so
    che cosa ci sia in loro; forse ? perch? sono stranieri. Sono tutti
    stranieri,  non ? vero?  Anche quelli nati in Inghilterra dopo  un
    certo tempo diventano stranieri, non ? vero? E' proprio un'abilit?
    che  hanno  e  ?  un  complimento  per  l'arte,  la  rende davvero
    cosmopolita,  non vi sembra?  Non siete venuto mai a uno dei  miei
    ricevimenti,  vero,  signor  Gray?  Dovete  venire.  Non  mi posso
    permettere le orchidee, ma quanto agli stranieri non bado a spese.
    Rendono cos? pittoresco un salotto. Ma ecco qui Harry!  Harry,  ti
    cercavo per chiederti una cosa,  non so pi? che cosa, e ho trovato
    qui il signor Gray. Abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata
    sulla musica. Abbiamo proprio le stesse idee;  o piuttosto no,  mi
    pare  che  le nostre idee siano del tutto diverse.  Ma lui ? stato
    piacevolissimo; sono proprio contenta di averlo visto.
    - Ne sono felice, amore mio, felicissimo - disse Henry,  inarcando
    le sopracciglia brune a mezzaluna e guardando i due con un sorriso
    divertito.  - Scusami tanto per il ritardo, Dorian. Sono andato in
    Wardour Street a cercare un pezzo di broccato antico e  ho  dovuto
    combattere  delle ore per averlo.  Oggi la gente conosce il prezzo
    di tutte le cose e non conosce il valore di nessuna.
    - Ho paura di dovermene andare - esclam? Lady Henry,  rompendo  un
    silenzio  imbarazzante  con  una  delle  sue  risate  improvvise e
    sciocche.  - Ho promesso alla duchessa di uscire in  carrozza  con
    lei.  Arrivederci,  signor Gray;  addio,  Harry.  Tu pranzi fuori,
    credo? Anch'io. Forse ti vedr? in casa di Lady Thornbury.
    - Credo di s?,  mia cara - disse Lord Henry,  chiudendo  la  porta
    alle sue spalle quando lei scivol? fuori dalla stanza,  con l'aria
    di un uccello del paradiso rimasto tutta la notte all'aperto sotto
    la pioggia,  lasciandosi dietro un vago odore  di  gelsomino.  Poi
    accese una sigaretta e si lasci? cadere sul divano.
    -  Dorian - disse dopo qualche boccata - non sposare mai una donna
    che abbia i capelli color della paglia.
    - Perch? Harry?
    - Perch? sono tanto sentimentali.
    - Ma a me piacciono le persone sentimentali.
    - Non sposarti mai,  Dorian.  Gli uomini si  sposano  perch?  sono
    stanchi,  le  donne  perch?  sono  curiose,  e  le une e gli altri
    restano sempre delusi.
    - Non credo che sia probabile che mi  sposi,  Harry;  sono  troppo
    innamorato.  Questo  ?  uno  dei tuoi aforismi che sto mettendo in
    pratica, come faccio con tutto quello che dici.
    - Di chi sei innamorato? - chiese Lord Henry dopo una pausa.
    - Di un'attrice - disse Dorian Gray arrossendo.
    Lord Henry scroll? le spalle. - Questo ? un "d?but" alquanto terra
    terra.
    - Harry, se tu la vedessi non parleresti in questo modo.
    - Chi ??
    - Si chiama Sybil Vane.
    - Non ne ho mai sentito parlare.
    - Nessuno ne ha sentito parlare,  ma un giorno non sar? pi?  cos?.
    E' un genio.
    -  Caro  figliuolo,  non ce n'? una di donna che sia un genio.  Le
    donne sono un sesso decorativo.  Non hanno mai niente da dire,  ma
    lo dicono in maniera deliziosa.  Le donne rappresentano il trionfo
    della materia sull'intelletto,  cos? come gli uomini rappresentano
    il trionfo dell'intelletto sulla morale.
    - Harry, come puoi parlare cos??
    - Caro Dorian, ? la pura verit?. In questo momento sto analizzando
    le donne e quindi so quello che dico.  Non ? poi un soggetto tanto
    astruso come credevo.  Ho  scoperto  che  in  ultima  analisi  non
    esistono  che  due  specie  di  donne,  quelle  semplici  e quelle
    dipinte. Quelle semplici sono utilissime. Se vuoi avere la fama di
    persona rispettabile non hai che da  portarle  fuori  a  cena.  Le
    altre sono molto deliziose,  ma commettono un errore: si dipingono
    per cercare di sembrare giovani;  le nostre nonne  si  dipingevano
    per  cercare  di  avere  una conversazione brillante.  Il "rouge e
    l'?sprit" in genere andavano di pari passo;  ora  tutto  questo  ?
    finito.  Una donna ? perfettamente soddisfatta finch? pu? apparire
    di  dieci  anni  pi?  giovane   di   sua   figlia.   Quanto   alla
    conversazione,  in  tutta Londra ci sono soltanto cinque donne con
    le quali valga la pena di parlare,  e  due  di  esse  non  possono
    essere ammesse in una societ? che si rispetti.  Comunque,  parlami
    del tuo genio. Da quanto tempo la conosci?
    - Ah, Harry, le tue idee mi terrorizzano.
    - Lascia perdere. Da quanto tempo la conosci?
    - Da tre settimane circa.
    - E come l'hai incontrata?
    - Te lo dir?,  Harry,  ma bisogna che tu mi  dimostri  un  po'  di
    comprensione.  Dopo  tutto,  non  sarebbe  mai  successo se non ti
    avessi conosciuto.  Tu mi hai riempito di un desiderio furioso  di
    conoscere  tutto  della  vita.  Per  parecchi giorni,  dopo averti
    incontrato, mi sembr? che qualcosa mi pulsasse nelle vene.  Quando
    mi  sedevo nel Parco o passeggiavo per Piccadilly guardavo tutti i
    passanti e mi chiedevo, con una curiosit? pazzesca,  che genere di
    vita  facessero.  Alcuni mi affascinavano,  altri mi riempivano di
    terrore.  Nell'aria  c'era  un  veleno  squisito.  Avevo  fame  di
    sensazioni...  Cos?  una  sera  verso le sette decisi di uscire in
    cerca di avventure.  Sentivo che questa  nostra  Londra  grigia  e
    mostruosa, con le sue miriadi di persone, i suoi peccatori sordidi
    e  i  suoi  peccati splendidi,  come dicesti tu una volta,  doveva
    riserbarmi qualche cosa.  Immaginavo mille cose e il solo pericolo
    era  sufficiente a procurarmi un senso di delizia.  Mi ricordai di
    quello che mi  dicesti  quella  sera  meravigliosa  che  pranzammo
    insieme  per  la  prima volta: che il vero segreto della vita ? la
    ricerca della bellezza. Non so che cosa mi aspettassi;  ma uscii e
    mi  diressi  verso  l'Est  e poco dopo mi persi in un labirinto di
    strade sporche e di piazze senza  erba.  Verso  le  otto  e  mezzo
    passai  davanti  a  un  teatrino  ridicolo,  illuminato  da grandi
    lampade a gas e con dei manifesti vistosi.  Un sordido ebreo,  che
    aveva  il  panciotto pi? straordinario che abbia mai visto in vita
    mia,  stava sulla porta e fumava un sigaro da pochi  soldi.  Aveva
    dei  riccetti  unti e al centro di una camicia sporca gli brillava
    un diamante enorme.  "Un palco,  my Lord?",  disse vedendomi e  si
    tolse  il cappello con un atto che era di una splendida servilit?.
    C'era in lui qualche cosa che mi divert?: era un tale  mostro!  Tu
    riderai  di me,  lo so;  ma io entrai veramente e pagai una ghinea
    per un palco di proscenio.  Ancora  adesso  non  sono  riuscito  a
    capire perch? mai l'abbia fatto; eppure se non l'avessi fatto, mio
    caro  Harry,  se  non  l'avessi  fatto avrei mancato il pi? grande
    romanzo della  mia  vita.  Vedo  che  stai  ridendo:  ?  una  vera
    cattiveria da parte tua!
    - Non rido,  Dorian, o almeno non rido di te. Ma non dovresti dire
    il pi? grande romanzo della tua vita.  Tu  sarai  sempre  amato  e
    sarai  sempre  innamorato  dell'amore.  Una  grande  passione ? il
    privilegio di quelli che non hanno niente da fare;  ? l'unica cosa
    a cui servono in un paese le classi oziose.  Non aver paura;  a te
    sono riservate cose squisite. Questo ? soltanto l'inizio.
    - Mi credi dunque una natura tanto superficiale?  -  grid?  Dorian
    Gray, in collera.
    - No, credo che tu sia una natura profonda.
    - Che cosa vuoi dire?
    -  Caro  ragazzo,  le  persone che amano una sola volta nella vita
    sono quelle veramente superficiali.  Quello che chiamano lealt?  o
    fedelt?   io  lo  chiamo  letargo  di  abitudini  oppure  mancanza
    d'immaginazione.  La fedelt? corrisponde nella vita  emozionale  a
    quello  che  nella vita intellettuale ? la coerenza: semplicemente
    la confessione di un insuccesso.  Fedelt?!  Un  giorno  o  l'altro
    bisogner?  che  mi  metta ad analizzarla.  In essa c'? la passione
    della propriet?;  noi getteremmo via una quantit? di cose  se  non
    avessimo paura che qualcun altro possa raccoglierle. Ma non voglio
    interromperti; continua con la tua storia.
    -  Dunque,  mi  trovai  seduto  in  un orribile palchetto,  con un
    orribile sipario che mi  guardava  in  faccia.  Guardai  fuori  da
    dietro  la  tenda  ed esaminai il teatro.  Era una cosa pacchiana,
    tutta amorini e cornucopie,  che sembrava  una  torta  nuziale  di
    terz'ordine.  La  galleria e la platea erano abbastanza affollate,
    ma le due file di  poltrone  fruste  erano  deserte  e  non  c'era
    un'anima in quello che chiamano,  credo, l'anfiteatro. Delle donne
    andavano in giro con arance  e  gazose  e  si  faceva  un  consumo
    tremendo di noccioline.
    - Doveva essere proprio come nell'et? d'oro del Dramma inglese.
    - Proprio lo stesso,  immagino,  e molto deprimente.  Cominciavo a
    chiedere a me stesso  che  diavolo  dovessi  fare;  poi  mi  cadde
    sott'occhio il programma. Che cosa credi che si recitasse Harry?
    -  Direi  "Il  ragazzo  idiota,  ovvero Stupido ma innocente".  Ai
    nostri  padri  piaceva  questo  genere  di  drammi,   credo.   Pi?
    invecchio, Dorian, e pi? ho la sensazione netta che quello che era
    buono per i nostri padri non ? buono per noi.  Nell'arte,  come in
    politica, "les grand-p?res ont toujours tort".
    - Harry,  quello che si rappresentava era buono  abbastanza  anche
    per  noi:  era  "Romeo e Giulietta".  Devo ammettere che l'idea di
    vedere Shakespeare rappresentato in un misero buco come quello  mi
    infastid?  un po';  d'altra parte,  in un certo senso,  mi sentivo
    interessato.  Comunque,  decisi di aspettare il primo atto.  C'era
    una  tremenda  orchestra,  diretta da un giovane ebreo seduto a un
    pianoforte scortecciato,  che riusc? quasi a farmi andare via;  ma
    finalmente  si  alz?  il  sipario  e la rappresentazione cominci?.
    Romeo era un signore anziano e grasso,  con le ciglia  arricciate,
    una  rauca  voce  tragica e una figura come un barilotto di birra.
    Mercuzio era quasi altrettanto tremendo.  La parte era affidata al
    brillante,  che ci aveva introdotto dei lazzi di sua invenzione ed
    era in rapporti amichevolissimi con la  platea.  L'uno  e  l'altro
    erano  grotteschi quanto lo scenario,  e questo sembrava uscito da
    un baraccone  di  campagna.  Ma  Giulietta!  Harry,  immagina  una
    fanciulla  appena  diciassettenne,  con  un  visino di fiore,  una
    piccola testolina greca con delle ciocche intrecciate  di  capelli
    castani scuri,  occhi che erano pozzi violacei di passione, labbra
    come petali di rose: la cosa pi? adorabile che avessi mai visto in
    vita mia.  Mi dicesti una volta che il "pathos" ti lascia  freddo,
    ma  che la bellezza,  la sola bellezza pu? farti venire le lacrime
    agli occhi.  Ti dico,  Harry,  che riuscivo a mala  pena  a  veder
    quella  ragazza,  tante  erano  le  lacrime che mi annebbiavano la
    vista.  E la voce!  non avevo mai sentito una  voce  come  quella.
    All'inizio era molto sommessa, con certe note profonde, vellutate,
    che sembravano penetrare nell'orecchio ad una ad una;  poi divent?
    un po' pi? alta e suonava come un flauto o un oboe lontano.  Nella
    scena  del giardino c'era in tutta quella voce l'estasi tremebonda
    che si sente poco prima dell'alba quando cantano gli usignoli;  in
    altri  momenti aveva la passione selvaggia delle violette.  Tu sai
    come possa commuovere una voce. La tua e quella di Sybil Vane sono
    due cose che non mi usciranno mai di mente. Se chiudo gli occhi le
    sento,  e ognuna di esse dice una cosa diversa,  e io non so quale
    seguire. Perch? non dovrei amarla? L'amo, Harry; lei ? tutto nella
    vita  per me.  Una sera dopo l'altra vado a vederla recitare.  Una
    sera  ?  Rosalinda,  la  sera  dopo  Imogene.  L'ho  vista  morire
    nell'oscurit?  di  una tomba italiana,  succhiando il veleno dalle
    labbra dell'amante;  l'ho vista errare  nella  foresta  di  Arden,
    travestita da ragazzino,  in pantaloni e farsetto e berrettino. E'
    stata pazza,  e ? venuta alla presenza di un Re colpevole e gli ha
    dato  dei  rimorsi da sopportare e delle erbe amare da assaporare.
    E' stata innocente,  e le mani nere della gelosia hanno  strozzato
    quel  collo  simile  a una canna.  L'ho vista in tutte le et? e in
    tutti i costumi.  Le donne ordinarie non eccitano l'immaginazione;
    sono limitate al loro secolo,  non c'? splendore che sia capace di
    trasfigurarle.  Si conosce la loro mente come si conoscono i  loro
    cappelli: si riesce sempre a trovarle;  non c'? mistero in nessuna
    di essa.  La mattina montano a cavallo al Parco  e  il  pomeriggio
    chiacchierano ai t?.  Hanno il loro sorriso stereotipato e le loro
    maniere alla moda. Sono perfettamente trasparenti.  Ma un'attrice!
    com'?  diversa,  un'attrice!  Harry,  perch?  non mi hai detto che
    un'attrice ? la sola cosa che valga la pena di amare?
    - Perch? ne ho amate tante, Dorian.
    - Oh,  s?: delle creature orrende coi capelli  tinti  e  le  facce
    imbellettate.
    - Non disprezzare i capelli tinti e le facce imbellettate; a volte
    hanno un fascino straordinario - disse Lord Henry.
    - Ora mi dispiace di averti parlato di Sybil Vane.
    - Non potevi fare a meno di parlarmene,  Dorian. Per tutta la vita
    mi racconterai quello che fai.
    - Credo proprio che sia cos?,  Harry.  Non posso fare  a  meno  di
    raccontarti  le  cose.  Hai  una strana influenza su di me.  Se un
    giorno commettessi un delitto verrei da te a  confessarlo;  tu  mi
    capiresti.
    - Le persone come te,  Dorian,  ostinati raggi di sole della vita,
    non commettono delitti. Ma ti ringrazio lo stesso del complimento.
    E ora dimmi - passami i fiammiferi per favore, grazie - quali sono
    di fatto i tuoi rapporti con Sybil Vane?
    Dorian Gray balz?  in  piedi,  colle  guance  rosse  e  gli  occhi
    fiammeggianti. - Harry! Sybil Vane ? sacra.
    - Dorian,  le cose sacre sono le sole che valga la pena di toccare
    - disse Lord Henry, con una strana nota patetica nella voce.  - Ma
    perch? andare in collera?  Penso che un giorno o l'altro sar? tua.
    Quando siamo innamorati si comincia  sempre  con  l'ingannare  noi
    stessi  e si finisce sempre con l'ingannare gli altri;  e questo ?
    quello che il mondo chiama un  romanzo.  Almeno  immagino  che  la
    conoscerai?
    -  Naturalmente  la  conosco.  La  prima  sera  che ero in teatro,
    quell'orribile vecchio ebreo venne nel palco dopo lo spettacolo  e
    mi  offr? di portarmi dietro le quinte e di presentarmi a lei.  Io
    andai su tutte le furie e gli dissi che  Giulietta  era  morta  da
    secoli  e  che  il  suo  corpo  giaceva  in un sepolcro di marmo a
    Verona.  Penso,  dalla sua aria smarrita e stupefatta,  che  abbia
    avuto l'impressione che avessi bevuto troppo champagne, o qualcosa
    del genere.
    - Non mi sorprende.
    -  Poi mi chiese se scrivevo su qualche giornale.  Gli risposi che
    nemmeno li leggevo. Sembr? deluso e mi confid? che tutti i critici
    drammatici erano in combutta contro di lui e che  ognuno  di  loro
    era disposto a lasciarsi comperare.
    -  Non  mi  meraviglierebbe  che  su  questo punto avesse ragione.
    D'altronde, a giudicare dall'aspetto, la maggior parte di loro non
    deve costare affatto cara.
    - Comunque,  lui aveva l'aria di pensare che la cosa fosse  al  di
    sopra  delle  sue  possibilit?  -  rispose  Dorian ridendo.  - Nel
    frattempo per? in teatro stavano spegnendo le luci  e  io  dovetti
    andarmene.  Voleva  che  provassi  certi  sigari  che raccomandava
    caldamente,  ma rifiutai.  La sera dopo,  naturalmente,  ritornai.
    Appena  mi  vide mi fece un profondo inchino e mi assicur? che ero
    un munifico patrono delle  arti.  Era  un  essere  particolarmente
    odioso,  bench? avesse una passione straordinaria per Shakespeare.
    Una volta mi disse, con l'aria di esserne fiero, che i suoi cinque
    fallimenti erano dovuti unicamente al Bardo,  come si  ostinava  a
    chiamarlo. Sembrava che la considerasse una distinzione.
    - Era una distinzione, mio caro Dorian, una grande distinzione. La
    maggioranza  fallisce  in  conseguenza  di  investimenti eccessivi
    nella prosa della vita. Essersi rovinato per la poesia ? un onore.
    Ma quando parlasti per la prima volta con la signorina Sybil Vane?
    - La terza sera.  Aveva fatto Rosalinda.  Non potei fare a meno di
    andare sul palcoscenico. Le avevo gettato dei fiori e lei mi aveva
    guardato,  o almeno cos? m'immaginai.  Il vecchio ebreo insisteva;
    sembrava deciso a portarmi dietro le quinte,  e cos?  acconsentii.
    E' curioso che non desiderassi conoscerla, non ti pare?
    - No, non mi pare.
    - Come, Harry? Perch??
    -  Te  lo  dir?  un'altra volta;  ora voglio che tu mi parli della
    ragazza.
    - Sybil? Oh, era cos? timida, cos? gentile! C'? in lei qualcosa di
    una  bambina.  I  suoi  occhi  si  spalancarono  con  uno  stupore
    delizioso   quando   le   dissi   quello  che  pensavo  delle  sue
    interpretazioni. Sembrava che non avesse la minima coscienza delle
    sue doti. Entrambi dovevamo essere piuttosto nervosi. Sulla soglia
    del ridotto polveroso,  il vecchio ebreo stava ghignando e facendo
    discorsi elaborati sul nostro conto, mentre noi ci guardavamo l'un
    l'altro come due bambini. Insisteva a chiamarmi my Lord, tanto che
    fui  costretto ad assicurare a Sybil che non ero niente di simile.
    Mi rispose con la massima semplicit?: "Avete  piuttosto  l'aspetto
    di un principe. Vi chiamer? Principe Azzurro".
    -   Parola  d'onore,   Dorian,   la  signorina  Sybil  sa  fare  i
    complimenti.
    - Tu non la capisci, Harry. Mi considerava soltanto un personaggio
    del dramma.  Non sa niente della vita.  Abita con  la  madre,  una
    donna  stanca  e  avvizzita,  che  la  prima  sera  faceva Madonna
    Capuleti in una specie di vestaglia di colore rosso cupo e che  ha
    l'aria di aver conosciuto tempi migliori.
    -  Conosco  quell'espressione e la trovo deprimente - mormor? Lord
    Henry, esaminando i suoi anelli.
    - L'ebreo mi voleva raccontare la sua storia, ma gli dissi che non
    mi interessava.
    - Hai fatto benissimo.  Nelle  tragedie  degli  altri  c'?  sempre
    qualche cosa di infinitamente basso.
    -  Sybil  ?  l'unica  cosa  che m'interessa.  Che m'importa la sua
    origine?  Dalla testolina ai piedini ? assolutamente e interamente
    divina.  Vado  a  vederla  recitare  ogni sera,  e ogni sera ? pi?
    meravigliosa.
    - Ecco il motivo,  credo,  per il quale ora non pranzi pi? con me.
    Avevo  pensato che dovevi aver per le mani qualche strano romanzo.
    Era vero, per quanto non sia esattamente quello che mi aspettavo.
    - Caro Harry,  tutti i giorni facciamo colazione o ceniamo insieme
    e  sono  stato  all'Opera  con  te parecchie volte - disse Dorian,
    spalancando gli occhi per la meraviglia.
    - Arrivi sempre terribilmente in ritardo.
    - S?,  ma non posso non andare a  veder  recitare  Sybil  esclam?,
    anche se ? solo per un atto. Sono affamato della sua presenza e il
    pensiero  che  in quel piccolo corpo d'avorio si nasconde un'anima
    meravigliosa mi riempie di riverenza e di spavento.
    - Stasera puoi pranzare con me, non ? vero, Dorian?
    Egli scosse la testa.  - Stasera ? Imogene - rispose  -  e  domani
    sera sar? Giulietta.
    - E quando ? Sybil Vane?
    - Mai.
    - Mi congratulo con te.
    -  Come sei antipatico!  Lei ? tutte le grandi eroine del mondo in
    una persona sola.  E' pi? di una persona.  Tu ridi,  ma io ti dico
    che ha talento.  L'amo e devo farmi amare da lei. Tu che conosci i
    segreti della vita, insegnami a stregare Sybil Vane perch? mi ami!
    Voglio ingelosire Romeo; voglio che tutti gli amanti morti sentano
    il nostro riso e ne siano rattristati;  voglio che un alito  della
    nostra  passione  agiti  la  loro polvere e le ridia la coscienza,
    svegli alla sofferenza le loro  ceneri.  Mio  Dio,  come  l'adoro,
    Harry!  -  Mentre  parlava  andava  su e gi? per la camera e sulle
    guance bruciavano delle macchie di un rosso intenso.  Era  in  uno
    stato di grande esaltazione.
    Lord  Henry  lo guardava con un sottile senso di piacere.  Com'era
    diverso ormai dal ragazzo timido,  spaurito,  che aveva conosciuto
    nello  studio  di Basil Hallward!  La sua natura si era sviluppata
    come si sviluppa un fiore;  si era coperta  di  una  fioritura  di
    fiamme   scarlatte.   La  sua  anima  era  uscita  fuori  del  suo
    nascondiglio segreto, e il Desiderio le era venuto incontro a met?
    strada.
    - E che cosa pensi di fare? - disse finalmente Lord Henry.
    - Voglio che tu e Basil veniate una sera a vederla  recitare.  Non
    sono   affatto   inquieto   per  il  risultato;   sono  certo  che
    riconoscerete il suo genio.  Poi dobbiamo  strapparla  dalle  mani
    dell'ebreo.  E' legata a lui per tre anni, o meglio per due anni e
    otto mesi a  partire  da  oggi.  Naturalmente  bisogner?  pagargli
    qualche cosa.  Una volta sistemato questo,  prender? un teatro nel
    West End e la lancer? come si deve.  Far? impazzire il mondo  come
    ha fatto impazzire me.
    - Non ti sembra che questo sia impossibile, figlio mio?
    - S?,  sar? come ti dico.  Lei non ha soltanto l'arte,  un istinto
    artistico raffinato in se stessa, ma anche una personalit? sua;  e
    tu  mi hai detto pi? volte che quello che fa camminare i tempi non
    sono i princ?pi, ma la personalit?.
    - Bene, e quando andiamo?
    - Vediamo un po'.  Oggi ? marted?;  diciamo  domani.  Domani  far?
    Giulietta.
    - Benissimo. Alle otto al Bristol. Penso io a Basil.
    -  Harry,  ti  prego,  non  alle otto: alle sei e mezzo.  Dobbiamo
    arrivare prima che si alzi il sipario.  Dovete vederla  nel  primo
    atto, quando incontra Romeo.
    - Alle sei e mezzo!  Che razza di ora!  Sar? come bere un estratto
    di carne o leggere un romanzo inglese. Facciamo le sette;  non c'?
    una  sola  persona  come si deve che pranzi prima delle sette.  Tu
    vedi Basil nel frattempo, o devo scrivergli io?
    - Caro Basil!  non lo vedo da  una  settimana.  Faccio  malissimo,
    perch?  mi ha mandato il mio ritratto in una magnifica cornice che
    ha disegnato appositamente lui stesso;  e,  per quanto mi senta un
    po'  geloso  perch? il ritratto ? di un mese intero pi? giovane di
    me, devo pure ammettere che sono felice di averlo.  Forse ? meglio
    che tu gli scriva.  A me dice delle cose che mi infastidiscono; mi
    d? dei buoni consigli.
    Lord Henry sorrise.  - La gente ama molto dare quello che  avrebbe
    bisogno  di  ricevere;  ?  quello  che  io  chiamo  un  abisso  di
    generosit?.
    - Oh,  Basil ? la pi? cara persona che esista,  ma a me sembra che
    sia un tantino Filisteo.  E' una scoperta che ho fatto dopo che ti
    ho conosciuto.
    - Basil,  mio caro,  mette nella sua opera tutto ci?  che  c'?  di
    delizioso  in lui,  e cos? per la vita non gli restano altro che i
    suoi pregiudizi,  i suoi princ?pi e il suo senso  comune.  I  soli
    artisti che ho conosciuto che fossero personalmente piacevoli sono
    artisti  mediocri.  I  buoni  artisti  esistono solo in quello che
    fanno e di conseguenza non sono affatto interessanti in quello che
    sono. Un grande poeta, un poeta veramente grande,  ? l'essere meno
    poetico  che  esista;  invece  i poeti mediocri sono assolutamente
    affascinanti.  Quanto pi? brutti sono  i  loro  versi,  tanto  pi?
    pittoresco ? il loro aspetto.  Il solo fatto di aver pubblicato un
    volume di sonetti di second'ordine  rende  un  uomo  assolutamente
    irresistibile.  Egli vive la poesia che non riesce a scrivere; gli
    altri scrivono la poesia che non riescono a trasformare in realt?.
    - Mi chiedo  se  ?  proprio  cos?,  Harry  -  disse  Dorian  Gray,
    versandosi  sul fazzoletto qualche goccia di profumo da una grande
    bottiglia col tappo d'oro che stava sul tavolo.  Deve essere vero,
    visto  che  tu lo dici.  E adesso me ne vado;  Imogene mi aspetta.
    Ricordati di domani. Addio.
    Mentre usciva,  le palpebre pesanti di Lord Henry si abbassarono e
    si immerse nei propri pensieri.  Poche persone,  certo, lo avevano
    interessato come Dorian Gray,  eppure l'adorazione di quel ragazzo
    per  un'altra  persona  non  suscitava  in  lui il minimo senso di
    fastidio o di gelosia; anzi ne era contento,  perch? faceva di lui
    uno  studio  pi? interessante.  Si era sempre sentito attratto dai
    metodi delle scienze naturali,  ma le materie che costituiscono il
    soggetto  abituale  di  quelle  scienze  gli sembravano triviali e
    senza importanza,  e cos? aveva cominciato  col  vivisezionare  se
    stesso e aveva finito col vivisezionare gli altri.  La vita umana:
    era questa, ai suoi occhi,  l'unica cosa degna di essere indagata;
    in  confronto  con  questa  non  c'era  nessuna cosa che avesse un
    valore qualunque. Era vero che quando si osservava la vita nel suo
    curioso  crogiuolo  di  pena  e  di  piacere,  non  ci  si  poteva
    nascondere  la  faccia  con  una maschera di vetro n? impedire che
    vapori  sulfurei   turbassero   il   cervello   e   intorbidassero
    l'immaginazione  con  fantasie mostruose e sogni deformi.  C'erano
    certi  veleni  cos?  sottili  che  per  conoscerne  le   propriet?
    bisognava  lasciarsene  intossicare,   malattie  cos?  strane  che
    bisognava subirle se si provava a  comprenderne  la  natura.  Per?
    com'era  grande  la  ricompensa!  Come  diventava  meraviglioso il
    mondo!   Osservare  la  logica  curiosamente  inflessibile   della
    passione   e   la   variopinta  vita  emozionale  dell'intelletto;
    osservare dove si incontravano,  dove si separavano,  in che punto
    erano  all'unisono  e  in  che  punto discordanti - che delizia in
    tutto questo! Che importava il prezzo?  Nessuna sensazione si paga
    mai troppo cara.
    Sapeva - e l'idea fece saettare un lampo di piacere nei suoi occhi
    d'agata  bruna  -  che  se l'anima di Dorian Gray si era rivolta a
    quella fanciulla e si era curvata in  adorazione  davanti  a  lei,
    questo era un effetto delle sue parole,  parole musicali dette con
    intonazione musicale.  Quel ragazzo era in  larga  parte  una  sua
    creazione.  Egli  lo aveva reso precoce e questo era qualcosa.  Le
    persone comuni aspettano che la vita schiuda loro i suoi  segreti;
    ma ai pochi,  agli eletti, i misteri della vita sono svelati prima
    ancora che venga strappato il velo.  A volte  questo  ?  l'effetto
    dell'arte   e   soprattutto   dell'arte  letteraria,   che  agisce
    direttamente sulle passioni e sull'intelligenza; ma ogni tanto una
    personalit? complessa si sostituisce  all'arte  e  ne  adempie  la
    funzione,  anzi ?,  a modo suo, una vera opera d'arte, dato che la
    vita ha i suoi capolavori complicati come li ha la  poesia,  o  la
    scultura, o la pittura.
    S?,  quel ragazzo era precoce.  Stava gi? mietendo le messi mentre
    era ancora primavera.  Il fremito e la passione  della  giovinezza
    erano  in  lui,   ma  egli  cominciava  ad  acquisirne  coscienza.
    Osservarlo era una cosa deliziosa.  Col suo  bel  viso  e  la  sua
    bell'anima era qualcosa che non si poteva fare a meno di ammirare.
    Come  tutto questo sarebbe finito,  o come era destinato a finire,
    non aveva nessuna importanza.  Egli era simile  a  una  di  quelle
    graziose figure in un corteo o in uno spettacolo,  le cui gioie ci
    sembrano lontane,  ma i cui dolori stimolano il nostro senso della
    bellezza e le cui ferite sono come rose rosse.
    Anima  e corpo,  corpo e anima,  com'erano misteriosi!  Nell'anima
    c'era dell'animalit? e il corpo aveva momenti di  spiritualit?;  i
    sensi  potevano  affinarsi  e l'intelletto degradarsi.  Chi poteva
    dire dove finiva l'impulso carnale  o  dove  cominciava  l'impulso
    fisico?  Com'erano  superficiali  le  definizioni arbitrarie degli
    psicologi  comuni!  Eppure,  com'era  difficile  decidere  tra  le
    affermazioni  delle  varie  scuole!  L'anima  ? un'ombra che abita
    nella casa del peccato?  oppure il corpo ?  realmente  nell'anima,
    come pensava Giordano Bruno?  La separazione tra spirito e materia
    ? un mistero e l'unione tra spirito  e  materia  ?  ugualmente  un
    mistero.
    Inizi?  a  chiedersi quando arriveremo a fare della psicologia una
    scienza cos? assoluta che ogni pi? piccola molla della vita ne sia
    rivelata.  Nel suo stadio attuale gli uomini comprendevano  sempre
    male  se stessi e raramente comprendevano gli altri.  L'esperienza
    non aveva nessun valore etico;  non era altro  che  il  nome  dato
    dagli   uomini   ai  propri  errori.   I  moralisti  erano  soliti
    considerarla come una forma di monito,  le avevano rivendicato una
    certa  efficacia  etica nella formazione del carattere,  l'avevano
    esaltata come qualche cosa che indica la via da seguire  e  mostra
    quello che conviene evitare;  ma nell'esperienza non c'era nessuna
    forza motrice: la sua importanza come causa attiva era altrettanto
    scarsa quanto quella della stessa coscienza.  Tutto ci?  che  essa
    realmente  dimostrava  era  che  il  nostro futuro sarebbe come il
    nostro passato  e  che  il  peccato  commesso  una  volta,  e  con
    ripugnanza, l'avremmo commesso pi? volte, e con gioia.
    Gli  sembrava  chiaro  che  il metodo sperimentale era l'unico che
    permettesse di arrivare a un'analisi scientifica delle passioni; e
    Dorian Gray era sicuramente un soggetto che sembrava fatto apposta
    e che sembrava promettere abbondanti e fruttuosi risultati. Il suo
    folle amore improvviso per Sybil Vane era un fenomeno  psicologico
    di non trascurabile interesse. Senza dubbio la curiosit? c'entrava
    molto; curiosit? e desiderio di esperienze nuove; tuttavia non era
    una  passione  semplice,  anzi  era  molto  complessa.  Il lavor?o
    dell'immaginazione   aveva   trasformato   l'elemento   costituito
    dall'istinto  esclusivamente sensuale dell'adolescenza,  mutandolo
    in qualcosa che al giovane stesso sembrava lontana dal senso e che
    per questa stessa ragione era ancora pi? pericolosa.  Le  passioni
    che  esercitano  su  noi la tirannia pi? forte sono quelle intorno
    alla cui origine ci inganniamo da soli;  i pi? deboli tra i nostri
    moventi  sono  quelli della cui natura siamo consapevoli.  Avviene
    spesso che mentre crediamo  di  stare  sperimentando  sugli  altri
    stiamo in realt? sperimentando su noi stessi.
    Lord  Henry  stava sognando di queste cose,  quando bussarono alla
    porta e il suo servitore gli ricord? che era tempo di vestirsi per
    il pranzo. Si alz? e guard? fuori, in strada. Il tramonto colorava
    d'oro e di scarlatto le finestre superiori della casa di fronte; i
    vetri erano incandescenti come lastre di marmo arroventate. Pi? in
    alto il cielo era come una rosa sfiorita.  Pens? al  suo  amico  e
    alla  sua  vita  color  di  fiamma  e  si chiese come tutto questo
    sarebbe andato a finire.
    Tornando a casa verso mezzanotte e mezzo, vide un telegramma sulla
    tavola del vestibolo.  L'apr?: era di Dorian Gray e gli annunciava
    il suo fidanzamento con Sybil Vane.




















    Capitolo quinto.

    -  Mamma,  mamma,  sono  tanto  felice!  -  mormor?  la fanciulla,
    nascondendo il viso nel grembo della donna avvizzita  e  dall'aria
    stanca, che, girando le spalle alla luce cruda e importuna, sedeva
    sull'unica poltrona che conteneva il loro frusto salotto.
    - Sono tanto felice! - ripet? - e anche tu devi essere felice!
    La  signora  Vane fece una smorfia e pos? sul capo della figlia le
    mani sottili, imbiancate al bismuto.  - Felice!  - fece eco.  - Io
    sono felice quando ti vedo recitare, Sybil. Tu non devi pensare ad
    altro che alla tua arte.  Il signor Isaacs ? stato molto buono con
    noi e noi gli dobbiamo dei soldi.
    La ragazza alz? gli occhi, arrabbiata. - Soldi, mamma? esclam?.  E
    che importanza hanno i soldi? L'amore conta pi? del denaro.
    -  Il signor Isaacs ci ha anticipato cinquanta sterline per pagare
    i nostri debiti e per comperare il corredo occorrente a James; non
    devi dimenticarlo, Sybil.  Cinquanta sterline sono una grossissima
    somma. Il signor Isaacs ? stato molto gentile.
    - Non ? un signore, mamma, e odio il suo modo di parlarmi disse la
    fanciulla, alzandosi in piedi e andando verso la finestra.
    -  Non  so  che cosa faremmo senza di lui - rispose la vecchia con
    voce lamentosa.
    Sybil Vane scosse la testa e si mise a ridere.  - Non abbiamo  pi?
    bisogno  di  lui,  mamma.  Adesso  il  Principe Azzurro governa le
    nostre vite. - Qui si ferm?.  Fu come se una rosa le fosse fiorita
    nel sangue e le avesse velato le guance. Un respiro rapido schiuse
    i  petali  delle  sue  labbra,  che tremarono.  Un soffio caldo di
    passione alit? su lei e mosse le pieghe delicate del suo vestito.
    - Lo amo - disse con semplicit?.
    - Bambina sciocca,  bambina sciocca!  - fu la frase  pappagallesca
    che ebbe in risposta.  Il movimento delle dita adunche,  ornate di
    gioielli falsi, rendeva grottesche le parole.
    La fanciulla rise di nuovo.  Nella sua voce vibrava la gioia di un
    uccellino  in  gabbia.  I  suoi  occhi afferrarono la melodia e le
    fecero eco,  raggianti,  quindi si chiusero un istante,  quasi per
    nascondere il loro segreto.  Quando si riaprirono c'era passata su
    una nebbia di sogno.
    La saggezza dalle labbra sottili le parlava  dalla  sedia  logora,
    raccomandando  prudenza,  citando  quel  libro  di codardia il cui
    autore si appropria del nome di senso comune.  Lei non  ascoltava:
    era  libera  nella sua prigione di passione.  Con lei c'era il suo
    Principe,  il  Principe  Azzurro;  aveva  chiamato  la  memoria  a
    evocarlo,   aveva  mandato  la  sua  anima  a  cercarlo  e  questa
    gliel'aveva ricondotto.  Il  suo  bacio  tornava  a  bruciarle  le
    labbra; e le sue palpebre erano calde del suo alito.
    Allora  la  saggezza  cambi?  metodo  e  parl?  di  indagini  e di
    scoperte.  Quel giovanotto poteva essere ricco;  in quel  caso  si
    poteva  pensare  a un matrimonio.  Le onde dell'astuzia mondana si
    spezzavano contro  la  conchiglia  del  suo  orecchio;  le  frecce
    dell'abilit?  la  sfioravano  senza  colpirla.  Vedeva muoversi le
    labbra sottili e sorrideva.  Di colpo sent? il bisogno di parlare;
    quel  silenzio  pieno  di parole la disturbava.  - Mamma,  mamma -
    esclam?, - perch? mi ama tanto? Io so perch? lo amo, lo amo perch?
    ? quello che l'amore in persona dovrebbe essere. Ma lui, cosa vede
    in me? Io non sono degna di lui. Eppure, non so perch?, per quanto
    mi senta tanto al disotto di lui,  non mi sento  umile;  mi  sento
    orgogliosa, terribilmente orgogliosa. Mamma, tu hai amato il babbo
    come io amo il Principe Azzurro?
    La  vecchia  impallid?  sotto  la  polvere  da  poco prezzo che le
    incipriava le guance e le sue  labbra  aride  si  torsero  in  uno
    spasimo di pena.  Sybil corse da lei, le gett? le braccia al collo
    e la baci?. - Perdonami, mamma,  lo so che ti addolora parlare del
    babbo;  ma  ti  addolora  solo perch? l'hai amato tanto.  Non devi
    avere quell'aria triste. Io sono felice oggi come tu vent'anni fa.
    Ah, lasciami essere felice per sempre!
    - Bambina,  sei troppo giovane per pensare a innamorarti.  E  poi,
    che ne sai di quel giovanotto? Non conosci nemmeno il suo nome. E'
    tutta  una  storia  che non ci conviene affatto;  e veramente,  in
    questo momento che James parte  per  l'Australia,  devo  dire  che
    avresti  dovuto  dimostrarmi  un po' pi? di riguardo.  Per?,  come
    dicevo prima, se ? ricco...
    - Ah, mamma, mamma, lasciami essere felice!
    La signora Vane la guard? e,  con uno di quei falsi gesti teatrali
    che  negli  attori  diventano tanto spesso una seconda natura,  la
    strinse tra le braccia.  In quel momento la porta  si  apr?  e  un
    ragazzo  coi  capelli  bruni  arruffati  entr?  nella stanza.  Era
    tarchiato,  coi piedi e  le  mani  grandi,  e  un  po'  goffo  nei
    movimenti;  non  era di razza fine come la sorella.  Era difficile
    indovinare la stretta parentela che esisteva tra loro.  La signora
    Vane lo fiss? e intensific? il sorriso;  mentalmente innalzava suo
    figlio alla dignit? di pubblico e si sentiva  sicura  che  il  suo
    "tableau" era interessante.  - Potresti conservare per me qualcuno
    dei tuoi baci, Sybil,  mi pare - disse il ragazzo con un brontol?o
    bonario.
    - Ah,  ma a te non piacciono i baci, James - esclam? lei. - Sei un
    brutto orsaccio. - E corse attraverso la stanza e l'abbracci?.
    James Vane guard? teneramente in volto la sorella. - Vieni fuori a
    fare una passeggiata con me,  Sybil.  Non credo  che  rivedr?  mai
    questa orribile Londra, e di certo non desidero rivederla.
    -  Figlio  mio,  non  dire  di  queste  cose tremende - mormor? la
    signora Vane,  prendendo in mano con  un  sospiro  uno  sgargiante
    costume  teatrale  e cominciando a rammendarlo.  Sentiva una certa
    delusione perch? lui non si era unito al gruppo,  cosa che avrebbe
    accresciuto il carattere teatralmente pittoresco della situazione.
    - Perch? no, mamma? Io penso cos?.
    -   Tu   mi   addolori,   figliuolo.   Ho   fiducia  che  tornerai
    dall'Australia in buone condizioni finanziarie.  Credo  che  nelle
    Colonie non esiste nessun tipo di societ?, di quella che merita di
    essere  chiamata  societ?,  e  perci?  quando  avrai fatto fortuna
    dovrai tornare a prendere il tuo posto a Londra.
    - Societ?!  - borbott? il ragazzo.  - Non voglio sapere niente  di
    tutto questo.  Mi piacerebbe fare un po' di soldi per poter portar
    via dal palcoscenico te e Sybil. Lo detesto!
    - Oh,  James - disse Sybil ridendo,  - come sei poco  gentile!  Ma
    vuoi  veramente uscire a passeggio con me?  Che bella cosa!  Avevo
    paura che tu andassi a dire addio a qualcuno dei tuoi amici, a Tom
    Hardy che ti ha dato quella orribile pipa oppure a Ned Langton che
    ride di te perch? la fumi.  Sei molto caro  a  concedermi  il  tuo
    ultimo pomeriggio. Dove andiamo? Andiamo nel Parco.
    - Sono troppo mal vestito - rispose lui, accigliato. - Soltanto la
    gente elegante va nel Parco.
    -  Che  sciocchezze,  James!  -  sussurr? lei,  accarezzandogli la
    manica della giacca.
    Egli esit? un attimo.  - Benissimo - disse finalmente,  -  ma  non
    metterci troppo tempo a vestirti. - Sybil usc? dalla porta come se
    ballasse;  la  si  poteva  sentire  cantare mentre saliva le scale
    correndo.  Sopra le loro teste si sent?  il  ticchett?o  dei  suoi
    piedini sul pavimento.
    Egli  and? su e gi? per la stanza un paio di volte,  poi,  rivolto
    alla figura immobile sulla sedia,  disse: - Mamma,  sono pronte le
    mie cose?
    - Tutto pronto,  James - rispose lei,  tenendo gli occhi fissi sul
    lavoro. Da qualche mese ormai quando si trovava da sola con questo
    suo figlio rude e serio  si  sentiva  a  disagio.  Quando  i  loro
    sguardi si incontravano, la sua segreta natura superficiale ne era
    turbata.  Poich?  egli  non  diceva  altro,  il  silenzio  divent?
    intollerabile per  lei  e  cominci?  a  lamentarsi.  Le  donne  si
    difendono  attaccando,  cos?  come attaccano per mezzo di una resa
    improvvisa e strana. Disse:
    - Spero che sarai contento della tua vita  marinara,  James.  Devi
    ricordarti  che  te  la  sei scelta da te.  Avresti potuto entrare
    nello studio di un procuratore;  i legali formano una classe molto
    rispettabile  e  in  campagna vanno spesso a pranzo dalle migliori
    famiglie.
    - Detesto gli uffici e detesto gli impiegati - replic? lui.  -  Ma
    hai perfettamente ragione; la mia vita me la sono scelta da me. Ti
    dico solo una cosa: sorveglia Sybil.  Non permettere che le accada
    niente di male. Mamma, devi vegliare su di lei.
    - James,  questi sono  discorsi  strani.  Naturalmente  veglio  su
    Sybil.
    - Sento dire che un giovane signore viene a teatro tutte le sere e
    che  va dietro le quinte a parlare con lei.  E' vero?  e tu che ne
    pensi?
    -  James,  tu  parli  di  cose  che  non  capisci.   Nella  nostra
    professione  siamo  abituate a ricevere molte delicate attenzioni.
    Io stessa ricevevo parecchi mazzi di fiori alla volta, ai tempi in
    cui l'arte drammatica era veramente apprezzata.  Quanto  a  Sybil,
    non so finora se il suo affetto sia serio o no;  ma non c'? dubbio
    che il giovine di cui parli ? un perfetto  gentiluomo.  Con  me  ?
    sempre  cortesissimo;  e  poi ha tutta l'aria di un uomo ricco e i
    fiori che manda sono magnifici.
    - Per? non sai nemmeno come si  chiama  -  disse  il  ragazzo  con
    asprezza.
    -  No  - rispose la madre,  con un'espressione di tranquillit? sul
    viso.  - Finora non ha rivelato il suo  vero  nome.  Penso  che  ?
    davvero   romantico   da   parte  sua.   Probabilmente  appartiene
    all'aristocrazia.
    James Vane si morse le labbra.  - Fa' attenzione  a  Sybil,  mamma
    esclam?; - veglia su di lei.
    - Figlio mio,  non farmi disperare.  Sybil sta sempre sotto la mia
    custodia speciale. Naturalmente, se quel signore ? ricco,  non c'?
    ragione  perch?  lei  non  possa  sposarlo.  Sono sicura che ? uno
    dell'aristocrazia; devo dire che ne ha tutto l'aspetto.  Per Sybil
    potrebbe  essere un matrimonio brillantissimo.  Loro due farebbero
    una  coppia  deliziosa;   lui  ?   di   una   bellezza   veramente
    straordinaria: tutti quanti ne sono colpiti.
    Il ragazzo borbott? qualcosa tra s? e s?,  tamburellando sul vetro
    della finestra con le sue rozze dita. Era sul punto di girarsi per
    parlare quando la porta si apr? e Sybil entr? correndo.
    - Come siete seri tutti e due! - grid?. - Che ? successo?
    - Niente - rispose il fratello. - Bisogna pure essere seri qualche
    volta.  Addio,  mamma;  vorrei  pranzare  alle  cinque.   Tutto  ?
    imballato,  meno  le  mie  camicie,  e  cos?  non  hai  bisogno di
    occuparti di niente.
    Il tono che aveva preso con lei l'aveva grandemente urtata  e  nel
    suo aspetto c'era qualcosa che le dava un senso di paura.
    - Dammi un bacio, mamma - disse la fanciulla. Le sue labbra simili
    a un fiore sfiorarono la guancia avvizzita riscaldandone il gelo.
    -  Figlia mia,  figlia mia!  - grid? la signora Vane,  alzando gli
    occhi al soffitto, in cerca di un loggione immaginario.
    - Andiamo, Sybil - disse suo fratello,  impaziente,  perch? odiava
    le smancerie materne.
    Uscirono  nella  luce  del  sole,  che  pareva tremolare al vento,
    avviandosi  gi?  per  la  malinconica  Euston  Road.   I  passanti
    guardarono meravigliati quel giovane imbronciato, pesante, vestito
    di  abiti  ordinari  e mal tagliati,  che accompagnava una ragazza
    cos?  graziosa,   dall'aspetto  cos?  fine.   Sembrava  un   rozzo
    giardiniere che portasse a passeggio una rosa.
    Di  quando  in  quando  James  si accigliava quando sorprendeva le
    occhiate  curiose  di  qualche  estraneo.   Sentiva  quel  disagio
    nell'essere  guardato  che  ?  proprio  dei geni negli ultimi anni
    della loro vita,  ma dal quale la gente ordinaria  non  si  libera
    mai.  Sybil  dal  canto  suo  non  si  rendeva  minimamente  conto
    dell'effetto che produceva. L'amore tremava sulle sue labbra sotto
    forma di riso. Pensava al Principe Azzurro; e, per poter pensare a
    lui anche di pi?,  non ne parlava,  ma  chiacchierava  della  nave
    sulla  quale  James  stava  per  imbarcarsi,  dell'oro che avrebbe
    certamente trovato, della bellissima ereditiera alla quale avrebbe
    salvato la vita dalle mani  dei  malvagi  briganti  dalle  camicie
    rosse;  dato  che  lui  non  era  destinato a restare marinaio,  o
    commissario, o quella qualsiasi cosa che stava per diventare,  oh,
    no!  La  vita  del  marinaio  era  terribile.  Pensare  di  essere
    rinchiuso in un orrendo bastimento, con le onde rauche,  incurvate
    come gobbe immense,  che lottavano per soverchiarlo, il vento nero
    che abbatteva gli alberi e stracciava le vele riducendole a lunghi
    nastri sibilanti!  Avrebbe lasciato  il  bastimento  a  Melbourne,
    dicendo  cortesemente  addio  al  capitano,  e sarebbe andato alle
    miniere d'oro.  Entro una settimana  avrebbe  trovato  una  grossa
    pepita d'oro puro,  la pi? grossa che mai fosse stata scoperta,  e
    l'avrebbe portata gi? alla costa,  in un  carro  scortato  da  sei
    poliziotti a cavallo.  I briganti l'avrebbero attaccato tre volte,
    ma sarebbero stati  messi  in  fuga  con  un'immensa  carneficina.
    Oppure no: non sarebbe andato per niente nelle miniere d'oro. Sono
    luoghi  orrendi,  dove  gli  uomini si ubriacano,  si sparano l'un
    l'altro nei bar e usano un linguaggio sconcio.  Sarebbe  diventato
    un bravo allevatore di pecore;  e una sera, cavalcando verso casa,
    avrebbe visto la bella ereditiera  rapita  da  un  bandito  su  un
    cavallo  nero,  gli  avrebbe  dato la caccia e l'avrebbe liberata.
    Lei, naturalmente,  si sarebbe innamorata di lui e lui di lei,  si
    sarebbero sposati, sarebbero tornati in patria e avrebbero vissuto
    a  Londra in una casa immensa.  S?,  il destino aveva in serbo per
    lui delle cose magnifiche;  ma bisognava che fosse molto  buono  e
    non perdesse la calma n? spendesse stupidamente il suo denaro. Lei
    non  aveva  che  un anno pi? di lui,  ma conosceva molto meglio la
    vita. Doveva promettere,  anche,  di scriverle con ogni corriere e
    di recitare le preghiere tutte le sere prima di addormentarsi. Dio
    era tanto buono e avrebbe vegliato su di lui;  lei avrebbe pregato
    per lui e in pochi anni sarebbe tornato ricco e felice.
    Il ragazzo l'ascoltava imbronciato e  non  rispondeva;  l'idea  di
    allontanarsi da casa gli stringeva il cuore.
    Ma  non  era  soltanto  questo a renderlo scuro e accigliato.  Per
    quanto inesperto fosse,  sentiva fortemente tutti i pericoli della
    posizione  di Sybil.  Quel giovane elegante che le faceva la corte
    non poteva significar niente di buono per lei: era un  signore,  e
    lo  odiava per questo,  lo odiava per un certo suo curioso istinto
    di razza del quale non era responsabile e che appunto  per  questo
    dominava  ancora  pi?  fortemente  il suo animo.  Si rendeva conto
    anche della superficialit? e della vacuit? del  carattere  di  sua
    madre  e vedeva un pericolo immenso per Sybil e per la felicit? di
    Sybil.  I figli cominciano con l'amare i  genitori;  crescendo  li
    giudicano e qualche volta li perdonano.
    Sua madre!  Voleva chiederle una cosa, una cosa che da lunghi mesi
    andava rimuginando silenziosamente.  Una frase sentita per caso al
    teatro,  una  facezia  giunta  per  caso  al suo orecchio una sera
    mentre  stava  aspettando  alle  porte  del  palcoscenico,   aveva
    scatenato  in lui una folla di pensieri orribili.  Se la ricordava
    come se fosse stata la sferzata di uno scudiscio sulla faccia.  Le
    sopracciglia  gli si corrugarono in un solco a forma di cuneo e si
    morse le labbra con una smorfia di pena.
    - Non ascolti neppure una parola di ci? che ti sto dicendo,  James
    -  esclam? Sybil,  - e io sto facendo i piani pi? splendidi per il
    tuo futuro. Su, d? qualche cosa.
    - Che vuoi che dica?
    - Oh,  che farai il bravo ragazzo e non ci  dimenticherai  rispose
    sorridendogli.
    Lui  scroll? le spalle.  - E' pi? probabile che tu di scordi di me
    Sybil, e non io di te.
    Sybil arross?. - Che vuoi dire, James? - chiese.
    - Hai un amico nuovo,  a quel che sento.  Chi ??  Perch? non me ne
    hai parlato? Non ? una buona cosa per te.
    -  Basta,  James  - esclam? lei.  - Non devi dire niente contro di
    lui. Lo amo.
    - Come, se non sai neanche come si chiama!  - replic? il ragazzo.-
    Chi ?? Io ho il diritto di saperlo.
    -  Si  chiama  Principe  Azzurro.  Non  ti piace questo nome?  Oh,
    scioccherello, non dovresti mai dimenticarlo. Basta che tu lo veda
    perch? tu pensi che ? l'essere pi?  meraviglioso  che  ci  sia  al
    mondo. Un giorno lo conoscerai, quando tornerai dall'Australia. Ti
    piacer? infinitamente; tutti gli vogliono bene, e io... io lo amo.
    Dovresti  venire  a  teatro  stasera.  Lui  ci  sar?,  e io faccio
    Giulietta. Oh, come reciter?!  Pensa,  James,  essere innamorata e
    recitare Giulietta!  Avere lui tra gli spettatori, recitare per la
    sua gioia!  Ho paura di spaventare la compagnia;  di spaventarla o
    di entusiasmarla.  Essere innamorati significa superare se stessi.
    Quel povero tremendo signor Isaacs urler? "genio!"  a  tutti  quei
    vagabondi del bar;  lui che mi ha predicato come un dogma, staser?
    mi annuncer? come una rivelazione;  ne sono certa.  E tutto ? suo,
    soltanto suo,  del Principe Azzurro, del mio magnifico innamorato,
    del mio dio di grazia. Io sono povera vicino a lui; povera!  E che
    vuol dire?  Quando la povert? si affaccia alla porta l'amore entra
    dalla finestra.  Bisogna riscrivere i nostri proverbi;  sono stati
    fatti d'inverno e ora ? l'estate; ma per me ? primavera, tutta una
    danza di fiori nel cielo turchino.
    - E' un signore - disse il ragazzo, con la faccia scura.
    - Un Principe! - esclam? lei, musicalmente. - Che vuoi di pi??
    - Vuole fare di te la sua schiava.
    - L'idea di essere libera mi fa rabbrividire.
    - Voglio che tu stia in guardia da lui.
    -  Basta  vederlo per adorarlo;  basta conoscerlo per confidare in
    lui.
    - Sybil, tu sei pazza per lui.
    Lei rise e lo prese per un braccio.  - Caro il  mio  James,  parli
    come se tu avessi cent'anni.  Un giorno o l'altro sarai innamorato
    anche tu e allora saprai cosa vuol dire.  Non prendere  quell'aria
    imbronciata.  Dovresti  essere  contento  pensando che,  bench? tu
    parta,  mi lasci pi? felice di quanto  non  sia  mai  stata  prima
    d'oggi.  La  vita  ? stata dura per noi due,  terribilmente dura e
    difficile; ma d'ora in poi tutto sar? diverso.  Tu te ne vai verso
    un mondo nuovo,  io l'ho trovato.  Ecco qui due sedie; sediamoci a
    guardare la bella gente che passa.
    Si sedettero in mezzo a una folla di gente che stava  a  guardare.
    Dall'altra  parte  del  viale le aiuole di tulipani fiammeggiavano
    come palpitanti cerchi di fuoco. Nell'aria immobile era sospeso un
    pulviscolo bianco,  che sembrava una nuvola tremolante di  polvere
    di  giaggiolo.  I  parasoli  dai  colori  vivaci  ballavano  e  si
    tuffavano, simili a mostruose farfalle.
    Lei faceva parlare il fratello di se stesso,  delle sue  speranze,
    dei  suoi  progetti.  Questi  parlava lentamente e con sforzo;  si
    passavano l'un l'altro le parole,  come in una partita i giocatori
    si  passano i gettoni.  Sybil si sentiva oppressa;  non riusciva a
    comunicare la gioia che era in lei. Un vago sorriso curvava quella
    bocca imbronciata ed era l'unica eco che le riuscisse di ottenere.
    Alla fine tacque. Di colpo vide in un lampo capelli d'oro e labbra
    ridenti e Dorian Gray pass? in carrozza aperta  con  due  signore.
    Balz? in piedi. - Eccolo! esclam?.
    - Chi? - disse James Vane.
    -  Il  Principe  Azzurro  -  rispose,  seguendo la vittoria con lo
    sguardo.
    Il fratello scatt? in  piedi  e  la  afferr?  bruscamente  per  un
    braccio.
    - Fammelo vedere. Qual ?? Mostramelo, voglio vederlo - esclam?; ma
    in  quel  momento  pass?  in  mezzo  il tiro a quattro del duca di
    Berwick,  e quando lo spazio rimase sgombro la carrozza era uscita
    ormai dal Parco.
    Sybil, tristemente, mormor?: - E' sparito. Avrei avuto piacere che
    tu lo vedessi.
    - Anch'io.  Perch?,  com'? vero che c'? un Dio in Cielo, se mai ti
    facesse qualche cosa di male lo ammazzer?.
    Lei lo guard? esterrefatta,  ma  lui  ripet?  quelle  parole,  che
    tagliarono  l'aria  come un pugnale.  Quelli che stavano intorno a
    loro cominciarono a interessarsi; una signora che era vicino rise.
    - Andiamo via, James, andiamo via - mormor? la fanciulla.  Egli le
    tenne dietro testardamente mentre passava attraverso la folla; era
    soddisfatto  di  aver detto quello che aveva detto.  Quando furono
    arrivati alla statua di Achille essa si gir?,  e aveva negli occhi
    una  compassione  che si mut? in riso sulle sue labbra.  Scosse la
    testa:
    - Sei uno stupido James, un ragazzino bizzoso e nient'altro.  Come
    puoi  dire  quelle  cose  orribili?  Non sai quello che dici;  sei
    semplicemente geloso e cattivo. Ah,  vorrei che tu ti innamorassi;
    l'amore rende buoni, e quello che hai detto era malvagio.
    -  Ho sedici anni - rispose lui - e capisco le cose.  La mamma non
    ti pu? essere di nessun aiuto;  non ha  idea  di  cosa  significhi
    sorvegliarti.  Ora vorrei non andare pi? in Australia. Quasi quasi
    manderei tutto  all'aria.  Lo  farei  certamente,  se  non  avessi
    firmato un contratto.
    - Oh,  James,  non essere cos? serio !  Sei come uno degli eroi di
    quegli stupidi melodrammi che alla mamma piaceva  tanto  recitare.
    Non voglio litigare con te.  L'ho visto,  e per me vederlo basta a
    rendermi felice. Non litighiamo. So che non faresti mai del male a
    qualcuno che amo, non ? vero?
    - No, finch? tu lo ami, credo - fu la sua risposta cocciuta.
    - Lo amer? sempre! - grid? lei.
    - E lui?
    - Sempre, anche lui.
    - Far? bene.
    Essa si spost? da lui;  poi rise e gli pos? la mano  sul  braccio.
    Non era che un ragazzo.
    Al  Marble  Arch presero un omnibus che li lasci? vicino alla loro
    modesta casa di Euston Road.  Erano  le  cinque  passate  e  Sybil
    doveva  riposare  un paio d'ore prima della recita.  James insist?
    perch? lo facesse; disse che preferiva separarsi da lei quando non
    c'era la mamma.  Questa avrebbe sicuramente fatto una scena e  lui
    detestava le scene di qualsiasi tipo.
    Si  dissero  addio  in  camera di Sybil.  Il cuore del ragazzo era
    gonfio di gelosia e di odio feroce, omicida, contro quell'estraneo
    che, gli sembrava, si era frapposto tra loro due. Per?, quando lei
    gli gett? le braccia al collo e gli pass? le dita tra i capelli si
    ammans? e la baci? con affetto sincero.  Scendendo le scale  aveva
    le lacrime agli occhi.
    Al  piano  di  sotto lo aspettava sua madre e,  quando entr?,  gli
    rimprover? la sua poca puntualit?. Non rispose e si sedette al suo
    pasto  frugale.   Le  mosche  ronzavano  intorno  alla  tavola   e
    passeggiavano sulla tovaglia macchiata. Attraverso il rumore degli
    omnibus  e  delle carrozze poteva sentire quella voce monotona che
    divorava tutti i minuti che gli restavano.
    Dopo un po' spinse lontano il piatto e si prese la  testa  tra  le
    mani.  Sentiva  di avere il diritto di sapere;  se le cose stavano
    come sospettava avrebbero dovuto dirglielo  prima.  Sua  madre  lo
    guardava,   oppressa   dalla   paura.   Le   parole   le  cadevano
    macchinalmente dalle labbra;  le sue dita  sgualcivano  un  logoro
    fazzoletto di trina.  Quando l'orologio batt? le sei lui si alz? e
    and? fino alla porta;  poi si gir? indietro e la  guard?.  I  loro
    sguardi  si incontrarono e lui vide in quello di lei una frenetica
    invocazione di piet? che lo rese furibondo.
    - Mamma,  ho da chiederti una cosa  -  disse.  Gli  occhi  di  lei
    vagarono intorno alla stanza e non rispose.  - Dimmi la verit?: ho
    diritto di sapere. Tu eri sposata col babbo?
    Lei emise un profondo sospiro, che era un sospiro di sollievo.  Il
    momento  terribile,  il momento che aveva temuto,  notte e giorno,
    per settimane, per mesi, era venuto, alla fine, eppure non sentiva
    nessun terrore.  Anzi  in  una  certa  misura,  per  lei  era  una
    delusione.  La  volgare nettezza della domanda voleva una risposta
    netta.  La situazione non era stata  preparata  gradualmente,  era
    aspra, e le faceva pensare a una prova mal riuscita.
    -  No  -  rispose,  meravigliata  lei stessa della dura semplicit?
    della vita.
    -  Allora  il  babbo  era  un  mascalzone?  -  grid?  il  ragazzo,
    stringendo i pugni.
    Lei  scosse  il capo.  - Io sapevo che non era libero.  Ci amavamo
    immensamente. Se avesse vissuto avrebbe provveduto a noi. Non dire
    niente  contro  di  lui,  figliuolo;  era  tuo  padre  ed  era  un
    gentiluomo. Aveva parentele altolocate.
    Una  bestemmia  gli  sfugg? dal labbro.  - A me non importa niente
    proruppe;  - ma non lasciare che Sybil...  Quello che ? innamorato
    di lei,  o che dice di esserlo, ? un gentiluomo, non ? vero? E con
    parentele altolocate, credo.
    Un senso nauseante di umiliazione prese la donna; pieg? la testa e
    si asciug? gli occhi colle mani tremanti. Mormor?:
    - Sybil ha una madre. Io non l'avevo.
    Il ragazzo ne fu commosso.  Venne  verso  di  lei  e  si  chin?  a
    baciarla.
    - Mi dispiace se ti ho dato un dolore chiedendoti del babbo disse;
    -  ma  non  potevo  farne  a  meno.  Ora devo andare.  Addio.  Non
    dimenticare che ora hai soltanto una figlia a cui badare;  e credi
    a me: se quell'uomo fa del male a mia sorella,  io scoprir? chi ?,
    lo ritrover? e lo ammazzer? come un cane. Lo giuro.
    La folle esagerazione della minaccia,  il gesto passionale che  lo
    accompagnava,  le  parole  pazzescamente melodrammatiche le fecero
    sembrare pi? vivida la vita. Si ritrov? in un'atmosfera che le era
    familiare;  respir? pi? liberamente e per la prima volta da  molti
    mesi  prov?  una  vera  ammirazione  per  suo  figlio.  Le sarebbe
    piaciuto prolungare la scena sulla stessa scala emozionale, ma lui
    tagli? corto.  C'era da portar gi? il bagaglio  e  da  cercare  le
    sciarpe;  l'uomo di fatica della pensione andava su e gi?; bisogn?
    contrattare col vetturino;  il momento and? perso  in  tutti  quei
    dettagli  volgari.  Fu  con un rinnovato senso di delusione che la
    madre sventol? dalla finestra il logoro fazzoletto di trina quando
    il figlio se ne and?.  Si rendeva conto che una  grande  occasione
    era andata sprecata,  ma si consol? dicendo a Sybil quanto sarebbe
    stata desolata la sua esistenza ora che le  restava  soltanto  una
    figlia  a  cui  badare.  Si  ricord? della frase: le era piaciuta.
    Della minaccia non disse niente. Era stata formulata vivacemente e
    drammaticamente.  Disse a se stessa che un  giorno  o  l'altro  ne
    avrebbero riso tutti insieme.





    Capitolo sesto.

    - Penso che tu abbia sentito la notizia, Basil - disse Lord Henry,
    quando  Hallward  venne  introdotto  in  un  salottino privato del
    Bristol dov'era apparecchiato per tre persone.
    - No, Harry - rispose l'artista,  consegnando cappello e soprabito
    al cameriere.  - Di che si tratta?  Non di politica, spero; quella
    non m'interessa.  Non c'? una sola persona alla Camera dei  Comuni
    che  valga la pena di dipingere,  anche se molti di loro avrebbero
    un aspetto un po' migliore se li imbiancassero un po'.
    - Dorian Gray si ? fidanzato.  - Disse Lord Henry  fissandolo  nel
    parlare.
    Hallward  sobbalz?,  poi  corrug?  la fronte.  - Dorian fidanzato!
    Impossibile!
    - E' la pura verit?.
    - Con chi?
    - Con una piccola attrice qualunque.
    - Non ci posso credere. Dorian ha troppo buon senso.
    - Mio caro Basil, Dorian ? troppo saggio per non fare, ogni tanto,
    una sciocchezza.
    - Il matrimonio non ? cosa che si possa fare ogni tanto, Harry.
    - Salvo che in America - rispose mollemente Lord Henry.  -  Ma  io
    non ti ho detto che si ? sposato;  ho detto che si ? fidanzato, il
    che ? molto diverso.  Io  mi  ricordo  nettissimamente  di  essere
    sposato,  ma  non  mi  ricordo  affatto di essere stato fidanzato.
    Quasi quasi, credo di non essere mai stato fidanzato.
    - Ma pensa alla nascita di Dorian,  alla sua posizione,  alla  sua
    ricchezza.  Sarebbe  assurdo se si sposasse tanto al disotto della
    sua condizione.
    - Basil,  se vuoi fargli sposare quella ragazza non hai altro  che
    da dirgli questo: allora lo far? senz'altro. Quando un uomo fa una
    cosa assolutamente stupida ? sempre per il pi? nobile dei motivi.
    - Spero che sia una buona ragazza, Harry. Non vorrei vedere Dorian
    legato  a  qualche  creatura ignobile che potrebbe avvilire il suo
    carattere o rovinare la sua intelligenza.
    - Oh, meglio che buona: ? bella - mormor? Lord Henry, sorseggiando
    un bicchiere di vermouth e amaro  d'arancio.  Dorian  dice  che  ?
    bella  e in cose di questo genere si sbaglia di rado.  Il ritratto
    che tu gli hai fatto  ha  accresciuto  ai  suoi  occhi  il  pregio
    dell'aspetto  personale  altrui;  ha avuto,  tra gli altri,  anche
    quest'effetto eccellente. La vedremo stasera,  se quel ragazzo non
    si ? dimenticato dell'appuntamento.
    - Dici sul serio?
    - Proprio sul serio,  Basil. Mi sentirei infelicissimo se pensassi
    di poter mai essere pi? serio di quanto lo sono in questo momento.
    - Ma tu lo approvi, Harry?  - chiese il pittore,  andando su e gi?
    per  la  stanza  e  mordendosi  le labbra.  Non ? possibile che lo
    approvi. E' un'infatuazione stupida.
    - Ormai non approvo n? disapprovo pi? niente.  Significa  assumere
    un atteggiamento assurdo nei confronti della vita.  Non faccio mai
    attenzione a quello che dice la gente ordinaria e non mi immischio
    mai in quello che fanno le persone simpatiche.  Se una personalit?
    mi  affascina,  per  me  qualsiasi  modo di espressione che quella
    personalit? sceglie ?  assolutamente  delizioso.  Dorian  Gray  si
    innamora  di  una  bella ragazza che fa la parte di Giulietta e le
    chiede  di  sposarlo.   Perch?  no?   Se  sposasse  Messalina  non
    diventerebbe  meno  interessante  per questo.  Sai che non sono un
    campione del matrimonio.  Il vero inconveniente del  matrimonio  ?
    che  impedisce  di  essere  egoisti  e  chi  non ? egoista ? senza
    colore,   manca  di  individualit?.   Tuttavia   ci   sono   certi
    temperamenti  che il matrimonio rende pi? complessi: conservano il
    loro egoismo e vi aggiungono molti altri "Io";  sono costretti  ad
    avere  pi?  di una vita,  diventano pi? altamente organizzati,  ed
    essere   altamente   organizzati   ?   secondo   me    l'obiettivo
    dell'esistenza umana. Inoltre, ogni esperienza ha il suo valore; e
    del matrimonio si pu? dire quello che si vuole, ma indubbiamente ?
    un'esperienza.  Spero che Dorian Gray faccia di quella ragazza sua
    moglie,  l'adori appassionatamente per sei mesi e d'improvviso sia
    affascinato da un'altra: come studio sarebbe meraviglioso.
    -  Harry,  tu  non  pensi  una  sola  parola di tutto questo.  Sai
    benissimo che ? come dico io.  Se la vita di Dorian fosse rovinata
    tu ne saresti addolorato pi? di chiunque altro. Sei molto migliore
    di quanto pretendi di essere.
    Lord Henry si mise a ridere.
    -  Il  motivo  per  il  quale a tutti noi piace pensare tanto bene
    degli  altri  ?  che  abbiamo  paura  per  noi  stessi.   La  base
    dell'ottimismo ? il puro e semplice terrore.  Ci crediamo generosi
    perch? attribuiamo al nostro prossimo il possesso di quelle  virt?
    che  saranno  probabilmente di aiuto a noi.  Elogiamo il banchiere
    per poter superare l'attivo del  nostro  conto  e  troviamo  delle
    qualit?  nel bandito nella speranza che risparmi le nostre tasche.
    Tutto quello che ho detto lo penso. Provo il massimo disprezzo per
    l'ottimismo;  e in quanto  a  vite  rovinate,  non  ci  sono  vite
    rovinate eccetto quelle il cui sviluppo viene arrestato. Quando si
    vuole  rovinare un carattere non c'? che da riformarlo.  Quanto al
    matrimonio, naturalmente sarebbe una cosa stupida; ma tra uomini e
    donne esistono altri e pi? interessanti legami.  Io li incoragger?
    certamente:  hanno il pregio di essere di moda.  Ma ecco Dorian in
    persona. Lui ti dir? pi? di quanto non potrei dire io.
    - Caro Harry,  caro Basil,  dovete rallegrarvi  con  me,  l'uno  e
    l'altro!  -  disse  il  giovane,  gettando via il mantello da sera
    dalle ali foderate di satin e stringendo la mano agli amici, l'uno
    dopo l'altro.  - Non sono mai stato cos? felice.  Eppure mi sembra
    che  sia l'unica cosa della quale per tutta la vita sono andato in
    cerca.
    L'eccitazione  e  la  gioia  gli  coloravano  il  viso,  facendolo
    sembrare di una straordinaria bellezza.
    - Spero che tu sia sempre felicissimo,  Dorian, - disse Hallward;-
    ma non arrivo a perdonarti interamente per non avermi fatto sapere
    niente del tuo fidanzamento. A Harry l'hai fatto sapere.
    - E io  non  ti  perdono  di  essere  in  ritardo  per  il  pranzo
    interruppe Lord Henry,  posando la mano sulla spalla del giovane e
    sorridendo nel parlare. - Su, sediamoci e vediamo che cosa vale il
    nuovo chef di qui, e poi ci racconterai come sono andate le cose.
    - In verit? non c'? gran  che  da  raccontare  -  esclam?  Dorian,
    mentre  si sedevano intorno alla piccola tavola rotonda.  - Quello
    che ? accaduto ? semplicemente  questo.  Ieri  sera,  dopo  averti
    lasciato,  Harry,  mi  vestii,  pranzai in quel piccolo ristorante
    italiano di Rupert Street che tu mi hai  fatto  conoscere  e  alle
    otto me ne andai al teatro.  Sybil faceva Rosalinda.  Naturalmente
    la messa in scena era tremenda, e Orlando era ridicolo;  ma Sybil!
    Vorrei che l'aveste veduta.  Quando venne fuori vestita da ragazzo
    era semplicemente meravigliosa. Portava un farsetto di velluto del
    colore della borraccina,  con le maniche del colore del cinnamono,
    pantaloncini marroni coi legacci incrociati,  un grazioso berretto
    verde con una penna di falco fermata da un gioiello e un  mantello
    col  cappuccio,  foderato  di  rosso  cupo.  Aveva tutta la grazia
    delicata di quella figuretta di Tanagra che c'?  nel  tuo  studio,
    Basil.  I  capelli  le  incorniciavano  il volto come foglie scure
    intorno a una rosa pallida. Quanto alla sua interpretazione, bene,
    la vedrete stasera.  E' semplicemente un'artista nata.  Seduto nel
    mio  lurido palco ero assolutamente estasiato;  mi ero dimenticato
    di essere a Londra e nel diciannovesimo secolo,  ero  lontano  col
    mio amore in un bosco non mai visto da alcuno.  Dopo la fine della
    rappresentazione andai a parlarle dietro le quinte. Mentre stavamo
    seduti insieme,  nei suoi occhi apparve un'espressione che non  vi
    avevo mai visto prima d'allora.  Le mie labbra si mossero verso di
    lei e ci baciammo.  Non posso descrivervi che cosa provai in  quel
    momento. Mi sembr? che tutta la mia vita si fosse concentrata fino
    a formare un punto perfetto di gioia color di rosa. Tremava tutta,
    scossa  come un narciso bianco;  poi cadde in ginocchio e mi baci?
    le mani. So che non dovrei dirvi tutto questo,  ma non posso farne
    a  meno.  Naturalmente il nostro fidanzamento ? segretissimo;  lei
    non l'ha detto neanche a sua madre. Non so che cosa diranno i miei
    tutori.  Lord Radley certo sar? furibondo,  ma non me  ne  importa
    niente.  Mi  manca meno di un anno per essere maggiorenne e allora
    potr? fare quello che pi? mi piace. Basil,  non ho avuto ragione a
    prendere  il  mio  amore nella poesia e a trovare la mia sposa nei
    drammi di Shakespeare?  Quelle labbra alle  quali  Shakespeare  ha
    insegnato  a  parlare  mi  hanno  sussurrato nell'orecchio il loro
    segreto;  le braccia di Rosalinda mi hanno abbracciato e Giulietta
    mi ha baciato sulla bocca.
    - S?,  Dorian, penso che tu abbia avuto ragione - disse lentamente
    Hallward.
    - Oggi l'hai vista? - chiese Lord Henry.
    Dorian scosse il capo.  - L'ho lasciata nella selva di Arden e  la
    ritrover? in un giardino di Verona.
    Lord Henry sorseggiava lo champagne con aria pensierosa.
    -  In che momento preciso hai pronunciato la parola matrimonio?  E
    lei che ti ha risposto? Forse te ne sei completamente dimenticato.
    - Caro Harry,  non ho trattato la cosa come si  tratta  un  affare
    commerciale  e  non ho fatto una domanda formale.  Le ho detto che
    l'amavo e lei mi ha detto che non era degna di essere mia  moglie.
    Non  degna!  Se  per me il mondo intero ? un niente in confronto a
    lei!
    - Le donne sono mirabilmente pratiche - mormor?  Lord  Henry,  ben
    pi? pratiche di noi.  Nelle situazioni di questo genere noi spesso
    ci dimentichiamo di parlare di matrimonio, ma loro se ne ricordano
    sempre.
    Hallward gli mise una mano sul braccio.
    - Lascia andare,  Harry.  Hai detto una cosa che ha urtato Dorian.
    Lui  non  ?  come gli altri uomini e non farebbe del male ad anima
    viva. La sua natura ? troppo bella.
    Lord Henry guard? attraverso la tavola.
    - Dorian non si offender? mai con me -  rispose.  -  Se  ho  fatto
    quella  domanda ? stato per la migliore delle ragioni: per l'unica
    ragione,  in realt?,  che scusi chi fa qualunque domanda: per pura
    curiosit?.  La mia teoria ? che sono sempre le donne a chiedere la
    nostra mano e non noi a chiedere la mano delle donne, eccetto,  si
    capisce,  nella  vita piccolo borghese;  ma i piccoli borghesi non
    sono gente moderna.
    Dorian Gray rise, scuotendo la testa.
    - Harry,  sei proprio incorreggibile,  ma non importa.  Non si pu?
    andare  in  collera  con te.  Quando vedrai Sybil Vane ti renderai
    conto che l'uomo capace di farle del male sarebbe una  belva,  una
    belva  senza cuore.  Non riesco a capire come uno possa desiderare
    di coprire di vergogna quello che ama.  Io amo Sybil Vane e voglio
    porla  su un piedistallo d'oro;  voglio vedere il mondo adorare la
    donna che ? mia. Che cos'? il matrimonio? Un voto irrevocabile. Tu
    per questo te ne fai beffe;  ma non  farlo.  Io  desidero  appunto
    pronunciare un voto irrevocabile.  La sua fiducia mi rende fedele,
    la sua fede mi rende buono.  Quando sono  con  lei  deploro  tutto
    quello  che mi hai insegnato;  essa fa di me un uomo completamente
    diverso da quello che tu conosci.  Sono cambiato: e basta il tocco
    della  mano  di  Sybil  Vane a farmi dimenticare te e tutte le tue
    teorie erronee, affascinanti, velenose e deliziose.
    -  E  queste  sarebbero...?   -  chiese  Lord  Henry,   servendosi
    l'insalata.
    - Oh,  le tue teorie sulla vita,  le tue teorie sull'amore, le tue
    teorie sul piacere. Insomma tutte le tue teorie, Harry.
    - Il piacere ? l'unica cosa intorno alla quale valga  la  pena  di
    avere una teoria - rispose lui con la sua lenta voce melodiosa. Ma
    ho paura di non avere il diritto di rivendicare la paternit? della
    mia teoria: questa appartiene alla natura e non a me. Il piacere ?
    l'esame  che  ci  fa  passare  la  natura,   il  segno  della  sua
    approvazione.  Quando siamo felici siamo sempre buoni,  ma  quando
    siamo buoni non siamo sempre felici.
    -  Ah,  ma  che  cosa  intendi  per  essere buono?  - chiese Basil
    Hallward.
    - S? - gli fece eco Dorian,  appoggiandosi  alla  spalliera  della
    sedia  e  guardando Lord Henry al di sopra dei grappoli pesanti di
    giaggioli dalle labbra purpuree posti al centro della tavola,  che
    cosa intendi per buono, Harry?
    -  Essere  buono significa essere in armonia con se stesso replic?
    questi,  toccando con le dita pallide e affusolate il gambo  esile
    del suo bicchiere.  - La dissonanza consiste nell'essere costretti
    ad essere in armonia con gli altri.  La nostra propria vita,  ecco
    ci? che conta,  quanto alle vite del nostro prossimo,  se vogliamo
    fare i saccenti  o  i  puritani  possiamo  sbandierare  le  nostre
    concezioni morali sul loro conto,  ma in realt? non ci riguardano.
    Inoltre,  ? l'individualismo che si propone lo scopo pi? alto.  La
    morale  moderna  consiste  nell'accettare  le  norme  della nostra
    epoca;  io penso che per qualunque uomo colto accettare  le  norme
    della  sua  epoca  rappresenti  una  forma  della  pi?  grossolana
    immoralit?.
    - Per?, Harry,  chi vive soltanto per se stesso paga indubbiamente
    un prezzo tremendo - sugger? il pittore.
    - S?,  oggi tutto si paga troppo caro.  Penso che la vera tragedia
    dei poveri  consista  nel  fatto  che  l'unica  cosa  che  possono
    permettersi  ? l'abnegazione.  I bei peccati,  come le belle cose,
    costituiscono un privilegio dei ricchi.
    - Non si paga soltanto in denaro.
    - E in che altro modo, Basil?
    - Oh, in rimorso, penso, in sofferenza, in...  insomma,  nell'aver
    coscienza della propria degradazione.
    Lord Henry scosse le spalle.
    -  Mio  caro amico,  l'arte medievale ? deliziosa,  ma le emozioni
    medievali sono anacronistiche. Naturalmente si pu? farne uso nella
    letteratura;   ma  le  sole  cose  che  si  possono  usare   nella
    letteratura sono quelle che non usiamo nella realt?.  Credimi, non
    c'? uomo civilizzato che si penta mai di un piacere,  come non c'?
    uomo non civilizzato che sappia mai che cosa sia il piacere.
    - Io lo so,  che cosa ? il piacere - esclam? Dorian Gray. Consiste
    nell'adorare una persona.
    - Certo,  ? meglio  questo  che  essere  adorati  -  rispose  lui,
    giocando con la frutta.  - Essere adorati ? un fastidio.  Le donne
    ci trattano esattamente come  l'umanit?  tratta  i  suoi  dei:  ci
    adorano  e non fanno che infastidirci perch? facciamo qualche cosa
    per loro.
    - Io direi che qualunque cosa ci chiedano,  esse ce l'hanno donata
    per prime - mormor? il giovane con gravit?. - Sono loro che creano
    l'amore   nella  nostra  natura  e  hanno  quindi  il  diritto  di
    chiedercelo in restituzione.
    - Verissimo, Dorian - esclam? Hallward.
    - Non c'? niente che sia verissimo - disse Lord Henry.
    - Questo per?  ?  verissimo  -  interruppe  Dorian.  -  Devi  pure
    ammettere,  Harry,  che  le  donne  donano all'uomo l'oro pi? puro
    della loro vita.
    - Pu? darsi  -  sospir?  l'altro,  -  ma  poi  invariabilmente  lo
    rivogliono cambiato in spiccioli,  e questo ? il guaio.  Le donne,
    come disse una volta  un  Francese  di  spirito,  ci  ispirano  il
    desiderio  di  fare  dei  capolavori  e  ci  impediscono sempre di
    eseguirli.
    - Harry, sei tremendo ! Non so perch? ti voglio tanto bene.
    - Tu mi vorrai sempre bene,  Dorian - replic? lui.  - Prendete  il
    caff?, voialtri? Cameriere, caff?, fine-champagne e sigarette. No,
    le sigarette non importa,  ne ho.  Basil, non posso permetterti di
    fumare il sigaro.  La sigaretta ? il tipo  perfetto  del  perfetto
    piacere:  ?  deliziosa e ci lascia insoddisfatti.  Che si potrebbe
    desiderare di pi?? S?, Dorian, tu mi vorrai sempre bene. Per te io
    rappresento tutti i peccati che  non  hai  avuto  il  coraggio  di
    commettere.
    - Quante sciocchezze dici, Harry! - esclam? il ragazzo, accendendo
    la  sigaretta  a  un  drago  d'argento  dalla cui bocca usciva una
    fiammella,  che il cameriere aveva messo  in  tavola.  Andiamo  al
    teatro. Quando Sybil apparir? sulla scena tu avrai un nuovo ideale
    di vita. Rappresenter? per te qualcosa che non hai mai conosciuto.
    -  Ho  conosciuto tutto - disse Lord Henry,  con un'espressione di
    stanchezza negli occhi - ma sono sempre pronto  per  un'esperienza
    nuova.  Temo  per? che non esista una simile cosa,  almeno per me;
    comunque,  pu? darsi che la tua meravigliosa fanciulla mi  dia  un
    fremito. Il teatro mi piace: ? tanto pi? vero della vita. Andiamo,
    Dorian,  tu vieni con me. Mi dispiace Basil, ma nel "brougham" c'?
    posto soltanto per due;  bisogner? che tu  venga  dietro  con  una
    vettura di piazza.
    Si  alzarono e indossarono i pastrani,  bevendo il caff? in piedi.
    Il pittore era taciturno e preoccupato.  Aveva il  cuore  oppresso
    dalla  tristezza;  non  riusciva  ad  adattarsi  all'idea  di quel
    matrimonio,  eppure gli sembrava una cosa migliore di tante  altre
    che  avrebbero  potuto  accadere.  Dopo  qualche minuto scesero le
    scale  tutti  insieme.  Egli  fece  la  strada  da  solo,  com'era
    convenuto,  e  durante  tutto  il tempo pot? vedere davanti a s? i
    lumi vivaci del piccolo  "brougham".  Si  sent?  prendere  da  uno
    strano  senso  di perdita;  ebbe la sensazione che Dorian Gray non
    sarebbe mai pi? stato per  lui  tutto  quello  che  era  stato  in
    passato.  La  vita  si era frapposta tra loro...  Gli occhi gli si
    offuscarono e fu come se davanti  a  lui  le  strade  affollate  e
    illuminate si annebbiassero.
    Quando  la  vettura  si  ferm?  davanti  al teatro gli sembrava di
    essere invecchiato di parecchi anni.


















    Capitolo settimo.

    Quella sera,  chi sa perch?,  la sala era affollata  e  il  grasso
    impresario  ebreo  che li ricevette alla porta era tutto raggiante
    d'un sorriso tremulo e untuoso.  Li guid? fino al loro  palco  con
    una specie di umilt? pomposa, agitando le grasse mani ingioiellate
    e  parlando  a  voce  altissima.  Dorian Gray lo detestava pi? del
    solito.  Gli sembrava di essere venuto  a  trovare  Miranda  e  di
    essere stato ricevuto da Calibano. Lord Henry, invece, sentiva una
    certa  simpatia  per  lui,  o  almeno  cos?  disse,  e insist? per
    stringergli la mano,  assicurandolo  che  era  fiero  di  fare  la
    conoscenza  di un uomo che aveva scoperto un autentico genio e che
    aveva fatto fallimento per  un  poeta.  Hallward  si  divertiva  a
    guardare le facce in platea. Il caldo era terribilmente opprimente
    e  l'enorme  lampadario  fiammeggiava come una dalia mostruosa che
    avesse i petali di fuoco giallo.  I  giovanotti  del  loggione  si
    erano   tolti  giacche  e  panciotti  e  li  avevano  appesi  alla
    ringhiera.  Si parlavano  l'un  l'altro  attraverso  il  teatro  e
    dividevano  le  arance  con  le ragazze sgargianti sedute vicino a
    loro.  In  platea  certe  donne  ridevano  con  voci  orribilmente
    stridule  e  stonate.  Dal  bar  arrivava  il  rumore di tappi che
    saltavano.
    - In che razza di posto sei andato  a  trovare  la  tua  divinit?!
    disse Lord Henry.
    -  S? - rispose Dorian Gray,  - ? qui che l'ho trovata,  lei che ?
    pi?  divina  di  qualunque  creatura  vivente.   Quando   reciter?
    dimenticherete  ogni  cosa.  Quando  ? in scena,  questi individui
    volgari,  rozzi,  con le loro facce ruvide e i loro gesti brutali,
    diventano  tutti  diversi.  Tacciono  e  guardano lei;  piangono e
    ridono obbedendo al volere di lei.  Lei li  rende  sensibili  come
    violini,  li  spiritualizza,  e si ha la sensazione che loro e noi
    siamo della stessa carne e dello stesso sangue.
    - Della stessa carne e dello stesso sangue!  Oh,  speriamo di no!-
    esclam?  Lord  Henry che stava esaminando col binocolo il pubblico
    del loggione.
    - Non gli badare, Dorian - disse il pittore.  - Capisco quello che
    vuoi  dire  e credo in questa fanciulla.  Una creatura amata da te
    deve essere meravigliosa;  e  una  fanciulla  capace  di  produrre
    l'effetto   che   hai   descritto   deve  essere  fine  e  nobile.
    Spiritualizzare la propria epoca ? un'impresa che vale la pena  di
    tentare.  Se  questa  fanciulla  pu? dare un'anima a chi ? vissuto
    senza averla,  se pu? creare il senso della bellezza in  gente  la
    cui vita ? stata sordida e brutta, se riesce a spogliarli del loro
    egoismo  e  a  consegnare  loro qualche lacrima per dolori che non
    sono  loro,   ?  degna  di  tutta  la  tua  adorazione,   ?  degna
    dell'adorazione  del mondo.  Fai benissimo a sposarla.  All'inizio
    non pensavo cos?,  ma ora lo ammetto.  Gli Dei hanno creato  Sybil
    Vane per te; senza di lei saresti stato incompleto.
    -  Grazie,  Basil  -  rispose Dorian Gray,  stringendogli la mano.
    Sapevo che mi avresti capito. Harry ? cos? cinico che mi spaventa.
    Ma ecco l'orchestra;  ? spaventosa,  ma dura  solo  cinque  minuti
    circa.  Poi si alza il sipario e tu vedrai la fanciulla alla quale
    sto per dare tutta la mia vita,  alla quale ho dato quanto c'?  di
    meglio in me.
    Un  quarto  d'ora dopo,  tra un fragore straordinario di applausi,
    Sybil  Vane  entr?  in  scena.  S?,  a  guardarla  era  certamente
    graziosa;  una delle pi? graziose creature,  pens? Lord Henry, che
    lui avesse mai visto.  Nella sua grazia timida,  nei  suoi  grandi
    occhi  smarriti  aveva qualcosa di una cerbiatta.  Nel guardare la
    sala affollata, entusiasta,  le sal? alle guance un lieve rossore,
    simile  all'ombra  di  una  rosa  in uno specchio d'argento.  Fece
    qualche passo indietro e le sue labbra sembrarono  tremare.  Basil
    Hallward  scatt?  in  piedi e cominci? ad applaudire;  Dorian Gray
    sedeva immobile, fissandola, quasi rapito in sogno;  Lord Henry la
    osservava   attraverso   il   binocolo   e  mormorava:  Deliziosa,
    deliziosa!
    La scena rappresentava l'atrio della casa dei Capuleti e Romeo, in
    vesti da pellegrino, era entrato, in compagnia di Mercuzio e degli
    altri suoi  amici.  L'orchestra,  per  quello  che  valeva,  suon?
    qualche  battuta  di musica e la danza ebbe inizio.  Attraverso la
    folla di attori goffi e mal vestiti,  Sybil Vane si  muoveva  come
    una creatura venuta da un mondo superiore. Il suo corpo ondeggiava
    nel danzare come una pianta ondeggia nell'acqua.  Le curve del suo
    collo erano le curve candide di un giglio e le sue mani sembravano
    fatte di fresco avorio.
    Per? sembrava stranamente assente. Quando i suoi occhi si posarono
    su Romeo non manifest? nessun segno di gioia.  Le poche parole che
    aveva da dire

    Buon pellegrin, la mano hai calunniato
    che sua divozion dimostra in questo:
    anche una santa un tal tatto ha accettato
    da un pellegrin, se il tatto ? un bacio onesto

    e il breve dialogo che segue furono detti in un modo assolutamente
    artificioso.  La  voce  era  squisita,  ma completamente falsa dal
    punto di vista del tono; non aveva il colorito giusto, toglieva ai
    versi ogni vita, rendeva irreale la passione.
    Guardandola,  Dorian Gray impallidiva.  Era imbarazzato e ansioso.
    Nessuno  dei  due  suoi  amici osava dirgli una parola;  trovavano
    Sybil priva di ogni capacit? e si sentivano terribilmente delusi.
    Sapevano per? che quello che d? la misura di ogni Giulietta  ?  la
    scena  del  balcone del secondo atto.  Se falliva in quella voleva
    dire che non c'era niente in lei.
    Quando  lei  apparve  nel  chiarore  lunare  il  suo  aspetto  era
    innegabilmente delizioso; ma la sua teatralit? era intollerabile e
    and? progressivamente aggravandosi.
    Il bel passo

    Tu sai che sul mio volto sta la maschera
    della notte, altrimenti ben vedresti
    di un verginal rossor tingersi tutte
    le mie guance, s'io penso alle parole
    che questa notte mi hai sentito dire

    fu  declamato con la penosa precisione di una scolaretta che abbia
    imparato a recitare da un maestro  di  dizione  di  second'ordine.
    Quando si pieg? sul balcone e arriv? a quei versi meravigliosi

    E allora non giurar. Sebben tu sia
    ogni mia gioia, non potrei gustare
    tutte le gioie dell'incontro nostro
    di stanotte. Fu troppo impreveduto,
    troppo rapido, troppo all'improvviso
    troppo simile al lampo, che scompare
    prima che possa dirsi: "ecco risplende".
    Mio dolce, buona notte. Questo nostro
    bocciuol d'amore maturato al soffio
    della notte d'estate, potr? aprirsi
    in mirabile fiore, nell'incontro
    nostro prossimo.

    pronunci?  le  parole  come  se  per lei non avessero avuto nessun
    senso.  Non si trattava di  nervosismo;  anzi,  lungi  dall'essere
    nervosa,  aveva  un  controllo assoluto di se stessa.  Si trattava
    semplicemente di arte scadente; un fallimento completo.
    Perfino il pubblico volgare e incolto della platea e del  loggione
    smise  di  interessarsi  allo  spettacolo,  divent?  irrequieto  e
    cominci? a parlare ad  alta  voce  e  a  fischiare.  L'impresario,
    dritto  in  fondo  all'anfiteatro,  pestava  i piedi e bestemmiava
    dalla rabbia. L'unica imperturbabile era la ragazza.
    Alla fine del secondo atto ci fu una bufera di fischi e Lord Henry
    si alz? e si infil? il pastrano.
    - Dorian, ? bellissima - disse, - ma non sa recitare. Andiamo.
    - Io resto fino alla fine - rispose il ragazzo,  con voce  dura  e
    amara.  -  Mi  dispiace  infinitamente di averti fatto perdere una
    serata, Harry. Chiedo scusa a tutti e due.
    - Caro Dorian,  penso che la signorina Vane  debba  sentirsi  male
    interruppe Hallward. - Verremo qualche altra sera.
    - Vorrei che si sentisse male - replic? lui.  - Ma a me sembra che
    si  tratti  semplicemente  d'insensibilit?  e  di  freddezza.   E'
    completamente cambiata.  Ieri sera era una grande artista; stasera
    non ? che un'attrice volgare e mediocre.
    - Non parlare cos? di colei che ami,  Dorian.  L'amore ? una  cosa
    ben pi? meravigliosa dell'arte.
    - L'una e l'altro sono soltanto forme di imitazione - osserv? Lord
    Henry. - Ma andiamo via. Dorian, non devi restare qui. Assistere a
    una brutta rappresentazione nuoce al morale.  E poi, non credo che
    vorrai che tua moglie reciti;  e  allora  che  importa  se  recita
    Giulietta come una pupattola di legno? E' molto carina; e se della
    vita  sa tanto poco quanto di arte drammatica,  sar? un'esperienza
    deliziosa.  Non ci sono che due  categorie  di  persone  veramente
    affascinanti,  quelle  che  sanno assolutamente tutto e quelle che
    non sanno assolutamente niente.  Buon  Dio,  figliuolo,  non  fare
    quella  faccia  tragica!  Il segreto per rimanere giovani ? di non
    avere emozioni che facciano imbruttire. Vieni al circolo con Basil
    e con me;  fumeremo  una  sigaretta  e  faremo  un  brindisi  alla
    bellezza di Sybil Vane. E' bella: che vuoi di pi??
    - Vattene, Harry - grid? il ragazzo. - Basil, devi andare via. Non
    vi  accorgete  che  mi  si spezza il cuore?  - Lacrime cocenti gli
    salivano agli occhi;  le labbra gli tremavano.  Corse in fondo  al
    palco, si appoggi? al muro e si prese il viso tra le mani.
    -  Andiamo,  Basil  -  disse Lord Henry,  con una strana tenerezza
    nella voce. I due uscirono insieme.
    Pochi minuti dopo,  le luci della ribalta si accesero e il sipario
    si alz? per il terzo atto.  Dorian Gray torn? a sedersi,  pallido,
    altezzoso, indifferente.  Il dramma si trascin?;  sembrava che non
    dovesse  arrivare mai alla fine.  Met? del pubblico usc? ridendo e
    facendo   un   gran   fracasso   con   le   scarpe   pesanti.   La
    rappresentazione era un fiasco completo. L'ultimo atto fu recitato
    davanti a una sala quasi vuota.  Il sipario cal? tra le risate e i
    brontolii.
    Non appena fu finito Dorian Gray si precipit?  dietro  le  quinte,
    nel ridotto.  La fanciulla stava in piedi,  sola, e aveva sul viso
    un'espressione  di  trionfo;  era  come  circonfusa  di  un  alone
    luminoso.  Le  labbra  semiaperte  sorridevano  a  un segreto noto
    soltanto a loro.
    Lo guard? mentre entrava,  e sul suo volto si  dipinse  una  gioia
    infinita.
    - Come ho recitato male stasera, Dorian! - grid?.
    -   Orribilmente!    -   rispose   lui,   fissandola   stupefatto.
    Orribilmente! E' stata una cosa tremenda.  Ti senti male?  Non hai
    idea di che cosa era; non hai idea di quello che ho sofferto.
    La fanciulla sorrise.
    - Dorian - rispose,  soffermandosi nel pronunciare quel nome,  con
    una prolungata musicalit? nella voce,  come  se  ai  rossi  petali
    della sua bocca fosse stato pi? dolce del miele - Dorian,  avresti
    dovuto capire. Ma ora capisci, non ? vero?
    - Capire che cosa? - chiese lui furibondo.
    - Perch? stasera sono stata  cos?  scadente;  perch?  sar?  sempre
    scadente; perch? non sar? mai pi? capace di recitare bene
    Egli scroll? le spalle.  - Credo che tu non ti senta bene.  Quando
    non stai bene non dovresti recitare;  ti rendi  ridicola.  I  miei
    amici erano seccati; io ero seccato.
    Sembr? che non lo sentisse. La gioia la trasfigurava; era in preda
    a un'estasi di felicit?.
    - Dorian,  Dorian - grid?, - prima che ti conoscessi il teatro era
    l'unica realt? della mia vita. Vivevo soltanto al teatro;  pensavo
    che tutto fosse vero.  Una sera ero Rosalinda, un'altra Porzia; la
    gioia di Beatrice era la mia gioia,  i dolori di Cordelia erano  i
    miei  dolori.   Credevo  in  tutto.   Gli  individui  volgari  che
    recitavano con me mi sembravano divini;  gli scenari dipinti erano
    il mio mondo.  Non conoscevo che ombre e le credevo realt?. Tu sei
    venuto,  oh,  amore mio caro,  e hai liberato dal carcere  la  mia
    anima.  Mi hai insegnato che cosa sia la realt?.  Stasera,  per la
    prima volta in vita mia,  ho scoperto tutta la superficialit?,  la
    falsit?,  la  stupidit? del vuoto spettacolo al quale avevo sempre
    preso parte.  Stasera per la prima volta mi sono  resa  conto  che
    Romeo era schifoso,  vecchio,  truccato, che il chiaro di luna nel
    giardino era finto,  che lo scenario era volgare e che  le  parole
    che dovevo pronunciare erano irreali, non erano le mie parole, non
    erano  quelle  che avrei voluto dire.  Tu mi avevi portato qualche
    cosa di pi? alto,  qualche cosa di cui tutta l'arte non ?  che  un
    riflesso; tu mi avevi fatto capire che cosa sia veramente l'amore.
    Amore mio,  amore mio, Principe Azzurro, Principe della Vita, sono
    stanca di ombre. Tu sei per me molto di pi? di quanto possa essere
    tutta l'arte.  Che m'importano le marionette del  dramma?  Stasera
    quando  sono entrata in scena non riuscivo a capire come mai tutto
    se ne fosse andato da me.  Credevo che sarei stata meravigliosa  e
    mi  sono accorta di non essere buona a niente.  D'improvviso nella
    mia anima ? balenato il significato di tutto questo,  e il saperlo
    era per me una delizia.  Li ho sentiti fischiare e ho sorriso: che
    mai poteva capire quella gente di un amore come il nostro? Portami
    via,  Dorian.  Portami via con te,  in qualche posto dove possiamo
    essere  soli.  Odio il palcoscenico.  Potevo simulare una passione
    che non provavo,  ma non posso simulare una passione che mi brucia
    come  il  fuoco.  Oh,  Dorian,  capisci  ora  che  cosa significa?
    Recitare una parte d'innamorata,  anche se potessi farlo,  sarebbe
    per me una profanazione. Tu me l'hai fatto vedere.
    Egli  si  lasci?  cadere  sul divano,  girando il viso da un'altra
    parte. - Hai ucciso il mio amore - disse con voce sorda.
    Sybil lo guard?  meravigliata,  ridendo.  Egli  non  disse  altro.
    Allora  lei  gli  si  avvicin? e gli accarezz? i capelli colle sue
    piccole dita.  Si inginocchi? portandosi alle labbra  le  mani  di
    lui; egli le ritrasse e fu colto da un brivido; poi balz? in piedi
    e si avvi? verso la porta.
    -  S?  - grid? - hai ucciso il mio amore.  Finora svegliavi la mia
    immaginazione,  ora non svegli pi? neppure la mia  curiosit?;  non
    produci   semplicemente  nessun  effetto.   Ti  amavo  perch?  eri
    meravigliosa,  perch?  possedevi  genio  e  intelligenza,   perch?
    traducevi  in  realt?  i  sogni  dei  grandi  poeti e davi forma e
    sostanza ai fantasmi dell'arte. Hai gettato via tutto questo.  Sei
    superficiale  e  stupida.  Mio  Dio!  che  pazzo dovevo essere per
    amarti! che sciocco sono stato! Ora per me non sei pi? niente; non
    voglio pi? pensare a te,  non voglio pronunciare mai  pi?  il  tuo
    nome.  Tu  non  sai  quello  che eri per me,  una volta.  S?,  una
    volta...  oh,  non posso nemmeno pensarci!  Vorrei non averti  mai
    vista. Hai rovinato il romanzo della mia vita. Come devi conoscere
    poco l'amore,  se lo accusi di rovinare la tua arte!  Senza l'arte
    non sei niente.  Ti avrei resa famosa,  splendida,  magnifica;  il
    mondo ti avrebbe adorato e tu avresti portato il mio nome. Ora che
    cosa sei? Un'attrice di terz'ordine con un bel visino.
    La  fanciulla  sbianc?  in  volto,  tremando;  giungeva  le mani e
    sembrava che la voce le si gelasse in gola.  Mormor?: - Non  parli
    mica sul serio, Dorian? Stai recitando una commedia.
    - Recitare?  Lo lascio fare a te,  che lo fai tanto bene - rispose
    lui amaro.
    La fanciulla si alz? in piedi e gli si avvicin?,  attraversando la
    stanza,  con la pi? nera infelicit? dipinta sul volto. Gli mise la
    mano sul  braccio,  guardandolo  negli  occhi.  Lui  la  respinse,
    gridando: - Non mi toccare!
    Un gemito soffocato le sfugg?. Si gett? ai suoi piedi e vi rimase,
    simile a un fiore calpestato.
    - Dorian,  Dorian, non mi lasciare! - mormor?. - Mi dispiace tanto
    di non aver recitato bene,  ma pensavo a te  tutto  il  tempo.  Ma
    prover?;  ti giuro che prover?.  E' stato cos? improvviso,  il mio
    amore per te;  credo che non lo avrei mai  saputo  se  tu  non  mi
    avessi baciato,  se non ci fossimo baciati.  Baciami ancora, amore
    mio. Non te ne andare da me. Mio fratello... no, non importa,  non
    parlava sul serio;  era uno scherzo...  Ma tu, non puoi perdonarmi
    per stasera? Lavorer? tanto, mi sforzer? di migliorare. Non essere
    crudele con me perch? ti amo pi?  di  ogni  cosa  al  mondo.  Dopo
    tutto,  una  volta  sola  non ti sono piaciuta.  Per? hai ragione,
    Dorian;  avrei dovuto dimostrarmi  pi?  artista.  Sono  stata  una
    sciocca,  ma non ho potuto fare diversamente. Oh, non mi lasciare,
    non mi lasciare!
    Un accesso di singhiozzi appassionati la soffoc?. Si raggomitolava
    per terra come una creatura  ferita  e  Dorian  Gray  la  guardava
    dall'alto  coi  suoi  begli  occhi,  e  le  sue  labbra  finemente
    disegnate si atteggiavano a un supremo disprezzo.  Le emozioni  di
    quelli che non amiamo pi? hanno sempre qualcosa di ridicolo. Sybil
    Vane gli sembrava scioccamente melodrammatica;  le sue lacrime e i
    suoi singhiozzi gli urtavano i nervi.  Finalmente,  con quella sua
    voce tranquilla e chiara disse:
    - Me ne vado.  Non voglio offenderti,  ma non ti posso pi? vedere.
    Mi hai deluso.
    Lei piangeva silenziosamente.  Non rispose,  ma gli  strisci?  pi?
    vicina, tendendo le piccole mani alla cieca quasi a cercarlo. Egli
    gir?  sui  tacchi,  usc?  dalla  stanza  e poco dopo era fuori del
    teatro.
    Camminava senza sapere dove andasse. Si ricord? di aver vagato per
    strade mal illuminate, di essere passato davanti a portoni lugubri
    e scuri e a case dall'aspetto sinistro.  Qualche donna lo  chiam?,
    con  voce  rauca  e  risate  volgari;  gli passarono accanto degli
    ubriachi che bestemmiavano e parlavano da soli, simili a scimmioni
    mostruosi.  Vide ragazzi  grotteschi  accovacciati  sugli  scalini
    delle porte e sent? grida e bestemmie giungere da cortili bui.
    Spuntava  l'alba  quando  si  trov?  nei  pressi di Covent Garden.
    L'oscurit? si andava dileguando e il  cielo,  costellato  di  luci
    incerte,  si incurvava in una perla perfetta. Per la strada lucida
    e  sgombra  passavano  lentamente  enormi  carri  pieni  di  gigli
    oscillanti.  L'aria  era  impregnata dal profumo dei fiori e sulla
    sua sofferenza la bellezza di questi agiva come  un  sedativo.  Li
    segu?  all'interno  del  mercato  e  rimase  a guardare gli uomini
    intenti a scaricare i carri.  Un carrettiere in blusa  bianca  gli
    offr?   delle   ciliegie:  lo  ringrazi?,   sorpreso  che  l'altro
    rifiutasse  di  accettare   denaro,   e   cominci?   a   mangiarle
    distrattamente.  Erano  state  colte  a  mezzanotte  e la frescura
    lunare le aveva penetrate. Una lunga fila di ragazzi che portavano
    cesti di tulipani striati e di rose gialle e rosse sfil? davanti a
    lui, incamminandosi attraverso gli enormi mucchi di legumi,  verdi
    come  la  giada.  Un gruppo di ragazze infangate,  senza niente in
    testa,  oziava sotto il portico dai pilastri grigi  sbiancati  dal
    sole, in attesa della fine dell'asta; altre si affollavano intorno
    alla  porta  girevole  del caff? sulla piazza.  Alcuni carrettieri
    dormivano distesi su mucchi di sacchi. Tutt'intorno saltellavano i
    piccioni dal collo iridiscente e  dai  piedi  rosati,  beccando  i
    semi.
    Dopo un po' chiam? una vettura di piazza e si fece portare a casa.
    Si  ferm?  per  qualche  minuto sulla soglia,  guardando la piazza
    silenziosa, con le sue finestre cieche, ermeticamente chiuse, e le
    sue persiane che sembravano fissarlo. Ora il cielo si era fatto di
    opale puro e contro di esso luccicavano come argento i tetti delle
    case.  Da un camino di fronte saliva  un  sottile  filo  di  fumo,
    attorcigliandosi   come   un   nastro   violaceo  nell'aria  color
    madreperla.
    Nella grande lanterna veneziana dorata,  residuo di qualche  barca
    dogale,  che pendeva dal soffitto del grande atrio dai pannelli di
    quercia,  bruciavano ancora le luci di tre  fiammelle  tremolanti:
    sembravano  sottili  petali  azzurri  di fiamma,  bordati di fuoco
    bianco.  Le spense e,  gettando sulla  tavola  il  cappello  e  il
    soprabito,  si  diresse  attraverso  la  biblioteca verso la porta
    della camera da letto, una grande stanza ottagonale a pian terreno
    che lui,  nel suo recente bisogno di lusso,  aveva finito  proprio
    allora  di  arredare,  appendendovi  certe curiose tappezzerie del
    Rinascimento trovate in una soffitta fuori uso di Selby Royal dove
    stavano ammucchiate. Girando la maniglia della porta gli occhi gli
    caddero sul suo ritratto dipinto da Basil  Hallward.  La  sorpresa
    gli  fece  fare un salto all'indietro;  quindi entr? in camera con
    un'aria  alquanto  perplessa.   Dopo  essersi   tolto   il   fiore
    dall'occhiello  sembr?  esitare;  finalmente torn? indietro,  and?
    verso il ritratto e lo esamin?.  Nella debole luce  attenuata  che
    riusciva  a  filtrare attraverso le tende di seta color crema,  il
    volto gli  sembrava  leggermente  cambiato.  L'espressione  pareva
    diversa;  si  sarebbe detto che nella bocca ci fosse una sfumatura
    di crudelt?. Era indubbiamente una strana cosa.
    Si gir?,  and? alla finestra e tir? su la  persiana.  Il  chiarore
    dell'alba  inond?  la  stanza  e  spazz? via le ombre fantastiche,
    ricacciandole   negli   angoli   oscuri,    dove   si    fermarono
    rabbrividendo;  ma  l'espressione  strana  che aveva osservato nel
    volto del ritratto sembrava che ci  fosse  ancora,  anzi,  che  si
    fosse ulteriormente intensificata. La luce vivida e palpitante del
    sole  gli  mostrava  intorno  alla bocca le linee crudeli,  con la
    stessa chiarezza che se si fosse guardato allo specchio dopo  aver
    commesso qualcosa di tremendo.
    Ebbe  un  sussulto  e,  preso  dalla  tavola  uno  specchio  ovale
    incorniciato di amorini d'avorio,  uno dei molti  regali  di  Lord
    Henry,  guard? in fretta dentro le sue lucide profondit?.  Nessuna
    linea di quel genere  alterava  le  sue  labbra  rosse.  Che  cosa
    significava?
    Si  stropicci?  gli  occhi,  si  avvicin?  al  quadro e lo esamin?
    un'altra volta.  Guardando la pittura non vi vide nessun segno  di
    alterazione;  eppure non c'era dubbio che l'intera espressione era
    cambiata.  Non  era  pura  immaginazione;  era  una  cosa  di  una
    terribile evidenza.
    Si lasci? cadere su una sedia e inizi? a riflettere.  D'improvviso
    gli balen? alla mente quello che aveva detto nello studio di Basil
    Hallward,  il giorno in cui il ritratto era stato finito.  S?,  lo
    ricordava  perfettamente.  Aveva espresso il desiderio pazzesco di
    poter restare giovane e che invecchiasse il ritratto;  che la  sua
    bellezza  rimanesse  immacolata e la faccia sulla tela portasse il
    peso delle sue passioni e dei suoi peccati;  che  le  linee  della
    sofferenza  e  del  pensiero solcassero l'immagine dipinta ed egli
    potesse conservare  integra  in  tutto  il  suo  fiore  la  grazia
    delicata dell'adolescenza,  della quale aveva acquistato coscienza
    in quel momento.  Il suo voto poteva forse essere stato  appagato?
    Cose di questo genere erano impossibili; il solo pensarle sembrava
    mostruoso;  eppure  il  ritratto  gli  stava  di fronte con quella
    sfumatura di crudelt? nella bocca.
    Crudelt?? Era forse stato crudele? La colpa era della ragazza, non
    sua. L'aveva sognata come una grande artista, le aveva dato il suo
    amore perch? l'aveva creduta grande,  e lei lo aveva  deluso,  era
    stata  superficiale e indegna.  Tuttavia,  nel ripensarla stesa ai
    suoi piedi,  che singhiozzava come una bambina,  lo prese un senso
    di infinito rammarico. Gli torn? alla mente con quale indifferenza
    l'aveva  guardata.  Perch? mai era fatto cos??  Perch? mai gli era
    stata data un'anima simile? Anche lui per? aveva sofferto. Durante
    le tre ore tremende  che  era  durata  la  rappresentazione  aveva
    vissuto  secoli  di sofferenza,  eternit? di torture.  La sua vita
    valeva quanto quella di lei;  lei lo aveva quasi distrutto per  un
    momento,  anche  se lui l'aveva ferita per sempre.  E poi le donne
    sono pi? adatte degli uomini a sopportare  la  sofferenza;  vivono
    delle  proprie  emozioni,  pensano soltanto alle proprie emozioni.
    Quando prendono un amante lo fanno solo per avere qualcuno con  il
    quale possono avere delle scene: l'aveva detto Lord Henry,  e Lord
    Henry conosceva le donne.  Perch? inquietarsi a proposito di Sybil
    Vane? Lei ormai non era pi? niente per lui.
    Ma il ritratto? che dire di questo? Possedeva il segreto della sua
    vita  e raccontava la sua storia.  Gli aveva insegnato l'amore per
    la propria bellezza; ora gli avrebbe forse insegnato l'odio contro
    la propria anima? Avrebbe mai potuto tornare a guardarlo?
    No, era soltanto un'illusione dei suoi sensi sconvolti. L'orribile
    notte che aveva passato si era lasciata dietro dei  fantasmi.  Sul
    suo  cervello  era  caduta  improvvisamente  quella piccola goccia
    scarlatta che fa impazzire un uomo.  Il ritratto non era cambiato;
    il solo pensarlo era follia.
    Tuttavia questo lo guardava, con la sua bella faccia sciupata e il
    suo sorriso crudele.  Nella luce del sole mattutino i suoi capelli
    chiari brillavano, gli occhi azzurri incontravano i suoi. Fu preso
    da un senso d'infinita piet?,  non  tanto  di  se  stesso,  quanto
    dell'immagine  dipinta di se stesso.  Questa gi? si era alterata e
    si   sarebbe   alterata   ancora.    L'oro   sarebbe    appassito,
    trasformandosi in grigio; le rose rosse e bianche sarebbero morte.
    Per ogni peccato commesso da lui una macchia ne avrebbe sporcato e
    deturpato la bellezza.  Ma egli non avrebbe peccato.  Il ritratto,
    mutato o immutato,  avrebbe costituito per lui l'emblema  visibile
    della  coscienza.  Avrebbe resistito alle tentazioni;  non avrebbe
    pi? visto Lord Henry,  o,  almeno,  non avrebbe pi? dato ascolto a
    quelle  teorie  sottili  e  velenose  che per la prima volta,  nel
    giardino di Basil  Hallward,  avevano  fatto  nascere  in  lui  la
    passione delle cose impossibili. Sarebbe tornato da Sybil Vane, le
    avrebbe  chiesto  perdono,  l'avrebbe sposata,  avrebbe cercato di
    tornare ad amarla. S?,  questo era il suo dovere.  Lei doveva aver
    sofferto pi? di lui. Povera creatura! Era stato crudele ed egoista
    con lei. Il fascino che lei aveva esercitato sul suo animo sarebbe
    risorto;  sarebbero  stati  felici  insieme  e con lei la sua vita
    sarebbe stata bella e pura.
    Si alz? dalla sedia  e  spieg?  un  grande  paravento  davanti  al
    ritratto,  rabbrividendo nel guardarlo. - Orribile! - mormor? a se
    stesso, andando alla finestra e aprendola.  Usc? fuori sull'erba e
    tir?  un  respiro  profondo.  L'aria  fresca  del  mattino  sembr?
    dissipare tutte le sue oscure passioni.  Pensava soltanto a Sybil,
    gli  torn? una specie di eco indistinta del suo amore e ripet? pi?
    volte il nome di lei.  Gli uccellini che  cantavano  nel  giardino
    umido di rugiada sembravano parlare di lei ai fiori.





    Capitolo ottavo.

    Quando  si  svegli?  mezzogiorno  era passato da un pezzo.  Il suo
    domestico era entrato pi? volte in camera, in punta di piedi,  per
    vedere se si muoveva,  chiedendosi per quale motivo il suo giovane
    padrone dormisse  cos?  a  lungo.  Finalmente  il  suo  campanello
    squill?  e Victor entr? pian piano,  portando una tazza di t? e un
    mucchietto di lettere su un piccolo vassoio di  S?vres  antico,  e
    tir?  le  tende  di  satin oliva bordate di turchino che pendevano
    davanti alle tre finestre.
    - Monsieur ha dormito bene stamani - disse sorridendo.
    - Che ore sono, Victor? - chiede Dorian Gray, assonnato.
    - L'una e un quarto, Monsieur.
    Com'era tardi!  Si tir? su a sedere e dopo aver sorseggiato un po'
    di t? guard? le lettere ad una ad una. Ce n'era una di Lord Henry,
    portata  a  mano quella mattina stessa.  Esit? un momento,  poi la
    mise da parte e  apr?  distrattamente  le  altre.  Contenevano  la
    solita   collezione  di  biglietti,   di  inviti  a  pranzo  o  ad
    esposizioni private, di programmi di concerti di beneficenza e via
    dicendo,   che  durante  la  stagione  piovono  ogni  mattina  sui
    giovanotti del bel mondo.  C'era un conto piuttosto grosso, per un
    servizio da toilette Louis Quinze  d'argento  cesellato,  che  non
    aveva ancora avuto il coraggio di mandare ai suoi tutori, i quali,
    gente  all'antica,  non si rendevano conto che viviamo in un'epoca
    nella quale le cose non necessarie costituiscono  le  nostre  sole
    necessit?;  e c'erano molte comunicazioni,  scritte in forma molto
    cortese,  di usurai di Jermyn Street che offrivano  di  anticipare
    qualunque  somma  di denaro,  in qualunque momento e a un tasso di
    interesse pi? che ragionevole.
    Dopo una decina di minuti si alz?, indoss? una complicata veste da
    camera di lana del Kashmir ricamata in seta e pass?  nella  stanza
    da  bagno,  con il pavimento d'onice.  Dopo il lungo sonno l'acqua
    ghiacciata lo rinfresc?. Sembrava che avesse dimenticato tutto ci?
    che gli era capitato;  ebbe un paio di volte la sensazione vaga di
    aver  preso  parte  a una strana tragedia,  ma la cosa aveva tutta
    l'irrealt? del sogno.
    Dopo essersi vestito pass? in biblioteca e si  sedette  davanti  a
    una leggera colazione alla francese,  apparecchiata su un tavolino
    rotondo vicino alla finestra aperta.  Era una giornata incantevole
    e l'aria calda sembrava impregnata di spezie. Un'ape entr? a volo,
    ronzando intorno al vaso turchino che gli stava davanti,  pieno di
    rose di un giallo sulfureo. Si sentiva perfettamente felice.
    A un tratto l'occhio gli  cadde  sul  paravento  che  aveva  posto
    davanti al ritratto. Sussult?.
    - Troppo freddo per Monsieur?  - chiese il servitore,  mettendo in
    tavola una frittata. - Chiudo la finestra?
    Dorian scosse il capo. - Non ho freddo - mormor?.
    Era vero?  Il ritratto era  davvero  cambiato?  Oppure  era  stata
    semplicemente  la sua immaginazione a fargli vedere un'espressione
    di malvagit? dove c'era invece un'espressione di gioia? Certo, una
    tela dipinta non poteva alterarsi: era una cosa assurda. Un giorno
    se ne sarebbe servito per raccontarla come una novella a  Basil  e
    farlo sorridere.
    Eppure,  com'era  vivo  il  ricordo  che aveva di tutta la storia!
    Prima  nella  luce  tenue  del  crepuscolo,   poi   nel   chiarore
    dell'aurora, aveva visto quella sfumatura di crudelt? intorno alle
    labbra contratte.  Ebbe quasi paura che il servitore uscisse dalla
    stanza; sapeva che appena rimasto solo avrebbe dovuto esaminare il
    ritratto e aveva terrore della certezza. Quando gli furono portati
    il caff? e le sigarette e l'uomo si gir? per andarsene,  prov?  un
    desiderio  furioso  di dirgli di restare;  e quando la porta stava
    chiudendosi dietro di lui lo chiam?.  Il  domestico  si  ferm?  in
    attesa di ordini.
    Dorian lo guard? per un attimo.  Disse,  con un sospiro: - Victor,
    non sono in casa per nessuno.
    L'uomo si ritir? con un inchino.
    Egli allora si alz? da tavola,  accese una sigaretta e  si  lasci?
    cadere  su  un  divano  ampiamente fornito di cuscini collocato di
    fronte al paravento. Questo era antico,  di cuoio dorato spagnolo,
    pressato  e  lavorato  con  un disegno stile Luigi Quattordicesimo
    piuttosto complicato.  Lo esamin? con curiosit?  e  si  chiese  se
    avesse mai nascosto prima di allora il segreto di una vita umana.
    Doveva  spostarlo?  e perch? non lasciarlo dov'era?  a che serviva
    sapere?  Se la cosa era vera,  era terribile;  e se non era  vera,
    perch? preoccuparsene? E se, per un caso o per qualche possibilit?
    ancora  pi?  funesta,  occhi  diversi dai suoi,  spiando dietro il
    paravento,  avessero visto quell'orribile  cambiamento?  Che  cosa
    avrebbe  fatto se Basil Hallward fosse venuto e gli avesse chiesto
    di vedere il suo quadro?  Basil l'avrebbe  fatto  certamente.  No;
    bisognava  esaminare  la  cosa,  e subito: tutto era preferibile a
    quel tremendo stato di incertezza.
    Si alz? e chiuse tutte e due le porte;  almeno cos? sarebbe  stato
    solo  a contemplare la maschera della sua vergogna.  Poi spost? il
    paravento e vide se stesso,  faccia a  faccia.  Era  perfettamente
    vero: il ritratto si era alterato.
    Gli torn? in mente pi? tardi,  e sempre con sua grande meraviglia,
    che all'inizio si era trovato intento a  contemplare  il  ritratto
    con  un  senso  di interessamento quasi scientifico.  Che si fosse
    verificato un mutamento simile era cosa  incredibile;  e  tuttavia
    era  un  fatto.  Esisteva  qualche  sottile affinit? tra gli atomi
    chimici che sulla tela si erano trasformati in forme  e  colori  e
    l'anima   che  era  dentro  di  lui?   Era  possibile  che  quelli
    traducessero in realt? ci? che questa pensava? che rendessero vero
    ci? che questa sognava? Oppure c'era qualche altra ragione, ancora
    pi? terribile?  Rabbrivid?,  si  sent?  atterrito  e,  tornato  al
    divano,  vi  si  distese,  guardando  il  ritratto  con  un orrore
    frammisto a nausea.
    Aveva peraltro la sensazione che questo avesse fatto qualche  cosa
    per  lui:  gli  aveva  dato  la coscienza dell'ingiustizia,  della
    crudelt? con cui si era comportato con Sybil Vane.  Non era troppo
    tardi per riparare.  Sybil poteva ancora essere sua moglie; il suo
    amore irreale ed egoistico avrebbe ceduto a influenze di tipo  pi?
    elevato,  si sarebbe trasformato in una passione pi? nobile;  e il
    suo ritratto dipinto da Basil Hallward gli avrebbe fatto da  guida
    nella  vita,  sarebbe  stato  per  lui  quello che per alcuni ? la
    santit?,  per altri la coscienza e per noi tutti il timore di Dio.
    Esistevano  dei  sedativi  per il rimorso,  delle droghe capaci di
    addormentare il senso morale;  ma qui c'era  un  simbolo  visibile
    della degradazione provocata dal peccato, un segno sempre presente
    della rovina che gli uomini attirano sulla loro anima.
    Sonarono  le tre,  poi le quattro;  la mezza fece squillare la sua
    doppia  suoneria;  ma  Dorian  Gray  non  si  muoveva.  Provava  a
    raccogliere  i  fili  scarlatti  della  vita  e a intesserli in un
    disegno;  a trovare la strada nel labirinto sanguigno di  passione
    nel quale stava vagando.  Non sapeva n? cosa fare n? cosa pensare.
    Finalmente and? alla scrivania e scrisse una lettera  appassionata
    alla  fanciulla  che  aveva  amato,   implorandone  il  perdono  e
    accusando se stesso di follia.  Copr? una pagina dopo  l'altra  di
    parole  ardenti  di  pentimento  e di ancora pi? ardenti parole di
    dolore.  Rimproverare noi stessi ? un lusso.  Quando ci biasimiamo
    da soli abbiamo la sensazione che nessun altro abbia il diritto di
    biasimarci.  Non ? il sacerdote ad assolverci,  ma la confessione.
    Quando ebbe finito la lettera Dorian si sent? perdonato.
    All'improvviso bussarono alla porta e fuori si sent?  la  voce  di
    Lord Henry:
    - Caro figliolo, bisogna che ti veda. Lasciami entrare subito. Non
    posso tollerare che tu ti rinchiuda in questo modo.
    In  un  primo tempo Dorian non rispose,  anzi rimase perfettamente
    immobile. I colpi alla porta continuavano,  si facevano pi? forti.
    In  fondo,  era meglio far entrare Lord Henry e spiegargli la vita
    nuova che si era proposto di condurre,  litigare  con  lui  se  il
    litigio  diventava  necessario,  rompere con lui se la rottura era
    inevitabile.  Balz? in piedi,  tir? frettolosamente  il  paravento
    davanti al ritratto e apr?.
    -  Dorian  -  disse  Lord  Henry  entrando,  -  sono profondamente
    addolorato di tutto questo; ma tu non devi pensarci troppo.
    - Parli di Sybil Vane? - chiese il giovane.
    - S?,  naturalmente - rispose Lord Henry,  sedendosi e  sfilandosi
    lentamente i guanti gialli.  - E' terribile,  da un certo punto di
    vista,  ma non ?  colpa  tua.  Dimmi:  sei  andato  a  vederla  in
    palcoscenico dopo la rappresentazione?
    - S?.
    - Ne ero sicuro. Le hai fatto una scenata?
    - Sono stato brutale, Harry, assolutamente brutale; ma ora tutto ?
    a posto.  Non rimpiango niente di quello che ? accaduto; ? servito
    a farmi conoscere meglio me stesso.
    - Ah, Dorian,  come sono contento che tu la prenda in questo modo!
    Temevo  di trovarti affogato nei rimorsi e nell'atto di strapparti
    quei bei capelli ricci.
    - Sono passato attraverso tutto questo  -  disse  Dorian,  facendo
    oscillare  la  testa  con  un  sorriso.  -  Ora sono perfettamente
    felice.  Per cominciare,  ora so che cosa sia la coscienza.  Non ?
    quello  che  mi avevi detto;  ? la cosa pi? divina che sia in noi.
    Non fartene pi? beffe,  Harry,  almeno davanti  a  me.  Io  voglio
    essere  buono;  non  posso  sopportare l'idea che la mia anima sia
    ripugnante.
    - Dal punto di vista artistico,  questo costituisce  un  magnifico
    fondamento per l'etica, Dorian, e me ne congratulo con te. Ma come
    pensi di cominciare?
    - Sposando Sybil Vane.
    -  Sposando  Sybil Vane?  - grid? Lord Henry,  balzando in piedi e
    guardandolo, stupito e perplesso. - Ma, caro Dorian. . .
    - S?, Harry,  so che cosa stai per dire: qualche cosa di terribile
    sul  matrimonio.  Non dirla.  Non dirmi mai pi? cose di quel tipo.
    Due giorni fa ho chiesto a Sybil di sposarmi e non  mancher?  alla
    mia parola. Sybil sar? mia moglie.
    - Tua moglie?  Dorian...  ma non hai ricevuto la mia lettera? L'ho
    scritta stamattina e te l'ho fatta portare dal mio servitore.
    - La tua lettera?  oh,  s?,  mi ricordo.  Non l'ho  ancora  letta,
    Harry.  Temevo  che  ci  fosse  qualche  cosa  che  non mi sarebbe
    piaciuta. Tu, coi tuoi epigrammi, tagli la vita a pezzetti.
    - Allora non sai niente?
    - Che cosa vuoi dire?
    Lord Henry attravers? la stanza,  si sedette vicino a Dorian Gray,
    gli prese le mani e le tenne strette tra le sue.  Dorian disse,  -
    la mia lettera - non ti spaventare - era per dirti che Sybil  Vane
    ? morta.
    Un  grido  di strazio usc? dalle labbra del giovane,  che balz? in
    piedi,  strappando le mani dalla stretta di Lord Henry.  -  Morta!
    Sybil ? morta!  Non ? vero.  E' un'orrenda menzogna. Come osi dire
    una simile cosa?
    - E' verissimo, Dorian - disse Lord Henry, con voce grave. - E' su
    tutti i giornali di stamani.  Ti avevo scritto per pregarti di non
    vedere  nessun  altro  prima  di me.  Naturalmente ci dovr? essere
    un'inchiesta e tu non devi esservi coinvolto.  A Parigi una storia
    di  questo genere mette alla moda un uomo,  ma a Londra la gente ?
    piena di preconcetti.  Qui non si deve fare il proprio "d?but" con
    uno   scandalo;   ?  una  cosa  da  tener  riservata  per  rendere
    interessante  la  propria  vecchiaia.  Spero  che  al  teatro  non
    sappiano il tuo nome;  se non lo sanno siamo a posto. C'? qualcuno
    che ti abbia visto andare nel suo  camerino?  Questo  ?  un  punto
    importante.
    Dorian   non   rispose   per  qualche  momento;   era  paralizzato
    dall'orrore. Finalmente balbett?, con voce soffocata:
    - Harry,  hai detto  un'inchiesta?  Che  hai  voluto  dire?  Forse
    Sybil...?  Oh,  Harry, questo non posso sopportarlo! Su, sbrigati,
    dimmi subito tutto.
    - Sono sicurissimo che non si tratta di una disgrazia,  ma ?  cos?
    che bisogna presentare la cosa al pubblico.  A quanto pare,  verso
    mezzanotte e mezzo,  quando stava andandosene dal  teatro  con  la
    madre,  disse  che  aveva  dimenticato  qualche cosa di sopra.  La
    aspettarono per un  po',  ma  lei  non  torn?  gi?.  Finirono  col
    trovarla morta, distesa sul pavimento del camerino. Aveva ingoiato
    qualche  cosa  per  errore,  una  cosa terribile che adoperano nei
    teatri;  non so che  cosa  fosse,  ma  deve  contenere  dell'acido
    prussico  oppure  della  biacca.   Credo  che  ci  sia  dell'acido
    prussico, perch? sembra che la morte sia stata istantanea.
    - E' terribile, Harry, ? terribile! - grid? il ragazzo.
    - S?,  certamente ? una vera tragedia;  tu per? non  devi  esserci
    coinvolto.  Ho visto sullo Standard che aveva diciassette anni; io
    l'avrei creduta anche pi? giovane;  aveva l'aria di una bambina  e
    sapeva  recitare  cos?  poco.  Dorian,  questa  storia non ti deve
    sconvolgere i nervi.  Vieni a pranzo con me,  e  dopo  faremo  una
    capatina all'Opera; canta la Patti e tutti ci saranno. Puoi venire
    nel palco di mia sorella; ci saranno delle belle donne con lei.
    -  Dunque io ho assassinato Sybil Vane - disse Dorian Gray,  quasi
    parlando a se stesso;  -  l'ho  assassinata  esattamente  come  se
    l'avessi scannata con un coltello.  Ma le rose non sono meno belle
    per questo, gli uccelli non cantano meno felici nel mio giardino e
    stasera devo pranzare con te,  poi andare all'Opera e poi,  credo,
    cenare in qualche posto.  Che cosa straordinariamente drammatica ?
    la vita! Se avessi letto tutto questo in un libro,  credo,  Harry,
    che  ci avrei pianto.  Ora che ? veramente accaduto,  e accaduto a
    me,  la cosa mi pare troppo  meravigliosa  per  poterne  piangere.
    Questa  ?  la  prima  lettera  d'amore  appassionata  che io abbia
    scritto in vita mia;  ? strano che la mia prima lettera d'amore  e
    di passione abbia dovuto essere indirizzata a una fanciulla morta.
    Mi  chiedo  se quegli esseri bianchi e taciturni che noi chiamiamo
    morti possono sentire qualche cosa.  Sybil  pu?  sentire,  sapere,
    ascoltare?  Oh,  Harry, come l'amavo, una volta! Ora mi sembra che
    siano passati degli anni.  Era tutto per me,  e poi arriv?  quella
    tremenda  serata;  fu  davvero solo ieri sera?  quando recit? cos?
    male, quando mi sembr? che il cuore mi si spezzasse. Lei mi spieg?
    tutto; era una cosa patetica,  ma io non fui affatto commosso.  La
    credetti  superficiale.  All'improvviso  capit?  una  cosa  che mi
    spavent?;  non posso dirti che cosa,  ma ?  terribile.  Dissi  che
    sarei  tornato  da lei,  sentii che avevo agito male,  e ora lei ?
    morta. Mio Dio, mio Dio! che devo fare, Harry? Tu non sai in quale
    pericolo mi trovo e non c'?  niente  che  mi  possa  guidare.  Lei
    avrebbe  potuto farlo.  Non aveva il diritto di uccidersi: ? stata
    egoista.
    - Mio caro Dorian - rispose Lord Henry,  prendendo  una  sigaretta
    dall'astuccio  e  tirando fuori una scatola da fiammiferi laminata
    d'oro,  - c'? un solo modo con il quale una donna pu?  trasformare
    un  uomo,  e  cio?  annoiandolo  cos? totalmente da fargli perdere
    qualunque possibile interesse alla  vita.  Se  tu  avessi  sposato
    quella   ragazza   saresti  stato  molto  infelice.   Naturalmente
    l'avresti trattata bene;  ? sempre facile essere gentili verso  le
    persone di cui non c'importa niente. Ma lei si sarebbe accorta ben
    presto della tua assoluta indifferenza per lei, e quando una donna
    fa   questa   scoperta   riguardo  al  proprio  marito  o  diventa
    terribilmente goffa oppure  si  mette  a  portare  dei  cappellini
    elegantissimi  che  il  marito di qualche altra donna deve pagare.
    Tutto questo per non  parlare  dell'errore  sociale,  che  sarebbe
    stato umiliante e che io,  naturalmente,  non avrei consentito; ma
    ti assicuro che in ogni caso tutta la storia si sarebbe risolta in
    un fallimento completo.
    - Ammettiamolo pure - mormor? il giovine,  passeggiando su  e  gi?
    per  la stanza,  terribilmente pallido;  - ma io credevo che fosse
    mio dovere.  Non ? colpa mia se questa terribile  tragedia  mi  ha
    impedito di fare quello che era giusto che facessi. Mi ricordo che
    tu hai detto una volta che c'? una fatalit? che perseguita i buoni
    proponimenti,  e ? che questi arrivano troppo tardi.  Cos?,  senza
    dubbio, ? capitato ai miei.
    - I buoni proponimenti sono vani tentativi  di  intervenire  nelle
    leggi  scientifiche.  La  loro  origine  ?  pura  vanit? e il loro
    risultato ? assolutamente zero.  Ogni tanto ci procurano il  lusso
    di  qualcuna di quelle sterili emozioni che hanno un certo fascino
    per gli esseri deboli. Ecco tutto quello che se ne pu? dire.  Sono
    come  assegni che gli uomini emettono su una banca presso la quale
    non hanno un conto corrente.
    - Harry - esclam? Dorian Gray venendo a  sedersi  accanto  a  lui,
    perch?  non  riesco  a  sentire questa tragedia cos? profondamente
    come vorrei? Non credo di essere senza cuore; tu lo credi?
    - Hai fatto troppe sciocchezze durante gli ultimi quindici giorni,
    Dorian,  per avere il diritto di darti questo  nome  rispose  Lord
    Henry col suo sorriso dolce e melanconico.
    Il giovine si imbronci?.
    -  Questa spiegazione non mi piace,  Harry,  ma sono felice che tu
    non mi creda senza cuore. Non sono senza cuore, so di non esserlo;
    per? devo ammettere che  questa  storia  che  ?  accaduta  non  mi
    colpisce come dovrebbe. Mi sembra semplicemente lo scioglimento di
    un meraviglioso dramma; c'? in essa tutta la bellezza terribile di
    una  tragedia  greca,  una  tragedia  nella quale io ho avuto gran
    parte, ma che non mi ha ferito.
    - La questione ? interessante - disse Lord Henry,  che provava  un
    piacere  squisito nel giocare con l'egoismo inconscio del ragazzo;
    - la questione ? estremamente  interessante.  Penso  che  la  vera
    spiegazione sia questa.  Succede spesso che le vere tragedie della
    vita accadano in modo tanto poco artistico che  la  loro  violenza
    cruda,  la  loro assoluta incoerenza,  la loro assurda mancanza di
    significato, la loro totale assenza di stile ci urtano.  L'effetto
    che  producono su di noi ? lo stesso che produce la volgarit?;  ci
    danno l'impressione della pura forza bruta e noi ci ribelliamo.  A
    volte  per?  nelle  nostre  vite avviene una tragedia che ha in s?
    elementi artistici di bellezza.  Se questi elementi  esistono  per
    davvero,  tutta  la  storia risveglia in noi il senso dell'effetto
    drammatico.  Ci accorgiamo di colpo di non essere pi?  attori,  ma
    spettatori del dramma;  o,  per dire meglio, l'una e l'altra cosa.
    Stiamo a guardare noi stessi  e  la  meraviglia  dello  spettacolo
    basta  ad  entusiasmarci.  In  questo  caso,  che cosa ? veramente
    successo?  Una persona si ?  uccisa  per  amor  tuo.  Vorrei  aver
    provato   una  simile  esperienza;   mi  avrebbe  reso  innamorato
    dell'amore per tutto il resto dei miei giorni.  Le persone che  mi
    hanno  adorato  (non  moltissime,  ma qualcuna ce n'? stata) hanno
    sempre insistito nel voler continuare a vivere  molto  tempo  dopo
    che  io  avevo  smesso di voler bene a loro o loro di voler bene a
    me.  Sono diventate grasse  e  noiose  e  quando  le  incontro  si
    lanciano  subito  nei  ricordi.  Com'?  tremenda  la memoria delle
    donne!   Che  cosa   spaventosa,   e   quale   completo   ristagno
    intellettuale rivela!  Si deve assorbire il colore della vita;  ma
    non si  dovrebbe  mai  ricordarne  i  dettagli,  che  sono  sempre
    volgari.
    - Dovr? seminare dei papaveri nel mio giardino - sospir? Dorian.
    -  Non  ?  necessario  - replic? il suo compagno.  - La vita porta
    sempre dei papaveri in mano.  Certo,  ogni tanto le cose vanno per
    le  lunghe.  Una  volta,  per tutta una stagione io non portai che
    violette,  come forma di lutto artistico per un  romanzo  che  non
    voleva  morire.  Per?  finalmente  mor? e non ricordo pi? che cosa
    l'abbia ucciso:  credo  che  sia  stata  la  proposta  di  lei  di
    sacrificare  a  me  il  mondo  intero.  Quello ? sempre un momento
    tremendo,  che ti riempie del terrore  dell'eternit?.  Orbene,  mi
    vuoi credere?  La settimana scorsa,  in casa di Lady Hampshire, mi
    trovai seduto a pranzo vicino alla signora in questione e  lei  si
    ostin?  a  ricapitolare  tutta la storia,  riesumando il passato e
    scrutando l'avvenire.  Io avevo sepolto  il  mio  romanzo  in  una
    aiuola  di  asfodeli:  lei  lo riport? alla luce e mi assicur? che
    avevo rovinato la sua vita.  Sono costretto a  dichiarare  che  la
    cosa  non  suscit?  in  me  la minima ansiet?,  dato che la vedevo
    mangiare enormemente a pranzo;  ma che mancanza di gusto dimostr?!
    Il  passato non ha che un solo fascino,  quello di essere passato;
    ma le donne non sanno mai quando il sipario ?  calato:  vorrebbero
    sempre  che  ci  fosse  un sesto atto e non appena l'interesse del
    dramma ? completamente esaurito propongono che continui.  Se le si
    lasciasse  fare,  ogni  commedia  avrebbe un finale tragico e ogni
    tragedia finirebbe in farsa.  Sono deliziosamente artificiali,  ma
    non  hanno  il  senso  dell'arte.  Tu sei pi? fortunato di me.  Ti
    assicuro,  Dorian,  che non una  delle  donne  che  ho  conosciuto
    avrebbe  fatto  per  me quello che Sybil Vane ha fatto per te.  Le
    donne comuni si consolano sempre. Alcune ci riescono adottando dei
    colori sentimentali.  Diffida sempre di una donna che si veste  di
    viola,  qualunque  sia  la  sua  et?,  oppure  di  una donna che a
    trentacinque anni ama i nastri rosa: significa  sempre  che  hanno
    una storia.  Ce ne sono altre che trovano un grande conforto nello
    scoprire improvvisamente le buone qualit? dei loro mariti e che ti
    sventolano in faccia la loro felicit? coniugale come se  fosse  il
    pi? affascinante dei peccati. Altre si consolano con la religione.
    Una  donna mi diceva una volta che i misteri di questa hanno tutto
    l'incanto di un flirt, e io lo capisco benissimo.  E poi,  non c'?
    niente  che  ci  renda  pi?  vanitosi  che  il  sentirci  chiamare
    peccatori; la coscienza ci rende tutti quanti egoisti. Davvero, le
    consolazioni  che  le  donne  trovano  nella  vita  moderna   sono
    infinite; anzi, non ho citato la pi? importante di tutte.
    - E sarebbe, Harry? - disse distrattamente il ragazzo.
    -  Oh,  la  consolazione  pi?  ovvia:  portare  via l'ammiratore a
    un'altra quando hanno perso il proprio.  Questa  ?  una  cosa  che
    nella buona societ? imbianca sempre una donna.  Veramente, Dorian,
    come doveva essere diversa Sybil Vane da tutte  le  donne  che  si
    incontrano!  Per  me  c'?  qualcosa  di  realmente bello nella sua
    morte.  Mi fa piacere vivere  in  un  secolo  nel  quale  accadono
    miracoli  come  questo.  Ci  fanno  credere alla realt? delle cose
    sulle quali tutti scherziamo: romanzi, passione, amore.
    - Tu dimentichi che io sono stato terribilmente crudele con lei.
    - Temo che le donne apprezzino la crudelt?,  la crudelt? perfetta,
    pi?  di  qualsiasi  altra  cosa.  I loro istinti sono mirabilmente
    primitivi. Noi le abbiamo emancipate,  ma loro sono rimaste,  come
    prima,  delle  schiave  in  cerca  di  un  padrone.  Amano  essere
    dominate.  Sono sicuro che devi essere stato splendido.  Non ti ho
    mai  visto  veramente  e  assolutamente  in  collera,  per?  posso
    immaginarmi quanto  dovevi  essere  delizioso  a  guardarti.  Dopo
    tutto,  l'altro  giorno  mi  dicesti  una  cosa che sul momento mi
    sembr? del tutto immaginaria,  ma  che  ora  mi  accorgo  che  era
    assolutamente vera, e che ? la chiave di tutto.
    - Che cos'era, Henry?
    -  Mi  dicesti che Sybil Vane rappresentava per te tutte le eroine
    romantiche; che una sera era Desdemona e l'altra Ofelia;  che,  se
    moriva nelle vesti di Giulietta risuscitava in quelle di Imogene.
    -  Ora  non  risusciter? pi? - mormor? il ragazzo,  nascondendo il
    viso tra le mani.
    - No, non risusciter? pi?. Ha recitato la sua ultima parte.  Ma tu
    devi  pensare  a  quella  morte  solitaria,  in quello spogliatoio
    volgare,  come a  uno  strano  e  sinistro  frammento  di  qualche
    tragedia del periodo giacobita,  una scena meravigliosa di Webster
    o di Ford  o  di  Cyril  Tourneur.  Quella  fanciulla  non  ?  mai
    veramente  esistita  e  quindi  non ? mai veramente morta.  Per te
    almeno,  fu sempre un sogno,  un fantasma che aleggiava nei drammi
    di  Shakespeare  e  li  abbelliva  con la sua presenza,  un flauto
    attraverso il quale la musica di Shakespeare  suonava  pi?  ricca,
    pi?  allegra.  Quando venne in contatto con la vita la distrusse e
    questa distrusse lei;  e cos? ? scomparsa.  Puoi portare il  lutto
    per Ofelia, se cos? ti piace, cospargerti il capo di cenere perch?
    Cordelia  ?  stata  strangolata,  imprecare  al  destino perch? la
    figlia di Brabanzio ? morta;  ma non sprecare le tue  lacrime  per
    Sybil Vane. Lei era meno reale di loro.
    Ci fu un silenzio.  Il crepuscolo oscurava la stanza. Dal giardino
    le ombre entravano senza rumore,  coi piedi d'argento.  I  colori,
    stanchi, si dileguavano dalle cose.
    Dopo un certo tempo Dorian Gray alz? gli occhi.
    - Harry - mormor?,  con qualche cosa che assomigliava a un sospiro
    di sollievo,  - tu hai spiegato me a me stesso.  Tutto quello  che
    hai detto io lo sentivo;  ma, in certo qual modo, ne avevo paura e
    non riuscivo a esprimerlo a me stesso.  Come mi conosci  bene!  Ma
    non  parliamo  pi?  di  quanto ? successo.  E' stata un'esperienza
    meravigliosa, e basta.  Mi chiedo se la vita mi riserba altre cose
    altrettanto meravigliose.
    -  La  vita  ti riserba tutto,  Dorian.  Non c'? niente che tu non
    possa fare, con la tua bellezza straordinaria.
    - Ma se diventer? disfatto, vecchio, rugoso, allora che succeder??
    - Ah, allora - disse Lord Henry,  alzandosi per andarsene,  allora
    dovrai  lottare  per  le  tue  vittorie;  ora come ora,  vengono a
    portartele. No, bisogna che tu resti bello.  Viviamo in un'et? che
    legge  troppo  per  essere  saggia  e  che pensa troppo per essere
    bella.  Non possiamo fare a meno di te.  E ora  faresti  meglio  a
    vestirti  e  a  farti  portare  al  circolo: si ? gi? fatto un po'
    tardi.
    - Credo che ti raggiunger? all'Opera,  Harry.  Sono troppo  stanco
    per mangiare. Qual ? il numero del palco di tua sorella?
    -  27,  credo.  E'  al primo ordine e sulla porta c'? il nome.  Mi
    dispiace che tu non voglia venire a pranzo.
    - Non me la sento - disse Dorian con aria assente.  - Per? ti sono
    infinitamente grato per quello che mi hai detto. Sei certamente il
    mio migliore amico; nessuno mi ha mai capito come te.
    -  Siamo  appena all'inizio della nostra amicizia,  Dorian rispose
    Lord Henry, stringendogli le mani. - Addio; spero di vederti prima
    delle nove e mezzo. Ricordati che canta la Patti.
    Quando lui si richiuse dietro  la  porta,  Dorian  Gray  suon?  il
    campanello  e  pochi  minuti dopo Victor comparve con le lampade e
    tir? gi? le persiane.
    Era impaziente che se  ne  andasse,  e  invece  sembrava  che  gli
    servisse un tempo infinito per fare quel che doveva fare.
    Appena  fu  andato  via,  Dorian  corse  al  paravento  e  lo tir?
    indietro.  No,  nel ritratto non c'erano altri cambiamenti.  Aveva
    ricevuto  la  notizia  della  morte  di  Sybil  Vane  prima che la
    conoscesse lui stesso; aveva coscienza degli eventi della vita non
    appena si verificavano. Senza dubbio, quella crudelt? perversa che
    sciupava la bella linea della  bocca  doveva  essere  apparsa  nel
    momento  stesso  in  cui  la  fanciulla  aveva  bevuto  il veleno,
    qualunque fosse. Oppure i risultati lo lasciavano indifferente? Si
    limitava  forse  a  prendere  cognizione  di  ci?   che   accadeva
    all'interno  dell'anima?  Questo  si  chiedeva,  sperando di poter
    vedere un giorno il cambiamento verificarsi sotto i suoi  occhi  e
    rabbrividendo a questa speranza.
    Povera  Sybil!  Quale  romanzo era stato il suo!  Sul palcoscenico
    aveva rappresentato pi? volte la morte;  poi la morte  in  persona
    l'aveva  toccata  e  l'aveva  portata  via  con  s?.   Come  aveva
    interpretato quella  tremenda  scena  finale?  L'aveva  maledetto,
    morendo?  No;  era  morta  per  amor  suo  e ormai per lui l'amore
    sarebbe sempre stato un sacramento.  Lei aveva espiato  tutto  col
    sacrificio  della  vita;  lui non avrebbe pensato mai pi? a quello
    che gli aveva fatto subire,  a  teatro,  quell'orribile  sera.  Se
    avesse  pensato  a  lei,  l'avrebbe  pensata come una meravigliosa
    figura di tragedia,  mandata sulla scena del mondo per mostrare la
    realt? suprema dell'Amore.  Meravigliosa figura tragica?  Pensando
    al  suo  aspetto  infantile,   alle  sue   maniere   leggiadre   e
    capricciose,  alla  sua  timida  e  tremula  grazia gli vennero le
    lacrime agli occhi.  Spazz? via in fretta tutto questo e  torn?  a
    guardare il ritratto.
    Ebbe  la  sensazione  che  il momento di scegliere fosse veramente
    venuto: o forse la scelta c'era  gi?  stata?  S?,  la  vita  aveva
    deciso  per  lui;  la vita e la sua infinita curiosit? della vita.
    Eterna giovinezza,  passione senza  limiti,  piaceri  raffinati  e
    segreti, gioie sfrenate e amori ancora pi? sfrenati: avrebbe avuto
    tutto  questo.  Il  ritratto  avrebbe  portato  il  peso della sua
    vergogna, ecco tutto.
    Al pensiero  della  profanazione  che  attendeva  quel  bel  volto
    effigiato  sulla  tela  lo  prese  un  senso  di pena.  Una volta,
    imitando fanciullescamente  Narciso,  aveva  baciato  o  finto  di
    baciare  quelle  labbra  dipinte che ora gli sorridevano con tanta
    crudelt?.  Si era seduto,  una mattina dopo  l'altra,  davanti  al
    ritratto ammirandone la bellezza,  cos? che quasi gli era sembrato
    di esserne innamorato. Ora si sarebbe alterato a ogni capriccio al
    quale lui avesse  ceduto?  Era  destinato  a  diventare  una  cosa
    mostruosa  e  ripugnante,  da  nascondere  in  una stanza chiusa a
    chiave,  da escludere da quella luce del sole che tante volte  col
    suo   tocco  aveva  fatto  sembrare  d'oro  splendente  l'ondulata
    meraviglia dei capelli? Peccato, peccato!
    Per un attimo ebbe l'idea di pregare perch? finisse quell'orribile
    simpatia esistente tra  lui  stesso  e  il  ritratto.  Questo  era
    cambiato in risposta a una preghiera; forse avrebbe potuto restare
    inalterato in risposta a un'altra preghiera. Ma chi, conoscendo la
    vita,  avrebbe  rinunciato alla possibilit? di restare giovane per
    sempre,  per quanto fantastica potesse essere una tale possibilit?
    e   per   quanto   fatali  potessero  essere  le  conseguenze  che
    comportava?  E poi,  la cosa era veramente sotto il suo controllo?
    Era   certo  che  fosse  stata  quella  preghiera  a  produrre  la
    sostituzione? Non poteva esistere per tutto questo qualche curiosa
    ragione scientifica? Il pensiero poteva esercitare un'influenza su
    un organismo vivente;  perch? non avrebbe  potuto  esercitarla  su
    cose  morte  o  inorganiche?  O  magari,  senza  nessun pensiero o
    desiderio cosciente,  le cose estranee a noi non potevano  vibrare
    all'unisono  con i nostri stati d'animo e con le nostre passioni e
    l'atomo chiamare l'atomo,  nell'amore segreto  di  qualche  strana
    affinit??  Ma  poco importava il motivo.  Egli non avrebbe mai pi?
    tentato con le sue preghiere un Potere terribile.  Se il  ritratto
    si alterava,  ebbene, si alterasse pure; non c'era niente da fare.
    Perch? indagare pi? a fondo?
    Anzi,  ci sarebbe stato uno strano  piacere  nel  guardarlo.  Egli
    sarebbe  stato  in grado di seguire la propria mente nei posti pi?
    segreti.  Quel ritratto sarebbe stato per lui il pi? magico  degli
    specchi;  come  gli aveva dato la rivelazione del suo corpo,  cos?
    gli avrebbe rivelato la sua anima.  E quando l'inverno vi  sarebbe
    calato  sopra,  egli  sarebbe  rimasto nel punto dove la primavera
    freme alla  vigilia  dell'estate.  Quando  il  sangue  si  sarebbe
    ritirato  dal  viso  del ritratto,  lasciandosi dietro una pallida
    maschera di gesso dagli occhi plumbei,  egli avrebbe conservato lo
    splendore  dell'adolescenza.   I  fiori  della  sua  bellezza  non
    sarebbero mai  appassiti.  Come  gli  Dei  della  Grecia,  sarebbe
    rimasto forte,  agile,  giocondo.  Che importanza aveva quello che
    sarebbe accaduto all'immagine dipinta  sulla  tela?  Egli  sarebbe
    rimasto immune, e questo era tutto.
    Risistem?  il  paravento al suo posto davanti al ritratto,  con un
    sorriso,  e pass? in camera da letto  dove  gi?  il  domestico  lo
    aspettava. Un'ora dopo era all'Opera e Lord Henry si chinava sulla
    sua poltrona.














    Capitolo nono.

    La mattina dopo,  mentre stava facendo colazione, venne introdotto
    nella camera Basil Hallward.
    - Sono felice di averti trovato,  Dorian - disse questi  con  tono
    grave.  -  Ero venuto ieri sera,  ma mi dissero che eri all'Opera.
    Naturalmente sapevo che era impossibile,  ma vorrei che tu  avessi
    lasciato  detto  dov'eri  andato  veramente.   Passai  una  serata
    tremenda;  avevo quasi paura che a una tragedia  potesse  seguirne
    un'altra.  Penso  che  appena  ricevesti la notizia avresti potuto
    mandarmi a chiamare per telegrafo.  Io la lessi per puro  caso  in
    un'edizione  serale  del "Globe" che mi capit? in mano al circolo;
    mi precipitai qui e mi dispiacque moltissimo di non trovarti.  Non
    posso  dirti  fino a qual punto questa storia mi abbia costernato.
    So quanto devi soffrire.  Ma dove sei andato?  Sei forse andato  a
    trovare  sua  madre?  Per  un  momento mi venne l'idea di venire a
    cercarti l?;  il giornale dava l'indirizzo,  dalle parti di Euston
    Road, non ? vero? Poi ebbi paura di essere un intruso, in presenza
    di  uno  strazio  che  non era in mio potere di alleviare.  Povera
    donna, in che stato deve essere!  Ed era l'unica figlia!  Che cosa
    ha detto di questa tragedia?
    - Caro Basil,  e che ne so io?  - mormor? Dorian Gray, con un'aria
    terribilmente annoiata,  sorseggiando un vino di un pallido giallo
    da  un  delicato  bicchiere  veneziano  che  sembrava una bolla di
    schiuma imperlata d'oro. - Io ero all'Opera; dovevi venire l?.  Ho
    conosciuto  Lady Gwendolen,  la sorella di Harry;  eravamo nel suo
    palco.   E'  una  donna  incantevole,   e  la  Patti  ha   cantato
    divinamente.  Non parliamo di cose orribili. Se di una cosa non si
    parla,  non ? mai esistita;  ? soltanto l'espressione,  come  dice
    Harry,  che  conferisce realt? alle cose.  Incidentalmente ti dir?
    che non era l'unica figlia di quella donna;  c'? anche un  figlio.
    Credo  che  sia  un simpatico ragazzo,  ma non fa l'attore;  fa il
    marinaio,  o qualcosa del genere.  E ora parlami di te e di quello
    che stai dipingendo.
    - Sei andato all'Opera?  - disse Hallward,  parlando molto adagio,
    con una voce in cui vibrava intensamente una nota di  sofferenza.-
    Sei andato all'Opera,  mentre Sybil Vane giaceva,  morta,  nel suo
    miserabile alloggio? Come puoi parlarmi di altre donne incantevoli
    e della Patti che canta divinamente, prima ancora che la donna che
    amavi abbia trovato pace nella tomba?  Non  sai  quali  orrori  si
    preparano per quel suo fragile corpo bianco!
    - Taci,  Basil! Non lo voglio sentire - grid? Dorian, scattando in
    piedi.  - Non dirmi queste cose.  Quello che ? stato ?  stato;  il
    passato ? passato.
    - Ieri, lo chiami passato?
    - Che importa quanto tempo sia effettivamente trascorso?  Solo gli
    esseri  superficiali  hanno  bisogno  di  anni  per  liberarsi  di
    un'emozione. Un uomo che sia padrone di se stesso pu? mettere fine
    a  un  dolore  con  la  stessa  facilit?  con cui pu? inventare un
    piacere.  Io non intendo essere alla  merc?  delle  mie  emozioni;
    voglio servirmene, goderle e dominarle.
    -  Dorian,   che  cose  orribili!  C'?  qualche  cosa  che  ti  ha
    interamente cambiato.  Esteriormente sei sempre lo stesso  ragazzo
    meraviglioso che veniva ogni giorno nel mio studio a posare per il
    suo ritratto.  Allora per? eri semplice, naturale, affettuoso; eri
    la creatura pi? intatta che esistesse al mondo.  Adesso non so che
    cosa  ti abbia preso;  parli come se in te non esistesse il cuore,
    non esistesse la compassione. E' tutta l'influenza di Harry, me ne
    accorgo.
    Il giovine arross?. And? alla finestra e guard? per qualche minuto
    il giardino verde,  scintillante sotto la sferza del  sole.  Disse
    finalmente:
    - Basil,  io devo molto ad Harry,  pi? di quanto debba a te. Tu mi
    hai insegnato soltanto la vanit?.
    - Ebbene,  ora ne sono punito,  Dorian,  o sar? punito un giorno o
    l'altro.
    - Non so che cosa tu voglia dire,  Basil - esclam? lui, girandosi.
    - Non so che cosa tu voglia da me. Che vuoi?
    - Voglio  il  Dorian  Gray  che  ho  dipinto  -  disse  mestamente
    l'artista.
    - Basil, - disse il giovine, avvicinandosi a lui e mettendogli una
    mano sulla spalla,  - arrivi troppo tardi.  Ieri,  quando seppi il
    suicidio di Sybil Vane...
    - Suicidio!  gran Dio!  non c'? nessun dubbio in proposito?  grid?
    Hallward, guardandolo con un'espressione di orrore.
    -  Caro  Basil,  non  crederai  certo  che  sia  stato  un  banale
    incidente? Naturalmente si ? uccisa.
    Il pi? anziano dei due uomini  si  prese  il  viso  tra  le  mani,
    mormorando: - che orrore! - mentre un brivido lo scoteva tutto.
    - No - disse Dorian Gray,  - non c'? niente di tremendo in questo:
    ? una delle grandi tragedie romantiche del nostro tempo. Di regola
    la vita degli attori ? una vita infima; sono buoni mariti, o mogli
    fedeli,  o qualche altra cosa noiosa.  Capisci quello  che  voglio
    dire: virt? piccolo-borghese e roba di questo genere. Ma Sybil era
    diversa.  Ha  vissuto la sua pi? bella tragedia.  Era sempre stata
    un'eroina.  L'ultima sera che recit?,  la sera che tu la  vedesti,
    recit?  male perch? aveva conosciuto la realt? dell'amore;  quando
    ne conobbe l'irrealt? mor? come avrebbe potuto morire Giulietta  e
    rientr?  cos?  nella  sfera  dell'arte.  C'? in lei qualcosa della
    martire;  la sua morte ha tutta la patetica  inutilit?,  tutta  la
    bellezza  sprecata  del  martirio.  Ma,  come ti dicevo,  non devi
    pensare che io non abbia sofferto. Se tu fossi venuto ieri,  in un
    certo  momento,  verso le cinque e mezzo,  diciamo,  o le sei e un
    quarto,  mi avresti trovato in lacrime;  neppure Harry,  che venne
    (anzi  fu  lui  a  darmi la notizia),  aveva un'idea di quello che
    stavo attraversando. Soffrivo immensamente;  ma poi ? passato.  Io
    non  posso  ripetere  un'emozione;  nessuno  pu?  farlo,  tranne i
    sentimentali.  Basil,  sei terribilmente ingiusto.  Sei venuto qui
    per consolarmi,  cosa che ? molto gentile;  mi trovi consolato,  e
    questo ti rende furibondo.  Strano  modo  di  dimostrarmi  la  tua
    simpatia!  Mi fai ripensare a una storia che mi raccont? Harry, di
    un certo filantropo che pass? vent'anni della sua vita  a  lottare
    affinch?  venisse  riparato  un abuso o fosse modificata una certa
    legge ingiusta,  non so pi?  esattamente  quale  delle  due  cose.
    Finalmente ci riusc? e la delusione che prov? fu insuperabile. Non
    aveva  pi?  niente  da fare,  moriva quasi dalla noia e divent? un
    misantropo indurito.  E poi,  mio caro Basil,  se  vuoi  veramente
    consolarmi,  insegnami piuttosto a dimenticare l'accaduto oppure a
    vederlo dal giusto punto  di  vista  artistico.  Non  ?  stato  il
    Gautier  che  ha scritto della "consolation des arts"?  Mi ricordo
    che un giorno nel tuo  studio  mi  capit?  in  mano  un  volumetto
    rilegato  in  pergamena  e  gli  occhi  mi caddero su questa frase
    deliziosa.  Orbene,  io non sono  come  quel  giovane  di  cui  mi
    raccontasti  quella  volta  che andammo insieme a Marlow,  che era
    solito dire che il satin giallo  pu?  servire  di  consolazione  a
    tutte le miserie dell'esistenza. Mi piacciono le belle cose che si
    possono  toccare  e maneggiare;  dai broccati antichi,  dai bronzi
    verdi,  dalle lacche,  dagli  avori  intagliati,  da  un  ambiente
    raffinato, dal lusso, dalla pompa si pu? ricavare molto; ma per me
    vale  molto di pi? il temperamento artistico che tutte quelle cose
    creano  o,  quanto  meno,  rivelano.  Diventare  spettatore  della
    propria  esistenza,  come  dice  Harry,  significa  sfuggire  alle
    sofferenze  dell'esistenza.   So  che  sentirmi  parlare  cos?  ti
    sorprende;  tu non ti rendi conto del mio sviluppo.  Quando mi hai
    conosciuto ero uno scolaretto;  ora sono un  uomo,  con  passioni,
    pensieri,  idee interamente nuovi. Sono diverso, ma per questo non
    devi volermi meno bene;  sono cambiato,  ma tu  devi  restare  mio
    amico.  Naturalmente  voglio molto bene a Harry;  ma so che tu sei
    migliore di lui: non pi? forte,  perch?  hai  troppa  paura  della
    vita,  ma  migliore;  e  noi due siamo stati tanto felici insieme!
    Basil,  non mi lasciare e non litigare con me.  Io sono quello che
    sono, e non c'? altro da dire.
    Il  pittore  era  stranamente  commosso.   Quel  ragazzo  gli  era
    infinitamente caro e la sua personalit?  aveva  rappresentato  una
    svolta decisiva della sua arte.  L'idea di fargli altri rimproveri
    gli sembr? insopportabile; dopo tutto, la sua indifferenza non era
    probabilmente che uno stato d'animo del tutto  transitorio.  C'era
    tanto di buono, tanto di nobile in lui.
    - Va bene,  Dorian - disse alla fine, con un sorriso melanconico,-
    da oggi in poi non ti parler? pi? di questo orribile fatto.  Spero
    solo  che  il  tuo  nome  non  venga  fatto  in relazione ad esso.
    L'inchiesta ci sar? questo pomeriggio. Sei stato convocato?
    Dorian scroll? la testa e la  menzione  della  parola  "inchiesta"
    fece  passare  sul  suo  viso un'espressione di fastidio.  Cose di
    questo genere erano troppo grossolane, troppo volgari.
    - Non sanno il mio nome - rispose.
    - Lei s?, per?.
    - Soltanto il nome di battesimo, e quello sono sicuro che non l'ha
    detto a nessuno.  Una volta mi disse che tutti erano molto curiosi
    di sapere chi ero e che lei diceva invariabilmente che mi chiamavo
    Principe  Azzurro:  una  cosa molto carina.  Basil,  devi farmi un
    disegno di Sybil;  mi piacerebbe avere di lei qualcosa di pi?  del
    ricordo di qualche bacio e di qualche parolina patetica.
    - Cercher? di fare qualcosa per farti piacere,  Dorian; ma tu devi
    tornare a posare per me. Senza di te non posso andare avanti.
    Egli trasal? ed esclam?:
    - Non posso pi? posare per te, Basil. E' impossibile!
    Il pittore lo fiss?. - Che sciocchezze, mio caro! - esclam?.  Vuoi
    dire forse che il ritratto che ti ho fatto non ti piace? Ma dov'??
    Perch? ci hai messo un paravento davanti?  Lasciamelo guardare;  ?
    la cosa migliore che io abbia mai fatto.  Leva via quel paravento,
    Dorian;  ? una vergogna che il tuo servitore nasconda la mia opera
    in quel modo.  Appena sono entrato ho avuto subito  la  sensazione
    che la stanza avesse cambiato aspetto.
    -  Il  mio servitore non ne ha colpa,  Basil.  Credi forse che gli
    permetta di sistemare per me la mia stanza?  A volte mette a posto
    i  fiori,  e basta.  No,  sono stato io.  La luce sul ritratto era
    troppo forte.
    - Troppo  forte!  No  di  certo,  amico  mio.  La  collocazione  ?
    ammirevole.  Fammelo vedere.  - Hallward si diresse verso l'angolo
    della stanza.
    Un grido di terrore proruppe dalle labbra di Dorian, che si lanci?
    a mettersi in mezzo tra il pittore e il paravento.
    - Basil -disse, pallidissimo, - non devi vederlo. Non voglio.
    - Non devo vedere la mia opera!  non dici sul serio.  E perch? non
    dovrei vederla? - esclam? ridendo Hallward.
    - Basil,  sul mio onore, se cerchi di vederla non ti rivolger? pi?
    la parola.  Dico sul serio,  nel modo  pi?  assoluto.  Non  ti  d?
    spiegazioni  e  tu non devi chiederne;  ma ricordati che se tocchi
    questo paravento fra te e me tutto ? finito.
    Hallward sembrava fulminato e guardava Dorian con il pi?  profondo
    stupore.  Prima  di  allora  non  lo  aveva  mai  visto cos?.  Era
    addirittura livido di rabbia,  aveva le  mani  contratte,  le  sue
    pupille  erano  come dischi di fuoco azzurro e tremava dalla testa
    ai piedi.
    - Dorian!
    - Non mi parlare!
    - Ma che ? successo?  Naturalmente,  se non vuoi non  lo  guarder?
    disse  piuttosto freddamente e si avvi? verso la finestra.  - Per?
    mi sembra davvero abbastanza assurdo che io non  debba  vedere  il
    mio  quadro,  tanto  pi?  che  in  autunno  lo  esporr?  a Parigi.
    Probabilmente bisogner? che prima ci dia un'altra mano di vernice,
    e dunque un giorno dovr? pur vederlo. E allora, perch? oggi no?
    - Esporlo?  Lo vuoi esporre?  - esclam? Dorian Gray che si sentiva
    invadere  da  uno  strano  senso di terrore.  Il suo segreto stava
    dunque per essere mostrato al mondo?  La gente avrebbe contemplato
    sbigottita il mistero della sua vita?  Impossibile! Si doveva fare
    subito qualche cosa; ma che cosa?
    - S?.  Non credo che avrai nessuna difficolt?.  George Petit  vuol
    raccogliere  tutti  i  miei  quadri  migliori  per  un'esposizione
    individuale nella Rue de S?ze,  che si apre la prima settimana  di
    ottobre.  Il ritratto non star? via pi? di un mese e penso che per
    quel tempo potrai farne a  meno;  tanto,  sarai  di  sicuro  fuori
    citt?,  e,  del resto, se lo tieni sempre dietro un paravento vuol
    dire che non ci tieni eccessivamente.
    Dorian Gray si pass? la mano sulla fronte imperlata di  stille  di
    sudore.  Aveva  la  sensazione  di essere sull'orlo di un pericolo
    spaventoso. Grid?:
    - Un mese fa mi dicesti che non l'avresti mai esposto: Perch?  hai
    cambiato  idea?  Voialtri  che vi piccate tanto di essere coerenti
    avete gli stessi capricci che hanno tutti,  con la sola differenza
    che  i  vostri  capricci  sono piuttosto insensati.  Non puoi aver
    dimenticato che mi assicurasti nel modo pi? solenne che niente  al
    mondo  ti  avrebbe indotto a mandarlo a un'esposizione;  e a Harry
    dicesti esattamente la stessa cosa.
    Si ferm? bruscamente e gli balen? negli occhi uno sprazzo di luce.
    Gli torn? in mente che una volta Lord Henry gli aveva  detto,  tra
    il  serio  e  il  faceto:  "Quando  vorrai passare un quarto d'ora
    curioso,  fatti dire da Basil perch?  non  vuole  esporre  il  tuo
    ritratto.  L'ha detto a me, e per me ? stata una rivelazione". S?,
    forse anche Basil aveva il suo segreto;  valeva la pena di provare
    a scoprirlo.
    -  Basil  -  gli disse,  avvicinandosi a lui e fissandolo in viso,
    ognuno di noi due ha un segreto. Se mi dici il tuo,  io ti dir? il
    mio. Qual era il motivo che ti spingeva a rifiutarti di esporre il
    mio ritratto?
    Il pittore, suo malgrado, ebbe un brivido.
    - Se te lo dicessi,  Dorian, potrebbe darsi che tu mi volessi meno
    bene, e di certo rideresti di me: due cose,  l'una e l'altra,  che
    non  posso sopportare.  Se desideri che non guardi il tuo ritratto
    mi rassegner?.  Potr? sempre guardare  te.  Se  vuoi  che  il  mio
    miglior  lavoro  rimanga  nascosto  al  mondo non importa;  la tua
    amicizia mi preme di pi? della fama o della reputazione.
    - No, Basil, devi dirmelo - insist? Dorian Gray.  - Credo di avere
    il diritto di saperlo.
    Il  senso di terrore era svanito e vi era subentrata la curiosit?;
    era deciso a scoprire il mistero di Basil Hallward.
    - Sediamoci,  Dorian - disse il  pittore,  che  sembrava  turbato.
    Sediamoci,  e  rispondi soltanto a una mia domanda.  Hai osservato
    nel ritratto qualche cosa di curioso, qualche cosa che sulle prime
    probabilmente non  ti  aveva  colpito  e  che  ti  si  ?  rivelata
    improvvisamente?
    -  Basil!  -  grid?  il giovine,  stringendo nelle mani tremanti i
    braccioli  della  poltrona  e  fissandolo  con  occhi  sbarrati  e
    furiosi.
    - Vedo che ? cos?. Non dire niente: ascolta prima quello che ho da
    dire  io.  Dorian,  fin  dal  momento  in  cui  ti  conobbi la tua
    personalit? ebbe su me la pi? straordinaria delle  influenze.  Fui
    dominato  da  te  nell'anima,   nell'intelletto,   nelle  facolt?;
    diventasti per me  l'incarnazione  visibile  di  quell'ideale  mai
    visto,  il cui ricordo ci perseguita, a noi artisti, come un sogno
    delizioso. Ti ho adorato;  sono stato geloso di tutti quelli con i
    quali  parlavi;  ti volevo tutto per me solo;  ero felice soltanto
    quando ero con te e quando eri lontano  eri  pur  sempre  presente
    nella  mia arte...  Di tutto questo,  naturalmente,  non ti ho mai
    fatto sapere  niente;  e  sarebbe  stato  impossibile  perch?  non
    l'avresti  capito.  Io  stesso  non  arrivavo  a  capirlo:  sapevo
    soltanto che mi ero trovato faccia a faccia con  la  perfezione  e
    che  ai  miei  occhi  il mondo era diventato meraviglioso,  troppo
    meraviglioso forse,  perch?  in  certe  pazze  adorazioni  c'?  un
    pericolo,   il  pericolo  di  perderle  non  meno  che  quello  di
    conservarle.  Passarono settimane e settimane,  durante  le  quali
    andai lasciandomi assorbire sempre pi? da te; poi ci fu uno stadio
    ulteriore.  Ti  avevo  disegnato  come un Paride,  in una delicata
    armatura,  come Adone,  in vesti da  cacciatore  e  con  la  spada
    lucente  in  pugno.  Ti  avevo  posto  sulla  prua  della barca di
    Adriano,  nell'atto di guardare il verde e  torbido  Nilo,  e  sul
    margine  di  uno  stagno  in  un bosco della Grecia,  nell'atto di
    vedere la meraviglia del tuo volto nel tacito argento delle acque.
    Tutto questo era stato come l'arte deve essere: inconscio, ideale,
    lontano. Ma un giorno, un giorno fatale,  mi decisi a dipingere un
    tuo mirabile ritratto,  di te come sei veramente;  non nel costume
    di un'epoca morta,  ma nelle vesti e nel tempo che sono tuoi.  Non
    so  se  sia  stato  il realismo del metodo oppure solo il miracolo
    della tua personalit? che in questo modo mi  si  presentava  senza
    nebbie  e senza veli;  certo ? che mentre lavoravo a quel ritratto
    ogni pennellata,  ogni striscia di colore sembrava rivelare  a  me
    stesso  il  mio  segreto.  Ebbi  paura  che  gli altri venissero a
    conoscere la mia idolatria;  ebbi  la  sensazione  di  aver  detto
    troppo,  di  aver  messo in quel ritratto troppo di me stesso.  Fu
    allora che presi la decisione di non permettere  mai  che  venisse
    esposto. Tu ne fosti un po' seccato, ma allora non potevi renderti
    conto  di  ci?  che  esso significava per me;  Harry,  al quale ne
    parlai, si mise a ridere, ma di questo poco m'importava. Quando il
    ritratto fu finito e mi ritrovai solo con esso  sentii  che  avevo
    ragione...  Orbene,  qualche  giorno  dopo  il quadro usc? dal mio
    studio;  e non appena fui liberato dal fascino intollerabile della
    sua presenza mi sembr? di essere stato uno sciocco a immaginare di
    averci   visto   qualche   cosa  oltre  queste  due:  che  tu  sei
    straordinariamente bello e che io so dipingere.  Anche adesso  non
    posso  trattenermi  dal  pensare  che sia un errore credere che la
    passione che  si  prova  nell'atto  di  creare  si  manifesti  mai
    veramente  nell'opera creata da noi.  L'arte ? sempre pi? astratta
    di quello che noi immaginiamo;  forme e colori ci parlano di forme
    e  colori  e  nient'altro.  Spesso  mi  sembra che l'arte nasconda
    l'artista ben pi? completamente di quanto non lo  riveli.  Perci?,
    ricevendo quest'invito da Parigi,  decisi di fare del tuo ritratto
    il pezzo principale della mia esposizione.  Non mi  venne  mai  in
    mente che tu avresti rifiutato.  Ora mi accorgo che avevi ragione:
    quel ritratto non si pu? mostrare.  Dorian,  non essere in collera
    con  me per quello che ti ho detto.  Come dissi una volta a Harry,
    tu sei fatto per essere adorato.
    Dorian Gray fece un  profondo  respiro.  Le  guance  ripresero  il
    colorito  e  un  sorriso  vag?  sulle  sue labbra: il pericolo era
    passato.  Per il  momento  era  al  sicuro.  Tuttavia  non  poteva
    difendersi dal provare una compassione infinita per il pittore che
    gli  aveva  fatto  quella strana confessione e dal chiedersi se un
    giorno sarebbe toccato anche a lui subire una  simile  dominazione
    da  parte  della  personalit?  di  un  amico.  Lord Henry aveva il
    fascino di essere molto pericoloso,  ma niente di pi?;  era troppo
    intelligente  e troppo cinico perch? si potesse volergli veramente
    bene.  Sarebbe mai esistito  qualcuno  capace  di  ispirargli  una
    strana  idolatria?  Era  questa  una  delle  cose  che la vita gli
    riservava?
    - Mi sembra straordinario, Dorian, che tu abbia visto tutto questo
    in quel ritratto. L'hai visto veramente?
    - Vi ho visto qualcosa - rispose lui, - qualcosa che mi ? sembrata
    molto strana.
    - E allora ti dispiace ancora se guardo il ritratto?
    Dorian scosse la tasta. - Questo non devi chiedermelo, Basil.  Non
    posso  assolutamente  permettere  che  tu  ti ponga davanti a quel
    ritratto.
    - Ma un giorno lo permetterai?
    - Mai.
    - S?, forse hai ragione.  E ora addio,  Dorian.  Sei stato la sola
    persona  nella  mia  vita  che  abbia realmente avuto un'influenza
    sulla mia arte. Quello che ho fatto di buono lo devo a te. Ah,  tu
    non sai quanto mi sia costato dirti tutto quello che ti ho detto.
    -   Caro  Basil  -  disse  Dorian,   -  che  cosa  mi  hai  detto?
    Semplicemente che ti sembrava di avermi  ammirato  troppo.  Non  ?
    nemmeno un complimento.
    -  Non voleva essere un complimento: era una confessione e ora che
    l'ho fatta ? come se qualche cosa fosse uscita da me. Forse non si
    dovrebbe mai tradurre in parole le proprie adorazioni.
    - E' stata una confessione che mi ha molto deluso.
    - Come?  e che cosa ti aspettavi,  Dorian?  Tu non hai mica  visto
    qualche altra cosa in quel ritratto? Non c'era altro da vedere?
    - No,  non c'era altro da vedere. Perch? me lo chiedi? Ma non devi
    parlare di adorazione: ? sciocco. Tu ed io siamo amici,  Basil,  e
    dobbiamo rimanere sempre amici.
    - Tu hai Harry - disse melanconicamente il pittore.
    - Oh,  Harry !  - grid? il ragazzo,  con una mezza risata. - Harry
    passa le giornate a dire delle cose incredibili e le serate a fare
    delle  cose  imprevedibili.   E'  precisamente  la  vita  che   mi
    piacerebbe  fare.  Per?  se  mi trovassi in un guaio non credo che
    andrei da Harry. Verrei piuttosto da te, Basil.
    - Tornerai a posare per me?
    - E' impossibile.
    - Il tuo rifiuto ? la rovina della mia vita  di  artista.  Nessuno
    incontra  mai  due  cose  ideali;  ben  pochi  sono  quelli che ne
    incontrano una.
    - Non posso spiegarti il perch?, Basil,  ma per te non devo posare
    mai pi?. In un ritratto c'? qualche cosa di fatale; il ritratto ha
    una  vita  sua  propria.  Verr?  da  te  a  prendere  il t? e sar?
    altrettanto piacevole.
    - Per te ho paura che sia anche pi? piacevole -  mormor?  Hallward
    con  rimpianto.  -  E  ora  addio.  Mi  dispiace che tu non voglia
    lasciarmi guardare il ritratto un'altra volta,  ma non c'?  niente
    da fare. Capisco perfettamente i tuoi sentimenti.
    Appena fu uscito,  Dorian sorrise a se stesso.  Povero Basil, come
    era lontano dal conoscere la vera ragione!  E com'era strano  che,
    invece  di  essere  stato  costretto a rivelare il proprio segreto
    fosse riuscito,  quasi per caso,  a estorcere un  segreto  al  suo
    amico!   Quante   cose   sembravano   chiare  dopo  quella  strana
    confessione!  Gli assurdi eccessi di gelosia del pittore,  la  sua
    sfrenata  affezione,  i suoi panegirici esagerati,  le sue curiose
    reticenze - ora capiva tutto questo e ne provava  dispiacere;  gli
    sembrava  che  in  un'amicizia  cos?  colorita di romanzo ci fosse
    qualche cosa di tragico.
    Sospir? e suon? il campanello.  Bisognava nascondere il ritratto a
    ogni  costo.  Non  poteva correre un'altra volta il rischio di una
    scoperta.  Sarebbe stata una  pazzia  lasciare  che  quell'oggetto
    restasse  anche  un'ora  soltanto in una stanza nella quale poteva
    entrare uno qualunque dei suoi amici.
    Capitolo decimo.

    Quando entr? il domestico,  lo fiss? intensamente,  chiedendosi se
    avesse  avuto  l'idea di dare un'occhiata dietro il paravento.  Il
    servitore,  perfettamente impassibile,  aspettava  ordini.  Dorian
    accese  una sigaretta,  and? allo specchio e vi diede uno sguardo.
    Poteva vedervi riflesso  perfettamente  il  viso  di  Victor,  una
    maschera  placida  di  servilit?.  Non c'era quindi da aver paura;
    tuttavia gli sembr? che fosse bene stare in guardia.
    Parlando con estrema  lentezza,  gli  disse  di  far  sapere  alla
    governante  che  voleva vederla e poi di andare dal fabbricante di
    cornici pregandolo di mandare immediatamente due dei suoi  uomini.
    Gli sembr? che nell'uscire il servitore girasse gli occhi verso il
    paravento. O si trattava di pura immaginazione?
    Qualche  minuto  dopo  comparve  nella biblioteca la signora Leaf,
    vestita di seta nera e con un paio di antiquati  mezzi  guanti  di
    filo  sulle  mani  rugose.  Le  chiese  la chiave dello studio dei
    ragazzi.
    - Il vecchio studio,  signor Dorian?  - esclam? lei.  - Ma ? tutto
    pieno  di  polvere.  Bisogna  che  lo faccia ripulire e mettere in
    ordine prima che ci andiate. Ora non ? visibile, no davvero.
    - Non voglio che sia messo in ordine,  Leaf;  voglio  soltanto  la
    chiave.
    - Ma se ci entrate vi coprirete di ragnatele. Sono cinque anni che
    non ? stato aperto; da quando mor? Sua Signoria.
    Questa menzione di suo nonno lo fece trasalire;  conservava di lui
    un ricorso odioso.
    - Non fa niente - rispose.  - Voglio soltanto vedere la  stanza  e
    basta. Datemi la chiave.
    -  Eccola  -  disse  la vecchia,  rovistando nel mazzo con le mani
    tremanti e incerte.  - Ma non avrete  mica  l'idea  di  andarci  a
    stare? Qui ? talmente comodo!
    - No, no - grid? lui con voce arrogante. - Grazie, Leaf. Non serve
    altro.
    Lei  indugi?  qualche  minuto  e cominci? a chiacchierare di certi
    dettagli dell'andamento domestico. Dorian, sospirando, le disse di
    fare quello che credeva meglio. La donna usc? dalla stanza,  tutta
    sorridente.
    Appena  richiusa  la  porta,  Dorian  si mise la chiave in tasca e
    diede un'occhiata in  giro.  L'occhio  gli  cadde  su  una  grande
    coperta   di  satin  purpureo  pesantemente  ricamata  d'oro,   un
    magnifico pezzo di stoffa veneziana della fine del diciassettesimo
    secolo,  che suo nonno aveva trovato in un convento nei pressi  di
    Bologna.   Andava   proprio   bene   per  avvolgere  quell'oggetto
    spaventoso.  Forse era  servito  pi?  volte  per  fare  da  coltre
    mortuaria;  ora doveva servire a nascondere una cosa che aveva una
    corruzione sua propria,  peggiore perfino della  corruzione  della
    morte; una cosa generatrice di orrori e che non sarebbe morta mai.
    I  suoi  peccati sarebbero stati per l'immagine dipinta sulla tela
    quello che il verme ? per il cadavere: ne  avrebbero  disfatta  la
    bellezza,  ne avrebbero divorato la grazia, l'avrebbero sfigurata,
    l'avrebbero resa  ripugnante;  ma  quella  cosa  avrebbe  tuttavia
    continuato a vivere. Sarebbe vissuta per sempre.
    Rabbrivid?  e  per  un attimo deplor? di non aver detto a Basil la
    vera ragione che l'aveva mosso a nascondere il ritratto: Basil  lo
    avrebbe  aiutato  a  resistere  all'influenza di Lord Henry e alle
    influenze  ancora  pi?  velenose  provenienti   dal   suo   stesso
    temperamento.  L'amore  che il pittore nutriva per lui,  poich? si
    trattava di un vero amore,  non aveva in s? niente che  non  fosse
    nobile e intellettuale. Non era quella ammirazione soltanto fisica
    della  bellezza,  che  nasce  dai  sensi e muore quando i sensi si
    stancano; era lo stesso amore che avevano conosciuto Michelangelo,
    Montaigne,  Winckelmann e lo  stesso  Shakespeare.  Basil  avrebbe
    potuto  salvarlo;  ma  ormai  era troppo tardi.  Il passato poteva
    sempre essere annullato: bastavano per questo  il  pentimento,  la
    rinuncia,  l'oblio.  Ma  il  futuro  era  inevitabile.  In  lui si
    agitavano passioni che  avrebbero  trovato  uno  sfogo  terribile,
    sogni  che  avrebbero  trasformato  in  realt?  l'ombra della loro
    perversione.
    Prese dal divano la grande stoffa porpora e oro che lo ricopriva e
    and? dietro il paravento tenendola in mano.  La faccia sulla  tela
    era  pi?  turpe  di  prima?  Non gli sembr? cambiata;  tuttavia la
    repulsione che gli ispirava aument?. Capelli d'oro, occhi azzurri,
    labbra rosse,  tutto c'era:  quello  che  era  alterato  era  solo
    l'espressione  e  questa,  nella  sua crudelt?,  era orribile.  In
    confronto al biasimo che vi vedeva, com'erano stati superficiali i
    rimproveri di Basil a proposito di Sybil Vane, superficiali, privi
    di ogni valore!  Dalla tela la sua anima stessa lo  fissava  e  lo
    chiamava  a  giudizio.  Gett?  la  ricca  coltre  sul ritratto con
    un'espressione  di  sofferenza  in  viso.  Mentre  faceva  questo,
    bussarono alla porta; si ritrasse e il domestico entr?.
    - Gli uomini sono arrivati, Monsieur.
    Disse  a  se  stesso che bisognava liberarsi subito di quell'uomo:
    non doveva sapere dove sarebbe stato portato il ritratto. C'era in
    lui un  qualcosa  di  furbesco;  i  suoi  occhi  erano  pensosi  e
    traditori.  Si  sedette  alla scrivania e scrisse un biglietto per
    Lord Henry,  pregandolo di mandargli qualche  cosa  da  leggere  e
    ricordandogli  l'appuntamento  che  si erano dati per le otto e un
    quarto di quella sera.
    - Aspettate la risposta - disse, porgendoglielo,  - e fate entrare
    quegli uomini.
    Un paio di minuti dopo bussarono di nuovo e il signor Hubbard,  il
    famoso corniciaio di South Audley Street,  entr?  con  un  giovane
    operaio  dall'aria piuttosto rozza.  Il signor Hubbard era un uomo
    con  l'aspetto  florido  e  con  la   barba   rossa,   nel   quale
    l'ammirazione  per  l'arte  era  mitigata  dall'eterna mancanza di
    denaro della maggior parte degli artisti con i quali aveva  a  che
    fare.  Di  regola  non  si  allontanava mai dalla sua bottega,  ma
    faceva sempre un'eccezione per Dorian Gray.  C'era qualche cosa in
    Dorian  che  affascinava  tutti  quanti:  il  solo  vederlo era un
    piacere.
    -  In  che  cosa   posso   servirvi,   signor   Gray?   -   disse,
    stropicciandosi   le   grasse  mani  lentigginose.   -  Ho  voluto
    concedermi l'onore di  venire  personalmente.  Proprio  in  questo
    momento  ho  ricevuto  una meraviglia di cornice.  L'ho comprata a
    un'asta.  Fiorentina  antica:  credo  che  provenga  da  Fonthill.
    Mirabilmente  adatta  per un quadro di soggetto religioso,  signor
    Gray.
    - Mi dispiace che vi siate disturbato a  venire,  signor  Hubbard.
    Passer?  certamente  a  vedere  la  cornice,  per quanto in questo
    momento l'arte sacra  non  mi  interessi  molto;  ma  oggi  voglio
    soltanto  far portare un quadro all'ultimo piano della casa e dato
    che ? piuttosto pesante avevo pensato di pregarvi di prestarmi  un
    paio dei vostri operai.
    -  Nessun  disturbo,  Mister  Gray.  Sono felice di potervi essere
    utile. Qual ? quest'opera d'arte?
    -  Questa  -  disse  Dorian,  rimovendo  il  paravento.  -  Potete
    trasportarla cos? come sta, con la coperta e tutto? Non vorrei che
    si graffiasse su per le scale.
    - Nessuna difficolt? - disse il gioviale corniciaio,  cominciando,
    con l'aiuto del garzone,  a staccare il quadro dalle lunghe catene
    di bronzo alle quali era appeso.  - E ora dove lo portiamo, signor
    Gray?
    - Vi mostrer? la  strada,  signor  Hubbard,  se  volete  avere  la
    cortesia di seguirmi.  O forse sar? meglio che andiate avanti voi.
    Purtroppo ? proprio in cima alla casa. Saliremo per lo scalone che
    ? pi? largo.
    Tenne aperta la porta per loro ed essi  uscirono  nell'ingresso  e
    iniziarono  a salire.  Il tipo complicato di cornice aveva reso il
    quadro molto voluminoso e ogni tanto Dorian dovette dare una  mano
    per  aiutare,  a  dispetto  delle  proteste  ossequiose del signor
    Hubbard,  che sentiva quel vivo dispiacere  che  sente  ogni  vero
    lavoratore nel vedere un signore fare qualcosa di utile.
    -   Un  bel  peso  da  portare  -  disse  l'ometto,   ansimando  e
    asciugandosi la fronte lucida,  quando furono arrivati  all'ultimo
    pianerottolo.
    -  S?  -  mormor?  Dorian - ho paura che sia piuttosto pesante - e
    apr? la porta che immetteva nella stanza destinata a custodire per
    lui lo strano segreto della sua vita e a nascondere a ogni sguardo
    estraneo la sua anima.
    Non era entrato in quella stanza da pi? di quattro anni; da quando
    l'aveva usata, all'inizio, da bambino, come stanza da giuoco, poi,
    cresciuto, come studio. Era una camera grande e ben proporzionata,
    che il defunto Lord  Kelso  aveva  fatto  costruire  appositamente
    perch?  servisse  al nipotino che aveva sempre odiato e desiderato
    di tener lontano, per la sua strana somiglianza con la madre e per
    altri motivi. A Dorian sembr? che non fosse molto cambiata.  C'era
    l'enorme cassone italiano,  coi pannelli fantasticamente dipinti e
    le  modanature  dorate  annerite  dal  tempo,  nel  quale  si  era
    acquattato  tante  volte  da  bambino.  C'era la libreria di legno
    indiano, piena dei suoi libri di scuola tutti sgualciti. Dietro di
    questa,  pendeva dal muro la stessa logora tappezzeria  fiamminga,
    sulla  quale  un  Re  e  una  Regina  scoloriti stavano giocando a
    scacchi in un giardino,  mentre passava un  gruppo  di  falconieri
    portando  sul  pugno coperto dal guanto gli uccelli incappucciati.
    Come se la ricordava!  Nel girare lo sguardo intorno alla  stanza,
    gli  tornarono  in  mente  tutti  i momenti della sua fanciullezza
    solitaria;  ricord?  la  purezza  immacolata  della  sua  vita  di
    adolescente  e  gli  sembr?  orribile che proprio in quella stanza
    dovesse essere nascosto quel fatale ritratto. Come era lontano, in
    quei tempi passati,  dal pensare a tutto quello che gli  riservava
    il destino!
    Ma  in  tutta  la casa non esisteva un posto altrettanto al sicuro
    dagli sguardi indiscreti.  La chiave l'aveva lui  e  nessun  altro
    poteva entrare. Sotto la coltre di porpora, il volto dipinto sulla
    tela  poteva  diventare  bestiale,   sozzo,   immondo.   Che  cosa
    importava, se nessuno poteva vederlo?  Non l'avrebbe visto neppure
    lui.  Perch?  avrebbe  dovuto assistere al nauseabondo corrompersi
    della sua anima?  Conservava la giovinezza,  e questo  bastava.  E
    poi,  non poteva darsi,  dopo tutto,  che la sua natura si facesse
    pi? bella? Non c'era nessun motivo perch? il futuro dovesse essere
    cos? pieno di vergogna.  L'amore poteva trovarsi sulla sua strada,
    purificarlo,  proteggerlo  da  quei  peccati  che  sembravano  gi?
    fermentargli nello spirito e nella  carne,  quei  curiosi  peccati
    ineffigiati  ai  quali  lo  stesso  mistero  dava  raffinatezza  e
    fascino.  Forse un giorno  quell'espressione  crudele  si  sarebbe
    dileguata  dalla  scarlatta  bocca sensuale ed egli avrebbe potuto
    mostrare al mondo il capolavoro di Basil Hallward.
    No; era impossibile. Ora per ora, settimana per settimana,  quella
    cosa sulla tela invecchiava.  Anche se sfuggiva alla bruttezza del
    peccato non poteva  sfuggire  a  quella  dell'et?.  Le  guance  si
    sarebbero   incavate,   o  sarebbero  diventate  flaccide;   rughe
    giallastre sarebbero apparse intorno agli occhi smorti, rendendoli
    orribili;  i capelli  avrebbero  perso  la  lucentezza,  la  bocca
    sarebbe   diventata   semiaperta   o  cascante,   avrebbe  assunto
    quell'aspetto stupido e volgare che hanno le  bocche  dei  vecchi.
    Avrebbe  avuto  il  collo  grinzoso,  le  mani fredde,  dalle vene
    azzurrine, il corpo contorto,  come lui lo ricordava del nonno che
    era stato tanto duro per la sua fanciullezza. Bisognava nascondere
    il ritratto; non c'era altra possibilit?.
    -  Portatelo dentro,  signor Hubbard,  per favore - disse con voce
    stanca,  girandosi indietro.  - Scusatemi se vi ho fatto aspettare
    tanto; stavo pensando a un'altra cosa.
    -  Un  po'  di riposo fa sempre piacere,  signor Gray - rispose il
    corniciaio, che ansimava ancora. - Dove lo mettiamo?
    - Oh, in qualunque posto.  Qui andr? bene.  Non voglio appenderlo;
    basta appoggiarlo al muro. Grazie.
    - Si pu? guardare l'opera d'arte?
    Dorian trasal?. Disse, tenendogli gli occhi addosso:
    - Non vi interesserebbe, signor Hubbard.
    Si  sentiva  pronto  a saltargli addosso e a gettarlo per terra se
    avesse osato di sollevare il fastoso velame che copriva il segreto
    della sua vita.
    - Non ho bisogno di disturbarvi oltre.  Vi sono davvero grato  per
    aver avuto la gentilezza di venire.
    - Niente,  niente,  signor Gray.  Sempre disposto a fare qualunque
    cosa per voi.  - E il signor Hubbard si avvi? gi?  per  la  scala,
    seguito  dal  garzone,  che si gir? indietro a guardare Dorian con
    un'espressione di timida ammirazione sul viso  rude  e  sgraziato.
    Non aveva mai visto un essere cos? meraviglioso.
    Quando il rumore dei loro passi si fu dileguato,  Dorian chiuse la
    porta e si mise in tasca la chiave.  Ora  si  sentiva  al  sicuro.
    Nessuno  avrebbe  visto mai quell'orribile cosa;  la sua ignominia
    non sarebbe stata vista da altri occhi se non dai suoi.
    Tornando nella biblioteca vide che erano appena passate le  cinque
    e  che avevano gi? portato il t?.  Su un tavolino di legno scuro e
    profumato,  riccamente intarsiato  di  madreperla,  dono  di  Lady
    Radley,  moglie  del suo tutore,  graziosa ammalata di professione
    che  aveva  passato  l'inverno  precedente  al  Cairo,   c'era  un
    biglietto di Lord Henry e vicino a questo un libro legato in carta
    gialla  con la copertina leggermente lacerata e i margini sporchi.
    Sul vassoio del t? era stata deposta una copia della "Saint James'
    Gazette".  Evidentemente Victor era tornato.  Si chiese se  avesse
    incontrato  nell'ingresso  i  due  che uscivano e fosse riuscito a
    sapere da loro quello che avevano fatto.  Certo si sarebbe accorto
    della  mancanza  del  quadro;  indubbiamente se ne era gi? accorto
    quando aveva portato il t?.  Il paravento non era stato rimesso  a
    posto  e  sulla  parete era visibile uno spazio vuoto.  Una notte,
    forse,  l'avrebbe sorpreso nell'atto di salire le scale pian piano
    e  di tentare di forzare la porta della stanza.  Avere una spia in
    casa era una  cosa  orribile.  Aveva  sentito  parlare  di  ricchi
    signori  che  erano  stati ricattati per tutta la vita da un servo
    che aveva  letto  una  lettera  o  sorpreso  una  conversazione  o
    raccattato  un  biglietto  con  un  indirizzo  o  trovato sotto un
    cuscino un fiore avvizzito oppure un pezzetto sgualcito di trina.
    Sospir?, si vers? il t? e apri il biglietto di Lord Henry.  Diceva
    semplicemente  che  gli  mandava il giornale della sera e un libro
    che poteva interessarlo e che alle otto e  un  quarto  si  sarebbe
    trovato al circolo.  Spieg? lentamente il giornale e lo scorse. Un
    segno a matita rossa sulla quinta pagina colp? il suo sguardo: era
    destinato ad attrarre la sua attenzione sul trafiletto seguente:

    INCHIESTA SU UN ATTRICE.
    Stamane alla Taverna della Campana in Hoxton Road ?  stata  tenuta
    un'inchiesta dal signor Danby,  Coroner distrettuale, sul cadavere
    di Sybil Vane,  giovane attrice scritturata di  recente  al  Royal
    Theatre  di  Holborn.   E'  stato  emesso  un  verdetto  di  morte
    accidentale.  Sono state espresse molte condoglianze  alla  madre,
    che  si ? dimostrata grandemente afflitta tanto durante la propria
    deposizione quanto durante la deposizione del Dottor Birrell,  che
    ha eseguito l'autopsia della defunta.

    Aggrott?  le  sopracciglia,  stracci?  il giornale in due pezzi e,
    attraversata la stanza, lo gett? via.  Com'era brutto tutto questo
    e come la bruttezza mostrava le cose nella loro orrenda realt?!
    Era  un  po'  seccato  che  Lord  Henry  gli avesse mandato quella
    notizia, e certo era stato stupido a segnarla con la matita rossa.
    Victor poteva averla  letta;  conosceva  l'inglese  abbastanza  da
    poterlo fare.  Forse l'aveva letta e aveva cominciato a sospettare
    qualche cosa. Ma d'altra parte che importava? Che c'entrava Dorian
    Gray con la morte di Sybil  Vane?  Non  c'era  niente  da  temere.
    Dorian Gray non l'aveva uccisa.
    Lo  sguardo  gli cadde sul libro giallo che gli aveva mandato Lord
    Henry.  Che cos'era?  Si diresse verso il  tavolinetto  ottagonale
    color  perla,  che  gli  era  sempre  sembrato simile al lavoro di
    strane api egiziane che avessero lavorato l'argento, si sedette in
    una poltrona e cominci? a sfogliare le pagine.  Dopo pochi  minuti
    era  completamente  assorto  nella  lettura,  perch? quello era il
    libro pi? strano che avesse mai letto.  Gli  sembrava  di  vedersi
    sfilare davanti,  in un corteo muto,  i peccati del mondo in vesti
    squisite,  al suono delicato dei flauti.  Cose che aveva vagamente
    sognate  diventarono  immediatamente  reali per lui;  cose che non
    aveva mai sognate gli furono gradualmente rivelate.
    Era un romanzo senza intreccio e con un personaggio  soltanto;  o,
    per  meglio  dire,  era semplicemente uno studio psicologico su un
    giovane parigino che passava la vita tentando  di  realizzare  nel
    diciannovesimo  secolo tutte le passioni e i modi di vivere propri
    di tutti i secoli salvo che del suo e di assommare in  se  stesso,
    per  cos?  dire,  i  vari stati d'animo che lo spirito del mondo ?
    venuto attraversando, amando per la pura loro artificiosit? quelle
    rinunce alle quali l'umanit? ha dato poco saggiamente il  nome  di
    virt?,  non  meno  di  quelle  ribellioni  naturali  che  i  saggi
    continuano  a  chiamare  peccati.  Era  scritto  in  quello  stile
    curiosamente ingioiellato, vivido e oscuro insieme, pieno di frasi
    di  gergo  e  di arcaismi,  di espressioni tecniche e di parafrasi
    elaborate,  che caratterizza l'opera  di  alcuni  tra  i  migliori
    artisti  della scuola francese dei Simbolisti.  Conteneva metafore
    mostruose come orchidee e non meno raffinate di queste nel colore.
    La vita dei sensi vi era descritta  coi  termini  della  filosofia
    mistica.  A  volte  era  impossibile  dire se si stava leggendo le
    estasi spirituali  di  qualche  santo  del  Medio  Evo  oppure  le
    confessioni  morbose  di  un  peccatore  moderno.   Era  un  libro
    velenoso.  L'odore pesante dell'incenso sembrava aderire alle  sue
    pagine e sconvolgere lo spirito.  Nella mente del giovine,  mentre
    passava da un capitolo all'altro, la pura cadenza delle frasi,  la
    sottile  monotonia della loro musica,  piena com'era di ritornelli
    complessi e di  movenze  elaboratamente  ripetute,  provocava  una
    specie di "r?verie", una malattia del sogno, che gli toglieva ogni
    coscienza del finire del giorno e dell'avanzare delle ombre.
    Attraverso  le  finestre brillava un cielo color verderame,  senza
    nuvole e ornato da una stella solitaria.  Alla sua luce tenue egli
    lesse, finch? non fu pi? in grado di leggere. Allora, dopo che pi?
    volte il servitore lo aveva avvertito che l'ora era tarda, si alz?
    e,  andato  nella  stanza  vicina,  pos?  il libro sul tavolinetto
    fiorentino che stava sempre al suo capezzale e cominci? a vestirsi
    per il pranzo.
    Prima che arrivasse al circolo erano quasi  le  nove.  Trov?  Lord
    Henry seduto nel salone, solo e con un'aria molto annoiata.
    - Scusami tanto,  Harry - grid?; - ma in realt? ? tutta colpa tua.
    Quel libro che mi hai mandato mi ha talmente affascinato da  farmi
    dimenticare che il tempo passava.
    -  S?,  lo sapevo che ti sarebbe piaciuto - replic? il suo ospite,
    alzandosi.
    - Non ho detto che mi ? piaciuto.  Ho detto che mi ha affascinato.
    C'? una grande differenza.
    - Ah,  l'hai scoperto,  questo? - mormor? Lord Henry. Passarono in
    sala da pranzo.













    Capitolo undicesimo.

    Per molti anni Dorian Gray non pot?  liberarsi  dall'influenza  di
    quel  libro,  e forse sarebbe pi? giusto dire che non cerc? mai di
    liberarsene.  Fece venire da Parigi non meno di nove esemplari non
    rilegati  della  prima  edizione  e  li  fece  rilegare  in colori
    diversi,  cos? che potessero accordarsi  con  i  suoi  vari  stati
    d'animo  e  con le mutevoli fantasie di una natura sulla quale,  a
    volte,  sembrava che  lui  stesso  avesse  perso  ogni  controllo.
    L'eroe,   quel   meraviglioso   giovane   parigino  nel  quale  il
    temperamento romantico e quello scientifico erano cos? stranamente
    mischiati,  divent? per lui quasi una prefigurazione di se stesso;
    e davvero il libro gli sembrava che contenesse la storia della sua
    vita scritta prima che lui l'avesse vissuta.
    In  un  punto  per?  egli era pi? fortunato del fantastico eroe di
    quel romanzo. Egli non conobbe mai,  anzi,  non ebbe mai motivo di
    conoscere,  quel  terrore  un  po' grottesco degli specchi,  delle
    superfici metalliche lucide,  delle acque immobili,  dal quale  il
    giovane  parigino  fu  colto  tanto presto nella sua vita,  dovuto
    all'improvviso disfacimento di una bellezza che un tempo, a quanto
    pare, era stata eccezionale.  Con una gioia quasi crudele- e forse
    un  po'  di  crudelt?  entra  in quasi tutte le gioie,  come entra
    sicuramente in ogni piacere - leggeva l'ultima  parte  del  libro,
    con  la  sua  descrizione davvero tragica,  anche se un po' troppo
    accentuata,  dell'angoscia e della disperazione  di  un  uomo  che
    aveva perso quello che,  negli altri e nel mondo, aveva apprezzato
    di pi?.
    Dato che quella bellezza meravigliosa, che aveva tanto affascinato
    Basil Hallward e molti altri con lui,  sembrava  non  dovesse  mai
    abbandonarlo.  Nemmeno quelli che avevano sentito dire le cose pi?
    gravi sul suo conto,  poich? ogni tanto si diffondevano per Londra
    strane  voci  sul suo modo di vivere e diventavano l'argomento dei
    pettegolezzi dei circoli,  potevano  credere  di  lui,  quando  lo
    vedevano, niente di disonorante.
    Aveva  sempre  l'aspetto di chi ? riuscito a conservarsi immune da
    qualunque sporcizia del mondo.  Uomini che usavano  un  linguaggio
    scurrile  stavano  zitti,  non  appena  Dorian  Gray entrava nella
    stanza;  nel suo volto c'era un che di  puro  che  ai  loro  occhi
    sembrava  come  un  rimprovero.  La sua presenza era sufficiente a
    rievocare in loro il ricordo dell'innocenza che avevano macchiato,
    ed essi si meravigliavano che un essere  pieno  di  fascino  e  di
    grazia  come lui fosse riuscito a sottrarsi all'impronta di un'et?
    che era insieme sordida e sensuale.
    Spesso,  tornando a  casa  da  una  di  quelle  sue  misteriose  e
    prolungate  assenze  che  facevano nascere tante strane congetture
    tra quelli che erano o credevano  di  essere  suoi  amici,  saliva
    nella  stanza  chiusa  al piano superiore,  apriva la porta con la
    chiave dalla quale non si separava mai e  si  sistemava,  con  uno
    specchio,  di  fronte  al  ritratto  dipinto  da  Basil  Hallward,
    guardando ora la faccia cattiva e invecchiata sulla tela,  ora  il
    bel   volto   giovanile   che  gli  sorrideva  dal  vetro  pulito.
    L'intensit?  stessa  del  contrasto  sembrava  acuire  in  lui  la
    sensazione  voluttuosa.  Di  giorno in giorno crescevano in lui di
    pari passo l'amore per la propria bellezza e l'interessamento alla
    corruzione della propria anima.  Esaminava le linee ripugnanti che
    solcavano  quella  fronte rugosa o che circondavano quella pesante
    bocca sensuale con una cura minuziosa e a volte  con  una  volutt?
    mostruosa e terribile, chiedendosi a volte se fossero pi? orribili
    le  impronte  dell'et? oppure quelle del peccato.  Metteva le mani
    bianche vicino a quelle ruvide e gonfie del ritratto e  sorrideva.
    Derideva quel corpo deformato e quelle membra infiacchite.
    Di  notte,  quando  giaceva insonne nella sua camera delicatamente
    profumata o nella lurida stanza di qualche taverna  malfamata  del
    porto  che  era  solito frequentare sotto falso nome e travestito,
    c'erano momenti nei quali gli capitava di pensare alla rovina  che
    aveva  attirato  sulla  sua  anima,  con una compassione tanto pi?
    acuta in quanto era squisitamente egoistica; ma quei momenti erano
    rari.  Pareva che quella curiosit? della vita che Lord Henry aveva
    risvegliato  in  lui  per  la  prima  volta quando si erano seduti
    insieme nel giardino del loro amico,  tanto pi? aumentasse  quanto
    pi?  era  appagata.  Pi?  sapeva  e  pi?  desiderava  sapere;  pi?
    soddisfaceva i  suoi  folli  appetiti  e  pi?  questi  diventavano
    famelici.
    Peraltro  non  aveva  abbandonato  ogni riguardo,  almeno nei suoi
    rapporti con  la  societ?.  Un  paio  di  volte  al  mese  durante
    l'inverno  e ogni mercoled? sera durante la "season" londinese era
    solito aprire la sua bella casa al mondo elegante e faceva  venire
    i  pi? celebri musicisti del momento a deliziare i suoi ospiti con
    le meraviglie della loro arte.  I suoi  pranzi,  nel  preparare  i
    quali era costantemente assistito da Lord Henry,  erano famosi sia
    per la cura nella scelta e nel collocamento degli invitati sia per
    il gusto squisito dimostrato nella decorazione della  tavola,  con
    la  disposizione  raffinata  di  fiori  esotici,   di  tovaglierie
    ricamate, e di posateria antica d'oro e d'argento.  Anzi non erano
    pochi,  specialmente tra i giovanissimi, quelli che vedevano o che
    si immaginavano di vedere in Dorian Gray la vera  personificazione
    di  un tipo che avevano sognato pi? volte durante gli anni di Eton
    e  di  Oxford,   un  tipo  che  doveva  riunire  la  vera  cultura
    dell'erudito  con tutta la grazia,  la distinzione e la perfezione
    di  modi,   tipiche  del  cosmopolita.   Sembrava  loro  che   lui
    appartenesse  alla  compagnia  di  quelli dei quali Dante dice che
    avevano cercato di  rendersi  perfetti  mediante  il  culto  della
    bellezza:  era,  come  il  Gautier,  uno  per  il  quale "il mondo
    visibile esisteva".
    Per lui, certo,  la vita in se stessa era la prima e la pi? grande
    delle arti, per la quale tutte le altre arti sembravano costituire
    solo  una  preparazione.  La  moda,  che  rende  universale per un
    momento quello che  in  realt?  ?  fantastico,  e  l'eleganza  del
    vestire  e  dei  modi,  che  ?,  nel  suo genere,  un tentativo di
    affermare   l'assoluta   modernit?   della    bellezza,    avevano
    naturalmente un fascino per lui.
    Il  suo  modo  di vestire e lo stile particolare che adottava ogni
    tanto esercitavano una spiccata influenza  sui  giovani  raffinati
    dei  balli di Mayfair e dei circoli di Pall Mall.  Lo imitavano in
    tutto quello che faceva e si sforzavano di riprodurre  il  fascino
    casuale  delle  sue graziose frivolezze,  che lui,  peraltro,  non
    prendeva interamente sul serio.
    Poich?,  per quanto fosse fin  troppo  disposto  ad  accettare  la
    posizione  che gli era stata offerta quasi immediatamente alla sua
    maggiore et? e provasse anzi un piacere sottile all'idea di  poter
    diventare  per  la  Londra  dei suoi tempi quello che l'autore del
    "Satyricon" era stato per la Roma imperiale di Nerone, in fondo al
    cuore aspirava per? ad essere qualcosa di pi? di un puro  "arbiter
    elegantiarum",  che  viene  consultato  sul  modo  di  portare  un
    gioiello o di annodare  una  cravatta  o  di  tenere  il  bastone.
    Cercava di elaborare un nuovo sistema di vita,  che avrebbe dovuto
    contenere  una  filosofia  razionale  e  principi  suoi  propri  e
    attingere  nella  spiritualizzazione  dei  sensi  la  sua pi? alta
    realizzazione.
    Il culto dei sensi ? stato biasimato spesso e  a  ragione,  perch?
    gli uomini sentono un naturale istinto di terrore nei confronti di
    passioni  e  di sentimenti che sembrano pi? forti di loro stessi e
    che sanno di avere in comune con  forme  di  vita  meno  altamente
    organizzate.  Ma a Dorian Gray pareva che la vera natura dei sensi
    non fosse stata  mai  compresa  e  che,  se  questi  sono  rimasti
    selvaggi  e  animaleschi,  ?  solo  perch?  il mondo ha tentato di
    affamarli  per  assoggettarli  o  di   ucciderli   attraverso   la
    sofferenza,   anzich?   tendere   a  farne  gli  elementi  di  una
    spiritualit?  nuova,  la  cui  caratteristica  dominante  dovrebbe
    essere un istinto pi? sottile della bellezza. Nel volgere indietro
    lo sguardo per contemplare gli uomini che si muovono attraverso la
    storia  un  senso  di  perdita  lo  ossessionava.  A quanto si era
    rinunziato,  e con  che  meschini  risultati!  Rifiuti  follemente
    ostinati,  forme mostruose di autotortura e di rinuncia, provocate
    dalla  paura,   avevano  avuto  come  risultato  una  degradazione
    infinitamente  pi?  terribile  della degradazione immaginaria alla
    quale  gli  uomini,  nella  loro  ignoranza,  avevano  cercato  di
    sottrarsi.  La  natura,  con  la  sua  mirabile  ironia,  cacciava
    l'anacoreta nel deserto a vivere con le bestie feroci e  dava  per
    compagni all'eremita gli animali dei campi.
    S?,  come  aveva profetizzato Lord Henry,  doveva nascere un nuovo
    Edonismo,  destinato a creare daccapo la vita e a salvarla da quel
    duro e sgraziato puritanesimo che stava in quei giorni stranamente
    rivivendo;  che  indubbiamente  avrebbe  dovuto  avere  ai  propri
    servigi  l'intelligenza,  ma  non  avrebbe  mai  dovuto  accettare
    nessuna teoria, nessun sistema che implicasse il sacrificio di una
    forma qualsiasi di esperienza passionale. Anzi, la sua aspirazione
    doveva  essere l'esperienza stessa,  non i frutti dell'esperienza,
    dolci o amari  che  siano.  Doveva  ignorare  assolutamente  tanto
    l'ascetismo  che  mortifica i sensi quanto la volgare dissolutezza
    che li attutisce;  ma doveva insegnare all'uomo a concentrarsi sui
    momenti di una vita che ? essa stessa un momento.
    Sono  pochi  quelli che non si siano svegliati a volte sul far del
    giorno,  sia da una di quelle notti senza sogni che ci fanno quasi
    innamorare  della morte,  sia da una di quelle notti d'orrore e di
    gioia deformi, quando le cellule del nostro cervello sono percorse
    da fantasmi pi? paurosi della stessa  realt?,  animati  da  quella
    vita  vivace  che  si  nasconde in tutti i grotteschi e che presta
    all'arte gotica la sua persistente vitalit?,  poich?  si  potrebbe
    quasi  dire che questa sia particolarmente l'arte di coloro le cui
    menti sono state affette dalla  malattia  del  fantasticare.  Dita
    bianche  si  insinuano pian piano tra le cortine,  e queste sembra
    che tremino. Ombre mute, dalle forme fantastiche, strisciano negli
    angoli della camera e vi si accovacciano.  Fuori  si  sentono  gli
    uccelli  muoversi  nel fogliame o il rumore degli uomini che vanno
    al lavoro o il sospiro e il singhiozzo del vento  che  scende  dai
    colli  e  si  aggira intorno alla casa silenziosa,  come se avesse
    paura di svegliare quelli che dormono,  e pure deve per forza  far
    uscire il sonno dalla sua caverna di porpora.  Il sottile velo del
    crepuscolo si solleva,  un velo dopo l'altro;  le cose  riprendono
    gradualmente  forma e colore,  e noi vediamo l'alba rimodellare il
    mondo nelle sue forme secolari.  Gli specchi pallidi riprendono la
    loro  vita  riflessa;  i lumi senza fiamma sono nello stesso posto
    dove li avevamo lasciati,  e vicino a loro c'? il libro  per  met?
    intonso  che  stavamo  studiando,  o il fiore,  montato sul fil di
    ferro, che avevamo portato al ballo o la lettera che avevamo avuto
    paura di leggere o che avevamo riletta  troppe  volte.  Niente  ci
    sembra  cambiato.  La  vita  che  conosciamo  ritorna  dalle ombre
    irreali della notte  e  dobbiamo  riprenderla  dal  punto  in  cui
    l'avevamo  lasciata.  Si  insinua  in noi un senso terribile della
    necessit? di continuare a spendere la nostra energia nella  stessa
    serie  monotona  di abitudini stereotipate,  e magari un desiderio
    violento che le nostre palpebre possano aprirsi una mattina su  un
    mondo che nell'oscurit? sia stato rimodellato per la nostra gioia,
    su un mondo nel quale le cose abbiano nuove forme e nuovi colori e
    siano  cambiate o abbiano nuovi segreti,  su un mondo nel quale il
    passato occupi ben poco spazio o  non  ne  occupi  per  niente  o,
    comunque, non sopravviva in nessuna forma consapevole di obbligo o
    di rimpianto, poich? c'? un'amarezza anche nel ricordo della gioia
    e una pena nel ricordo del piacere.
    Sembrava  a  Dorian Gray che la creazione di mondi simili fosse il
    vero scopo, o almeno uno dei veri scopi della vita;  e,  nella sua
    ricerca  di  sensazioni  che  fossero  insieme nuove e deliziose e
    contenessero quell'elemento di stranezza che  ?  tanto  essenziale
    per  il  romanzo,  adottava  spesso  certi  modi di pensare che in
    realt? sapeva essere estranei alla sua natura. Si abbandonava alle
    loro influenze  penetranti;  poi,  dopo  averne,  per  cos?  dire,
    afferrato   il   colore  e  aver  appagato  la  propria  curiosit?
    intellettuale,  li abbandonava con quella curiosa indifferenza che
    non ? incompatibile col vero ardore del temperamento, anzi, stando
    a certi psicologi moderni, ne costituisce spesso la condizione.
    Una volta gir? voce che si proponesse di passare al Cattolicesimo;
    e  indubbiamente  il rituale cattolico esercitava sempre su di lui
    una grande attrazione. Il sacrificio quotidiano, ben pi? terribile
    in realt? di tutti i sacrifici del mondo  antico,  lo  commuoveva,
    sia per il superbo rifiuto della testimonianza dei sensi,  che per
    la semplicit? primitiva dei suoi elementi e per il "pathos" eterno
    della tragedia umana che tentava  di  simboleggiare.  Gli  piaceva
    inginocchiarsi  sul  freddo  pavimento  di  marmo e seguire con lo
    sguardo il prete nei  suoi  rigidi  paramenti  a  fiorami,  mentre
    spostava  lentamente  con le mani bianche il velo del tabernacolo,
    oppure mentre elevava l'ostensorio ingemmato a forma di  lanterna,
    con l'ostia sottile che,  in certi momenti,  si direbbe, ? davvero
    il "panis caelestis", il pane degli angeli,  o mentre,  indossando
    le  vesti  della  Passione  di  Cristo,  rompeva l'ostia dentro il
    calice o si batteva il petto per  i  propri  peccati.  I  turiboli
    fumanti, che i fanciulli vestiti di trina e di scarlatto agitavano
    in  aria  simili a grandi fiori dorati,  esercitavano su di lui un
    loro incanto sottile. Uscendo,  era solito guardare con meraviglia
    i  confessionali  neri  e avrebbe voluto sedere nell'ombra buia di
    uno  di  essi  ad  ascoltare  uomini  e  donne  che   sussurravano
    attraverso  la grata consumata la vera storia delle loro vite.  Ma
    non  cadeva  mai  nell'errore  di  fermare  il  proprio   sviluppo
    intellettuale  accettando  formalmente  un  credo o un sistema,  o
    scambiando per una casa nella quale passare  la  vita  un  albergo
    buono  solo  per  passarvi  una notte,  o qualche ora di una notte
    senza stelle e senza luna. Il misticismo,  col suo mirabile potere
    di  farci sembrare strane le cose che sono comuni e con la sottile
    antinomia che apparentemente ? inseparabile da esso,  lo  commosse
    per  una  stagione;  e  cos?  pure  per  una stagione indulse alle
    dottrine materialistiche del movimento darwiniano  di  Germania  e
    prov?  un  piacere  curioso  nel  far risalire pensieri e passioni
    dell'uomo a qualche cellula perlacea  del  cervello  o  a  qualche
    bianco  nervo  del  corpo,  dilettandosi  nella  concezione  della
    dipendenza assoluta dello spirito  da  certe  condizioni  fisiche,
    morbose  o  sane,  normali  o patologiche.  Per?,  come si ? detto
    prima,  nessuna teoria della vita gli sembrava avere  una  qualche
    importanza  di  fronte  alla  vita  stessa.   Aveva  profondamente
    coscienza della sterilit? di ogni speculazione  intellettuale  che
    sia  slegata  dall'azione e dall'esperimento.  Sapeva che i sensi,
    non meno dell'anima, hanno i loro misteri spirituali da rivelare.
    Cos? a un certo punto si dedic? allo  studio  dei  profumi  e  dei
    segreti  della  loro  fabbricazione,  distillando  oli  dall'odore
    penetrante e bruciando gomme profumate orientali.  Scopr? che  non
    esisteva stato d'animo che non trovasse la sua contropartita nella
    vita  dei  sensi  e  si  dedic? a scoprire la loro vera relazione,
    chiedendosi  che  cosa  ci  fosse  nell'incenso  che  dispone   al
    misticismo,  e  nell'ambra grigia che eccita le passioni,  e nelle
    violette che risvegliano il  ricordo  dei  romanzi  morti,  e  nel
    muschio   che   turba  la  mente,   e  nel  "ciampak"  che  sporca
    l'immaginazione.  Tent? a pi? riprese  di  elaborare  una  vera  e
    propria psicologia dei profumi e di calcolare le diverse influenze
    delle  radici  dall'odore soave e dei fiori profumati,  pesanti di
    polline,  e dei balsami aromatici e dei legni scuri  e  fragranti,
    dello spicanardo che fa ammalare,  dell'hovenia che fa impazzire e
    dell'aloe di  cui  si  dice  che  abbia  il  potere  di  espellere
    dall'anima la melanconia.
    In  un  altro  momento si consacr? per intero alla musica.  In una
    stanza dai lunghi riquadri,  col soffitto vermiglio e oro e pareti
    laccate di verde oliva,  cominci? a dare dei curiosi concerti, nei
    quali zingare folli tiravano fuori una musica selvaggia dalle loro
    piccole cetre o gravi Tunisini ammantati di giallo pizzicavano  le
    corde  tese  di liuti mostruosi,  mentre negri ghignanti battevano
    monotoni su tamburi di rame e  Indiani  snelli,  col  turbante  in
    testa,  soffiavano  dentro  lunghi  tubi  di  canna  o di bronzo e
    incantavano,  o  fingevano  di  incantare,   grandi  serpenti  col
    cappuccio  e  orribili  bisce  cornute.  Gli aspri intervalli e le
    stridenti discordanze della musica barbarica  lo  commuovevano  in
    certi  momenti  nei  quali  tutta la grazia di Schubert,  tutta la
    bellezza dei dolori di Chopin e perfino  tutta  la  potenza  delle
    armonie  di Beethoven non avevano sul suo orecchio nessun effetto.
    Raccolse  da  tutte  le  parti  del  mondo  una  collezione  degli
    strumenti  pi?  strani che si possano trovare,  sia nei sepolcreti
    delle nazioni estinte,  sia presso  quelle  poche  trib?  selvagge
    sopravvissute  al  contatto  con  la civilt? occidentale,  e amava
    toccarli e provarli.  Possedeva il  misterioso  "furuparis"  degli
    Indiani del Rio Negro,  che le donne non sono ammesse a guardare e
    che neppure i giovani possono  vedere  se  prima  non  sono  stati
    sottoposti al digiuno e alla flagellazione;  le giare di terra dei
    Peruviani,  che mandano  un  grido  stridente  come  quello  degli
    uccelli;  i  flauti,  fatti  di ossa umane,  che Alfonso de Ovalle
    sent? nel Cile;  i verdi diaspri sonori che si trovano nei  pressi
    di  Cuzco  e che emettono una nota singolarmente dolce.  Possedeva
    zucchine dipinte, piene di ciottolini che scotendole tintinnavano;
    il lungo "clarin" dei Messicani, nel quale l'esecutore non soffia,
    ma inala l'aria attraverso di esso;  l'aspro  "ture"  delle  trib?
    delle  Amazzoni,  che  suonano  le sentinelle appostate per giorni
    interi in cima agli alberi e che pu? essere sentito, dicono, a tre
    leghe di distanza;  il "teponazili" che ha due linguette  vibranti
    di  legno  e si batte con una bacchetta unta di una gomma elastica
    ricavata dal succo lattiginoso delle  piante;  le  campane  "yotl"
    degli Aztechi,  sospese a grappoli come l'uva; e un enorme tamburo
    cilindrico, rivestito della pelle di grossi serpenti,  come quello
    che  vide  Bernal  Diaz  quando  penetr?  con  Cortez  nel  tempio
    messicano e del cui suono lugubre ci ha lasciato una  cos?  vivida
    descrizione.  Il  carattere  fantastico  di  questi  strumenti  lo
    affascinava;  e l'idea che l'arte abbia,  come la natura,  i  suoi
    mostri,  esseri  dalla  forma bestiale e dalla voce orribile,  gli
    procurava uno strano piacere. Per? dopo qualche tempo se ne stanc?
    e torn? a sedersi, solo o con Lord Henry, nel suo palco all'Opera,
    ad ascoltare con estatica volutt? il "Tannhauser",  scorgendo  nel
    preludio  di  quella  grande opera d'arte una raffigurazione della
    tragedia della sua anima.
    In un altro momento si diede allo studio delle gemme e  apparve  a
    un ballo mascherato nel costume di Anne de Joyeuse,  Ammiraglio di
    Francia, in un abito coperto da cinquecentosessanta perle.  Questa
    passione  lo entusiasm? per lunghi anni e si pu? dire,  anzi,  che
    non l'abbandon?  mai.  A  volte  passava  una  giornata  intera  a
    sistemare e risistemare nei loro astucci le varie pietre che aveva
    raccolto:  il  crisoberillo  d'un verde oliva che si muta in rosso
    alla luce artificiale,  il cimofane con la sua striscia  d'argento
    simile a un filo, la crisolite color pistacchio, i topazi rosati o
    di  un  giallo  vinoso,  i  carbonchi  di  scarlatto infuocato con
    tremule stelle a quattro raggi,  i granati di color rosso  fiamma,
    le  spinelle  arancione e violette,  le ametiste con i loro strati
    alternati di rubino e di zaffiro.  Amava l'oro rosso  del  diaspro
    solare,  la  bianchezza perlacea del chiaro di luna,  l'arcobaleno
    frantumato dell'opale.  Fece  venire  da  Amsterdam  tre  smeraldi
    straordinari  per  le  dimensioni  e per la ricchezza del colore e
    possedeva una turchese "de la vieille roche" che faceva  l'invidia
    di tutti i conoscitori.
    Scopr?  inoltre  storie  meravigliose riguardanti le gemme.  Nella
    "Clericalis Disciplina" di Alfonso si leggeva di un  serpente  che
    aveva  occhi  di  giacinto  vero;  e  nella  storia  romanzesca di
    Alessandro, conquistatore di Emazia, era detto che nella Valle del
    Giordano  questi  aveva  trovato  dei  serpenti  ai  quali   erano
    cresciuti  sul  dorso dei collari di smeraldi veri.  Filostrato ci
    racconta che c'era  una  gemma  nel  cervello  del  drago  e  che,
    mostrandogli  delle lettere d'oro e un panno scarlatto,  si poteva
    far cadere il mostro in un sonno magico e  ucciderlo.  Secondo  il
    grande alchimista Pierre de Boniface, il diamante rende invisibili
    e l'agata indiana rende eloquenti.  La cornalina placa la collera,
    il giacinto concilia il sonno, l'ametista dissipa i fumi del vino,
    l'hydropicus fa impallidire la luna,  il granato scaccia i demoni.
    La selenite cresce e si restringe insieme alla luna e il meloceus,
    che  scopre i ladri,  ? sensibile soltanto al sangue dei capretti.
    Leonardo Camillo aveva  visto  una  pietra  bianca,  estratta  dal
    cervello  di un rospo ucciso in quel momento,  che era un antidoto
    infallibile contro il veleno.  Il bezoar,  trovato nel  cuore  del
    daino  arabico,  possedeva  la virt? di curare la peste.  Nei nidi
    degli uccelli  dell'Arabia  si  trovava  l'aspilate,  che  secondo
    Democrito proteggeva chi lo portava dai pericoli del fuoco.
    Alla  cerimonia  della sua incoronazione,  il Re di Ceylon cavalc?
    per la sua citt? con un  grande  rubino  in  mano.  Le  porte  del
    palazzo   del  Prete  Gianni  erano  "fatte  di  agata,   e  c'era
    incastonato un corno d'unicorno,  affinch? nessuno potesse portare
    dentro del veleno".  Sulla guglia c'erano due pomi d'oro nei quali
    c'erano due carbonchi,  "affinch?  l'oro  potesse  risplendere  di
    giorno  e i carbonchi di notte".  Nello strano romanzo di Lodge "A
    Margarite of America",  era detto che nella camera della Regina si
    potevano  vedere "tutte le donne caste del mondo,  tutte cesellate
    in argento,  che guardavano attraverso begli specchi di crisolite,
    di  carbonchi,  di zaffiri e di smeraldi verdi".  Marco Polo aveva
    visto gli abitanti di Cipango mettere delle perle rosa in bocca ai
    morti.  Un mostro marino era stato innamorato della perla  che  il
    palombaro port? al Re Perozes e aveva ucciso il ladro, portando il
    lutto  per  quella  perdita  per  sette  lune.   Quando  gli  Unni
    attirarono il  Re  nella  grande  imboscata,  questi,  secondo  di
    Procopio,  la scagli? lontano, e cos? non fu pi? ritrovata, bench?
    l'imperatore Anastasio offrisse per essa cinquecento volte il  suo
    peso  in monete d'oro.  Il Re di Malabar aveva mostrato a un certo
    veneziano un rosario composto di trecentoquattro  perle,  una  per
    ciascuno degli Dei che adorava.
    Quando  il  Valentino,  figlio  di Alessandro Sesto,  visit? Luigi
    Dodicesimo di Francia,  il suo cavallo,  stando  a  Brant?me,  era
    carico  di foglie d'oro e il suo berretto era ornato di una doppia
    fila  di  rubini  che  producevano  un  grande  splendore.   Carlo
    d'Inghilterra  cavalc?  con  staffe  adorne di quattrocentoventuno
    diamanti.  Riccardo Secondo aveva una veste,  valutata  trentamila
    marchi,  tutta  coperta  di  rubini.  Hall descrive Enrico Ottavo,
    nell'atto di andare alla Torre per essere incoronato,  vestito  di
    "un giubbone d'oro sbalzato, ricamato sul davanti di diamanti e di
    pietre  preziose  e  al  collo  una grande collana fatta di grossi
    rubini".  I favoriti  di  Giacomo  Primo  portavano  orecchini  di
    smeraldi montati in filigrana d'oro. Edoardo Secondo diede a Piers
    Gaveston  un'armatura  d'oro  rosso  tempestata  di giacinti,  una
    collana di rose d'oro ornate di turchesi e una calotta  "parsem?e"
    di  perle.   Enrico  Secondo  portava  guanti  ingemmati  che  gli
    arrivavano al gomito e aveva un guanto  da  falconiere  ornato  di
    dodici rubini e cinquantadue grandi perle ornamentali. Il cappello
    ducale  di  Carlo il Temerario,  ultimo duca di Borgogna della sua
    stirpe,  aveva pendenti  fatti  di  perle  ed  era  tempestato  di
    zaffiri.
    Quanta  raffinatezza nella vita di un tempo!  che sfarzo nelle sue
    pompe e nei suoi ornamenti!  Era  una  cosa  meravigliosa  persino
    leggere del lusso dei morti.
    Pi?   tardi   dedic?  la  propria  attenzione  ai  ricami  e  alle
    tappezzerie,  che sostituivano gli affreschi nelle  stanze  gelide
    delle  nazioni  nordiche d'Europa.  Indagando su quest'argomento e
    lui aveva sempre una straordinaria facolt? di lasciarsi  assorbire
    momentaneamente  da  tutto  quello  di  cui  si  occupava fu quasi
    rattristato riflettendo sulla rovina che il tempo causa alle  cose
    belle  e  meravigliose.  Almeno  a  questa  egli  era  riuscito  a
    sottrarsi.   Un'estate  segu?  l'altra,   le  giunchiglie   gialle
    fiorirono  e  morirono  pi?  volte,  notti  d'orrore ripeterono la
    storia della loro ignominia,  ma lui restava immutato;  non  c'era
    inverno  capace  di  alterare  il  suo  volto e di sciupare il suo
    fiorire.  Quanto era diversa la sorte delle cose  materiali!  Dove
    erano  scomparse?  Dov'era  la  grande veste color del croco sulla
    quale gli Dei combattevano coi  Giganti,  e  che  brune  fanciulle
    avevano lavorato per la gioia di Atena?  Dove l'enorme velario che
    Nerone aveva teso sul  Colosseo  di  Roma,  la  titanica  vela  di
    porpora  sulla  quale  era  raffigurato il cielo stellato e Apollo
    nell'atto di guidare il carro tirato da biarichi destrieri con  le
    redini  d'oro?  Avrebbe voluto vedere i curiosi tovaglioli tessuti
    per il Prete del  Sole,  sui  quali  erano  raffigurate  tutte  le
    leccornie  e  le  vivande  che  servivano  a un festino;  la veste
    mortuaria del Re Cilperico,  con le sue  trecento  api  d'oro;  le
    vesti  fantastiche  che  sollevarono l'indignazione del Vescovo di
    Ponto, istoriate di "leoni, pantere, orsi,  cani,  foreste,  rupi,
    cacciatori,  tutto insomma quello che un pittore pu? copiare dalla
    natura", e la veste indossata una volta da Carlo d'Orl?ans,  sulle
    cui  maniche erano ricamati i versi di una canzone che cominciava:
    "Madame,  je suis tout joyeux",  mentre l'accompagnamento musicale
    delle parole era tracciato in filo d'oro e ognuna delle note,  che
    a quei tempi avevano forma quadrata, era formata da quattro perle.
    Lesse della camera preparata al palazzo di  Reims  per  la  Regina
    Giovanna  di  Borgogna,   decorata  con  "mille  trecento  ventuno
    pappagalli fatti  a  ricamo  e  blasonati  con  l'arma  del  Re  e
    cinquecento  sessantuno  farfalle,  le  cui  ali  erano similmente
    adorne dell'arma della Regina, il tutto lavorato in oro". Caterina
    de' Medici ebbe un letto mortuario, costruito per lei,  di velluto
    nero,  tempestato  di  mezze  lune e di soli;  le cortine erano di
    damasco,  con corone e ghirlande di foglie raffigurate su un fondo
    d'oro e d'argento,  sfrangiate lungo i margini di ricami di perle,
    che fu sistemato in una camera tutta tappezzata da una serie delle
    imprese  della  Regina,  ritagliate  in  velluto  nero  su  stoffa
    d'argento.  Luigi Quattordicesimo aveva nel suo appartamento delle
    cariatidi ricamate in oro, alte quindici piedi. Il letto di parata
    di Sobieski, Re di Polonia, era fatto di broccato d'oro di Smirne,
    sul quale erano ricamati in turchesi dei versetti del  Corano;  le
    gambe   erano   d'argento   dorato,   magnificamente  cesellate  e
    riccamente tempestate di medaglioni smaltati e gemmati.  Era stato
    preso nel campo turco sotto Vienna, e lo stendardo di Maometto era
    stato sotto le dorature frementi del suo baldacchino.
    Cos? cerc? per un anno intero di accumulare gli esemplari pi? fini
    di tessuti e di ricami che riusc? a trovare. Si procur? le diafane
    mussoline  di  Delhi,  finemente  tessute di palme di filo d'oro e
    ricamate di ali iridescenti di scarabei; le garze di Dacca che per
    la loro trasparenza  sono  chiamate  in  Oriente  "aria  tessuta",
    "acqua  corrente" e "rugiada serotina";  strani panni istoriati di
    Giava;  complicate tappezzerie gialle cinesi;  libri  rilegati  in
    satin  fulvo o in seta di un azzurro chiaro,  adorne di "fleurs de
    lys", di uccelli e di figure: broccati siciliani e pesanti velluti
    spagnoli;  stoffe georgiane adorne  di  monete  d'oro,  e  Fukusas
    giapponesi,  con  i  loro  ori pendenti nel verde e i loro uccelli
    dalle piume meravigliose.
    Ebbe inoltre una passione speciale per i paramenti  ecclesiastici,
    come  quella che nutriva,  in verit?,  per qualsiasi cosa connessa
    con  il  servizio  della  Chiesa.  Nei  lunghi  cassoni  di  cedro
    allineati  lungo  la galleria occidentale della casa aveva deposto
    molti belli e rari esemplari di quella  che  ?  davvero  la  veste
    della Sposa di Cristo, che deve indossare porpora, gioielli e lini
    finissimi  per  nascondere il corpo pallido ed emaciato,  logorato
    dalle sofferenze delle quali va in cerca e ferito dagli strazi che
    essa stessa si infligge.  Possedeva una  sfarzosa  cappa  di  seta
    cremisina  e  di  damasco  d'oro,  che  ornava  un  motivo  sempre
    ricorrente di melograne d'oro disposte in inflorescenze stilizzate
    di sei petali,  oltre il quale da tutti e  due  i  lati  c'era  il
    motivo delle pigne ricamate in perle.  I ricchi bordi dorati erano
    divisi in pannelli rappresentanti scene della vita della Vergine e
    sul cappuccio era raffigurata in sete colorate l'incoronazione  di
    Maria;  lavoro italiano del quattordicesimo secolo. Un'altra cappa
    era di velluto verde,  ricamato di gruppi di  foglie  d'acanto  in
    forma  di cuori,  dai quali spuntavano dei fiori bianchi dal lungo
    stelo,  i  cui  dettagli  erano  rilevati  con  filo  d'argento  e
    cristalli  colorati.  Il  fermaglio  aveva  una  testa di serafino
    lavorata di filo d'oro in rilievo. Il bordo era tessuto in damasco
    di seta rosso e oro,  costellato di medaglioni  di  vari  santi  e
    martiri,  tra i quali San Sebastiano. Possedeva inoltre pianete di
    seta color ambra, di seta azzurra e di broccato d'oro,  di damasco
    giallo e di tela d'oro,  ornate di raffigurazioni della Passione e
    Crocifissione di Cristo e  ricamate  di  leoni,  pavoni  ed  altri
    emblemi;  dalmatiche  di  satin  bianco e di damasco di seta rosa,
    decorate di tulipani, di delfini e di "fleurs de lys"; paliotti di
    velluto cremisino e di  lino  azzurro;  e  molti  corporali,  veli
    omerali  e sudarii.  Nei mistici uffici ai quali simili cose erano
    destinate c'era qualcosa che stimolava la sua immaginazione.
    Poich? per lui questi tesori e tutto  quello  che  aveva  raccolto
    nella sua bella casa costituivano mezzi per dimenticare,  modi per
    sfuggire,  per lo spazio di una  stagione,  a  un  terrore  che  a
    momenti gli sembrava troppo grande per essere sopportato.  Al muro
    della stanza deserta, chiusa a chiave, nella quale aveva trascorso
    tanta parte della sua adolescenza,  aveva appeso con le sue stesse
    mani   il  terribile  ritratto,   le  cui  fattezze  alterate  gli
    mostravano quale fosse veramente  l'abiezione  della  sua  vita  e
    davanti vi aveva disposto, come un sipario, la coltre di porpora e
    d'oro.  Non  ci  andava  per  settimane  intere,  durante le quali
    dimenticava  quella  ripugnante  cosa  dipinta  e  recuperava   la
    leggerezza   del   cuore,   la  sua  mirabile  allegria,   la  sua
    appassionata dedizione alla pura esistenza.  Poi  improvvisamente,
    una notte, usciva furtivamente di casa, andava in qualche orribile
    posto  nei  pressi di Blue Gate Fields,  e vi restava per giorni e
    giorni,  finch? non lo cacciavano via.  Al ritorno  si  sedeva  di
    fronte  al  ritratto,  a  volte nauseato di quello e di se stesso,
    altre volte invece pieno  di  quell'orgoglio  dell'individualismo,
    nel  quale  consiste  per  met?  il fascino del peccato;  e allora
    sorrideva,   con  una  volutt?  segreta,   al  fantasma  deformato
    costretto  a  portare il peso che avrebbe dovuto gravare sulle sue
    spalle.
    Dopo qualche anno non pot? pi?  sopportare  di  rimanere  a  lungo
    lontano  dall'Inghilterra  e  abbandon? tanto la villa a Trouville
    che aveva diviso con Lord Henry quanto la casetta di Algeri, tutta
    circondata da un muro bianco,  dove avevano trascorso pi?  di  una
    volta  l'inverno.  Gli  era  odioso separarsi dal ritratto che era
    tanta parte della sua vita e temeva inoltre  che  durante  la  sua
    assenza  qualcuno  potesse  penetrare nella stanza,  ad onta delle
    complicate serrature che aveva  fatto  applicare  alla  porta.  Si
    rendeva  perfettamente conto che in quel caso niente sarebbe stato
    rivelato. Era vero che, nonostante tutta la turpitudine e tutta la
    bruttezza del viso,  il ritratto conservava tuttavia una  spiccata
    somiglianza con lui stesso; ma da questo che mai poteva apprendere
    la  gente?  Se qualcuno avesse provato a fargli qualche rimprovero
    gli avrebbe riso in faccia. Quel ritratto non l'aveva dipinto lui;
    in che cosa poteva riguardarlo il  fatto  che  avesse  un  aspetto
    ignobile  e ignominioso?  E anche se avesse raccontato tutto,  chi
    gli avrebbe creduto?
    Tuttavia aveva paura. A volte,  mentre si trovava nella sua grande
    casa nel Nottinghamshire, dove riceveva i giovani eleganti del suo
    rango,  suoi  compagni abituali,  e faceva stupire tutta la contea
    per il lusso sfrenato e lo splendore  sfarzoso  del  suo  modo  di
    vivere, abbandonava improvvisamente gli ospiti e si precipitava in
    citt? per sincerarsi che la porta non fosse stata toccata e che il
    ritratto  fosse  ancora al suo posto.  E se l'avessero rubato?  La
    sola idea bastava a  gelarlo  d'orrore.  In  quel  caso  il  mondo
    avrebbe  certamente conosciuto il suo segreto.  Il mondo forse gi?
    lo sospettava.
    Poich? se era vero che affascinava molti,  non erano pochi  quelli
    che diffidavano di lui.  Corse il forte rischio di essere bocciato
    a un circolo del West End,  al quale  la  sua  nascita  e  la  sua
    posizione sociale gli davano tutti i titoli per essere ammesso;  e
    una volta corse voce che,  essendo stato introdotto  da  un  amico
    nella  sala  da fumo del Churchill,  il duca di Berwick e un altro
    gentiluomo si alzarono con ostentazione e uscirono  dalla  stanza.
    Dopo che ebbe superato i ventotto anni, sul suo conto cominciarono
    a circolare delle storie curiose.  Si disse che era stato visto in
    rissa con dei marinai stranieri in un'ignobile taverna nelle parti
    pi? remote di Whitechapel,  e che frequentava ladri  e  falsari  e
    conosceva  i  misteri  del  loro  mestiere.  Le  sue inesplicabili
    assenze divennero notorie;  e quando  riappariva  in  societ?,  in
    qualche  angolo  c'erano  alcuni  che si sussurravano qualche cosa
    all'orecchio  oppure  gli  passavano  vicino  sogghignando  o   lo
    guardavano con occhio freddo e indagatore,  come se fossero decisi
    a scoprire il suo segreto.
    A  simili  insolenze,   a  simili  tentativi  di  umiliarlo  egli,
    naturalmente,  non  prestava la minima attenzione;  e nel pensiero
    dei pi? le sue maniere  franche  e  bonarie,  il  suo  incantevole
    sorriso  di  adolescente,  la grazia infinita di quella miracolosa
    giovinezza che sembrava non abbandonarlo mai,  costituivano di per
    s?   una   risposta   adeguata   alle   calunnie,   come  loro  le
    qualificavano,  messe in circolazione sul suo conto.  Si osservava
    per?  che dopo qualche tempo quelli che erano stati pi? intimi con
    lui  sembravano   evitarlo.   Donne   che   lo   avevano   adorato
    freneticamente  e  che  per  amor  suo avevano affrontato tutte le
    censure della societ? e sfidato tutte le convenzioni  erano  viste
    impallidire  di  vergogna  e  di orrore quando Dorian Gray entrava
    nella stanza.
    Ma agli occhi di molti,  questi scandali  sussurrati  non  avevano
    altro  effetto  che  quello  di  aumentare il suo fascino strano e
    pericoloso.  La sua grande ricchezza costituiva un certo  elemento
    di sicurezza;  poich? la societ?, o almeno la societ? civilizzata,
    non ? mai molto portata a credere a qualcosa di male sul conto  di
    quelli   che   sono   insieme   ricchi   e   affascinanti.   Sente
    istintivamente che le buone  maniere  sono  pi?  importanti  della
    moralit?   e   attribuisce   molto   meno  valore  alla  pi?  alta
    rispettabilit? che al possesso di un buon cuoco.  Del resto,  dopo
    tutto,  sentirsi  dire  che  l'uomo  che  ci ha offerto un cattivo
    pranzo e un vino scadente  ?  irreprensibile  nella  vita  privata
    costituisce una ben magra consolazione. Come ebbe a dire una volta
    Lord  Henry nel corso di una discussione su questo argomento,  non
    bastano neanche  le  virt?  cardinali  a  compensare  una  portata
    servita appena tiepida;  e forse in favore di questa sua teoria ci
    sarebbe non poco da dire,  poich? i  canoni  della  buona  societ?
    sono,  o dovrebbero essere, identici ai canoni dell'arte. La forma
    ha  per  essa  un'importanza  addirittura   essenziale;   dovrebbe
    accordare  l'insincerit? dei personaggi di un dramma romantico con
    lo spirito  e  con  la  bellezza  che  rendono  quei  drammi  cos?
    deliziosi  per  noi.   L'insincerit?  ?  proprio  una  cosa  tanto
    terribile?  Non credo.  E' soltanto  un  metodo  che  ci  serve  a
    moltiplicare la nostra personalit?.
    Cos?  almeno  pensava Dorian Gray.  La psicologia superficiale che
    concepisce l'Io nell'uomo  come  una  cosa  semplice,  permanente,
    degna  di fiducia e unica nella sua essenza,  lo sorprendeva.  Per
    lui l'uomo era una creatura con  miriadi  di  vite  e  miriadi  di
    sensazioni, una creatura complessa e multiforme, che portava in s?
    strane eredit? di pensiero e di passioni e la cui carne stessa era
    infettata   dalle  mostruose  malattie  dei  morti.   Gli  piaceva
    passeggiare per la scura e fresca galleria  di  quadri  della  sua
    casa  di  campagna  guardando  i  ritratti di coloro il cui sangue
    scorreva nelle  sue  vene.  C'era  Philip  Herbert,  descritto  da
    Francis  Osborne  nelle  sue  "Memoires  on  the  Reigns  of Queen
    Elizabeth and King James" come  uno  che  era  "accarezzato  dalla
    Corte per il suo bel viso,  che non dur? a lungo". La vita che lui
    conduceva a volte era forse la vita del giovine  Herbert?  Qualche
    strano   germe  velenoso  si  era  forse  insinuato  da  un  corpo
    nell'altro fino a raggiungere il  suo?  Era  stata  la  sensazione
    oscura della bellezza deteriorata di quell'uomo a fargli esprimere
    tanto improvvisamente e quasi senza motivo,  nello studio di Basil
    Hallward,  la folle preghiera che aveva tanto radicalmente  mutato
    la  sua  esistenza?  C'era  il Sir Anthony Sherard,  col giubbetto
    d'oro, la sopravveste ingioiellata,  il collo e i manichini orlati
    d'oro e l'armatura argentea e nera ammucchiata ai Piedi.  Che cosa
    aveva ereditato da quest'uomo?  L'amante di Giovanna di Napoli gli
    aveva forse trasmesso un'eredit? di peccato e di vergogna?  I suoi
    atti erano forse soltanto i sogni che quel morto non  aveva  osato
    tradurre  in  realt??  Qui,  dalla tela scolorita,  sorrideva Lady
    Elizabeth Devereux,  in cappuccio di velo,  pettorale di  perle  e
    maniche aperte di color rosa. Nella destra teneva un fiore, mentre
    la  sinistra  stringeva  una  collana  smaltata  di rose bianche e
    gialle;  su un tavolino al suo fianco,  un mandolino e  una  mela;
    sulle sue scarpette a punta grandi coccarde verdi.  Egli conosceva
    la sua vita e le strane storie che si raccontavano a proposito dei
    suoi amanti. C'era in lui qualcosa del suo temperamento? Gli occhi
    ovali,  dalle palpebre pesanti,  sembravano guardarlo incuriositi.
    Che  dire  di  George Willoughby,  coi suoi capelli incipriati e i
    suoi nei fantastici?  Che aspetto malvagio  aveva!  Il  volto  era
    scuro  e  abbronzato  e le labbra sensuali sembravano atteggiate a
    una  smorfia  di  disdegno.   Sulle  sue  sottili   mani   gialle,
    sovraccariche di anelli,  cadevano delicate maniche di pizzo.  Era
    stato uno degli uomini alla moda del diciottesimo  secolo,  legato
    d'amicizia in giovent? con Lord Ferrars. Che dire del secondo Lord
    Beckenham,  compagno  del  Principe  Reggente  nei suoi giorni pi?
    sfrenati,  uno dei testimoni del suo  matrimonio  segreto  con  la
    signora  Fitzherbert?  Com'era  bello  e altero,  con i suoi ricci
    castani  e  la  sua  posa  insolente!  Quali  passioni  gli  aveva
    tramandato?  Il  mondo  l'aveva tacciato d'infamia;  era stato uno
    degli organizzatori delle orge di Carlton House e  sul  suo  petto
    brillava la placca della Giarrettiera. Vicino al suo era appeso il
    ritratto di sua moglie,  una donna pallida,  co le labbra sottili,
    vestita di nero.  Anche il sangue di lei scorreva nelle sue  vene.
    Come  sembrava  strano  tutto questo!  E sua madre,  col volto che
    ricordava quello di Lady Hamilton  e  le  labbra  umide,  come  se
    fossero state spruzzate di vino! Sapeva che cosa aveva ricevuto da
    lei: la sua bellezza e la sua passione per la bellezza altrui. Gli
    sorrideva  nel  suo  fluente costume di Baccante;  i capelli erano
    inghirlandati di pampini e il vino purpureo traboccava dalla coppa
    che teneva in mano. Nel ritratto l'incarnato si era avvizzito,  ma
    gli  occhi  erano  ancora  meravigliosi per la profondit? e per la
    lucentezza del colore e sembravano seguire tutti i suoi passi.
    Come li abbiamo nella nostra propria razza,  cos? abbiamo antenati
    nella letteratura;  molti di questi, forse, anche pi? vicini a noi
    per tipo e temperamento e certo  con  un'influenza  di  cui  siamo
    ancora  pi?  assolutamente consapevoli.  A volte sembrava a Dorian
    Gray che tutta quanta la storia fosse soltanto il  racconto  della
    sua  stessa  vita,  non  come  l'aveva  vissuta negli atti e nelle
    circostanze,  ma come la sua immaginazione l'aveva creata per lui,
    come  si  era  svolta  nel suo cervello e nelle sue passioni.  Gli
    sembrava di averle conosciute tutte,  quelle  strane  e  terribili
    figure che erano apparse sulla scena del mondo e avevano reso cos?
    meraviglioso  il  peccato  e  cos?  raffinata  la  malvagit?;  gli
    sembrava che in modo misterioso le loro  vite  fossero  state  una
    cosa sola con la sua.
    Anche  l'eroe  del mirabile romanzo che aveva tanto influenzato la
    sua vita aveva conosciuto questa  curiosa  fantasia.  Nel  settimo
    capitolo  egli racconta come,  incoronato di lauro per proteggersi
    dal fulmine,  era stato Tiberio e si era seduto in un giardino  di
    Capri a leggere gli osceni libri elefantini,  mentre intorno a lui
    si aggiravano nani e pavoni e il flautista  imitava  burlescamente
    l'oscillare   dell'incensiere;   era   stato  Caligola,   e  aveva
    gozzovigliato insieme coi fantini dalla giubba  verde  nelle  loro
    scuderie  e  cenato  in  una  mangiatoia  d'avorio  insieme con un
    cavallo dai finimenti ingioiellati;  era stato Domiziano,  e aveva
    vagato   per  un  corridoio  con  specchi  marmorei  alle  pareti,
    guardandosi  intorno  con  gli  occhi  stravolti,   in  cerca  del
    luccicare  del  pugnale  che  doveva  mettere fine ai suoi giorni,
    ammalato di quell'"ennui",  di quel  "taedium  vitae"  che  prende
    coloro  ai  quali  la  vita  non  rifiuta  niente;  aveva guardato
    attraverso uno smeraldo trasparente i rossi macelli del  circo,  e
    poi  era  stato  trasportato in una lettiga di perle e di porpora,
    tirata da mule ferrate d'argento,  per la Strada  delle  Melegrane
    fino  a  una  Casa Aurea e aveva udito la gente acclamare,  al suo
    passaggio,  Nerone  Cesare;   era  stato  Eliogabalo,   e  si  era
    imbellettato  la faccia,  aveva filato la conocchia con le donne e
    portato da Cartagine la Luna per unirla in mistiche nozze al Sole.
    Dorian rileggeva a pi? riprese questo capitolo fantastico e i  due
    immediatamente successivi,  nei quali, come in curiosi arazzi e in
    smalti abilmente lavorati,  erano ritratte le  forme  terribili  e
    belle  di  coloro  dei quali il vizio,  il sangue o la spossatezza
    avevano fatto dei mostri o dei pazzi: Filippo duca di Milano,  che
    uccise  la  moglie  e  le  tinse le labbra con un veleno scarlatto
    affinch? il suo  amante  potesse  succhiare  la  morte  dal  morto
    oggetto delle sue carezze;  Pietro Barbo,  il Veneziano, noto come
    Paolo Secondo,  che nella sua vanit? tent? di assumere il nome  di
    Formoso e la cui tiara,  valutata duecento mila fiorini, era stata
    comperata  a  prezzo  di  un  tremendo  peccato;   Giovanni  Maria
    Visconti, che aizzava i cani a dare la caccia agli uomini e il cui
    cadavere  assassinato  fu  coperto  di  rose da una prostituta che
    l'aveva amato;  il Borgia sul suo cavallo bianco,  col Fratricidio
    seduto in groppa dietro di lui e col mantello macchiato del sangue
    di  Perotto;  Pietro  Riario,  il giovane Cardinale Arcivescovo di
    Firenze,  figlio favorito di Sisto Quarto,  la  cui  bellezza  era
    simile   solo  alla  sua  dissolutezza,   che  ricevette  Eleonora
    d'Aragona in un padiglione di seta bianca e  cremisina,  pieno  di
    ninfe e di centauri,  e indor? un fanciullo perch? potesse servire
    al festino come Ganimede o Ila;  Ezzelino,  la cui melanconia  non
    conosceva altro rimedio che lo spettacolo della morte, che nutriva
    per  il  sangue  rosso la stessa passione che altri nutrono per il
    vino rosso e di cui si diceva  che  fosse  figlio  del  diavolo  e
    avesse  barato  giocando  ai  dadi  col  padre  la  propria anima;
    Giambattista Cibo,  che prese per scherno il  nome  di  Innocenzo,
    nelle  cui  vene torpide un medico ebreo trasfuse il sangue di tre
    giovinetti; Sigismondo Malatesta,  l'amante di Isotta,  Signore di
    Rimini, bruciato in effigie a Roma come nemico di Dio e dell'uomo,
    che strangol? Polissena con una salvietta e diede a Ginevra d'Este
    il  veleno  in  una coppa di smeraldo ed eresse al culto cristiano
    una chiesa pagana in onore  di  una  ignominiosa  passione;  Carlo
    Sesto, che aveva adorato la moglie del fratello tanto furiosamente
    che  un  lebbroso lo ammon? della pazzia che stava per coglierlo e
    che, quando il suo cervello si ammal? e divent? delirante,  poteva
    essere  placato soltanto per mezzo di carte saracene che portavano
    le immagini dell'Amore,  della Morte e della Follia;  e Grifonetto
    Baglioni col suo farsetto trapunto,  il berretto gemmato e i ricci
    in forma di acanto,  che uccise Astorre con la sposa  e  Simonetto
    col  suo  paggio,  e che era di una tale bellezza che quando cadde
    morente nella piazza gialla di Perugia coloro che l'avevano odiato
    non  potevano  trattenere  le  lacrime  e  Atalanta,  che  l'aveva
    maledetto, lo benedisse.
    In  tutti  costoro  c'era  un fascino orribile.  Egli li vedeva di
    notte: e di giorno turbavano la sua immaginazione. Il Rinascimento
    conobbe strane maniere di avvelenare,  con un elmetto  e  con  una
    torcia accesa, con un guanto trapunto e un ventaglio tempestato di
    gemme,  con  una sfera da profumi dorata e con una catena d'ambra.
    Dorian Gray era stato avvelenato da un libro.  C'erano momenti nei
    quali considerava il male semplicemente come un moto attraverso il
    quale tradurre in azione la sua concezione del Bello.

    Capitolo dodicesimo.

    Era  il  9 di novembre,  vigilia del suo trentottesimo compleanno,
    come lui ebbe spesso a ricordare in seguito.
    Stava tornando a casa a piedi verso le undici,  dalla casa di Lord
    Henry dove aveva pranzato, ed era avvolto in una pesante pelliccia
    perch?  la  notte  era fredda e nebbiosa.  All'angolo di Grosvenor
    Square e South Audley Street gli pass? vicino nella nebbia un uomo
    che camminava molto in fretta,  col  bavero  del  pastrano  grigio
    rialzato  e  una  valigia in mano.  Dorian lo riconobbe: era Basil
    Hallward.  Fu preso da uno strano,  inesplicabile senso di  paura.
    Non   fece   nessun   segno  di  averlo  riconosciuto  e  continu?
    frettolosamente verso casa.
    Hallward per? l'aveva visto;  e Dorian lo sent? prima fermarsi sul
    marciapiede,  poi  corrergli  dietro e dopo pochi istanti sent? la
    sua mano posarglisi sul braccio.
    - Dorian,  che fortuna straordinaria!  Ti ho aspettato  nella  tua
    biblioteca dalle nove in poi,  finch? ho avuto compassione del tuo
    servitore che era  stanco  e  mi  sono  fatto  accompagnar  fuori,
    dicendogli  di  andare  a  letto.  Parto  per  Parigi col treno di
    mezzanotte e desideravo in modo particolare di  vederti  prima  di
    partire. Quando mi sei passato vicino, mi ? sembrato che fossi tu,
    o  piuttosto  la  tua pelliccia,  ma non ero sicuro.  Non mi avevi
    riconosciuto?
    - Con questa nebbia, caro Basil? Quasi quasi non riconosco neppure
    Grosvenor Square.  Credo che la mia casa debba essere  in  qualche
    posto qui vicino,  ma non ne sono affatto sicuro.  Mi dispiace che
    tu parta, perch? non ti vedo da secoli. Per? tornerai presto?
    - No; star? via dall'Inghilterra per sei mesi. Voglio prendere uno
    studio a Parigi e chiudermici dentro finch? non avr? terminato  un
    grande  quadro  che ho in testa.  Non era per? di me stesso che ti
    volevo parlare,  Dorian.  Eccoci a casa tua.  Lasciami entrare  un
    momento: ho qualche cosa da dirti.
    - Ne sar? felice.  Ma non perderai il treno?  - disse Dorian,  con
    aria indolente,  mentre saliva i gradini e apriva la porta con  la
    chiave.
    Il  chiarore  della  lampada  riusc?  a farsi strada attraverso la
    nebbia e Hallward guard? l'orologio.
    - Ho un sacco di tempo - rispose.  - Il  treno  non  parte  che  a
    mezzanotte e un quarto e sono appena le undici.  Anzi quando ti ho
    incontrato stavo andando  al  circolo  a  cercarti.  Sai,  non  ho
    impicci  di bagaglio;  la roba pesante l'ho spedita e tutto quello
    che ho con me ? questa valigetta,  e cos? in  venti  minuti  posso
    arrivare facilmente alla stazione.
    Dorian  lo  guard?  sorridendo.  -  Bel  modo  di viaggiare per un
    pittore alla moda!  Una valigetta e  un  pastrano!  Vieni  dentro,
    altrimenti la nebbia entra in casa.  E bada bene di non parlare di
    cose serie.  Oggi niente ? serio,  o almeno niente dovrebbe essere
    serio.
    Basil   scosse   la   testa  nell'entrare  e  segu?  Dorian  nella
    biblioteca.  Nel grande caminetto aperto bruciava un bel fuoco  di
    legna;  le  lampade erano accese e su un tavolino intarsiato c'era
    una cassetta olandese da liquori, aperta, qualche sifone di soda e
    alcuni grandi bicchieri di vetro molato.
    - Come vedi,  Dorian,  il tuo servitore mi ha messo proprio a  mio
    agio.  Mi  ha  dato  tutto quello che desideravo,  comprese le tue
    migliori sigarette col bocchino d'oro.  E' un uomo che ha il senso
    dell'ospitalit?  e  mi  piace molto pi? di quel Francese che avevi
    prima. Che ne ? successo del Francese, a proposito?
    Dorian scroll? le spalle.  - Credo che abbia sposato la  cameriera
    di  Lady  Radley e le abbia aperto a Parigi un negozio di sartoria
    inglese.  L? attualmente,  a quanto  mi  dicono,  l'anglomania  fa
    furore.  Sembra un po' stupido da parte dei Francesi, non ti pare?
    Per?,  sai,  come domestico non era  affatto  cattivo.  A  me  non
    piacque mai; per? non c'era niente di cui potessi lagnarmi. Spesso
    ci  immaginiamo delle cose che sono perfettamente assurde.  Mi era
    veramente molto affezionato e quando se  ne  and?  sembrava  molto
    afflitto.  Vuoi  un  altro brandy e soda o preferisci del vino del
    Reno con selz?  E' quello che prendo sempre  io,  e  nella  stanza
    vicina ce ne deve essere di certo.
    -  Grazie,  non  prendo  altro  -  disse  il pittore,  togliendosi
    cappello  e  pastrano  e  gettandoli  sulla  valigia   che   aveva
    depositato  in  un  angolo.  -  E ora,  mio caro,  ti devo parlare
    seriamente.  Non fare quella faccia accigliata;  mi rendi le  cose
    molto pi? difficili.
    -  Di che si tratta?  - chiese Dorian,  con la sua aria arrogante,
    lasciandosi cadere sul divano.  - Spero che non si tratti  di  me.
    Stasera sono stanco di me stesso e vorrei essere qualcun altro.
    -  Si  tratta  di  te  -  rispose Hallward con la sua voce grave e
    profonda, - e io devo dirtelo. Non durer? pi? di mezz'ora.
    Dorian sospir?, accese una sigaretta e mormor?: - Mezz'ora!
    - Non mi sembra che sia chiederti molto,  Dorian,  e  se  parlo  ?
    soltanto  per amor tuo.  Mi pare giusto che tu sappia che a Londra
    si stanno dicendo contro di te le cose pi? spaventose.
    - Non voglio saperne niente.  Adoro gli scandali degli  altri;  ma
    quelli  che riguardano me non mi interessano: non hanno il fascino
    della novit?.
    - Debbono interessarti,  Dorian.  Ogni gentiluomo ? interessato al
    proprio buon nome, e tu non vorresti che si parlasse di te come di
    un  individuo  turpe  e  ignobile.  Tu,  naturalmente,  hai la tua
    posizione,  la tua ricchezza e tutto  il  resto;  ma  posizione  e
    ricchezza  non  sono  tutto.  Bada  che  io non credo per niente a
    queste voci,  o almeno non  posso  crederci  quando  ti  vedo.  Il
    peccato  ?  una  cosa  che si scrive sul viso di un uomo e non pu?
    restare celato. La gente parla a volte di vizi segreti. Non esiste
    niente di simile. Se uno sciagurato ha un vizio,  questo si rivela
    nella linea della bocca, nella pesantezza delle palpebre e perfino
    nella  sagoma  delle  mani.  L'anno scorso un tale (non ne dico il
    nome,  ma tu lo conosci) venne da me per farsi fare  il  ritratto.
    Non  l'avevo  mai  visto  prima e non ne avevo mai sentito parlare
    fino ad allora,  bench? da allora in poi ne abbia sentito  parlare
    molto. Mi offr? un prezzo stravagante, ma io rifiutai perch? nella
    forma delle sue dita c'era qualcosa che mi era odiosa.  Ora so che
    avevo perfettamente ragione in quello che avevo immaginato sul suo
    conto; la vita che conduce ? terribile. Ma tu, caro Dorian, con la
    tua faccia pura, aperta,  innocente e la tua giovent? mirabilmente
    intatta  non  posso  credere  niente contro di te.  Eppure ti vedo
    molto di rado; allo studio non ci vieni pi?, e quando sono lontano
    da te  e  sento  tutte  queste  cose  orribili  che  la  gente  va
    mormorando sul tuo conto non so che cosa dire.  Come mai,  Dorian,
    un uomo come il duca di Berwick esce  dalla  sala  di  un  circolo
    quando  c'entri  tu?  Come mai ci sono tanti gentiluomini a Londra
    che non vengono a casa tua e non t'invitano mai a  casa  loro?  Un
    tempo  eri  amico  di  Lord  Staveley.  La  settimana  scorsa l'ho
    incontrato a un pranzo. Accadde che il tuo nome venisse menzionato
    nel corso della conversazione, a proposito delle miniature che hai
    prestato all'esposizione al Dudley.  Staveley fece una  smorfia  e
    disse  che  tu potevi avere il massimo gusto artistico,  ma eri un
    uomo che a nessuna ragazza perbene  dovrebbe  essere  permesso  di
    conoscere  e  col  quale  nessuna  donna  onesta dovrebbe trovarsi
    seduta nella stessa stanza.  Gli ricordai che ero amico tuo e  gli
    chiesi che cosa intendesse dire. Me lo disse: me lo disse chiaro e
    tondo davanti a tutti: era orribile. Perch? la tua amicizia riesce
    cos?  fatale  ai  giovani?  C'era  quello sciagurato ragazzo della
    Guardia che si suicid?: tu eri suo grande amico.  C'era Sir  Henry
    Ashton,  che  fu  costretto a partire dall'Inghilterra con un nome
    infamato: tu e lui eravate inseparabili.  E Adrian Singleton e  la
    sua  fine  tremenda?  E  il  figlio  unico  di  Lord Kent e la sua
    carriera?  Ieri ho incontrato suo padre  in  Saint  James  Street;
    sembrava  disfatto dalla vergogna e dal dolore.  E il giovane duca
    di Perth?  Che razza di vita ?  la  sua  attualmente?  Qual  ?  il
    gentiluomo disposto a frequentarlo?
    - Basta,  Basil. Stai parlando di cose delle quali non sai niente,
    - disse Dorian  Gray,  mordendosi  il  labbro,  con  una  nota  di
    infinito  disprezzo  nella  voce.  - Mi chiedi perch? Berwick esce
    dalla stanza quando c'entro io: ? perch? io  so  tutto  della  sua
    vita, non perch? egli sappia qualcosa della mia. Col sangue che ha
    nelle vene,  come potrebbe avere dei precedenti puliti?  Mi chiedi
    di Henry Ashton  e  del  giovane  Perth.  Sono  forse  io  che  ho
    insegnato i suoi vizi all'uno e il suo libertinaggio all'altro? Se
    quell'imbecille  del  figlio  di Kent va a cercarsi una moglie sul
    marciapiede ? forse cosa che  mi  riguarda?  Se  Adrian  Singleton
    scrive  su una cambiale il nome di un suo amico,  sono io forse il
    suo guardiano? So bene quanto chiacchiera la gente in Inghilterra.
    Le classi borghesi,  intorno alle loro volgari tavole  da  pranzo,
    sbandierano  i  loro  pregiudizi  morali  e mormorano sul conto di
    quelli che chiamano la dissipazione della gente migliore  di  loro
    per  darsi  l'aria  di  appartenere alla buona societ? e di essere
    intimi delle persone che calunniano.  In questo paese basta che un
    uomo  abbia un po' di distinzione e d'intelligenza perch? tutte le
    lingue volgari gli si scatenino contro.  E che razza di vita fanno
    poi  quelli  che  si  atteggiano  a  moralisti?   Caro  amico,  tu
    dimentichi che questa ? la patria dell'ipocrisia.
    -  Dorian  -  esclam?  Hallward,   -  la  questione  ?   un'altra.
    L'Inghilterra  ha  i suoi difetti,  lo so,  e la societ? inglese ?
    tutta quanta fuori strada.  Ma ? per questa ragione  che  desidero
    che tu sia una persona come si deve,  e tu non lo sei stato. Si ha
    il diritto di giudicare un uomo in base  all'effetto  che  produce
    sui propri amici. Sembra che i tuoi perdano ogni senso dell'onore,
    di  bont?,  di  purezza.  Tu  hai  istillato in loro la follia del
    piacere e se sono sprofondati nell'abisso sei tu  che  ce  li  hai
    portati.  S?,  ce li hai condotti, eppure puoi sorridere come stai
    sorridendo in questo momento. Ma c'? anche di peggio.  So che tu e
    Harry  siete  inseparabili.  Almeno per questo motivo,  se non per
    altro,  non avresti dovuto rendere  proverbiale  il  nome  di  sua
    sorella.
    - Basil, attento. Stai andando un po' troppo lontano.
    - Io devo parlare e tu devi ascoltarmi e mi ascolterai.  Quando tu
    facesti la conoscenza di Lady Gwendolen il pi? piccolo  soffio  di
    scandalo non l'aveva mai sfiorata. Ora c'? forse a Londra una sola
    donna rispettabile che uscirebbe con lei in carrozza nel Parco? Se
    nemmeno ai suoi bambini ? stato permesso di vivere con lei!  E poi
    ci sono altre  storie:  di  come  sei  stato  visto  uscire  fuori
    all'alba  da  certe  case orribili e penetrare travestito nei covi
    pi? luridi di  Londra.  Sono  vere,  possono  essere  vere  queste
    storie?  Quando  le  sentii  per  la prima volta mi misi a ridere;
    adesso quando le sento mi fanno rabbrividire.  E la  tua  casa  di
    campagna,  e la vita che vi si conduce?  Dorian, tu non sai quello
    che si dice di te.  Non ti dir? che non voglio farti una  predica.
    Mi   ricordo   che  Henry  disse  una  volta  che  chiunque  vuole
    trasformarsi in un curato dilettante comincia con il dire cos? per
    un momento e passa immediatamente a violare la  sua  promessa.  Io
    voglio  farti  la  predica;  voglio  che tu faccia una vita che ti
    assicuri il rispetto di tutti,  che tu  ti  liberi  delle  persone
    spaventose che frequenti.  Non alzare le spalle in quel modo;  non
    fare  l'indifferente.   Tu  possiedi  un'influenza   meravigliosa;
    esercitala  per  il  bene  e non per il male.  Dicono che corrompi
    tutti quelli di cui diventi intimo e che basta che tu entri in una
    casa perch? ti segua, in una forma qualsiasi, la vergogna.  Se sia
    cos? o no,  io non lo so: e come potrei saperlo? Ma questo si dice
    di te.  Mi hanno raccontato cose  che  ?  impossibile  mettere  in
    dubbio.  Lord  Gloucester  era  uno  dei  miei  pi? grandi amici a
    Oxford.  Mi ha fatto vedere una lettera che sua moglie gli scrisse
    mentre  era morente,  e sola,  nella sua villa di Mentone.  Il tuo
    nome era menzionato nella pi? tremenda confessione  che  io  abbia
    mai letto. Gli ho detto che era una cosa assurda, che ti conoscevo
    a fondo e che eri incapace di azioni di questo genere. Conoscerti?
    Mi  chiedo  se  ti conosco davvero.  Per poter rispondere a questa
    domanda bisognerebbe che vedessi la tua anima.
    - Vedere la mia anima! - mormor? Dorian Gray,  alzandosi dal sof?,
    pallidissimo di spavento.
    -  S?  -  rispose  gravemente  Hallward,  con  un tono di profonda
    afflizione nella voce, - vedere la tua anima;  ma questo pu? farlo
    solo Dio.
    Dalle labbra del giovine proruppe un'amara risata di scherno.
    - La vedrai tu stesso,  stasera!  - grid?,  afferrando un lume che
    era sulla tavola.  - Vieni: ? opera tua,  e  perch?  non  dovresti
    guardarla?  Dopo,  se ti fa piacere,  potrai raccontarlo al mondo;
    nessuno ti creder?.  Se ti credessero  mi  vorrebbero  ancora  pi?
    bene;  io conosco la nostra epoca meglio di te,  nonostante che tu
    ne parli in modo cos? noioso.  Vieni,  ti dico.  Hai chiacchierato
    abbastanza a proposito di corruzione; ora la vedrai in faccia.
    In  ogni  parola  che pronunciava vibrava la follia dell'orgoglio.
    Batteva il piede in terra col suo modo insolente e fanciullesco  e
    provava  una  gioia terribile all'idea che qualcun altro stava per
    condividere il suo segreto e che l'uomo  che  aveva  dipinto  quel
    ritratto, origine di tutte le sue vergogne, sarebbe stato oppresso
    per  tutto  il  resto dei suoi giorni al ricordo ripugnante di ci?
    che aveva fatto.
    - S? - aggiunse,  venendogli pi? vicino e  guardandolo  fisso  nei
    suoi occhi severi,  - ti mostrer? la mia anima.  Vedrai ci? che tu
    immagini che Dio solo possa vedere.
    Hallward ebbe un sussulto.
    - Questa ? una bestemmia,  Dorian - grid?.  - Non devi  dire  cose
    come queste. Sai che per te io sono sempre stato un amico fedele.
    - Non mi toccare. Finisci quel che hai da dire.
    Sul  volto  del  pittore  pass? come un lampo sinuoso di pena.  Si
    ferm? un attimo e fu preso da un senso  violento  di  compassione.
    Dopo tutto, che diritto aveva mai di indagare sulla vita di Dorian
    Gray?  Anche  se questi aveva fatto solo la decima parte di quello
    che gli veniva attribuito,  quanto doveva aver  sofferto!  Poi  si
    irrigid?,  and?  verso  il caminetto e si ferm? a guardare i ceppi
    che bruciavano,  con le loro ceneri nivee  e  le  loro  palpitanti
    anime di fiamma.
    - Sto aspettando, Basil - disse il giovine con voce dura e chiara.
    Egli  si  gir?.  - Quello che ho da dire ? questo - esclam?.  - Tu
    devi darmi una risposta a quelle orribili accuse mosse  contro  di
    te.  Se  mi  dici  che sono assolutamente false da cima a fondo ti
    creder?.   Negale,   Dorian,   negale!   Non  vedi  che  cosa  sto
    attraversando?  Mio  Dio!  Non  dirmi che sei malvagio,  corrotto,
    ignobile!
    Dorian Gray sorrise e le sue labbra si atteggiarono al disprezzo.
    - Vieni di sopra,  Basil - disse calmo.  -  Io  tengo  giorno  per
    giorno  un  diario  della  mia  vita che non esce mai dalla stanza
    nella quale ? scritto. Se vieni con me te lo far? vedere.
    - Dorian,  verr? con te,  se lo desideri.  Vedo che  ho  perso  il
    treno,  ma  poco  male;  posso  partire domani.  Ma stasera non mi
    chiedere di leggere niente;  non desidero altro che  una  risposta
    aperta alla mia domanda.
    - L'avrai di sopra; qui non potrei dartela. Non avrai da leggere a
    lungo.













    Capitolo tredicesimo.

    Usc?  dalla  stanza e cominci? a salire;  Basil Hallward gli tenne
    dietro.
    Camminavano senza far rumore,  come si fa istintivamente di notte.
    La lampada proiettava ombre fantastiche sul muro e sulla scala. Il
    vento che stava alzandosi fece sbattere qualche finestra.
    Quando  furono all'ultimo piano,  Dorian pos? in terra la lampada,
    estrasse  la  chiave  e  la  fece  girare  nella  toppa.   Chiese,
    sottovoce:
    - Insisti davvero per sapere, Basil?
    - S?.
    - Ne sono felice - rispose lui,  sorridendo; poi aggiunse, con una
    certa spietatezza:
    - Sei l'unico uomo al mondo che abbia il diritto di  sapere  tutto
    sul  mio conto,  perch? con la mia vita hai avuto a che fare molto
    di pi? di quanto tu non creda.
    Riprese il lume,  apr? la porta  ed  entr?.  Una  corrente  d'aria
    fredda  li invest? e il lume,  per un attimo,  si contrasse in una
    fiammella di arancione scuro.
    - Chiuditi dietro la porta - sussurr?,  posando la  lampada  sulla
    tavola.
    Hallward   diede   un'occhiata   in   giro,   con   un'espressione
    incuriosita.  La stanza sembrava disabitata  da  anni.  Un  arazzo
    fiammingo scolorito,  un quadro coperto da un velario,  un cassone
    italiano antico,  ecco tutto quello che pareva contenere,  oltre a
    una sedia e a un tavolino. Mentre Dorian Gray stava accendendo una
    candela  consumata a met? posata sul caminetto,  vide che tutta la
    stanza era coperta di polvere e che il tappeto era tutto buchi. Un
    topo spaurito corse a rifugiarsi dietro i pannelli di legno. C'era
    un odore umido di muffa.
    - Dunque tu credi che Dio  solo  veda  l'anima,  Basil?  Tira  via
    quella tenda e vedrai la mia.
    La voce che parlava era fredda e crudele.
    -  Dorian  -  mormor? Hallward,  accigliato,  - sei matto o fai la
    commedia?
    - Non vuoi farlo?  Allora bisogner? che lo faccia io  -  disse  il
    giovine e strapp? dalla bacchetta la tenda, gettandola in terra.
    Un'esclamazione  di  orrore usc? dalle labbra del pittore,  quando
    vide, in quella fioca luce, il viso ripugnante che gli sogghignava
    dalla tela.  Nell'espressione di questo c'era qualche cosa che  lo
    riemp? di disgusto e di schifo.  Gran Dio! era la faccia stessa di
    Dorian quella che stava guardando!  Quell'orrore,  qualunque  esso
    fosse,  non  aveva  per?  interamente  distrutto  quella  mirabile
    bellezza;  nei capelli diradati c'era ancora un po' d'oro e  sulla
    bocca  sensuale  un po' di scarlatto;  gli occhi deturpati avevano
    conservato un bel po' della dolcezza del loro azzurro;  le  nobili
    curve  non  erano  ancora completamente scomparse da quelle narici
    cesellate e da quel collo plastico. S?, era Dorian in persona;  ma
    chi l'aveva fatto? Gli sembrava di riconoscere la sua pennellata e
    la cornice era quella disegnata da lui. Era un pensiero mostruoso,
    eppure  si sent? spaventato.  Prese la candela accesa e l'avvicin?
    al ritratto. Nell'angolo di sinistra c'era il suo nome,  tracciato
    in lunghe lettere di un vermiglio chiaro.
    Era una sporca parodia,  una satira infame,  ignobile. Non l'aveva
    fatto lui, eppure era il suo quadro,  lo sapeva;  e gli sembr? che
    in un attimo il suo sangue non fosse pi? di fuoco,  ma di ghiaccio
    inerte. Il suo quadro? Che significava? Perch? si era alterato? Si
    gir? e guard? Dorian Gray con gli occhi di un  uomo  ammalato;  la
    sua  bocca  si  contorse  e la sua lingua arida sembr? incapace di
    articolare una parola.  Passandosi la mano sulla fronte  la  sent?
    madida di un sudore appiccicoso.
    Il   giovine,   appoggiato   al   caminetto,   lo   guardava   con
    quell'espressione che si vede a volte nel viso di coloro che  sono
    assorti in un dramma interpretato da un grande attore. In essa non
    c'era  n? vera gioia n? vero dolore,  ma semplicemente la passione
    dello spettatore e forse un bagliore di trionfo  negli  occhi.  Si
    era  tolto  il  fiore  dall'occhiello e lo annusava,  o fingeva di
    annusarlo.
    - Che significa questo?  - grid? finalmente Hallward.  La sua voce
    suon? stranamente stridula ai suoi stessi orecchi.
    -  Anni fa,  quand'ero un ragazzo - disse Dorian Gray schiacciando
    il fiore nel cavo della mano, - tu mi conoscesti, mi adulasti e mi
    insegnasti  a  essere  vano  della  mia  bellezza.  Un  giorno  mi
    presentasti  a  un  tuo  amico,  che  mi  spieg? il miracolo della
    giovinezza,  e tu finisti  il  mio  ritratto,  che  mi  rivel?  il
    miracolo  della bellezza.  In un momento di pazzia,  del quale non
    posso dire neppure adesso se lo  deploro  o  no,  io  espressi  un
    desiderio, o forse preferisci chiamarlo preghiera...
    -  Lo  ricordo!  oh,  come  lo  ricordo  bene!  Ma  no,  la cosa ?
    impossibile.  La stanza ? umida,  la muffa deve  essere  penetrata
    nella  tela,  oppure  i  colori  che adoperavo contenevano qualche
    sciagurato veleno minerale. Ti dico che ? una cosa impossibile.
    - Ah, che cosa ? impossibile?  - mormor? il giovine,  andando alla
    finestra  e  premendo la fronte contro il vetro freddo,  appannato
    dalla nebbia.
    - Mi dicesti che l'avevi distrutto.
    - Avevo sbagliato. E' questo che ha distrutto me.
    - Non credo che sia il mio ritratto.
    - Non ci ritrovi il tuo ideale? - disse Dorian, amaro.
    - Il mio ideale, come tu lo chiami...
    - Come tu lo chiamavi.
    - In esso non c'era niente di malvagio o di ripugnante.  Tu per me
    eri un ideale come non mi sar? mai pi? dato d'incontrare. Questa ?
    la faccia di un satiro.
    - E' la faccia della mia anima.
    - Dio!  che cosa avevo dunque adorato! Gli occhi sono gli occhi di
    un diavolo.
    - Basil,  ognuno di noi porta in se stesso il  cielo  e  l'inferno
    esclam? Dorian con un gesto furioso di disperazione.
    Hallward si gir? di nuovo verso il ritratto e lo riguard?.
    -  Dio mio!  - disse - se ? vero,  e se questo ? quello che tu hai
    fatto della tua vita,  allora devi essere anche peggiore di quello
    che si immaginano coloro che parlano male di te!
    Torn? ad avvicinare il lume alla tela e la esamin?.  La superficie
    sembrava  del  tutto  inalterata,   come  lui  l'aveva   lasciata;
    evidentemente  la  bruttura  e  l'orrore provenivano dall'interno.
    Attraverso una  strana  accelerazione  della  vita  interiore,  la
    lebbra del peccato stava divorandolo lentamente, e il disfacimento
    di un cadavere in una tomba umida non era ugualmente spaventoso.
    La mano gli trem? e la candela cadde dal candeliere sul pavimento,
    dove rimase scoppiettante. La spense posandovi il piede sopra, poi
    si  lasci?  cadere sulla sedia malferma posta vicino al tavolino e
    si nascose il volto tra le mani.
    - Buon Dio,  che lezione,  che tremenda  lezione!  -  Non  ottenne
    risposta;  ma  poteva  sentire il giovane singhiozzare vicino alla
    finestra. - Prega,  Dorian,  prega - mormor?.  - Che cosa ci hanno
    insegnato  a  dire  da  bambini?  "Non  ci  indurre in tentazione;
    perdonaci  i  nostri  peccati;  mondaci  delle  nostre  iniquit?."
    Diciamo  insieme  queste  parole.  La preghiera del tuo orgoglio ?
    stata esaudita; quella del tuo pentimento sar? forse esaudita.  Ti
    adoravo troppo e ne siamo stati entrambi puniti.
    Dorian  Gray  si gir? lentamente e lo guard? cogli occhi imperlati
    di lacrime. - E' troppo tardi, Basil - balbett?.
    - Non ? mai  troppo  tardi,  Dorian.  Mettiamoci  in  ginocchio  e
    vediamo  se possiamo ricordarci una preghiera.  Non c'? in qualche
    punto un versetto che dice: "Per quanto  scarlatti  siano  i  tuoi
    peccati, io li render? candidi come la neve"?
    - Ormai per me queste parole non significano pi? niente.
    - Taci! non parlare cos?. Il male che hai gi? fatto nella tua vita
    ?  sufficiente.  Mio  Dio,  ma  non vedi quella cosa maledetta che
    sogghigna verso di noi?
    Dorian Gray guard? il ritratto e immediatamente lo prese un  senso
    incontrollabile  di  odio  contro  Basil Hallward,  come se glielo
    avesse suggerito l'immagine sulla tela,  come se  glielo  avessero
    sussurrato all'orecchio quelle labbra ghignanti.  Diede una rapida
    occhiata in giro.  Lo  sguardo  gli  cadde  su  qualche  cosa  che
    luccicava  sul  cassone  dipinto  che gli stava di fronte.  Sapeva
    cos'era.  Era un coltello che aveva portato con s? qualche  giorno
    prima  per  tagliare un pezzo di corda e che si era dimenticato di
    riportare via.  Si mosse lentamente in quella direzione,  passando
    accanto  a Hallward.  Appena fu dietro di lui l'afferr? e si gir?.
    Hallward si muoveva  sulla  sedia  come  se  fosse  sul  punto  di
    alzarsi.  Gli fu sopra e affond? il coltello nella grande vena che
    sta dietro l'orecchio,  premendo in  gi?  sul  tavolino  la  testa
    dell'uomo e vibrando un colpo dopo l'altro.
    Ci  fu  un  gemito soffocato e il suono orribile di chi affoga nel
    sangue.  Le braccie tese  si  alzarono  convulsamente  tre  volte,
    agitando  nell'aria  le  mani  con  le  dita  contratte in maniera
    grottesca.  Gli inferse altri due colpi,  ma l'uomo non si  mosse.
    Qualche cosa cominciava a gocciolare sul pavimento. Aspett? ancora
    un momento, continuando a premere la testa all'ingi?, poi gett? il
    coltello sul tavolino e rimase in ascolto.
    Non  sent?  niente,  eccetto quel rumore di gocce che cadevano sul
    tappeto logoro. Apr? la porta e usc? sul pianerottolo.  In casa il
    silenzio  era  completo;  nessuno  si  muoveva.  Rimase  chino per
    qualche secondo sulla ringhiera,  frugando in gi? con  lo  sguardo
    quel pozzo di oscurit?, nero di tenebre; poi tir? fuori la chiave,
    ritorn? nella stanza e vi si chiuse dentro.
    Ancora  seduto sulla sedia e allungato sul tavolino,  con la testa
    china,  il dorso incurvato e braccia di una lunghezza  fantastica,
    se  non  fosse  stato per quel buco rosso e slabbrato sulla nuca e
    per la pozza nera e grumosa che andava lentamente allargandosi sul
    tavolino,  si sarebbe potuto dire che l'uomo  fosse  semplicemente
    addormentato.
    Come  tutto  si  era  svolto  in un lampo!  Si sentiva stranamente
    calmo;  and? alla finestra,  l'apr? e usc? sul balcone.  Il  vento
    aveva spazzato la nebbia e il cielo era come una mostruosa coda di
    pavone costellata di miriadi di occhi d'oro. Guardando in gi? vide
    la guardia in perlustrazione che proiettava sulle porte delle case
    silenziose il lungo raggio della sua lanterna. La macchia violacea
    di  una  vettura in cammino comparve sull'angolo,  poi svan?.  Una
    donna con uno scialle svolazzante camminava lentamente  presso  le
    cancellate,  barcollando;  di  tanto  in  tanto  si  fermava  e si
    guardava indietro; a un tratto cominci? a cantare, con voce rauca.
    La guardia le si avvicin? e le disse  qualcosa,  e  lei,  con  una
    risata,  riprese il suo incerto cammino.  Un vento freddo spazzava
    la piazza;  le luci del gas oscillavano e diventavano  turchine  e
    gli  alberi  spogli agitavano qua e in l? i rami che sembravano di
    ferro nero.  Rabbrivid?  e  torn?  dentro  chiudendosi  dietro  la
    finestra.
    Arrivato  alla  porta  gir? la chiave e l'apr?.  Non diede neppure
    un'occhiata all'uomo assassinato.  Ebbe la sensazione che tutto il
    segreto  della cosa stava nel non rendersi conto della situazione.
    L'amico che aveva dipinto il fatale ritratto al quale  era  dovuta
    tutta la sua miseria, era uscito dalla sua vita: nient'altro.
    Poi  gli  venne  in  mente la lampada.  Era piuttosto curiosa,  un
    lavoro moresco  d'argento  opaco,  damaschinato  di  arabeschi  di
    acciaio brunito,  tempestato di rozze turchesi. Forse il servitore
    ne avrebbe notato la mancanza e avrebbe fatto delle domande. Esit?
    un attimo, poi torn? indietro e la prese dal tavolo.  Non pot? non
    vedere  quella  cosa  morta.  Come  era immobile!  Come sembravano
    orribilmente bianche le mani!  Sembrava una spaventosa  figura  di
    cera.
    Dopo essersi chiusa la porta alle spalle, scese tranquillamente da
    basso.  Il  legno degli scalini scricchiolava e sembrava gemere di
    dolore.  Si  ferm?  parecchie  volte,  in  attesa,  ma  tutto  era
    tranquillo;  non  era  che il rumore dei suoi passi.  Giunto nella
    biblioteca,  vide nell'angolo la valigia e il pastrano.  Bisognava
    nasconderli in qualche posto. Apr? un ripostiglio segreto posto in
    un  pannello  della  parete,  un ripostiglio nel quale custodiva i
    propri curiosi travestimenti e ve li chiuse  dentro.  Gli  sarebbe
    stato facile bruciarli pi? tardi. Poi tir? fuori l'orologio. Erano
    le due e venti.
    Si sedette e cominci? a riflettere. Ogni anno, quasi ogni mese, in
    Inghilterra c'erano degli uomini che venivano impiccati per quello
    che  aveva  fatto  lui.  C'era stata una follia omicida nell'aria;
    qualche stella rossa si era avvicinata troppo alla terra.  Ma  che
    prove  c'erano contro di lui?  Basil Hallward era uscito da quella
    casa alle undici e nessuno l'aveva visto rientrare; la servit? era
    quasi tutta a Selby Royal e il suo domestico era andato a letto...
    Parigi!  S?,  Basil Hallward era andato  a  Parigi  col  treno  di
    mezzanotte,  come  ne  aveva  espresso  l'intenzione.  Date le sue
    curiose abitudini di riservatezza,  prima che nascesse un sospetto
    sarebbero  passati  dei mesi.  Mesi!  Serviva molto meno tempo per
    distruggere ogni cosa.
    Un'idea gli balen? di colpo alla mente.  Indoss? la pelliccia,  si
    mise  in  testa  il  cappello  e usc? nell'ingresso.  Qui si ferm?
    perch? sentiva di fuori,  sul marciapiede,  il passo pesante della
    guardia  e vedeva riflettersi sulle finestre il chiarore della sua
    lanterna. Aspett?, trattenendo il respiro.
    Dopo  un  po'  tir?  indietro  il  saliscendi  e  sgusci?   fuori,
    chiudendosi dietro pianissimo la porta,  poi cominci? a suonare il
    campanello.  Dopo circa cinque minuti apparve il domestico,  mezzo
    vestito e con un'aria molto assonnata.
    -  Mi spiace di avervi svegliato,  Francis - disse entrando,  - ma
    avevo dimenticato la chiave. Che ore sono?
    - Le due e dieci, signore - rispose l'uomo, guardando l'orologio a
    pendolo e battendo le palpebre.
    - Le due e dieci! Com'? tardi!  Domani mattina mi dovete svegliare
    alle nove; ho qualche cosa da fare.
    - Benissimo, signore.
    - E' venuto nessuno stasera?
    - S?,  il signor Hallward. E' rimasto fino alle undici e poi se ne
    ? andato per prendere il treno.
    - Oh,  mi dispiace di non averlo visto.  Ha lasciato detto qualche
    cosa?
    - Nossignore, soltanto che se non vi trovava al circolo vi avrebbe
    scritto da Parigi.
    - Va bene. Non dimenticate di chiamarmi domani mattina alle nove.
    - Nossignore.
    L'uomo, in pantofole, scivol? gi? nel corridoio.
    Dorian  Gray gett? cappello e pastrano sulla tavola ed entr? nella
    biblioteca.  Passeggi? su e gi? per la stanza per un quarto d'ora,
    mordendosi  le  labbra  e  riflettendo;  poi  prese  da  uno degli
    scaffali il libro degli indirizzi e cominci? a  sfogliarlo.  "Alan
    Campbell,  152,  Hertford Street,  Mayfair." S?, era quello l'uomo
    che gli serviva.
















    Capitolo quattordicesimo.

    La mattina dopo,  alle nove,  il servitore entr?  portando  su  un
    vassoio  una  tazza  di  cioccolata e apr? le persiane.  Steso sul
    fianco destro,  con una mano  sotto  la  guancia,  Dorian  dormiva
    tranquillissimo  e  sembrava un ragazzino stanco del gioco o dello
    studio.
    Il domestico dovette toccarlo sulla spalla due volte, prima che si
    svegliasse; e quando apr? gli occhi pass? sulle sue labbra un vago
    sorriso,  come se egli fosse stato perduto in un sogno  delizioso.
    Invece  non  aveva  sognato  affatto;  il  suo sonno non era stato
    turbato da nessuna immagine n? gradevole n? penosa; ma la giovent?
    sorride senza nessun motivo,  ed ? questa una delle  sue  maggiori
    attrattive.
    Si  gir?  e,  appoggiandosi  al gomito,  cominci? a sorseggiare la
    cioccolata. Il mite sole di novembre riempiva la camera,  il cielo
    era sereno e c'era nell'aria un piacevole tepore. Pareva quasi una
    mattinata di maggio.
    A  poco  a  poco,   con  gambe  silenziose  e  insanguinate,   gli
    avvenimenti  della  notte  precedente  si  insinuarono   nel   suo
    cervello,  dove si ricostruirono con una spaventosa nitidezza.  Il
    ricordo di tutto quello che aveva sofferto lo  fece  riscuotere  e
    per  un  attimo  torn? a invaderlo lo stesso curioso sentimento di
    odio contro Basil Hallward che lo aveva spinto a ucciderlo  mentre
    stava seduto sulla sedia.  Si sent? gelare dall'ira. Inoltre c'era
    il morto, ancora seduto lass?; adesso,  anzi,  alla luce del sole.
    Che orrore!  Cose cos? ripugnanti erano fatte per l'oscurit?,  non
    per il giorno.
    Ebbe la sensazione che se continuava  a  rimuginare  sull'accaduto
    avrebbe  finito  con l'ammalarsi o con l'impazzire.  Il fascino di
    certi peccati sta pi? nel ricordarli  che  nel  commetterli;  sono
    strani  trionfi  che  soddisfano  l'orgoglio pi? che le passioni e
    procurano all'intelletto una pi? vivace sensazione di  gioia,  pi?
    intensa  di  qualunque  gioia che hanno procurato o che potrebbero
    procurare ai sensi;  ma questo non rientrava in quella  categoria.
    Era  una  cosa  che  bisognava  cacciare dalla testa,  drogare con
    l'oppio, strangolare per non esserne strangolati.
    Quando suon? la mezza, si pass? la mano sulla fronte,  poi si alz?
    in fretta e si vest? con cura anche maggiore del solito,  mettendo
    un'attenzione particolare nella  scelta  della  cravatta  e  della
    spilla e cambiando pi? volte anelli.  Si intrattenne a lungo anche
    a colazione, assaggiando i diversi piatti,  parlando col domestico
    di  certe  livree  nuove che pensava di far fare per la servit? di
    Selby e leggendo la sua corrispondenza.  Alcune lettere lo  fecero
    sorridere, altre lo infastidirono. Una la lesse diverse volte, poi
    la stracci? con una lieve espressione di noia. "Che cosa tremenda,
    la memoria di una donna!", come una volta aveva detto Lord Henry.
    Dopo aver preso una tazza di caff? nero,  si asciug? lentamente le
    labbra col tovagliolo,  fece cenno al servitore di aspettare e  si
    sedette alla scrivania a scrivere due lettere. Se ne mise in tasca
    una e diede l'altra al domestico.
    - Francis,  portatela subito al numero 152 di Hertford Street e se
    il signor Campbell non ? in citt? fatevi dare il suo indirizzo.
    Rimasto solo,  accese una sigaretta e inizi?  a  disegnare  su  un
    foglio di carta,  prima dei fiori e dei motivi architettonici, poi
    dei volti umani.  Di colpo si  accorse  che  tutte  le  facce  che
    disegnava  sembravano  avere una somiglianza fantastica con quella
    di Basil Hallward. Aggrott? le sopracciglia,  si alz?,  and? a uno
    scaffale  e  prese un volume,  a caso.  Era deciso a non pensare a
    quello che era accaduto, prima che il pensarvi fosse assolutamente
    necessario.
    Si stese sul divano e guard? il frontespizio del libro.  Erano gli
    "Emaux et Cam?es" del Gautier,  nell'edizione dello Charpentier su
    carta del Giappone,  con i disegni del Jacquemart.  La  rilegatura
    era  in  pelle  color  limone,  con un disegno a graticcio dorato,
    punteggiato di melograne.  Gliel'aveva regalato Adrian  Singleton.
    Sfogliando  il  libro,  gli  cadde sotto gli occhi la poesia sulla
    mano di Lacenaire, la mano gialla e fredda "du supplice encore mal
    lav?e", col suo vello di peli rossicci e i suoi "doigts de faune".
    Si guard? le dita bianche e affusolate, rabbrivid? leggermente suo
    malgrado e pass? oltre,  finch? arriv? a quelle  belle  strofe  su
    Venezia.

    Sur une gamme chromatique,
    Le sein de perles ruisselant,
    Le V?nus de l'Adriatique
    Sort de l'eau son corps rose et blanc.
    Les domes, sur l'azur des ondes
    Suivant la phrase au pur contour
    S'enflent comme des gorges rondes
    Que soul?ve un soupir d'amour.
    L'esquif aborde et me d?pose,
    Jetant son amarre au pilier,
    Devant une fa?ade rose,
    Sur le marbre d'un escalier.

    Com'erano  deliziose!  Nel  leggere  sembrava  di  navigare per le
    grandi strade d'acqua della citt? color di rosa e di perla, in una
    gondola nera con la prua d'argento  e  le  tendine  scorrevoli.  I
    versi  stessi  gli  sembravano  simili a quelle linee diritte d'un
    azzurro di turchese,  che seguono chi si spinge verso il Lido.  Le
    improvvise  macchie  di  colore  gli  ricordavano lo splendore dei
    colombi dal  collo  iridato  e  opalino,  che  volano  intorno  al
    Campanile diritto e traforato,  o passeggiano,  con tanta grazia e
    tanta dignit?, attraverso le arcate buie,  annerite dalla polvere.
    Piegandosi   all'indietro,   con  gli  occhi  semichiusi,   andava
    ripetendo a se stesso:

    Devant une fa?ade rose
    Sur le marbre d'un escalier.

    Tutta Venezia era in questi due versi. Si ricord? l'autunno che vi
    aveva passato  e  un  meraviglioso  amore  che  l'aveva  spinto  a
    sfrenate  e  deliziose  follie.  Non  c'?  posto  che non contenga
    qualche cosa di romantico; ma Venezia, come Oxford,  ha conservato
    lo  sfondo  per  il  romanzo;  e  per chi ? veramente romantico lo
    sfondo ? tutto, o quasi tutto.
    Durante una parte di quel soggiorno Basil era stato con lui ed era
    diventato fanatico del Tintoretto. Povero Basil!  che orrenda fine
    era stata la sua!
    Sospir? e riprese il volume,  cercando di dimenticare. Lesse delle
    rondini che entrano ed escono a volo  in  quel  piccolo  caff?  di
    Smirne,  dove  gli  Hagi  siedono contando i grani dei loro rosari
    d'ambra e i mercanti col turbante fumano le lunghe pipe adorne  di
    nappine,  conversando gravemente.  Lesse dell'obelisco della Place
    de la Concorde,  che piange lacrime di granito nel  suo  solitario
    esilio  senza  sole  e sospira di tornare presso il Nilo tiepido e
    coperto di loto,  l? dove sono le sfingi e gli ibis rosa e rossi e
    gli  avvoltoi  bianchi dalle unghie dorate e i coccodrilli,  con i
    loro piccoli occhi di berillo, strisciano sul verde fango fumante.
    Prese a fantasticare su quei versi che,  evocando la musica da  un
    marmo  macchiato di baci,  parlano di quella curiosa statua che il
    Gautier paragona a una voce di contralto,  quel "monstre charmant"
    che  giace  nella camera di porfido del Louvre.  Ma dopo un po' il
    libro gli cadde di mano.  Si innervos? e fu preso da  un  tremendo
    accesso  di  terrore.  E  se Alan Campbell non era in Inghilterra?
    Prima che potesse  tornare  sarebbero  passati  giorni  e  giorni.
    Poteva magari rifiutarsi di venire. In quel caso, che cosa avrebbe
    fatto?  Ogni minuto aveva un'importanza vitale.  Una volta, cinque
    anni prima, erano stati amicissimi, anzi, quasi inseparabili;  poi
    la  loro  intimit?  era  bruscamente  finita  e  ora,   quando  si
    incontravano in societ?,  il solo che sorrideva era  Dorian;  Alan
    Campbell mai.
    Era  un  giovane  estremamente  intelligente,  bench?  incapace di
    apprezzare le arti figurative e bench? quel po' di senso che aveva
    della bellezza e della poesia lo dovesse interamente a Dorian.  La
    sua  passione intellettuale dominante era la scienza.  A Cambridge
    aveva passato molto tempo nel laboratorio  e  aveva  ottenuto  una
    buona  classifica  negli  esami di scienze naturali del suo corso.
    Continuava anzi a dedicarsi agli  studi  di  chimica  e  aveva  un
    laboratorio suo, nel quale si rinchiudeva per giornate intere, con
    grande  dispiacere  di  sua  madre,  che si era messa in testa che
    doveva presentarsi al Parlamento e aveva  una  vaga  idea  che  un
    chimico  fosse un individuo che esegue ricette.  Era per? anche un
    eccellente musicista e suonava sia il pianoforte che il violino in
    una maniera molto superiore alla media dei dilettanti;  anzi,  era
    stata  la  musica  ad  avvicinarlo  a  Dorian  Gray,  la  musica e
    quell'attrazione indefinibile che Dorian sembrava avere il  potere
    di  esercitare  quando  voleva  e che anzi esercitava spesso senza
    rendersene conto. Si erano conosciuti in casa di Lady Berkshire la
    sera che vi suon? Rubinstein, e dopo di allora furono visti sempre
    insieme all'Opera e negli altri posti dove si faceva  della  buona
    musica.  La  loro intimit? continu? per un anno e mezzo.  Campbell
    era costantemente a Selby Royal o nella casa di Grosvenor  Square.
    Per lui,  come per molti altri,  Dorian Gray costituiva il tipo di
    tutto ci? che ? meraviglioso e affascinante  nella  vita.  Nessuno
    seppe  mai  se  c'era  stata  un  lite  tra  di loro;  ma la gente
    improvvisamente osserv? che quando si  incontravano  si  parlavano
    appena  e  che  Campbell  pareva  sempre  andarsene di buon'ora da
    qualsiasi ricevimento al quale partecipasse Dorian Gray.  Inoltre,
    era cambiato;  a volte era stranamente melanconico, sembrava quasi
    che non  gli  piacesse  sentire  la  musica  e  non  suonava  mai,
    adducendo, quando gli veniva chiesto, la scusa che era tanto preso
    dalla  scienza  che non gli restava tempo per esercitarsi.  Questo
    indubbiamente era vero;  sembrava che si interessasse ogni  giorno
    di  pi?  alla  biologia  e il suo nome apparve un paio di volte in
    qualche  rivista  scientifica,   in  rapporto  a   certi   curiosi
    esperimenti.
    Questo  era l'uomo che Dorian Gray stava aspettando.  Continuava a
    guardare l'orologio a ogni secondo e con il passare dei minuti  la
    sua  agitazione divent? tremenda.  Finalmente si alz? e cominci? a
    camminare su e gi? per la stanza, a lunghi passi furtivi,  come un
    bell'animale in gabbia. Aveva le mani stranamente fredde.
    Quello  stato  di incertezza divent? insopportabile.  Gli sembrava
    che il tempo camminasse con piedi di piombo e che lui stesso fosse
    trascinato da venti mostruosi verso l'orlo scosceso di  un  oscuro
    precipizio. Sapeva quello che lo aspettava col?; anzi, addirittura
    lo  vide  e,  rabbrividendo,  si  premette  le  mani  sudate sulle
    palpebre brucianti,  come se avesse voluto privare della vista  il
    cervello  e  ricacciare i globi oculari dentro le loro cavit?.  Ma
    era tutto inutile. Il cervello si nutriva di un cibo suo proprio e
    l'immaginazione, che il terrore rendeva grottesca,  si contraeva e
    si  contorceva  come fa un essere vivente per lo spasimo,  ballava
    come un ignobile pupazzo  su  un  palchetto,  ghignava  attraverso
    maschere  sempre  nuove.  Poi,  bruscamente,  per  lui il tempo si
    ferm?: quella cosa cieca, dal fiato corto, smise di strisciare,  e
    poich?  il tempo era morto,  pensieri orribili corsero velocemente
    verso di lui, trascinarono fuori dalla tomba un futuro spaventoso,
    glielo fecero vedere: lui lo guard? e l'orrore lo paralizz?.
    Finalmente la porta si apr? ed entr? il servitore.  Lo guard?  con
    occhi vitrei.
    - Il signor Campbell - annunci? il domestico.
    Gli  sfugg?  dalle  labbra  un  sospiro di sollievo e sulle guance
    riapparve il colorito.
    - Fatelo entrare subito, Francis. - Sentiva di essere tornato come
    era sempre; la vigliaccheria era scomparsa.
    Il servitore si ritir? con un inchino e pochi  attimi  dopo  entr?
    Alan  Campbell,  molto  severo in volto,  alquanto pallido,  di un
    pallore reso pi? intenso dai  capelli  nerissimi  e  dalle  ciglia
    scure.
    - Sei molto gentile, Alan. Ti ringrazio di essere venuto.
    - Mi ero proposto di non mettere pi? piede in casa tua,  Gray,  ma
    tu hai detto che era una questione di vita o di morte.
    La voce era dura e fredda.  Parlava con lenta  decisione  e  nello
    sguardo  fisso  e  penetrante  che  fiss?  addosso  a Dorian c'era
    un'espressione  di  disprezzo.  Teneva  le  mani  nella  pelliccia
    d'astrakan  e  sembrava  non  aver  notato  il  gesto  che l'aveva
    salutato.
    - S?, Alan, ? una questione di vita o di morte,  e per pi? di uno.
    Siedi.
    Campbell  prese una sedia vicino al tavolo e Dorian gli sedette di
    fronte. I loro sguardi si incontrarono.  In quello di Dorian c'era
    una  piet?  infinita;  sapeva  che  quello  che stava per fare era
    tremendo.
    Dopo un attimo di tensione silenziosa,  si chin? in avanti e,  con
    molta  calma,  ma  spiando  l'effetto  che ognuna delle sue parole
    produceva sul volto di colui che aveva mandato a chiamare, disse:
    - Alan,  in una stanza chiusa a chiave all'ultimo piano di  questa
    casa,  una  stanza  alla  quale,  all'infuori  di me,  nessuno pu?
    accedere,  seduto a un tavolino c'? un morto.  E' morto  ormai  da
    dieci  ore.  Non  ti  agitare  e non guardarmi a quel modo.  Chi ?
    l'uomo,  perch? ? morto,  come ?  morto,  sono  cose  che  non  ti
    riguardano. Quello che tu devi fare ? questo...
    - Basta, Gray. Non voglio sapere altro. Se quello che mi hai detto
    ? vero o no ? cosa che non mi interessa.  Mi rifiuto assolutamente
    di essere immischiato nella tua vita. Tieni per te i tuoi orribili
    segreti; non mi interessano pi?.
    -  Devono  interessarti,  Alan.  Questo  dovr?  interessarti.   Mi
    dispiace   infinitamente   per  te,   Alan,   ma  non  posso  fare
    diversamente.  Tu sei l'unico uomo che possa salvarmi  e  io  sono
    costretto a farti entrare in questa storia;  non ho scelta.  Alan,
    tu sei uno scienziato,  ti intendi di chimica e di roba di  questo
    genere.  Quello  che  devi  fare  ?  distruggere quella cosa che ?
    disopra: distruggerla in modo che non ne rimanga traccia.  Nessuno
    ha  visto  quella  persona entrare in questa casa;  anzi in questo
    momento tutti credono che sia a Parigi e per parecchi mesi nessuno
    si  accorger?  della  sua  assenza.  Bisogna  che,  quando  se  ne
    accorgeranno,  qui  non  si ritrovi la minima traccia di lui.  Tu,
    Alan, devi cambiarlo e cambiare tutto quello che gli appartiene in
    un pugno di cenere che io possa disperdere al vento.
    - Sei pazzo, Dorian.
    - Ah, aspettavo che tu mi chiamassi Dorian.
    - Ti dico che sei pazzo. Sei pazzo a immaginarti che io alzerei un
    solo  dito  per  aiutarti,   pazzo  a   farmi   questa   mostruosa
    confessione. Non voglio avere niente a che fare con questa storia,
    qualunque  essa  sia.  Credi  forse che io voglia rischiare la mia
    reputazione per te? Che importa a me delle tue azioni diaboliche?
    - Si tratta di un suicidio, Alan.
    - Tanto meglio. Ma chi ce l'ha spinto? Tu, m'immagino.
    - Insisti a rifiutare di fare questo per me?
    - Naturalmente rifiuto.  Non voglio assolutamente entrarci.  Quale
    che  sia la vergogna a cui sarai esposto non me ne importa niente;
    tu la meriti pienamente.  Non  mi  dispiacerebbe  affatto  vederti
    svergognato,  svergognato pubblicamente. Come osi chiedere a me, a
    me fra tutti gli uomini di questo mondo,  di entrare in un  orrore
    simile? Ti ritenevo un miglior conoscitore del carattere umano; il
    tuo  amico  Lord Henry Wotton non pu? averti insegnato gran che di
    psicologia,  qualunque  altra  cosa  ti  abbia  insegnato.  Niente
    potrebbe spingermi a muovere un passo per aiutarti.  Hai sbagliato
    indirizzo. Va' da qualcuno dei tuoi amici, non da me.
    - Alan,  si tratta di un omicidio.  L'ho ucciso  io.  Tu  non  sai
    quanto mi abbia fatto soffrire.  Quale che sia la mia vita,  ? lui
    responsabile di averla fatta o disfatta,  molto pi? di quel povero
    Harry;  anche se l'ha fatto senza intenzione, il risultato ? stato
    identico.
    - Omicidio! Gran Dio, Dorian, a questo sei arrivato!  Io non andr?
    a  denunciarti;  non sono affari miei,  e poi,  anche senza che io
    metta le cose in marcia,  tu sarai certamente  arrestato.  Nessuno
    commette  un  delitto  senza fare qualche stupidaggine.  Ma io non
    voglio entrarci per niente.
    - Tu devi entrarci. Aspetta, aspetta un momento, stammi a sentire,
    soltanto a sentire, Alan. Tutto quello che ti chiedo ? di compiere
    un certo esperimento scientifico.  Tu frequenti gli ospedali e gli
    obitori  e  gli  orrori  che  compi  in  quei  luoghi  ti lasciano
    insensibile.  Se in una schifosa sala anatomica  o  in  un  fetido
    laboratorio  tu  avessi  trovato quest'uomo steso su una tavola di
    metallo,  incavata da rozzi scolatoi per farci scorrere dentro  il
    sangue, lo considereresti soltanto come un magnifico soggetto. Non
    batteresti  ciglio;  non ti sembrerebbe di far niente di male;  al
    contrario,   penseresti  probabilmente  di  rendere  un   servigio
    all'umanit?  o di accrescere la somma delle conoscenze nel mondo o
    di appagare la curiosit? intellettuale o  qualche  altra  cosa  di
    questo  genere.  Quello  che ti chiedo di fare ? semplicemente una
    cosa che hai gi? fatto tante volte; anzi,  distruggere un cadavere
    deve  essere  molto  meno  orribile  dei lavori che sei abituato a
    fare.  E ricordati che costituisce l'unica prova che esista contro
    di  me.  Se  lo scoprono io sono perduto,  e se tu non mi aiuti lo
    scopriranno di certo.
    - Tu dimentichi che io non ho il minimo desiderio di aiutarti.  La
    cosa mi lascia del tutto indifferente. Non mi riguarda affatto.
    - Alan,  ti supplico.  Pensa alla posizione in cui mi trovo.  Poco
    prima che tu arrivassi sono quasi svenuto dal terrore.  Anche  tu,
    un  giorno,  potresti conoscere il terrore.  Ma no,  non pensare a
    questo.   Considera  la  questione  dal  puro   punto   di   vista
    scientifico.  Tu  non  stai a indagare la provenienza dei cadaveri
    che servono ai tuoi esperimenti: non indagare adesso.  Ti  ho  gi?
    detto  fin  troppo.  Ma  ti prego di far questo.  Un tempo noi due
    eravamo amici, Alan.
    - Non parlare di quei tempi, Dorian. Sono morti.
    - Qualche volta i morti non se ne vanno.  Quell'uomo lass? non  se
    ne  andr?.  E'  seduto  al  tavolino  con  la testa reclinata e le
    braccia distese. Alan, Alan,  se non vieni in mio aiuto io sono un
    uomo  rovinato.   Mi  impiccheranno,  Alan!  Non  lo  capisci?  Mi
    impiccheranno per quello che ho fatto.
    -  Non  serve  a   niente   prolungare   questa   scena.   Rifiuto
    assolutamente  di  fare  qualsiasi  cosa  in quest'affare.  E' una
    pazzia da parte tua chiedermelo.
    - Rifiuti?
    - S?.
    - Ti supplico, Alan.
    - E' inutile.
    La stessa espressione di piet? riapparve negli  occhi  di  Dorian;
    poi  questi  stese la mano,  prese un foglio di carta e vi scrisse
    qualche cosa.  Lo lesse due volte,  lo pieg?  accuratamente  e  lo
    spinse attraverso la tavola.  Fatto questo si alz? e and? verso la
    finestra.
    Campbell lo guard? stupefatto,  poi  prese  il  foglio  e  l'apr?.
    Mentre  lo  leggeva,  il  suo  volto  si fece mortalmente pallido.
    Ricadde sulla sedia e fu preso da un orribile senso di nausea. Gli
    sembrava che il suo cuore battesse,  fino a  morirne,  in  qualche
    cavit? vuota.
    Dopo  un  paio  di  minuti  di  spaventoso silenzio,  Dorian torn?
    indietro,  venne a collocarsi dietro di lui e gli  mise  una  mano
    sulla spalla.
    -  Mi  dispiace per te,  Alan - mormor?;  - ma non mi hai lasciato
    altra  alternativa.  Ho  qui  una  lettera,  gi?  scritta;  guarda
    l'indirizzo.  Se  non  mi aiuti sar? costretto a mandarla e tu sai
    quale sar? il risultato.  Ma tu mi aiuterai;  ora ti ? impossibile
    rifiutare.   Ho  cercato  di  risparmiarti;  mi  devi  rendere  la
    giustizia di ammetterlo. Sei stato duro, aspro, offensivo;  mi hai
    trattato come nessuno ha mai osato trattarmi; nessun uomo vivente,
    quanto  meno.  Ho  sopportato  tutto;  ora  sono  io  che detto le
    condizioni.
    Campbell si prese la testa tra le mani  e  un  brivido  lo  scosse
    tutto.
    - S?,  sono io che detto le condizioni,  e tu sai quali siano.  La
    cosa ? semplicissima.  Andiamo,  non agitarti tanto.  La cosa deve
    essere fatta. Coraggio, su!
    Un gemito sfugg? dalle labbra di Campbell, che tremava tutto.
    Gli  sembrava che il tic-tac dell'orologio sul caminetto dividesse
    il tempo in tanti atomi separati,  ognuno  dei  quali  era  troppo
    tremendo  per  essere  sopportato.  Sentiva  un  cerchio  di ferro
    stringerglisi pian piano intorno alla fronte,  come se l'ignominia
    che gli era stata minacciata gli fosse gi? caduta addosso.  Quella
    mano sulla sua spalla pesava come se fosse stata  di  piombo;  era
    insopportabile; sembrava che lo schiacciasse.
    - Su, Alan, bisogna che tu decida immediatamente.
    -  Non  posso  farlo  -  disse  meccanicamente,  come se le parole
    avessero avuto il potere di mutare i fatti.
    - Devi. Non hai scelta. Non perdiamo tempo.
    Egli esit? un attimo.
    - C'? una stufa nella stanza di sopra?
    - S?, c'? una stufa a gas, con dell'amianto.
    - Bisogna che vada a casa a prendere certe cose dal laboratorio.
    - No,  Alan,  non devi uscire di qui.  Scrivi su un pezzo di carta
    quello  che ti serve e il mio servitore prender? una carrozza e ti
    porter? tutto quanto.
    Campbell scarabocchi? poche righe,  le asciug? e  scrisse  su  una
    busta l'indirizzo del suo preparatore. Dorian prese l'appunto e lo
    lesse  attentamente;  poi  suon?  il  campanello  e  lo  diede  al
    domestico,  ordinandogli di tornare al pi? presto portando la roba
    con s?.
    Quando il portone si richiuse,  Campbell sobbalz? nervosamente, si
    alz? e and? fino al caminetto.  Tremava come se avesse la  febbre.
    Per  una  ventina  di minuti nessuno dei due pronunci? una parola.
    Una  mosca  ronzava  rumorosamente  per  la  stanza  e  i  battiti
    dell'orologio sembravano colpi di martello.
    Quando  l'orologio batt? il tocco,  Campbell si gir? e,  guardando
    Dorian Gray,  vide che aveva gli occhi  pieni  di  lacrime.  Nella
    purezza  e  nella  finezza di quel volto attristato c'era qualcosa
    che sembr? renderlo furioso.
    - Sei infame, assolutamente infame! - balbett?.
    - Taci, Alan. Mi hai salvato la vita - disse Dorian.
    - La tua vita!  Buon Dio,  che vita  ?  la  tua!  Sei  passato  di
    corruzione in corruzione e ora sei arrivato al delitto.  Se faccio
    quello che sto per fare,  quello che mi costringi a  fare,  non  ?
    certo alla vita tua che penso.
    - Ah,  Alan - mormor? Dorian sospirando,  - vorrei che tu sentissi
    per me la millesima parte della piet? che io provo per te.
    Dette queste parole si allontan? e si mise a guardare in giardino.
    Campbell non rispose.
    Dopo una decina  di  minuti  bussarono  alla  porta  ed  entr?  il
    servitore,  portando  una grossa cassa di mogano piena di sostanze
    chimiche,  un lungo rotolo di filo d'acciaio e di  platino  e  due
    pinze di ferro di forma piuttosto strana.
    - La lascio qui questa roba, signore? - chiese a Campbell.
    -  S? - disse Dorian.  - Ma ho paura di avere un'altra commissione
    da darvi,  Francis.  Come si chiama  quell'uomo  di  Richmond  che
    fornisce le orchidee per Selby?
    - Harden, signore.
    - Appunto, Harden. Andate subito a Richmond, parlate personalmente
    con Harden e ditegli di mandare il doppio delle orchidee che avevo
    ordinato  e  di  mandarne il meno possibile di bianche;  anzi,  di
    quelle bianche non ne voglio.  E' una bella giornata,  Francis,  e
    Richmond  ?  un luogo graziosissimo,  altrimenti non vi avrei dato
    questo fastidio.
    - Nessun fastidio, signore. A che ora devo tornare?
    Dorian guard? Campbell e disse, con voce calma e indifferente:
    - Quanto tempo ci vuole per il tuo esperimento, Alan?
    La presenza nella stanza  di  un  terzo  sembrava  infondergli  un
    coraggio  straordinario.  Campbell  aggrott?  le sopracciglia e si
    morse il labbro.
    - Circa cinque ore - rispose.
    - Allora,  Francis,  baster? che siate di  ritorno  alle  sette  e
    mezzo. O meglio, tirate fuori quello che mi occorre per vestirmi e
    prendetevi  una serata di libert?.  Non pranzo a casa e perci? non
    ho bisogno di voi.
    - Grazie, signore - rispose l'uomo, uscendo dalla stanza.
    - Ora, Alan, non c'? un minuto da perdere. Come pesa questa cassa!
    La porter? io; tu porta le altre cose.
    Parlava con un accento rapido e autoritario e  Campbell  si  sent?
    dominato da lui. Uscirono insieme dalla stanza.
    Quando  arrivarono  all'ultimo pianerottolo,  Dorian tir? fuori la
    chiave e la fece girare nella toppa; poi si ferm? e nei suoi occhi
    apparve un'espressione turbata. Rabbrivid?.
    - Non credo che potr? entrare, Alan - mormor?.
    - Non fa  niente.  Non  ho  bisogno  di  te  -  disse  freddamente
    Campbell.
    Dorian  apr?  la  porta  a met? e in quest'atto vide la faccia del
    ritratto ghignare alla luce del sole.  Davanti ad esso giaceva  in
    terra  la cortina lacerata.  Gli torn? in mente che la sera prima,
    per la prima volta in vita sua,  si era dimenticato di  nascondere
    la tela fatale.  Stava per precipitarsi in avanti, ma si ferm? con
    un brivido.
    Che cos'era quell'orribile rugiada rossa  che  brillava,  umida  e
    scintillante,  su  una  delle mani,  come se la tela avesse sudato
    sangue?  Che cosa orrenda!  In quel momento gli sembr? ancora  pi?
    orrenda di quella cosa muta che,  lo sapeva,  era stesa attraverso
    la tavola;  quella cosa la  cui  ombra  grottesca  e  deforme  sul
    tappeto macchiato mostrava che non s'era mossa,  che era ancora l?
    dove lui l'aveva lasciata.
    Respir? profondamente,  apr? un po'  di  pi?  la  porta  ed  entr?
    rapido,  con  gli  occhi semichiusi e girando la testa da un'altra
    parte,  deciso a non guardare il  morto  nemmeno  una  volta:  poi
    chinandosi  raccolse  il  panno  porpora  e  oro  e  lo  gett? sul
    ritratto.
    Si ferm? perch? l'idea di doversi girare indietro lo atterriva.  I
    suoi  occhi  erano  fissi sugli intrichi del disegno che gli stava
    davanti. Sent? Campbell portare dentro la cassa pesante, i ferri e
    le altre cose che  gli  servivano  per  il  suo  tremendo  lavoro.
    Cominci?  a  chiedersi  se  lui  e  Basil  Hallward  si  erano mai
    conosciuti e, in caso affermativo,  che cosa avevano pensato l'uno
    dell'altro.
    - Vattene ora - disse una voce severa dietro di lui.
    Si  gir?  e corse fuori,  rendendosi appena conto che il morto era
    stato rigettato sulla sedia e che Campbell  stava  osservando  una
    faccia  gialla  e  lucida.  Nello  scendere  le scale sent? che la
    chiave veniva girata nella toppa.
    Le sette erano passate da  un  pezzo,  quando  Campbell  torn?  in
    biblioteca. Era pallido, ma perfettamente calmo.
    -  Ho fatto quello che mi avevi chiesto di fare - balbett? - e ora
    addio. Non ci vedremo mai pi?.
    - Mi hai salvato dalla rovina, Alan. Non lo dimenticher? mai disse
    Dorian con semplicit?.
    Appena Campbell fu andato via,  sal? di sopra.  Nella stanza c'era
    un  orribile puzzo di acido nitrico;  ma quella cosa che era stata
    seduta al tavolino era scomparsa.





    Capitolo quindicesimo.

    Quella sera alle otto e mezzo, Dorian Gray, vestito con la massima
    raffinatezza  e  con   un   mazzolino   di   violette   di   Parma
    all'occhiello,  veniva  introdotto  da  domestici  ossequiosi  nel
    salotto di Lady  Narborough.  Nella  fronte  gli  pulsavano  nervi
    impazziti  e  si  sentiva in preda a una violenta eccitazione;  ma
    quando si chin? sulla mano della padrona di casa lo fece con  quel
    modo  disinvolto  e  aggraziato che era abituale in lui.  Forse un
    uomo non sembra mai trovarsi tanto a suo agio come  quando  recita
    una parte; certo ? che nessuno, guardando Dorian Gray quella sera,
    avrebbe  potuto  credere  che  egli  fosse  passato attraverso una
    tragedia non meno  terribile  di  qualsiasi  tragedia  dei  nostri
    tempi.  Non  era  possibile  che  quelle  dita affusolate avessero
    stretto un coltello per commettere un peccato;  che quelle  labbra
    sorridenti  avessero  rinnegato Iddio e la bont?.  Egli stesso non
    poteva non provare un senso di meraviglia per  la  calma  del  suo
    contegno. Per un attimo gust? intensamente la volutt? terribile di
    una doppia vita.
    La  compagnia  non  era  numerosa  ed  era  stata  raccolta un po'
    affrettatamente da Lady Narborough, donna molto intelligente,  che
    conservava  quelli  che  Lord Henry era solito chiamare i resti di
    una bruttezza veramente notevole.  Era stata una moglie eccellente
    per  uno  dei  pi?  noiosi  nostri  Ambasciatori e ora,  dopo aver
    decorosamente  seppellito  il  marito  in  un  mausoleo  di  marmo
    disegnato  da  lei  stessa  e  aver  maritato le figlie con uomini
    ricchi e piuttosto anziani,  si abbandonava ai piaceri del romanzo
    francese,  della cucina francese e dell'"esprit" francese,  quando
    riusciva a trovarne.
    Dorian era un suo particolare favorito.  Gli diceva sempre che era
    contentissima di non averlo incontrato da giovane.
    -  Mio  caro,  so  che mi sarei pazzamente innamorata di voi - era
    solita dirgli - e che per amor vostro avrei gettato  la  cuffietta
    al  di l? di tutti i mulini.  E' una vera fortuna che a quei tempi
    di voi non si  avesse  neppure  l'idea,  e  del  resto  le  nostre
    cuffiette  erano  cos? poco graziose e i nostri mulini erano tanto
    occupati a cercare che si alzasse il vento che non  ho  mai  avuto
    neanche  un  flirt  con  nessuno.  Per?  la colpa ? stata tutta di
    Narborough, che era tremendamente miope. Non c'? gusto a ingannare
    un marito che non vede mai niente.
    I suoi invitati di quella sera erano piuttosto  noiosi.  Come  lei
    stessa  spieg?  a  Dorian,  parlando  dietro un ventaglio alquanto
    consunto,  era successo che  una  delle  sue  figlie  sposate  era
    arrivata all'improvviso per stare da lei e,  ci? che ? peggio,  si
    era perfino portata dietro il marito.
    -  Trovo  che  ?  una  cosa  assai  poco  carina  da  parte   sua.
    Naturalmente  d'estate io vado a stare da loro,  al mio ritorno da
    Homburg;  ma una vecchia come me ogni tanto ha bisogno di  un  po'
    d'aria  buona  e  per  di pi? io riesco a svegliarli un poco.  Non
    sapete che razza di vita fanno: pura,  purissima vita di campagna.
    Si  alzano  presto perch? hanno tante cose da fare e vanno a letto
    presto perch? hanno tante cose alle quali pensare. Dai tempi della
    Regina Elisabetta non c'? stato uno scandalo in tutto il  vicinato
    e  di  conseguenza  appena hanno pranzato tutti cascano dal sonno.
    Voi non sarete seduto vicino a nessuno di loro due;  sarete seduto
    vicino a me e mi farete divertire.
    Dorian mormor? un complimento cortese e diede un'occhiata in giro.
    Era  proprio  una compagnia seccante.  C'erano due persone che non
    aveva mai visto prima e il resto si componeva di Ernest Harrowden,
    uno di quegli esseri mediocri tanto frequenti nei club  londinesi,
    che  non  hanno  un nemico ma sono cordialmente antipatici ai loro
    amici;   di  Lady  Ruxton,   una  donna  di  quarantasette   anni,
    eccessivamente vestita,  con un naso aquilino,  che cercava sempre
    di essere compromessa ma era cos?  particolarmente  insignificante
    che  nessuno  voleva mai prestare fede a qualsiasi cosa si dicesse
    contro di lei;  della signora Erlynne,  una nullit? che provava  a
    farsi  largo,  che  parlava  con  una deliziosa balbuzie e aveva i
    capelli di color rosso veneziano;  di Lady Alice  Chapman,  figlia
    della padrona di casa, donna noiosa e infagottata, con uno di quei
    caratteristici visi inglesi che, visti una volta, non si ricordano
    pi?,  e  suo  marito,  individuo  dalle  guance  rosse e dai baffi
    bianchi,  che,  come tanti della sua classe,  era convinto che  la
    giovialit? scomposta possa compensare un'assoluta mancanza d'idee.
    Era un po' seccato di essere venuto, finch? Lady Narborough, dando
    un'occhiata al grande orologio di bronzo dorato che faceva sfoggio
    delle  sue  goffe  curve  sul  caminetto  drappeggiato  di  viola,
    esclam?:
    - Com'? antipatico Henry Wotton a essere  cos?  in  ritardo!  L'ho
    fatto  avvertire  stamattina,   nel  dubbio,   e  mi  ha  promesso
    fedelmente di non mancare.
    Il fatto che dovesse venire anche Henry era un conforto;  e quando
    la  porta  si  apr?  e  lui  sent?  la sua lenta voce musicale che
    rendeva gradevoli le sue scuse  poco  sincere  non  si  sent?  pi?
    seccato.
    A pranzo per? non riusc? a toccare cibo. I piatti venivano portati
    via uno dopo l'altro, intatti. Lady Narborough continuava a fargli
    dei  rimproveri  per  quello  che  chiamava  "un insulto al povero
    Adolphe,  che ha inventato il menu espressamente per voi"  e  Lord
    Henry lo guardava ogni tanto, sorpreso di vederlo cos? taciturno e
    cos? distratto. Di quando in quando il maggiordomo gli riempiva il
    bicchiere  di champagne.  Beveva avidamente e la sua sete sembrava
    che aumentasse.
    - Dorian - disse finalmente Lord Henry, mentre stavano servendo il
    "chaudfroid", - che cos'hai stasera? Sei veramente strano.
    - Dev'essere innamorato - grid? Lady  Narborough  -  e  deve  aver
    paura  di  dirmelo nel timore che io sia gelosa.  Ha perfettamente
    ragione, perch? lo sarei di certo.
    - Cara Lady Narborough - mormor? Dorian,  sorridendo,  - non  sono
    innamorato da una settimana intera;  di fatto, da quando Madame de
    Ferrol ? partita.
    - Com'? possibile che voialtri uomini  vi  innamoriate  di  quella
    donna!  -  esclam?  la  vecchia  signora.  -  Non riesco proprio a
    capirlo.
    - Semplicemente perch? si ricorda di voi quando  eravate  bambina,
    Lady  Narborough  -  disse  Lord  Henry.  -  E'  l'unico anello di
    congiunzione che esista tra noi e le vostre sottanine corte.
    - Lord Henry,  lei non si  ricorda  affatto  delle  mie  sottanine
    corte;  ma io mi ricordo perfettamente di lei a Vienna, trent'anni
    fa, e di come era "d?collet?e" a quei tempi.
    - E' ancora adesso "d?collet?e" - rispose lui  prendendo  un'oliva
    con  le  sue  lunghe  dita,  -  e  quando indossa un vestito molto
    elegante sembra una  "edition  de  luxe"  di  un  cattivo  romanzo
    francese.   Possiede  un  dono  eccezionale  per  gli  affetti  di
    famiglia. Quando le mor? il terzo marito,  i capelli,  dal dolore,
    le diventarono tutti d'oro.
    - Come puoi dire di queste cose, Harry? - grid? Dorian.
    -  E'  una  spiegazione molto romantica - disse la padrona di casa
    ridendo. - Ma il terzo marito,  Lord Henry!  Non vorrete mica dire
    che Ferrol ? il quarto?
    - Senza dubbio, Lady Narborough.
    - Non ci credo affatto.
    - Allora chiedetelo al signor Gray,  che ? uno dei suoi pi? intimi
    amici.
    - E' vero, signor Gray?
    - Lei me l'assicura,  Lady Narborough -  disse  Dorian.  -  Le  ho
    chiesto  se  ha fatto imbalsamare i loro cuori e se se li ? appesi
    alla cintura, come Margherita di Navarra, ma mi ha risposto di no,
    perch? non ce n'era uno che avesse un cuore.
    - Quattro mariti! Parola d'onore, questo si chiama "trop de z?le".
    - "Trop d'audace", le ho detto io - disse Dorian.
    - Oh,  mio caro,  lei ? audace abbastanza per qualsiasi  cosa.  E'
    com'? quel Ferrol? Io non lo conosco.
    -  I  mariti  delle  donne  molto  belle  appartengono alle classi
    criminali - disse Lord Henry, sorseggiando il vino.
    Lady Narborough gli diede un colpetto con il ventaglio.
    - Lord Henry,  non mi sorprende che il mondo dica che siete  molto
    maligno.
    - Qual ? il mondo che lo dice?  - chiese Lord Henry,  inarcando le
    sopracciglia.  - Non pu? essere che l'altro mondo,  poich?  questo
    mondo e io siamo in ottimi termini.
    -  Tutte  le  persone  che  conosco dicono che siete molto maligno
    grid? la vecchia gentildonna, tentennando il capo.
    Lord Henry si fece serio per un momento.
    - E' veramente una cosa mostruosa - disse poi - che  la  gente  al
    giorno  d'oggi  vada  in giro dicendo dietro le spalle degli altri
    delle cose assolutamente e interamente vere.
    - Ma non ? incorreggibile?  - grid? Dorian,  piegandosi in  avanti
    sulla sedia.
    - Lo spero - disse la padrona di casa, ridendo. - Ma in verit?, se
    tutti  voi  siete  in adorazione in questo modo ridicolo davanti a
    Madame de Ferrol, bisogner? che io,  per essere di moda,  mi trovi
    un altro marito.
    -  Voi  non vi risposerete mai,  Lady Narborough - interruppe Lord
    Henry. - Siete stata troppo felice.  Quando una donna si risposa ?
    perch?  detestava  il  primo  marito;  quando un uomo si risposa ?
    perch? adorava la prima moglie.  Le donne tentano la fortuna e gli
    uomini l'arrischiano.
    - Narborough non era perfetto - grid? la vecchia gentildonna.
    - Se fosse stato perfetto,  mia cara signora, non lo avreste amato
    - fu la risposta. - Le donne ci amano per i nostri difetti.  Se ne
    abbiamo  a  sufficienza ci perdonano tutto,  anche l'intelligenza.
    Temo che dopo aver detto  questo,  Lady  Narborough,  voi  non  mi
    inviterete pi? a pranzo; per? ? la pura verit?.
    - Certo che ? la verit?,  Lord Henry. Se noi donne non vi amassimo
    per i vostri difetti,  che ne  sarebbe  di  voi?  Nessuno  di  voi
    troverebbe  mai moglie: sareste tutti una massa di poveri scapoli.
    Del resto non credo che questo vi cambierebbe  molto.  Oggi  tutti
    gli  uomini  ammogliati  fanno  una  vita  da  scapoli e tutti gli
    scapoli una vita da ammogliati.
    - "Fin de si?cle" - mormor? Lord Henry.
    - "Fin du globe" - rispose la padrona di casa.
    - Vorrei che fosse veramente "fin du globe" - disse Dorian con  un
    sospiro. - La vita ? una grande delusione.
    - Ah,  mio caro - grid? Lady Narborough,  infilandosi i guanti non
    mi dite che avete esaurito la vita.  Quando un uomo dice cos?,  si
    capisce  che  ?  la  vita che ha esaurito lui.  Lord Henry ? molto
    maligno,  e qualche volta mi dispiace di non essere stata  anch'io
    come  lui;  ma  voi  siete fatto per essere buono;  ne avete tutto
    l'aspetto!  Bisogna che vi trovi una moglie carina.  Non vi  pare,
    Lord Henry, che il signor Gray dovrebbe prender moglie?
    -  Glielo  dico  sempre,  Lady  Narborough  -  disse  Henry con un
    inchino.
    - Allora dobbiamo metterci alla  ricerca  di  un  partito  adatto.
    Stanotte  scorrer?  con  tutta  l'attenzione  il Debrett e far? un
    elenco di tutte le signorine che si potrebbero scegliere.
    - Con le rispettive et?, Lady Narborough? - chiese Dorian.
    - Naturalmente,  con le et?,  leggermente ridotte.  Ma non si deve
    fare  niente  in  fretta.  Voglio  che  sia  uno  di quelli che la
    "Morning Post" chiama "un matrimonio  conveniente"  e  voglio  che
    entrambi siate felici.
    -  Quante sciocchezze dice la gente riguardo ai matrimoni felici!-
    esclam? Lord Henry.  - Un uomo pu?  essere  felice  con  qualunque
    donna, a patto di non amarla.
    - Ah,  come siete cinico! - grid? la vecchia signora, spingendo la
    sedia indietro e facendo un cenno col capo a Lady  Ruxton.  Dovete
    venire  presto  a  pranzo  da  me un'altra volta;  siete un tonico
    veramente ammirevole,  molto migliore di quelli che  mi  prescrive
    Sir Andrew.  Per? dovete dirmi con chi gradirete trovarvi,  perch?
    desidero che sia una riunione piacevolissima.
    - Mi piacciono gli uomini che hanno un futuro e le donne che hanno
    un  passato  -  rispose  lui.  -  A  meno  che  non  crediate  che
    riuscirebbe una riunione di sole sottane.
    -  Ho  paura di s? - disse lei,  ridendo e alzandosi.  - Scusatemi
    tanto,  cara Lady Ruxton - aggiunse.  - Non mi ero accorta che non
    avevate finito la sigaretta.
    - Non fa niente,  Lady Narborough.  Fumo davvero troppo. Da ora in
    poi voglio moderarmi.
    - Non lo fate,  Lady Ruxton,  per favore - disse Lord Henry.  - La
    moderazione  ?  una cosa fatale.  "Abbastanza" significa un pasto;
    "pi? che abbastanza" significa un festino.
    Lady Ruxton lo guard? incuriosita.
    - Venite da me un pomeriggio a spiegarmi questo,  Lord  Henry.  Mi
    sembra una teoria affascinante - mormor?, uscendo dalla stanza.
    - E ora guardate di non rimanere troppo a parlare di politica e di
    scandali  - grid? Lady Narborough dalla soglia.  - Altrimenti noi,
    di sopra, finiremo infallibilmente con il prenderci per i capelli.
    Gli uomini risero,  e il signor Chapman si alz? con solennit?  dal
    fondo  della  tavola  e venne a sedersi a capotavola.  Dorian Gray
    cambi? posto e  and?  a  sedersi  vicino  a  Lord  Henry.  Chapman
    cominci?  a  parlare ad alta voce della situazione alla Camera dei
    Comuni,  sghignazzando sul conto dei  suoi  avversari.  La  parola
    "dottrinario",   parola   piena   di   terrore  per  la  mentalit?
    britannica,  riappariva periodicamente tra uno scoppio di  risa  e
    l'altro.  Un prefisso allitterativo serviva da ornamento oratorio.
    Egli innalz? l'Union  Jack  sulle  vette  del  pensiero;  e  venne
    dimostrato che la stupidit? ereditaria della razza, alla quale lui
    dava  allegramente il nome di sano buon senso inglese,  costituiva
    il pi? saldo bastione della societ?.
    Le labbra di Lord Henry si atteggiarono a un sorriso.  Si  gir?  a
    guardare Dorian.
    - Ti senti meglio,  mio caro? - chiese. - Mi ? sembrato, a pranzo,
    che tu non stessi perfettamente.
    - Sto benissimo, Harry. Sono stanco, e nient'altro.
    - Ieri sera eri delizioso. La piccola duchessa ? entusiasta di te.
    Mi ha detto che verr? a Selby.
    - Mi ha promesso di venire il 20.
    - Ci sar? anche Monmouth?
    - Oh, s?, Harry.
    - A me riesce terribilmente noioso;  quasi allo stesso modo in cui
    riesce   noioso   a  lei.   Essa  ?  molto  intelligente,   troppo
    intelligente per una donna. Le manca il fascino indefinibile della
    debolezza,  il piede di  creta  che  rende  prezioso  l'oro  della
    statua.  I  suoi  piedi sono graziosissimi,  ma non sono di creta;
    piedi di porcellana bianca, se preferisci. Sono passati attraverso
    la fiamma e la fiamma indurisce quello che non distrugge.  E'  una
    donna che ha avuto delle esperienze.
    - Da quanto tempo ? sposata? - chiese Dorian.
    -  Da un'eternit?,  mi ha detto lei.  Credo,  in base all'annuario
    della nobilt?,  che siano dieci anni;  ma dieci anni con  Monmouth
    devono  essere  stati  un'eternit?  e  con  un  po'  di  tempo  in
    soprappi?. Chi altri viene?
    - Oh, i Willoughby, Lord Rugby e sua moglie,  la nostra padrona di
    casa di stasera,  Geoffrey Clouston, il solito gruppo. Ho invitato
    Lord Grotrian.
    - Mi piace - disse Lord Henry.  - Molti non sono di questo parere,
    ma io lo trovo simpatico.  Qualche volta ? troppo ben vestito,  ma
    in compenso ? sempre troppo ben educato. E' un tipo molto moderno.
    - Non so se potr? venire,  Harry.  Pu? darsi che  debba  andare  a
    Montecarlo con suo padre.
    -  Ah,  le  famiglie,  che  fastidio!  Cerca  di  farlo venire.  A
    proposito, Dorian, ieri sera sei scappato via prestissimo. Che hai
    fatto, dopo? Sei andato direttamente a casa?
    Dorian gli lanci? un'occhiata furtiva e si accigli?.
    - No,  Harry - disse finalmente.  - Sono tornato a casa che  erano
    quasi le tre.
    - Andasti al circolo?
    - S? - rispose lui;  poi si morse le labbra.  - No,  ho sbagliato.
    Non sono andato al circolo;  ho passeggiato.  Non mi  ricordo  che
    cosa ho fatto...  Ma quanto sei curioso, Harry! Vuoi sempre sapere
    che cosa ha fatto la gente,  e io voglio sempre dimenticare quello
    che  ho  fatto.  Sono  rientrato alle due e mezzo,  se vuoi sapere
    l'ora esatta.  Avevo lasciato la chiave a casa e il mio  servitore
    dovette  venire  ad  aprirmi.  Se desideri qualche testimonianza a
    conferma di questo, puoi interrogarlo.
    Lord Henry scroll? le spalle.
    - Mai caro mio, e che vuoi che me ne importi? Andiamo di sopra, in
    salotto. No, grazie, signor Chapman, niente sherry.  Dorian,  ti ?
    successo  qualcosa.  Dimmi  che  cosa.  Stasera  non sei il solito
    Dorian.
    - Non ci badare, Harry. Sono irritabile e di cattivo umore.  Verr?
    a trovarti domani o dopo.  Fa' le mie scuse a Lady Narborough;  io
    non salgo. Me ne vado a casa; bisogna che vada a casa.
    - Va bene,  Dorian.  Spero di vederti domani per il t?.  Viene  la
    duchessa.
    - Cercher? di venire, Harry - disse lui uscendo dalla stanza.
    Durante il tragitto in carrozza fino a casa sua,  si rese conto di
    essere di nuovo in preda a quel senso di terrore  che  credeva  di
    aver  soffocato.  Le  domande  puramente casuali di Lord Henry gli
    avevano fatto perdere per un attimo il controllo dei propri nervi,
    e invece bisognava avere i  nervi  a  posto.  C'erano  certe  cose
    pericolose  che  bisognava distruggere.  Ebbe un sussulto: la sola
    idea di toccarle gli era odiosa.
    Eppure bisognava che lo facesse, non c'era dubbio. Chiuse a chiave
    la porta della biblioteca, e apr? il ripostiglio segreto nel quale
    aveva gettato il pastrano e la valigia di Basil  Hallward.  Ardeva
    un fuoco enorme,  e lui vi aggiunse un altro ciocco.  Il puzzo del
    panno e del cuoio  bruciati  era  orribile.  Per  consumare  tutto
    quanto ci vollero tre quarti d'ora.  Fin? con l'essere colto dalla
    nausea e dal capogiro.  Accese alcune  pastiglie  algerine  in  un
    braciere traforato di rame e si inumid? le mani e la fronte con un
    aceto muschiato rinfrescante.
    A un tratto trasal?. I suoi occhi si fecero stranamente lucenti, e
    si morse nervosamente il labbro inferiore.  Tra due finestre c'era
    un  grande  mobile  fiorentino  a  cassetti,   d'ebano  intarsiato
    d'avorio  e  lapislazzuli.  Lo  contempl?  come  se fosse stato un
    oggetto affascinante e  spaventoso  insieme,  come  se  contenesse
    qualche  cosa che desiderava ardentemente e che pur tuttavia quasi
    odiava. Il suo respiro si acceler?; una bramosia furiosa lo prese.
    Accese una sigaretta e la gett? via.  Le palpebre  si  abbassarono
    tanto  che  le lunghe ciglia frangiate toccavano quasi la guancia.
    Continuava a fissare il mobile.  Finalmente si alz? dal divano sul
    quale  stava  disteso,  and?  verso il mobile,  l'apr? e tocc? una
    molla  nascosta.   Un  cassetto   triangolare   usc?   lentamente.
    Istintivamente,  le  sue  dita  si  mossero verso il cassetto,  vi
    affondarono e si chiusero su un oggetto. Era una scatola cinese di
    lacca nera e come impolverata d'oro,  lavorata in modo complicato,
    recante  sui lati un motivo di onde che si incurvavano,  adorna di
    cordoncini di seta dai quali pendevano cristalli rotondi e nappine
    fatte di fili metallici intrecciati.  L'apr?.  Conteneva una pasta
    verde,  dall'aspetto  di  cera,  che  mandava un odore stranamente
    pesante e persistente.
    Esit? per qualche minuto,  con un sorriso stranamente immobile sul
    volto;   poi,  tremando  bench?  l'atmosfera  della  stanza  fosse
    terribilmente calda, si alz? e guard? l'orologio.  Erano le dodici
    meno  venti.  Rimise a posto la scatola,  chiuse gli sportelli del
    mobile e pass? in camera da letto.
    Mezzanotte stava battendo l'aria scura con i suoi colpi di bronzo,
    quando Dorian Gray,  vestito di panni ordinari e con  una  sciarpa
    avvolta intorno al collo,  usc? di casa senza far rumore.  In Bond
    Street trov? una vettura pubblica con un buon cavallo; la chiam? e
    diede sottovoce un indirizzo al cocchiere. Questi scosse la testa.
    - Troppo lontano per me - mormor?.
    - Ecco qui una sovrana - disse Dorian;  - e se camminate in fretta
    ne avrete un'altra.
    - Benissimo, signore - rispose l'uomo. - In un'ora ci saremo.
    Quando  il  suo passeggero fu salito,  fece girare il cavallo e si
    mise a correre velocemente in direzione del fiume.















    Capitolo sedicesimo.

    Cominciava a cadere una pioggerella gelata e i lampioni  stradali,
    velati  da  quella  nebbia  che si scioglieva,  avevano un aspetto
    spettrale.  Le bettole stavano chiudendo e intorno alle loro porte
    si raggruppavano sagome scure di uomini e di donne. Da qualche bar
    arrivava  il  rumore  di orribili risate;  in qualche altro alcuni
    ubriachi litigavano urlando.
    Steso nel fondo della  vettura,  con  il  cappello  calcato  sulla
    fronte,  Dorian  Gray  guardava distrattamente la sordida vergogna
    della metropoli,  ripetendo a se stesso ogni tanto le  parole  che
    gli aveva detto Lord Henry,  il giorno in cui si erano conosciuti:
    "curare  l'anima  per  mezzo  dei  sensi  e  i  sensi  per   mezzo
    dell'anima.
    S?,  il  segreto  era  quello.  L'aveva  provato  pi?  volte e ora
    l'avrebbe provato di nuovo.  C'erano delle  taverne  per  fumatori
    d'oppio dove si poteva comperare l'oblio;  spelonche d'orrore dove
    il ricordo dei  peccati  vecchi  poteva  essere  cancellato  dalla
    follia di peccati nuovi.
    In   cielo   pendeva  bassa  una  luna  che  sembrava  un  teschio
    giallastro. Ogni tanto una grande nuvola informe vi stendeva sopra
    un lungo braccio nascondendola.  I lampioni a gas diventavano meno
    numerosi e le strade pi? strette e pi? sinistre.  A un certo punto
    il cocchiere si  smarr?  e  dovette  tornare  indietro  per  mezzo
    miglio.  Il vapore saliva su dal cavallo che affondava gli zoccoli
    nelle pozzanghere.  I finestrini  laterali  della  carrozza  erano
    appannati da una nebbia di flanella grigia.
    "Curare   l'anima  per  mezzo  dei  sensi  e  i  sensi  per  mezzo
    dell'anima!" Come suonavano al suo orecchio queste parole!  Certo,
    la  sua  anima  era  mortalmente  ammalata.  Era  vero che i sensi
    potevano curarla? Del sangue innocente era stato versato; che cosa
    poteva espiarlo?  Ah,  per questo non esisteva nessuna espiazione;
    ma se il perdono era impossibile,  l'oblio era ancora possibile, e
    lui  era  deciso  a  dimenticare,  a  estinguere  quella  cosa,  a
    schiacciarla  come  si  schiaccia  la biscia che ci ha morso.  Del
    resto,  con che diritto Basil gli aveva parlato in quel modo?  Chi
    l'aveva  fatto giudice degli altri?  Le cose che aveva detto erano
    tremende, orribili, intollerabili.
    La carrozza continuava ad andare  avanti  e  a  lui  sembrava  che
    rallentasse  a  ogni passo.  Apr? lo sportello e grid? all'uomo di
    accelerare.   Cominciava  a  sentirsi  roso   dalla   laida   fame
    dell'oppio;  gli  bruciava  la  gola  e  le  sue  mani delicate si
    intrecciavano nervosamente.  Percosse furiosamente il cavallo  col
    bastone.  Il cocchiere rise e frust?; egli a sua volta rispose con
    una risata e l'uomo tacque.
    Il cammino sembrava interminabile  e  le  strade  erano  come  una
    ragnatela  nera.  La  monotonia divent? insopportabile e la nebbia
    che si infittiva provoc? in lui un senso di paura.
    Passarono vicino a certe solitarie  fornaci  di  mattoni.  Qui  la
    nebbia  era pi? rada e lui pot? vedere gli strani forni a forma di
    bottiglia,  con le loro lingue di fuoco simili a ventagli di color
    arancione.  Un  cane  abbai?  al loro passaggio e nell'oscurit? si
    sent? lontano il grido di un gabbiano errante. Il cavallo inciamp?
    in una buca, poi fece uno scarto e prese il galoppo.  Dopo qualche
    tempo  lasciarono la strada sterrata e ricominciarono a percorrere
    rumorosamente vie mal selciate.  La maggior parte  delle  finestre
    era buia,  ma ogni tanto contro qualche persiana illuminata da una
    lampada si delineavano delle  ombre  fantastiche.  Le  guard?  con
    curiosit?.  Si  muovevano come marionette mostruose,  gesticolando
    come persone vive. Le odi?;  nel suo cuore c'era una rabbia sorda.
    Mentre  giravano un angolo,  una donna grid? qualche cosa verso di
    loro da una porta aperta e due uomini rincorsero la  carrozza  per
    un centinaio di metri. Il cocchiere li prese a frustate.
    Si  dice  che  la  passione faccia del pensiero un circolo chiuso.
    Certo,  le labbra di Dorian Gray,  che egli mordeva continuamente,
    andavano formando e riformando,  con un'interazione odiosa, quelle
    parole sottili che parlavano di anima  e  di  sensi,  finch?  egli
    arriv?  a  trovarvi,  per cos? dire,  la piena espressione del suo
    stato d'animo  e  a  giustificare,  con  un'approvazione  di  tipo
    intellettuale,  passioni  che  senza  una  simile  giustificazione
    avrebbero continuato a dominare il suo spirito. Quel solo pensiero
    dominante strisciava da una cellula all'altra del suo cervello;  e
    il frenetico desiderio di vivere,  che di tutti gli appetiti umani
    ? il pi? terribile,  ridiede forza a tutti i suoi nervi tremanti e
    a  tutte  le sue fibre.  La bruttezza,  che un tempo gli era stata
    odiosa perch? rendeva reali le cose,  ora  gli  divent?  cara  per
    quello stesso motivo.  La rissa violenta,  la taverna schifosa, la
    violenza cruda della vita dissoluta,  perfino la  turpitudine  del
    ladro  e  del reietto,  per l'impressione intensamente attuale che
    suscitavano,  erano pi? vive di tutte le forme graziose dell'arte,
    di tutte le ombre sognanti del canto. Erano quello che gli serviva
    per dimenticare. In tre giorni sarebbe stato libero.
    Improvvisamente  la carrozza si ferm? con uno scossone all'imbocco
    di un vicolo oscuro.  Al disopra dei  tetti  bassi  e  delle  file
    ineguali  dei  comignoli  si  alzavano,   neri,   gli  alberi  dei
    bastimenti.  Ghirlande di nebbia pendevano dai pennoni  come  vele
    spettrali.
    - E' da queste parti,  signore,  non ? vero? - chiese il cocchiere
    attraverso lo sportellino, con voce rauca.
    Dorian si riscosse e guard? in giro. - Qui va bene - rispose. Tir?
    fuori in fretta la mancia che aveva promesso al cocchiere,  gliela
    diede  e  si  incammin? di buon passo in direzione della banchina.
    Qua e l?, a poppa di qualche bastimento brillava una lanterna e la
    luce si rifletteva nelle pozzanghere, frantumandosi.  Da un vapore
    in  partenza  che stava rifornendosi di carbone veniva un chiarore
    rosso. Il marciapiede scivoloso sembrava un mantello bagnato.
    Si diresse frettolosamente verso sinistra, girandosi indietro ogni
    tanto per vedere se qualcuno lo seguiva.  Dopo sette o otto minuti
    arriv?  a  una  casetta  trasandata,  incastrata tra due fabbriche
    spoglie.  A una delle finestre del piano superiore c'era una luce.
    Si ferm? e buss? in un modo particolare.
    Dopo  un  po'  tempo  sent?  un  rumore di passi e la catena venne
    sganciata.  La porta si apr? silenziosamente ed egli  entr?  senza
    dire  una  parola alla figura goffa e deforme che al suo passaggio
    si schiacci? nell'ombra.  All'estremit? dell'ingresso pendeva  una
    tenda  verde,  tutta  strappata,  che  ondeggi?  e  si scosse alla
    raffica di vento entrata con lui dalla strada. La scost? e penetr?
    in una stanza lunga e bassa che sembrava essere stata  in  passato
    una sala da ballo. Lungo le pareti si allineavano vivaci fiammelle
    di gas,  attenuate e contorte negli specchi macchiati dalle mosche
    che stavano loro di fronte;  dietro di esse c'erano degli  sporchi
    riflettori  di  stagno  simili  a  tremuli  dischi  luminosi.   Il
    pavimento era coperto di segatura color ocra,  ridotta qua e l?  a
    fanghiglia  dalle  pedate  e  macchiata di anelli scuri di liquore
    versato. Alcuni Malesi, accovacciati vicino a un piccolo braciere,
    giocavano con  gettoni  d'osso,  mostrando  i  denti  bianchi  nel
    parlare. In un angolo un marinaio si era abbandonato sul tavolino,
    con la testa nascosta tra le braccia, e vicino al bar, dipinto con
    colori  vivaci,  che occupava tutta una delle pareti,  stavano due
    donne sparute e si facevano beffe di un vecchio che si  spazzolava
    le   maniche   della  giacca  con  un'espressione  disgustata.   -
    S'immagina di avere addosso le formiche rosse - disse ridendo  una
    di  loro  mentre  passava  Dorian.  L'uomo  la guard? spaventato e
    cominci? a piagnucolare.
    In fondo alla stanza c'era una scaletta che portava a  una  camera
    buia.   L'odore   pesante  dell'oppio  invest?  Dorian  mentre  si
    affrettava su per gli scalini malfermi.  L'aspir? profondamente  e
    le  sue  narici  ebbero  un fremito di volutt?.  Quando entr?,  un
    giovanotto  dai  capelli  biondi  lisci,   curvo  su  una  lampada
    nell'atto  di accendere una pipa lunga e sottile,  guard? verso di
    lui e fece esitando un cenno col capo.
    - Sei qui, Adrian? - brontol? Dorian.
    - E dove vuoi che sia?  - rispose l'altro con aria distratta.  Non
    c'? pi? uno degli amici che mi rivolga la parola.
    - Ti credevo partito dall'Inghilterra.
    -  Darlington  non  vuol  fare niente.  Mio fratello ha finito col
    pagare la cambiale. Neppure Giorgio mi rivolge la parola...  Me ne
    infischio  -  aggiunse con un sospiro.  - Finch? si ha questa roba
    non si ha bisogno di amici.  Credo  di  averne  avuti  troppi,  di
    amici.
    Dorian  trasal?  e  guard?  in giro le forme grottesche distese in
    atteggiamenti  fantastici  sui  materassi  laceri.  Quelle  membra
    contorte, quelle bocche spalancate, quegli occhi sbarrati e spenti
    lo affascinavano.  Conosceva gli strani paradisi nei quali costoro
    stavano soffrendo e gli oscuri  inferni  che  insegnavano  loro  i
    segreti  di  qualche nuova gioia;  stavano meglio di lui,  che era
    imprigionato nel pensiero, di lui,  al quale la memoria,  come una
    malattia  orribile,   stava  divorando  l'anima.  Ogni  tanto  gli
    sembrava di vedere gli occhi di Basil Hallward che lo  guardavano.
    Per?  sent?  che  non  poteva  rimanere;  la  presenza  di  Adrian
    Singleton lo disturbava.  Voleva  essere  in  qualche  posto  dove
    nessuno sapesse chi era; voleva evadere da se stesso.
    - Me ne vado in quell'altro locale - disse dopo una pausa.
    - Sulla banchina?
    - S?.
    - Ci sar? di certo quella gatta idrofoba.  Qui non la lasciano pi?
    entrare.
    Dorian scroll? le spalle.
    - Sono stufo delle donne che ci amano; sono molto pi? interessanti
    quelle che ci odiano. E poi la roba ? migliore.
    - Pi? o meno la stessa.
    - A me piace di pi?.  Vieni a bere qualcosa.  Bisogna  che  prenda
    qualcosa.
    - Non voglio niente - mormor? il giovinotto.
    - Non importa.
    Adrian  Singleton  si  alz?  a  fatica  e segu? Dorian al bar.  Un
    meticcio,  con un turbante cencioso  e  una  giacca  logora,  fece
    sorridendo  un  ripugnante  saluto  spingendo  davanti  a loro una
    bottiglia d'acquavite e due bicchieri.  Le donne si  avvicinarono,
    cominciando a chiacchierare.  Dorian gir? loro le spalle,  dicendo
    qualcosa sottovoce ad Adrian Singleton.
    Sul viso di una delle donne pass? un sorriso che era tortuoso come
    un criss malese.
    - Ci diamo delle grandi arie, stasera - disse, sarcastica.
    - Non parlarmi,  per Dio - grid? Dorian,  sbattendo il  piede  per
    terra. - Che vuoi? denaro? Eccolo. Non parlarmi mai pi?.
    Negli  occhi  acquosi  della  donna  si accesero per un attimo due
    scintille rosse,  poi si spensero,  lasciandoli scialbi e  vitrei.
    Scosse  la  testa e raccatt? dal banco le monete,  con dita avide,
    mentre la sua compagna la guardava con invidia.
    - E' inutile - sospir? Adrian Singleton. - Non voglio ritornare. A
    che servirebbe? Qui sono perfettamente felice.
    - Mi scriverai se ti serve qualche  cosa,  non  ?  vero?  -  disse
    Dorian dopo una pausa.
    - Forse.
    - Allora, buona notte.
    -  Buona  notte  - rispose il giovanotto,  risalendo gli scalini e
    passandosi un fazzoletto sulle labbra aride.
    Dorian si avvi? verso la porta,  con un'espressione di  piet?  sul
    volto.  Mentre scostava la tenda, una risata ripugnante usc? dalle
    labbra dipinte della donna che aveva preso il suo denaro.  Con  un
    singhiozzo e con voce rauca, disse:
    - Ecco il Patto col Diavolo!
    - Maledetta! - rispose lui. - Non chiamarmi in questo modo.
    Lei fece schioccare le dita.
    -  Preferisci  che ti chiamino Principe Azzurro,  eh?  - gli grid?
    dietro.
    A queste parole il marinaio assonnato scatt? in  piedi,  lanciando
    in  giro  un'occhiata  furibonda.  Il  rumore  della  porta che si
    chiudeva colp? il suo orecchio.  Corse fuori,  come se  inseguisse
    qualcuno.
    Sotto  la  pioggia  gelida  Dorian  Gray  si  affrettava  lungo la
    banchina.  L'incontro con  Adrian  Singleton  l'aveva  stranamente
    turbato.  Si  chiese  se  veramente  era lui il responsabile della
    rovina di quella giovane esistenza,  come gli  aveva  detto  Basil
    Hallward  con un insulto cos? infamante.  Si morse il labbro e per
    un attimo i  suoi  occhi  si  rattristarono...  Per?,  che  gliene
    importava, alla fine? La vita di un uomo ? troppo breve perch? uno
    si  carichi sulle spalle il peso degli errori degli altri.  Ognuno
    vive la propria vita e paga il suo  prezzo  per  viverla.  Era  un
    peccato,  peraltro, che per una colpa sola si dovesse pagare tante
    volte,  anzi,  pagare e ripagare continuamente.  Nei suoi rapporti
    d'affari con l'uomo il Destino non chiude mai il conto.
    Gli  psicologi  ci  dicono  che ci sono certi momenti nei quali la
    passione per il peccato, o per quello che il mondo chiama peccato,
    domina a tal punto la persona che ogni fibra del corpo,  come ogni
    cellula del cervello,  diventa istinto,  con impulsi tremendi.  In
    quei momenti,  uomini e donne perdono il libero arbitrio  e  vanno
    verso  la  loro  fine  terribile,  come automi.  A loro ? tolta la
    facolt? di scegliere, e la coscienza ? spenta o, se anche continua
    a vivere, vive solo per dare alla ribellione il suo fascino e alla
    disobbedienza il suo  incanto.  Poich?,  come  i  teologi  non  si
    stancano  mai  di  ripetere,  tutti  i  peccati  sono  peccati  di
    disobbedienza. Quando quello spirito eccelso, stella mattutina del
    male, precipit? dal cielo, precipit? come ribelle.
    Indurito,  concentrato nel fare il male,  con la faccia  sporca  e
    l'anima  affamata  di  ribellione,   Dorian  Gray  si  affrettava,
    accelerando il passo;  senonch? mentre svoltava in un portico buio
    che  gli  era  servito  spesso come scorciatoia per raggiungere il
    posto malfamato verso il quale era  diretto,  di  colpo  si  sent?
    afferrare da dietro e, prima che avesse il tempo di difendersi, fu
    gettato contro il muro e una mano brutale lo prese alla gola.
    Lott?  furiosamente  per  salvarsi  e,  a  prezzo  di  uno  sforzo
    inaudito,   riusc?  a  strappare  via  da  s?  quelle   dita   che
    l'attanagliavano.  In  un secondo sent? lo scatto di una pistola e
    vide il lampo di una canna lucente puntata contro la sua  testa  e
    la sagoma scura e tarchiata dell'uomo che gli stava di fronte.
    - Che cosa volete? - disse ansimando.
    - Fermo - disse l'uomo. - Se vi muovete sparo.
    - Siete impazzito. Che cosa vi ho fatto?
    - Avete distrutto la vita di Sybil Vane - fu la risposta - e Sybil
    Vane era mia sorella.  Voi siete responsabile della sua morte e io
    ho giurato di farvela pagare con la vita.  Vi ho cercato per  anni
    interi,  ma  non  avevo  nessun indizio,  nessuna traccia.  Le due
    persone che avrebbero potuto descrivervi erano morte.  Di voi  non
    sapevo  niente,  salvo  il  vezzeggiativo  con  il  quale  lei  vi
    chiamava.  Stasera l'ho sentito per caso.  Chiedete perdono a  Dio
    perch? stanotte morirete.
    Dorian  Gray  si sent? male dalla paura.  Balbett?: - Non l'ho mai
    conosciuta; non ho mai sentito questo nome. Voi siete pazzo.
    - Fareste meglio a confessare il vostro peccato,  perch? morirete,
    com'? vero che io mi chiamo James Vane.
    Pass?  un attimo tremendo,  durante il quale Dorian non sapeva che
    dire n? che fare.
    -  In  ginocchio!   -  rugg?  l'uomo.   -  Vi  d?  un  minuto  per
    riconciliarvi con Dio. Stanotte m'imbarco per l'India e prima devo
    fare questo lavoro. Un minuto e basta.
    Dorian  Gray  si  sent?  cadere  le braccia.  Non sapeva che fare,
    quando gli balen? nel cervello una  speranza  pazzesca.  -  Fermo!
    grid?. - Da quanto tempo ? morta vostra sorella? Ditelo, presto!
    -  Da diciotto anni - disse l'uomo.  - Perch? questa domanda?  Che
    importano gli anni?
    - Diciotto anni!  - rise Dorian Gray,  con un accento  di  trionfo
    nella  voce.  -  Diciotto  anni!  Mettetemi  sotto  un  lampione e
    guardatemi in faccia!
    James Vane esit? un attimo,  non comprendendo quello  che  l'altro
    volesse  dire:  poi  afferr?  Dorian  Gray e lo trascin? fuori dal
    portico.
    Per quanto la luce fosse fiacca e  oscillante  sotto  i  colpi  di
    vento,  bastava  tuttavia  a  fargli  vedere l'orribile errore nel
    quale apparentemente era caduto;  poich?  il  viso  dell'uomo  che
    aveva voluto uccidere aveva tutto il fiore dell'adolescenza, tutta
    la  purezza  immacolata  della giovent?.  Sembrava che non potesse
    avere molto pi? di vent'anni, poco pi?,  al massimo,  di quanti ne
    aveva sua sorella nel momento in cui si erano separati, tanti anni
    prima.  Era evidente che non poteva essere questo l'uomo che aveva
    distrutto la vita di lei.
    Lasci? la presa e indietreggi?.
    - Mio Dio, mio Dio! - grid?. - E io vi avrei assassinato!
    Dorian Gray trasse un profondo respiro.
    - Siete stato a due dita  dal  commettere  un  terribile  delitto,
    galantuomo  -  disse,  guardandolo  severamente.  -  Vi  servir? a
    imparare che nessuno deve farsi strumento della propria vendetta.
    - Vi chiedo perdono,  signore - balbett? James  Vane.  -  Mi  sono
    ingannato. Una parola sentita per caso in quella caverna maledetta
    mi ha fuorviato.
    -  Fareste  meglio  ad  andarvene  a  casa  e a mettere via quella
    pistola, se non volete avere qualche guaio - disse Dorian, girando
    sui tacchi e incamminandosi lentamente per la strada.
    James Vane rimase immobile sul marciapiede, esterrefatto, tremando
    dalla testa ai piedi.  Dopo un po',  un'ombra nera che era  venuta
    strisciando  lungo  il muro fradicio usc? fuori alla luce e gli si
    avvicin? furtiva. Sent? una mano posarglisi sul braccio; trasal? e
    si guard? intorno. Era una delle donne che stavano bevendo al bar.
    - Perch? non l'avete ucciso?  - sibil? costei,  mettendo la faccia
    stravolta  vicinissima a quella di lui.  - Lo sapevo che l'avevate
    seguito quando vi siete  precipitato  fuori  da  Daly.  Imbecille!
    Dovevate  ammazzarlo;  ha  un sacco di soldi e non c'e nessuno che
    sia pi? cattivo di lui.
    - Non ? l'uomo che vado cercando - rispose l'altro, - e non voglio
    i soldi di nessuno.  Voglio la vita di un uomo.  L'uomo del  quale
    voglio  la  vita  deve avere una quarantina d'anni e questo ? poco
    pi? che un ragazzo.  Ringrazio Iddio di non essermi  macchiato  le
    mani del suo sangue.
    La donna scoppi? in una risata amara.
    -  Poco  pi?  che  un ragazzo!  - ripet?,  sarcastica.  - Andiamo,
    galantuomo!  Saranno quasi diciott'anni che il Principe Azzurro ha
    fatto di me quella che sono adesso.
    - Bugiarda! - grid? James Vane.
    La donna alz? un braccio verso il cielo.
    - Davanti a Dio vi sto dicendo la verit?.
    - Davanti a Dio?
    -  Possa farmi diventare muta se non dico il vero.  E' il peggiore
    di tutti quelli che frequentano questo locale.  Dicono  che  si  ?
    venduto   al   diavolo  per  la  sua  bella  faccia.   Sono  quasi
    diciott'anni che lo conosco e da allora  in  poi  non  ?  cambiato
    molto. Io s? - aggiunse con un'occhiata furtiva e dolorosa.
    - Lo giuri?
    - Lo giuro - fu l'eco rauca che usc? da quella bocca piatta.  Per?
    non mi tradite con lui - gemette.  - Mi fa paura.  Datemi  qualche
    soldo per la camera.
    Egli  si strapp? via da lei con una bestemmia e si precipit? verso
    l'angolo, ma Dorian Gray era scomparso. Si gir? indietro, ma anche
    la donna era sparita.






    Capitolo diciassettesimo.

    Una settimana dopo,  Dorian Gray era seduto nella serra  di  Selby
    Royal e parlava con la graziosa duchessa di Monmouth,  che era sua
    ospite insieme col marito, un sessantenne dall'aspetto stanco.
    Era l'ora del t? e la luce  attenuata  della  grande  lampada  dal
    paralume di pizzo collocata sulla tavola, illuminava le porcellane
    delicate  e  gli  argenti  martellati  del  servizio  al  quale la
    duchessa presiedeva. Le sue mani bianche si muovevano con grazia e
    le sue rosse labbra carnose sorridevano di qualcosa che Dorian  le
    stava  dicendo: Lord Henry,  adagiato in una poltrona di seta,  li
    guardava.  Su un divano color  pesca  c'era  Lady  Narborough  che
    fingeva di ascoltare il duca,  che le descriveva l'ultimo scarabeo
    brasiliano che aveva aggiunto alla sua collezione.  Tre giovanotti
    molto  ben  vestiti,  in  smoking,  offrivano pasticcini ad alcune
    signore. C'erano dodici ospiti in casa e per il giorno seguente si
    aspettava l'arrivo di altri.
    - Di che cosa state parlando voi due? - disse Lord Henry,  andando
    verso il tavolino e posandovi sopra la tazza.  - Gladys, spero che
    Dorian ti abbia detto del mio piano di ribattezzare ogni cosa.  E'
    un'idea deliziosa.
    -  Ma  io  non  ho  nessuna  voglia di essere ribattezzata,  Henry
    rispose la duchessa,  fissandolo con i suoi magnifici occhi.  Sono
    soddisfattissima  del  mio  nome e sono certa che il signor Gray ?
    soddisfattissimo del suo.
    - Mia cara Gladys,  non vorrei modificare n? l'uno n? l'altro  per
    tutto l'oro del mondo. Sono entrambi perfetti. Pensavo soprattutto
    ai fiori. Ieri colsi un'orchidea per mettermela all'occhiello; era
    una mirabile cosa,  tutta macchiata, efficace come i sette peccati
    mortali. Senza pensarci, ne chiesi il nome al giardiniere e questi
    mi rispose che era un bell'esemplare di  Robinsoniana  o  un'altra
    tremenda  cosa di questo genere.  E' una triste verit? che abbiamo
    perduto il dono di dare alle cose dei nomi graziosi.  I nomi  sono
    tutto.  Io  non  litigo  mai  con le cose;  litigo soltanto con le
    parole,  e questa ? la ragione per la quale in letteratura detesto
    il  realismo  volgare.  L'uomo che chiama vanga una vanga dovrebbe
    essere costretto a maneggiarla;  ? l'unica cosa per la  quale  sia
    adatto.
    - E a te, allora Harry, come dovremmo chiamarti? - chiese lei.
    - Il suo nome ? Principe Paradosso - disse Dorian.
    - L'ho riconosciuto subito - esclam? la duchessa.
    - Non lo voglio sentire - disse Lord Henry,  ridendo e sedendosi.-
    A un'etichetta non si sfugge pi?. Rifiuto il titolo.
    - I re non possono abdicare - fu il m?nito  che  venne  da  quelle
    labbra graziose.
    - Vuoi dunque ch'io difenda il mio trono?
    - S?.
    - Io annunzio le verit? di domani.
    - Preferisco gli errori di ieri - rispose lei.
    - Gladys, mi hai disarmato - esclam? lui, vedendola cos? ostinata.
    - Dello scudo, ma non della lancia.
    -  Contro  la  bellezza non scendo mai in lizza - disse lui con un
    gesto della mano.
    - E' qui che sbagli, Harry, credi a me.  Attribuisci alla bellezza
    un valore veramente eccessivo.
    -  Come puoi dire questo?  Ammetto che penso che sia meglio essere
    belli che buoni;  ma d'altra parte non c'? uomo pi? disposto di me
    ad ammettere che ? meglio essere buoni che brutti.
    - Dunque la bruttezza ? uno dei sette peccati mortali?  - grid? la
    duchessa.  -  E  che  succede  allora  della  tua  similitudine  a
    proposito dell'orchidea?
    - La bruttezza ? una delle sette virt? mortali,  Gladys.  Tu,  che
    sei una buona conservatrice, non devi sottovalutarle; la birra, la
    Bibbia  e  le  sette  virt?  mortali  hanno  fatto  della   nostra
    Inghilterra quello che ?.
    - Dunque tu non ami il tuo paese? - chiese lei.
    - Ci vivo.
    - S?, per poterlo criticare meglio.
    - Vorresti che accettassi il verdetto che ha pronunciato l'Europa?
    - Che dicono di noi?
    - Che Tartufo ? emigrato in Inghilterra e vi ha aperto bottega. E'
    roba tua questa?
    - Te la regalo.
    - Non saprei che farmene. E' troppo vero.
    -  Non  aver  paura.  I nostri compatrioti non riconoscono mai una
    descrizione.
    - Sono gente pratica.
    - Sono pi? astuti che pratici.  Quando fanno  i  ragionieri  fanno
    bilanciare la stupidit? dalla ricchezza e il vizio dall'ipocrisia.
    - Eppure abbiamo fatto cose grandi.
    - Ci sono state imposte cose grandi, Gladys.
    - E' un peso che abbiamo saputo portare.
    - Soltanto fino al palazzo della Borsa.
    Lei scosse la testa ed esclam?:
    - Io ho fede nella razza.
    - Per me la decadenza ha un fascino maggiore.
    - E l'arte? - chiese lei.
    - E' una malattia.
    - L'amore?
    - Un'illusione.
    - La religione?
    - Il surrogato elegante della fede.
    - Sei uno scettico.
    - No di certo. Lo scetticismo ? il principio della fede.
    - Ma che cosa sei?
    - Definire ? limitare.
    - Dammi un filo.
    - I fili sfuggono di mano. Ti smarriresti nel labirinto.
    - Mi fai girare la testa. Parliamo di qualcun altro.
    - Il nostro ospite costituisce un argomento delizioso.  Anni fa lo
    battezzarono Principe Azzurro.
    - Ah, - grid? Dorian, - non ricordarmelo!
    - Il nostro ospite ? piuttosto antipatico  stasera  -  rispose  la
    duchessa,  arrossendo.  -  Sono convinta che crede che Monmouth mi
    abbia sposato per ragioni puramente scientifiche,  come il miglior
    esemplare di farfalla moderna che poteva trovare.
    -  Spero per? che non vi bucher? con gli spilli,  duchessa - disse
    ridendo Dorian.
    - Oh,  signor Gray,  questo lo fa gi? la mia  cameriera  quando  ?
    arrabbiata con me.
    - E riguardo a cosa si arrabbia con voi, duchessa?
    - Per le cose pi? insignificanti,  ve l'assicuro,  Mister Gray. Di
    solito perch? arrivo alle nove meno dieci e le dico che devo esser
    vestita per le otto e mezzo.
    - E' una donna irragionevole! Dovreste licenziarla.
    - Non oso,  signor Gray.  Inventa persino dei cappelli per me.  Vi
    ricordate  quello  che  portavo al garden-party di Lady Hillstone?
    No, per? siete molto gentile a far finta di ricordarvene.  Orbene,
    era  lei  che l'aveva fatto,  con niente;  ma tutti i bei cappelli
    sono fatti di niente.
    - Come tutte le buone riputazioni, Gladys - interruppe Lord Henry.
    - Ogni volta che produciamo un effetto qualunque  ci  facciamo  un
    nemico. Per esser popolari bisogna essere mediocri.
    -  Con le donne no - disse la duchessa,  scuotendo la testa - e le
    donne governano  il  mondo.  Ti  assicuro  che  noi  non  possiamo
    sopportare la mediocrit?. Noi donne, come ha detto non so pi? chi,
    amiamo  con gli orecchi,  come voi uomini amate con gli occhi,  se
    pure siete capaci di amare.
    - Mi sembra che non facciamo mai altro  -  disse  Dorian  a  mezza
    voce.
    - Ah,  ma allora non amate mai veramente, signor Gray - rispose la
    duchessa, fingendo la tristezza.
    - Cara Gladys - grid? Lord Henry,  - come  puoi  dire  questo?  Il
    romanzo vive di ripetizione e la ripetizione trasforma un appetito
    in  arte.  Del  resto,  ogni  volta che amiamo ? l'unica volta che
    abbiamo amato.  La diversit? dell'oggetto non  modifica  l'unicit?
    della  passione;  semplicemente  la  intensifica.  Nella  vita non
    possiamo avere, al massimo, che una grande esperienza e il segreto
    della vita consiste nel ripetere quell'esperienza  il  pi?  spesso
    possibile.
    -  Anche  se ne siamo usciti feriti,  Harry?  - chiese la duchessa
    dopo una pausa.
    - Soprattutto se ne siamo usciti feriti - rispose Lord Henry.
    La duchessa si gir? a guardare Dorian, con una curiosa espressione
    negli occhi.
    - E voi che ne dite, signor Gray? - chiese.
    Dorian esit? un attimo, poi mosse la testa all'indietro e rise.
    - Io sono sempre d'accordo con Henry, duchessa.
    - Anche quando ha torto?
    - Harry non ha mai torto.
    - E la sua filosofia vi rende felice?
    - Non ho mai cercato la felicit?.  E chi  vuole  la  felicit??  Ho
    cercato il piacere.
    - E l'avete trovato?
    - Spesso. Troppo spesso.
    La duchessa sospir?.
    - Io vado in cerca di pace - disse, - e stasera non ne avr? se non
    vado a vestirmi.
    - Aspettate che vada a prendervi qualche orchidea,  duchessa grid?
    Dorian, scattando in piedi e incamminandosi gi? per la serra.
    - Stai flirtando con lui in un modo vergognoso - disse Harry  alla
    cugina.  -  Faresti  meglio  a  stare  attenta.  E'  un uomo molto
    affascinante.
    - Se non lo fosse non ci sarebbe battaglia.
    - Greci contro Greci, dunque?
    - Io sto dalla parte dei Troiani. Combattevano per una donna.
    - Ma furono sconfitti.
    - Esistono cose peggiori della cattura - replic? lei.
    - Stai galoppando a briglia sciolta.
    - E' l'andatura che fa la vita - fu la risposta.
    - Lo scriver? nel mio diario stasera.
    - Che cosa?
    - Che un bimbo scottato ama il fuoco.
    - Io non sono neanche strinata. Ho le ali intatte.
    - Le puoi adoperare per qualsiasi cosa, ma non per fuggire.
    - Il coraggio ?  passato  dagli  uomini  alle  donne.  Per  noi  ?
    un'esperienza nuova.
    - Hai una rivale.
    - Chi?
    Egli rise e sussurr?: - Lady Narborough. Lo adora.
    -  Desti  tutte  le mie apprensioni.  Per noi che siamo romantiche
    l'appello dell'antichit? ? fatale.
    - Romantiche? Se possedete tutti i metodi della scienza.
    - Gli uomini ci hanno istruito.
    - Ma non vi hanno spiegato.
    - D? una definizione del sesso femminile - disse lei, per sfida.
    - Sfingi senza segreti.
    Lei lo guard? sorridendo, poi disse:
    - Quanto ci mette Gray!  Andiamo ad aiutarlo.  Non gli  ho  ancora
    detto di che colore ? il mio vestito.
    -  Ah,  Gladys,  ma  sei  tu  che devi adattare il vestito ai suoi
    fiori.
    - Questa sarebbe una resa prematura.
    - L'arte romantica comincia dal punto culminante.
    - Bisogna che mi lasci aperta la via della ritirata.
    - Come i Parti?
    - Quelli si rifugiavano nel deserto, ma io non posso.
    - Alle donne non ? sempre permesso scegliere  -  rispose  lui;  ma
    aveva  appena finito la frase che dall'estremit? pi? lontana della
    serra arriv? un gemito soffocato,  seguito dal tonfo cupo  di  una
    cosa pesante che cadeva.  Tutti balzarono in piedi; la duchessa si
    ferm?, paralizzata dall'orrore, e Lord Henry,  con gli occhi pieni
    di  spavento,  si  lanci?  tra le palme ondeggianti e trov? Dorian
    Gray steso,  a faccia in gi?,  sul pavimento  di  mattonelle;  uno
    svenimento che assomigliava alla morte.
    Lo portarono immediatamente nel salotto azzurro e lo adagiarono su
    uno  dei divani.  Dopo un po' riprese i sensi e si guard? intorno,
    con un'espressione attonita.
    - Che ? successo? - chiese. - Oh, s?,  mi ricordo.  Sono al sicuro
    qui, Harry? - Cominci? a tremare.
    -  Mio  caro  Dorian  -  rispose  Lord Henry,  - sei semplicemente
    svenuto; nient'altro. Forse ti sei stancato troppo. Faresti meglio
    a non scendere per pranzo. Ti sostituisco io.
    - No, voglio scendere - disse,  lottando per rimettersi in piedi.-
    Preferisco scendere. Non devo stare solo.
    And?  in  camera  sua  e si vest?.  Finch? rimase seduto a tavola,
    sembr? che si volesse abbandonare all'allegria  pi?  sfrenata;  ma
    ogni tanto un brivido di terrore lo percorreva tutto, se ripensava
    che  aveva visto,  schiacciata come un fazzoletto bianco contro la
    finestra della serra, la faccia di James Vane che lo spiava.
    Capitolo diciottesimo.

    Il giorno dopo non usc? di casa,  anzi pass? la maggior parte  del
    tempo  in camera da letto,  ammalato di un frenetico terrore della
    morte e pur tuttavia indifferente  alla  vita  in  se  stessa.  La
    coscienza   di   essere  braccato,   insidiato,   inseguito  aveva
    cominciato a dominarlo. Bastava che le cortine tremassero al vento
    per farlo sussultare.  Le foglie morte trasportate contro i  vetri
    piombati  gli  sembravano  simili  alle  risoluzioni che non aveva
    tradotto in atti,  ai rimpianti che non  riusciva  a  frenare.  Se
    chiudeva  gli  occhi,  rivedeva  la  faccia del marinaio intento a
    guardare attraverso il vetro appannato e gli sembrava che l'orrore
    tornasse a posargli la mano sul cuore.
    Ma forse era stata solo la sua immaginazione a evocare fuori della
    notte la vendetta e a mettergli davanti agli  occhi  gli  orribili
    aspetti   del   castigo.   Se   la   vita   reale   era  un  caos,
    nell'immaginazione c'era per? qualcosa  di  terribilmente  logico:
    era  questa  che  sguinzagliava il rimorso sulle orme del peccato,
    che faceva s? che ogni delitto portasse i suoi frutti deformi. Nel
    mondo comune dei fatti,  n? i malvagi  erano  puniti  n?  i  buoni
    ricompensati: il successo andava ai forti,  l'insuccesso colpiva i
    deboli: nient'altro.  Per di pi?,  se qualche  estraneo  si  fosse
    aggirato intorno alla casa, i domestici o i guardiani lo avrebbero
    visto;  se  nelle  aiuole  fosse stata scoperta qualche impronta i
    giardinieri lo avrebbero segnalato.  Era stata senza  dubbio  pura
    immaginazione;  il fratello di Sybil Vane non era tornato indietro
    per ucciderlo;  era partito a bordo del suo bastimento chi sa  per
    dove,  per naufragare in qualche burrasca invernale. Da lui almeno
    era al sicuro.  Quell'uomo non sapeva nemmeno chi egli fosse;  non
    poteva saperlo. La maschera della giovent? lo aveva salvato.
    Peraltro,  se  si  trattava  di  una  semplice illusione,  non era
    tremendo pensare che  la  coscienza  potesse  far  nascere  simili
    paurosi  fantasmi e dare loro forma visibile e farli muovere sotto
    i nostri occhi?  Che razza di vita sarebbe stata  la  sua,  se  le
    ombre del suo delitto dovevano spiarlo giorno e notte dagli angoli
    silenziosi,    schernirlo   da   luoghi   segreti,    sussurrargli
    all'orecchio durante il festino,  svegliarlo dal sonno con  gelide
    dita! Quando gli si insinu? nel cervello quest'idea, il terrore lo
    fece   impallidire   e  gli  sembr?  che  l'aria  fosse  diventata
    improvvisamente pi? fredda.  Che momento  di  pazzia  furiosa  era
    stato quello nel quale aveva ucciso il suo amico! Com'era orribile
    il solo ricordo di quella scena! La rivedeva tutta quanta; tutti i
    dettagli   spaventosi   gli  tornavano  in  mente  con  un  orrore
    intensificato.  L'immagine  del  suo  delitto  usciva  dalla  nera
    caverna del tempo,  terribile e drappeggiata di scarlatto.  Quando
    Lord Henry entr? alle sei, lo trov? in lacrime,  come uno al quale
    si spezzi il cuore.
    Soltanto il terzo giorno si arrischi? a uscire.  Nell'aria serena,
    profumata di resina,  di quella mattinata invernale c'era qualcosa
    che  sembrava  restituirgli  l'allegria  e l'ardore di vivere.  Ma
    questo cambiamento non era dovuto  solo  alle  condizioni  fisiche
    dell'ambiente;  era  la  sua  stessa  natura  che si era ribellata
    contro l'angoscia eccessiva che  aveva  tentato  di  sovvertire  e
    distruggere la perfezione della sua calma. Succede sempre cos? nei
    temperamenti raffinati e complessi; le loro passioni violente o li
    fiaccano  o  devono  piegarsi,  o  uccidono  l'uomo o muoiono esse
    stesse. I dolori superficiali, come gli amori superficiali, vivono
    a lungo;  gli amori e i dolori  veramente  grandi  sono  distrutti
    dalla  loro  stessa pienezza.  Inoltre,  si era convinto di essere
    stato vittima  della  propria  immaginazione  terrorizzata  e  ora
    ripensava  alla  sua  paura  con  una certa piet? mista a un certo
    disprezzo.
    Dopo colazione passeggi? per un'ora in giardino con  la  duchessa,
    poi  attravers? il parco in carrozza per raggiungere i cacciatori.
    La brinata  scricchiolante  copriva  il  metallo  turchino  e  una
    sottile striscia di ghiaccio orlava il laghetto tranquillo e ricco
    di canne.
    Al  limitare  del  bosco  di  pini vide Sir Geoffrey Clouston,  il
    fratello della duchessa,  che estraeva  dal  fucile  due  cartucce
    vuote.  Salt?  gi? dalla vettura e,  dopo aver detto al "groom" di
    riportare a casa la cavalla si avvi? verso  l'ospite  tra  i  rami
    secchi e i cespugli irti.
    - Buona caccia, Geoffrey? - chiese.
    -  Non troppo,  Dorian.  La maggior parte degli uccelli dev'essere
    uscita all'aperto.  Credo che andr? meglio nel pomeriggio,  quando
    passeremo su un terreno nuovo.
    Dorian si un? a lui. L'aria aromatica e frizzante, le luci brune e
    rosse che apparivano nel bosco,  le grida rauche dei battitori che
    si alzavano ogni tanto e alle quali seguivano gli spari secchi dei
    fucili lo  affascinavano  e  gli  davano  un  delizioso  senso  di
    libert?.  La  noncuranza  della felicit?,  la suprema indifferenza
    della gioia si erano impadronite di lui.
    Di colpo,  a una ventina di metri da  loro,  una  lepre,  con  gli
    orecchi  dalla  punta  nera dritti,  spinta in avanti dalle lunghe
    zampe posteriori,  sbuc? da  un  folto  cespuglio  di  erbe  aride
    correndo come una freccia in direzione di un folto di ontani.  Sir
    Geoffrey imbracci?  il  fucile;  ma  nella  grazia  dei  movimenti
    dell'animale  c'era qualcosa che affascin? stranamente Dorian Gray
    e lo fece gridare subito:
    - Non sparare, Geoffrey. Lasciala vivere.
    - Che sciocchezza,  Dorian!  - rise il suo compagno  e  mentre  la
    lepre  stava per balzare nel folto spar?.  Si sentirono due gridi:
    quello di una lepre ferita, che ? tremendo, e quello di un uomo in
    agonia, che ? ancora pi? tremendo.
    -  Signore  Iddio!  -  esclam?  Sir  Geoffrey.  -  Ho  colpito  un
    battitore!  Ma che idiota, a mettersi cos? davanti ai fucili! Voi,
    laggi?,  smettete di sparare!  - grid? a voce  altissima.  C'?  un
    ferito.
    Il capo dei guardacaccia arriv? di corsa con un bastone in mano.
    - Dove,  signore?  dov'?? - grid?; e nello stesso momento il fuoco
    cess? su tutta la linea.
    - Qui - rispose Sir Geoffrey,  furibondo,  affrettandosi verso  il
    folto.  - Perch? diavolo non tenete indietro i vostri uomini?  Per
    oggi la mia caccia ? rovinata.
    Dorian li segu? con lo sguardo mentre penetravano nel boschetto di
    ontani,  scostando i rami esili e flessuosi.  Dopo poco  tornarono
    fuori, trascinandosi dietro un corpo nella luce del sole. L'orrore
    gli  fece girare la testa;  gli sembr? che la sventura lo seguisse
    dovunque.  Sent? Sir Geoffrey chiedere se l'uomo era proprio morto
    e  il  guardacaccia  rispondere affermativamente.  Tutto il bosco,
    improvvisamente,  gli  sembr?  pieno  di  volti  umani;  sent?  il
    calpest?o di migliaia di piedi e il ronzio sommesso delle voci. Un
    grande  fagiano  dal  petto  di rame venne a svolazzare tra i rami
    sulle loro teste.
    Dopo pochi momenti che, nello stato di turbamento in cui era,  gli
    sembrarono ore interminabili di sofferenza, sent? una mano che gli
    si posava sulla spalla; trasal? e si gir?.
    -  Dorian  - disse Lord Henry,  - sar? meglio dire che per oggi la
    battuta ? sospesa. Continuarla non farebbe buona impressione.
    - Harry, vorrei che fosse sospesa per sempre - rispose, amaro.  E'
    tutta una cosa ripugnante e crudele. Quell'uomo ?...
    Non riusc? a finire la frase.
    -  Temo  di s? - rispose Lord Henry.  - La scarica l'ha colpito in
    pieno petto. La morte deve essere stata istantanea. Vieni, andiamo
    a casa.
    Camminarono fianco a  fianco  per  una  cinquantina  di  metri  in
    direzione del viale, senza pronunciare una sola parola; poi Dorian
    guard? Lord Henry e disse, con un profondo sospiro:
    - Brutto presagio, Harry; bruttissimo presagio.
    - Che cosa?  - chiese Lord Henry.  - Ah,  s?, quest'incidente. Ma,
    amico mio, era inevitabile. La colpa ? tutta dell'uomo;  perch? si
    ?  messo  davanti  ai  fucili?  E  poi  la  cosa  non ci riguarda.
    Naturalmente ? piuttosto  seccante  per  Geoffrey.  Impallinare  i
    battitori non ? una bella cosa;  la gente pensa che chi l'ha fatto
    sia uno che spara  all'impazzata,  e  Geoffrey  non  lo  ?;  ?  un
    tiratore molto preciso. Ma parlarne non serve a niente.
    Dorian scosse la testa.
    - E' un brutto presagio,  Harry.  Ho la sensazione che qualcosa di
    orribile stia per  succedere  a  qualcuno  di  noi;  a  me,  forse
    aggiunse,  passandosi  la  mano davanti agli occhi con un gesto di
    paura.
    L'altro rise.
    - Dorian, al mondo c'? una sola cosa orribile, la noia;  ? l'unico
    peccato  che  non  trova  perdono.  Ma  non ? probabile che noi ne
    soffriremo,  a meno che a  pranzo  questa  gente  non  continui  a
    chiacchierare di questa storia.  Bisogner? che faccia sapere che ?
    un argomento da considerare vietato. Quanto ai presagi, non esiste
    niente di simile.  Il destino ? troppo saggio e troppo crudele per
    mandarci degli araldi.  E poi,  Dorian,  a te che diavolo potrebbe
    accadere? Tu hai tutto quello che si pu? desiderare al mondo;  non
    c'? uomo che non sarebbe felice di fare a cambio con te.
    -  Harry,  non  c'?  uomo con il quale io non farei a cambio.  Non
    ridere; ti sto dicendo la verit?. Quel disgraziato contadino che ?
    morto poco fa sta molto meglio di me. Io non ho paura della morte:
    ? la venuta della morte che mi atterrisce. Mi sembra di sentire in
    quest'aria di piombo il battito delle sue ali mostruose. Buon Dio!
    non vedi laggi?  dietro  gli  alberi  muoversi  un  uomo,  che  mi
    aspetta, che mi spia?
    Lord  Henry  guard?  nella  direzione  che  additava  quella  mano
    inguantata.
    - S? - disse sorridendo,  - vedo il giardiniere  che  ti  aspetta.
    Probabilmente  vorr?  chiederti  che  fiori  vuoi  avere in tavola
    stasera.  Sei nervoso  in  un  modo  incredibile,  Dorian;  quando
    torniamo in citt? devi farti visitare dal mio medico.
    Vedendo  avvicinarsi  il giardiniere,  Dorian trasse un sospiro di
    sollievo. Questi si tocc? il cappello,  diede un'occhiata esitante
    a Lord Henry, poi tir? fuori una lettera e la porse al padrone.
    -  Sua  Grazia  mi  ha  detto  di aspettare la risposta - mormor?.
    Dorian si mise in tasca la lettera e disse freddamente:
    - Dite a Sua Grazia che sto venendo.
    L'uomo si gir? e si diresse rapidamente verso la casa.
    - Quanto piace alle donne fare le cose pericolose!  -  disse  Lord
    Henry.  -  E' una delle qualit? che pi? ammiro in loro.  Una donna
    flirter?  con  chiunque,  a  condizione  che  ci  sia  qualcuno  a
    guardare.
    - Quanto piace a te dire le cose pericolose, Harry! In questo caso
    sei  del tutto fuori strada.  La duchessa mi piace moltissimo,  ma
    non l'amo.
    - E la duchessa ti ama molto, ma le piaci meno; e dunque l'accordo
    ? perfetto.
    - Harry,  tu stai parlando di scandali  e  per  uno  scandalo  non
    esiste la pi? piccola base.
    -  La  base per qualunque scandalo ? una certezza immorale - disse
    Lord Henry, accendendo una sigaretta.
    - Tu sacrificheresti chiunque per il gusto di fare un epigramma.
    - Il mondo va all'altare spontaneamente - fu la risposta.
    -  Vorrei  poter  amare  -  grid?  Dorian  Gray,   con  una   nota
    profondamente patetica nella voce.  - Ma mi sembra di aver perduto
    la passione e dimenticato il desiderio. Mi sono concentrato troppo
    su me stesso;  la mia personalit? mi ? diventata un  peso.  Voglio
    evadere,  andarmene,  dimenticare. Sono stato uno sciocco a venire
    qui. Credo che telegrafer? a Harvey di allestire lo yacht; a bordo
    si ? al sicuro.
    - Al sicuro da che cosa, Dorian? Tu ti trovi in qualche pasticcio.
    Perch? non mi dici di che si tratta? Sai bene che ti aiuterei.
    - Non posso dirtelo, Harry - rispose tristemente,  - e forse non ?
    che  una  mia  immaginazione.  Questo  disgraziato incidente mi ha
    sconvolto. Ho un orribile presentimento che qualche cosa di simile
    accadr? a me.
    - Che sciocchezze!
    - Speriamo;  ma non riesco a difendermi da questa sensazione.  Ah,
    ecco  la duchessa,  che sembra Artemide in tailleur.  Come vedete,
    duchessa, sono tornato.
    - Ho sentito tutto,  signor  Gray  -  rispose  lei.  -  Il  povero
    Geoffrey  ?  fuori di s?.  E sembra che voi gli avevate chiesto di
    non tirare a quella lepre. Che cosa strana!
    - S?, molto strana. Non so che cosa mi abbia spinto: un capriccio,
    penso. Sembrava la pi? graziosa di tutte le cose viventi.  Per? mi
    dispiace  che  vi abbiano detto di quell'uomo;  non ? un argomento
    attraente.
    Lord Henry intervenne:
    - E' un argomento noioso. Non ha nessun valore psicologico. Ah, se
    Geoffrey  l'avesse  fatto  apposta,  questo  lo  renderebbe  molto
    interessante.  Mi  piacerebbe conoscere uno che avesse commesso un
    vero assassinio.
    - Che brutte cose,  Harry!  - grid? la duchessa,  -  non  ?  vero,
    signor  Gray?  Harry,  il  signor  Gray sta male di nuovo: sta per
    svenire.
    Dorian, con uno sforzo, si irrigid? e sorrise.
    - Non ? niente, duchessa - mormor?.  - Ho i nervi terribilmente in
    disordine,  ecco tutto. Temo di aver camminato troppo stamani. Non
    ho sentito quello che ha detto Harry;  era una cosa molto  brutta?
    Bisogner?  che  tu  me  la ridica un'altra volta.  Credo che dovr?
    andare a coricarmi. Mi scuserete, non ? vero?
    Erano arrivati al grande  salone  che  portava  dalla  serra  alla
    terrazza. Quando la porta vetrata si fu chiusa dietro le spalle di
    Dorian Gray,  Lord Henry si gir? a guardare la duchessa con i suoi
    occhi sonnolenti e le disse:
    - Sei molto innamorata di lui?
    Lei non rispose per qualche momento  e  rimase  a  contemplare  il
    paesaggio.
    - Vorrei saperlo - disse finalmente.
    Lui scosse la testa.
    - Saperlo sarebbe fatale.  Quello che affascina ? l'incertezza. La
    nebbia rende meravigliose tutte le cose.
    - Si pu? smarrire la strada.
    - Mia cara Gladys, tutte le strade finiscono nello stesso punto.
    - Qual ??
    - La delusione.
    - E' stata il mio "d?but" nella vita - sospir? lei.
    - E' venuta da te con una corona in testa.
    - Le foglie di fragola mi hanno stancato.
    - Ma ti stanno bene.
    - Soltanto in pubblico.
    - Ne sentiresti la mancanza - disse Lord Henry.
    - Non intendo separarmi neanche da un petalo.
    - Monmouth ha gli orecchi.
    - I vecchi sono duri d'orecchio.
    - Non ? mai stato geloso?
    - Vorrei che lo fosse stato.
    Egli diede un'occhiata in giro, come se cercasse qualcosa.
    - Che cerchi? - gli domand? essa.
    - Il bottone del tuo fioretto -  rispose  lui.  -  L'hai  lasciato
    cadere.
    Lei rise. - S?, ma la maschera ce l'ho ancora.
    - Rende pi? graziosi i tuoi occhi - fu la risposta.
    Essa rise,  e i suoi denti si mostrarono, simili a semi bianchi in
    un frutto scarlatto.
    Di sopra, Dorian Gray,  in camera sua,  era disteso su un divano e
    il terrore scuoteva tutte le fibre del suo corpo. Per lui la vita,
    di colpo, era diventata un peso troppo ripugnante per sopportarlo.
    La  morte  tremenda  di  quel  disgraziato  battitore,  ucciso nel
    boschetto come un  animale  selvatico,  gli  era  parsa  come  una
    prefigurazione  della  morte  che  avrebbe  colpito anche lui.  Le
    parole pronunciate da Lord Henry per un  capriccio  passeggero  di
    cinismo faceto gli avevano dato le vertigini.
    Alle  cinque  suon? per il servitore e gli diede ordine di fare le
    valigie in tempo per il direttissimo notturno per la capitale e di
    fargli avere la carrozza alla porta  per  le  otto  e  mezzo.  Era
    deciso a non passare un'altra notte a Selby Royal. Era un posto di
    malaugurio;  la  morte vi si aggirava in pieno sole e l'erba della
    foresta era stata sporcata di sangue.
    Scrisse poi un biglietto a Lord Henry,  dicendogli che  andava  in
    citt?  per  consultare un medico e pregandolo di fare gli onori di
    casa durante la sua  assenza.  Stava  introducendolo  nella  busta
    quando  bussarono alla porta e il servitore lo inform? che il capo
    guardacaccia voleva vederlo. Si rabbui? e si morse le labbra.
    - Fatelo entrare - mormor? dopo un attimo di esitazione.
    Appena l'uomo fu entrato,  Dorian tir? fuori  da  un  cassetto  il
    libretto degli assegni e l'apr? davanti a lui.
    -  Suppongo  che  siate  venuto  per quel disgraziato incidente di
    stamattina, Thornton - disse nel prendere la penna.
    - Sissignore - rispose il guardacaccia.
    - Era ammogliato quel poveretto?  Aveva qualcuno a carico?  chiese
    Dorian, con aria annoiata. - Se ? cos?, non vorrei che rimanessero
    in miseria e manderei loro qualsiasi somma di denaro che vi sembri
    necessaria.
    -  Non  sappiamo  chi  sia,  signore.  E'  per  questo che mi sono
    permesso di venire da voi.
    - Non sapete chi sia? - disse distrattamente Dorian.  - Che volete
    dire? Non era uno dei vostri uomini?
    - Nossignore. Mai visto prima. Sembra un marinaio.
    A Dorian Gray cadde di mano la penna.  Gli sembr? che il suo cuore
    avesse smesso di battere di colpo.
    - Marinaio? - grid?. - Marinaio, avete detto?
    - Sissignore.  Ha l'aria di essere stato una specie  di  marinaio;
    tatuato su tutt'e due le braccia e cos? via.
    - Non gli si ? trovato niente indosso?  - disse Dorian, piegandosi
    in avanti e guardandolo cogli occhi spalancati.  Niente che riveli
    il suo nome?
    -  Un  po' di denaro,  non molto,  e una pistola a sei colpi.  Non
    c'era nessun nome.  Ha l'aria di una persona per bene,  ma  rozza:
    una specie di marinaio, pensiamo noi.
    Dorian  si alz?.  Una speranza terribile gli era balenata e lui vi
    si aggrapp? follemente.
    - Dov'? il cadavere? - esclam?. - Presto! voglio vederlo subito.
    - In una stalla vuota alla Home Farm.  La gente non ha piacere  di
    avere in casa quella specie di cose;  dicono che un cadavere porta
    disgrazia.
    - Alla Home Farm! - Andate subito l? e aspettatemi. Dite a uno dei
    miei "grooms" di portare fuori il mio cavallo.  No,  non  importa;
    andr? io stesso alle scuderie. Guadagneremo tempo.
    Meno  d'un quarto d'ora dopo,  Dorian Gray galoppava a tutta forza
    gi? per il lungo viale. Gli sembrava che gli alberi gli sfilassero
    accanto come una processione di spettri e che delle ombre  furiose
    gli  si  gettassero  attraverso  la  strada.  A  un certo punto la
    cavalla fece uno scarto davanti a un pilastro bianco  e  per  poco
    non  lo  sbalz?  di  sella.  La sferz? sul collo con lo scudiscio.
    Fendeva  come  una  freccia  l'aria  crepuscolare  e  gli  zoccoli
    facevano volare i sassi.
    Arriv?  finalmente  alla  Home  Farm.  Nel cortile aspettavano due
    uomini. Salt? gi? di sella gettando le redini a uno di loro. Nella
    stalla pi? lontana si vedeva il bagliore di una lampada.  Qualcosa
    gli  disse che l? c'era il cadavere;  si affrett? verso la porta e
    mise la mano sul paletto.
    Si ferm? per un attimo, perch? provava la sensazione di essere sul
    punto di scoprire una cosa che avrebbe fatto  o  disfatto  la  sua
    esistenza; poi spalanc? la porta ed entr?.
    Nell'angolo  pi?  lontano  il  cadavere  di un uomo vestito di una
    rozza camicia e di un paio di calzoni turchini  era  steso  su  un
    mucchio  di  sacchi.  Gli  avevano messo un fazzoletto sudicio sul
    viso; accanto,  scoppiettava una candela da pochi soldi,  infilata
    in una bottiglia.
    Dorian Gray rabbrivid?. Sapeva che la mano che doveva tirar via il
    fazzoletto non poteva essere la sua e chiam? uno dei contadini.
    -   Levagli  quella  roba  dal  viso.   Voglio  vederlo  -  disse,
    aggrappandosi allo spigolo della porta per reggersi in piedi.
    Quando il contadino ebbe rimosso il cencio, fece un passo avanti e
    un grido di gioia gli  sfugg?  dalle  labbra.  L'uomo  ucciso  nel
    boschetto era James Vane.
    Rest? per qualche minuto a osservare il cadavere.  Tornando a casa
    aveva gli occhi pieni di  lacrime,  perch?  sapeva  di  essere  in
    salvo.









    Capitolo diciannovesimo.

    -  E' inutile che tu mi dica che sarai buono - esclam? Lord Henry,
    tuffando le dita bianche in  una  coppa  piena  d'acqua  profumata
    all'essenza di rose. - Tu sei perfetto e ti prego di non cambiare.
    Dorian Gray tentenn? il capo.
    - No,  Harry. In vita mia ho fatto troppe azioni tremende e non ne
    far? pi?. Ieri ho cominciato quelle buone.
    - Dove eri ieri?
    - In campagna, solo, in un piccolo albergo.
    - Caro figliuolo - disse Lord  Henry  sorridendo,  -  in  campagna
    chiunque  pu?  essere  buono,  perch? non ci sono tentazioni;  e ?
    questa la ragione per la quale quelli che vivono in campagna  sono
    cos? assolutamente privi di civilt?.  La civilt? non ? affatto una
    cosa facile da raggiungere.  L'uomo vi pu? arrivare in  due  modi:
    essendo colto oppure essendo corrotto. La gente di campagna non ha
    nessuna  possibilit?  di  essere n? l'una n? l'altra cosa e perci?
    rimane stagnante.
    - Cultura e corruzione - fece eco Dorian. - Ho conosciuto qualcosa
    dell'una e dell'altra.  Adesso mi sembra terribile che le due cose
    debbano sempre trovarsi assieme, perch? ho un nuovo ideale, Harry.
    Sar? diverso; credo anzi di essere gi? diverso.
    -  Non  mi  hai  ancora  detto in che cosa consisteva la tua buona
    azione;  oppure hai detto di averne compiuta pi? di una?  - chiese
    il  suo  compagno,  versandosi  sul  piatto  una  piccola piramide
    cremisina di fragole senza gambo  e  facendovi  cadere  sopra  una
    bianca  nevicata  di  zucchero attraverso un cucchiaio traforato a
    forma di conchiglia.
    - Te lo dir?,  Harry;  non ? una storia che  potrei  raccontare  a
    nessun  altro.   Ho  risparmiato  una  persona.  La  frase  sembra
    vanitosa,  ma tu capisci che cosa voglio dire.  Era molto bella  e
    assomigliava  mirabilmente  a Sybil Vane;  credo che la prima cosa
    che mi ha attratto verso di lei sia stata questa  somiglianza.  Ti
    ricordi  di Sybil,  non ? vero?  Quanti anni sono passati!  Hetty,
    naturalmente, non apparteneva alla nostra classe;  era una ragazza
    di  villaggio,  ma  io  l'amavo  veramente;  sono  sicurissimo che
    l'amavo.  Durante tutto questo meraviglioso  mese  di  maggio  che
    abbiamo  passato,  andavo  a vederla due o tre volte la settimana.
    Ieri ci siamo incontrati in un orto.  I fiori del melo le cadevano
    continuamente  sui  capelli  e  lei  rideva.  Stamattina  all'alba
    dovevamo partire insieme, ma improvvisamente ho preso la decisione
    di lasciarla simile a un fiore, cos? come l'avevo trovata.
    - Credo che la novit?  dell'emozione  debba  averti  procurato  un
    fremito di vero piacere, Dorian - interruppe Lord Henry. - Ma sono
    in  grado di portare il tuo idillio alla conclusione.  Tu le avrai
    dato qualche buon consiglio e le hai spezzato il cuore: e questo ?
    il modo col quale hai incominciato a riformare te stesso.
    - Harry, sei tremendo! Non devi dire queste cose orrende. Il cuore
    di Hetty non ? spezzato. Naturalmente ha pianto, si capisce; ma ha
    schivato la vergogna e pu? vivere, come Perdita,  nel suo giardino
    fiorito di menta e di girasoli.
    -  E  piangere  il  suo  infedele  Florizello  - disse Lord Henry,
    ridendo e appoggiandosi alla spalliera della  sedia.  -  Mio  caro
    Dorian,  hai delle idee curiosamente puerili. Credi che ora quella
    ragazza potr? accontentarsi di una persona del suo rango?  Un  bel
    giorno,  immagino,  sposer?  qualche  rozzo  carrettiere o qualche
    contadino. Orbene, il fatto di averti conosciuto e di averti amato
    le insegner? a disprezzare il marito  e  sar?  infelicissima.  Dal
    punto di vista morale, non posso dire di apprezzare eccessivamente
    la tua grande rinuncia;  anche come inizio ? meschino.  E poi, chi
    ti dice che in questo  momento  Hetty  non  stia  galleggiando  in
    qualche  stagno,  come  Ofelia,  alla  luce  delle  stelle,  tutta
    attorniata da graziosi gigli acquatici?
    - Harry, tutto questo ? veramente intollerabile. Prima metti tutto
    sul ridere, poi suggerisci le tragedie pi? spaventose. Mi dispiace
    di avertelo raccontato.  Di quello che mi dici non me  ne  importa
    niente;  so  di  aver  fatto  bene ad agire come ho agito.  Povera
    Hetty!  stamattina,  passando davanti al  podere,  ho  visto  alla
    finestra  il  suo viso che sembrava un cespo di gelsomini.  Non ne
    parliamo pi? e non provare a convincermi che la prima buona azione
    che ho compiuto da anni,  il primo piccolo sacrificio che mi  sono
    imposto,  sia  in  realt? una specie di peccato.  Voglio diventare
    migliore di quello che sono e lo diventer?.  Parlami di te stesso.
    Che  c'?  di  nuovo  in citt??  Da molti giorni non sono andato al
    circolo.
    - La gente parla ancora della scomparsa del povero Basil.
    - Avrei creduto che a quest'ora  si  fossero  stancati  di  questo
    soggetto - disse Dorian,  versandosi del vino e facendosi scuro in
    volto.
    - Caro figliuolo,  sono solo sei settimane che ne  parlano,  e  il
    pubblico  britannico  non  ?  proprio  in  grado  di affrontare la
    tensione mentale che comporta l'avere pi? di un argomento ogni tre
    mesi.  Per? negli ultimi tempi sono  stati  fortunatissimi;  hanno
    avuto  la  mia  causa di divorzio e il suicidio di Alan Campbell e
    ora hanno la scomparsa misteriosa di  un  artista.  Scotland  Yard
    insiste nel sostenere che l'uomo col pastrano grigio che part? per
    Parigi il 9 novembre col treno di mezzanotte era il povero Basil e
    la  polizia  francese  dichiara  che  Basil  non  ? mai arrivato a
    Parigi. Immagino che tra una settimana si dir? che l'hanno visto a
    San Francisco.  E'  una  cosa  strana,  ma  di  tutti  quelli  che
    spariscono   si  dice  che  sono  stati  visti  a  San  Francisco.
    Dev'essere una citt? deliziosa,  dotata  di  tutte  le  attrattive
    dell'altro mondo.
    -  Che  cosa  credi  che  sia  successo a Basil?  - chiese Dorian,
    alzando il bicchiere di borgogna contro luce e meravigliandosi lui
    stesso di poter discutere la faccenda con tanta tranquillit?.
    - Non ne ho la minima idea.  Se Basil ha  voluto  nascondersi,  la
    cosa  non  mi  riguarda;  se ? morto non voglio pensare a lui.  La
    morte ? la sola cosa che mi atterrisce e che odio.
    - Perch?? - disse il giovane, con fare stanco.
    - Perch? - disse Lord Henry, passandosi sotto il naso il graticcio
    dorato  di  una  scatola  aperta  di  vinaigrette,   oggi  si  pu?
    sopravvivere  a  qualunque  cosa,   eccetto  che  a  quella.   Nel
    diciannovesimo secolo la morte e la volgarit? sono gli unici fatti
    che non si possono eliminare a furia  di  spiegazioni.  Andiamo  a
    prendere il caff? nella sala da musica,  Dorian.  Devi suonarmi un
    po' di Chopin.  L'uomo con il quale ? scappata mia moglie  suonava
    Chopin divinamente.  Povera Victoria! Io le ero molto affezionato.
    Senza di lei la casa sembra vuota. Certo, la vita coniugale ? solo
    un'abitudine,  una cattiva abitudine,  ma si rimpiange la  perdita
    anche   delle  peggiori  abitudini.   Forse  sono  quelle  che  si
    rimpiangono di pi?, perch? formano una parte cos? essenziale della
    personalit?.
    Dorian non disse niente, ma si alz? da tavola,  pass? nella stanza
    vicina,   si  sedette  al  pianoforte  e  lasci?  vagare  le  dita
    sull'avorio bianco e nero dei tasti. Dopo che fu portato il caff?,
    si ferm? e disse, fissando Lord Henry:
    - Harry, ti ? mai venuto in mente che Basil sia stato assassinato?
    Lord Henry sbadigli?.
    - Basil era molto popolare e portava sempre un orologio  da  pochi
    soldi.  Perch?  dovrebbero averlo assassinato?  Non era abbastanza
    intelligente da avere dei nemici.  Certo,  per dipingere aveva  un
    genio meraviglioso; ma un uomo pu? dipingere come Velasquez e per?
    essere  perfettamente  insignificante,   e  Basil  in  verit?  era
    piuttosto insignificante.  Mi ha interessato una  volta  soltanto,
    quando mi disse,  anni fa, che nutriva un'adorazione frenetica per
    te e che tu eri il motivo dominante della sua mente.
    - Io volevo molto bene a Basil - disse Dorian,  con  una  nota  di
    tristezza  nella  voce.  -  Ma  la  gente  non  dice  che  ? stato
    assassinato?
    - S?,  qualche giornale l'ha detto;  ma a me non sembra per niente
    probabile.  So  bene  che a Parigi ci sono dei posti tremendi,  ma
    Basil non era tipo da frequentarli.  Non conosceva  la  curiosit?;
    era questo il suo difetto capitale.
    - Che diresti, Harry, se ti dicessi che Basil l'ho assassinato io?
    - disse Dorian fissandolo intensamente dopo aver parlato.
    -  Direi,  mio  caro,  che  stai posando per un personaggio per il
    quale non sei tagliato.  Qualunque delitto ?  volgare,  cos?  come
    qualunque  volgarit?  ? un delitto.  Tu,  Dorian,  non sei tipo da
    commettere un assassinio.  Mi dispiace se parlando in questo  modo
    offendo  la  tua  vanit?,  ma  ti assicuro che ? cos?.  Il delitto
    appartiene esclusivamente alle classi inferiori e  io  non  gliene
    faccio  un  rimprovero.  Mi  immagino  che per loro il delitto sia
    quello che per noi ? l'arte,  e cio? semplicemente  un  mezzo  per
    procurarsi delle sensazioni straordinarie.
    -  Un  mezzo per procurarsi delle sensazioni?  Credi dunque che un
    uomo che ha commesso un omicidio  una  volta  potrebbe  tornare  a
    commettere lo stesso delitto? Non dirmi questo.
    -  Qualunque  cosa,  a  farla  troppo  spesso,  diventa un piacere
    esclam? Lord Henry ridendo.  - Questo ?  uno  dei  pi?  importanti
    segreti  della  vita.  Penso  per?  che  l'omicidio  sia sempre un
    errore;  non si dovrebbe mai fare  niente  di  cui  non  si  possa
    parlare  dopo  un  pranzo.  Ma  lasciamo  in pace il povero Basil.
    Vorrei poter credere che abbia incontrato una fine cos?  veramente
    romantica,  ma  non posso;  penso che sia caduto nella Senna da un
    omnibus e che il conducente abbia soffocato lo scandalo. S?, credo
    che la sua fine debba essere stata questa.  Mi sembra  di  vederlo
    ora,  disteso sul dorso sotto quelle acque verdastre,  coi barconi
    che gli passano sopra e lunghe alghe che  gli  si  impigliano  nei
    capelli.  Sai,  non  credo che avrebbe potuto pi? fare gran che di
    buono;   negli  ultimi  dieci  anni  la  sua  maniera  era   molto
    peggiorata.
    Dorian  sospir?  e  Lord  Henry attravers? la stanza e cominci? ad
    accarezzare sulla testa un curioso pappagallo giavanese, un grosso
    uccello dalle piume grigie,  col ciuffo e la coda di colore  rosa,
    che  si teneva in equilibrio su una bacchetta di bamb?.  Quando le
    sue dita affusolate lo toccarono,  cal? la crosta biancastra delle
    palpebre  rugose  sugli  occhi  che  sembravano  di  vetro  nero e
    cominci? a dondolarsi avanti e indietro.
    - S? - aggiunse, girandosi e togliendo di tasca il fazzoletto,  la
    sua  maniera  era  molto peggiorata.  Mi sembrava che avesse perso
    qualcosa: aveva perso un  ideale.  Quando  venne  meno  la  grande
    amicizia tra voi due,  smise di essere un grande artista. Che cosa
    vi ha separato? Immagino che lui ti annoiasse,  e se ? cos? non te
    l'avr? mai perdonato; ? questa l'abitudine di tutti i seccatori. A
    proposito,  che  ne  ?  stato di quel meraviglioso ritratto che ti
    fece?  Non mi sembra di averlo mai visto dopo che fu dipinto.  Oh,
    s?,  mi ricordo che qualche anno fa mi dicesti che l'avevi spedito
    a Selby e che era stato  rubato  o  si  era  smarrito  durante  il
    tragitto.  Non  l'hai  pi?  riavuto?  Che  peccato!  Era  un  vero
    capolavoro.  Mi ricordo che lo volevo comperare,  e sarebbe  stato
    meglio  se  l'avessi  fatto.  Apparteneva  al  periodo migliore di
    Basil.  Dopo,  la sua opera era quel curioso miscuglio di  cattiva
    pittura  e  di buone intenzioni che da sempre a un uomo il diritto
    di aspirare a essere chiamato un artista inglese  rappresentativo.
    Facesti qualche inserzione per ritrovarlo? L'avresti dovuto fare.
    - Non ricordo - disse Dorian.  - Credo di averlo fatto. Ma a me in
    realt? non piacque mai.  Mi  dispiace  di  aver  posato  per  quel
    ritratto.  Il ricordo mi ? odioso.  Perch? ne parli?  Mi ricordava
    sempre quei curiosi  versi  di  un  dramma,  Amleto,  credo,  come
    dicono?

    Come il ritratto di un'afflizione,
    Un volto senza un cuore.

    S?, a questo somigliava.
    Lord Henry rise.
    -  Quando  un  uomo tratta artisticamente la propria vita,  il suo
    cervello ? il suo cuore  -  rispose,  lasciandosi  cadere  in  una
    poltrona.
    Dorian  Gray  scosse  la testa ed esegu? piano qualche accordo sul
    pianoforte.  - Come il ritratto di un'afflizione -  ripet?,  -  un
    volto senza un cuore.
    L'altro  si  appoggi?  alla  spalliera  e  lo guard? con gli occhi
    semichiusi.
    - A proposito,  Dorian - disse,  - che cosa guadagna un uomo com'?
    esattamente la citazione? - se acquista il mondo intero e perde la
    sua anima?
    La  musica  si interruppe su una stonatura e Dorian Gray trasal? e
    guard? l'amico.
    - Perch? questa domanda, Harry?
    - Mio caro - disse Lord Henry,  inarcando le sopracciglia  per  la
    sorpresa,  - te l'ho fatta perch? credevo che tu potessi darmi una
    risposta,  ecco tutto.  Domenica scorsa passavo  per  il  parco  e
    vicino al Marble Arch c'era una piccola folla di gente mal vestita
    che  ascoltava  un  volgare  predicatore  da strada.  Nel passare,
    sentii quell'uomo che urlava al suo uditorio quella domanda  e  mi
    colp?  come  abbastanza  drammatica.  Londra  ?  piena  di effetti
    curiosi di questo genere. Una domenica piovigginosa;  un cristiano
    trasandato  con  l'impermeabile addosso;  un cerchio di facce poco
    sane sotto un soffitto ininterrotto di ombrelli gocciolanti, e una
    frase  meravigliosa  lanciata  nell'aria  da  labbra  stridule   e
    isteriche.  Nel  suo  genere era davvero una cosa eccellente,  una
    cosa suggestiva. Mi venne voglia di dire a quel profeta che l'arte
    ha un'anima,  ma l'uomo no;  per? ho  paura  che  non  mi  avrebbe
    compreso.
    -  Harry,  non parlare cos?.  L'anima ? una terribile realt?.  Pu?
    essere comperata, venduta, barattata; pu? essere avvelenata o resa
    perfetta. C'? un'anima in ognuno di noi; lo so.
    - Ne sei proprio sicuro, Dorian?
    - Sicurissimo.
    - Ah,  allora dev'essere un'illusione.  Le  cose  delle  quali  ci
    sentiamo  assolutamente  sicuri  non  sono  mai vere;  questa ? la
    fatalit? della fede e la lezione del romanzo.  Che aria seria hai!
    Non essere cos? serio.  Che cosa abbiamo in comune,  tu ed io, con
    le superstizioni  del  nostro  tempo?  No;  abbiamo  rinunciato  a
    credere nell'anima. Suonami qualcosa, Dorian; suonami un Notturno,
    e  mentre  suoni  dimmi  sottovoce  come hai fatto a conservare la
    giovinezza. Devi avere un segreto. Io ho solo dieci anni pi? di te
    e sono grinzoso,  logorato,  giallo.  Sei veramente  meraviglioso,
    Dorian.  Il  tuo  aspetto  non  ?  mai stato cos? incantevole come
    stasera; mi ricorda il giorno che ti vidi per la prima volta.  Eri
    un  po'  insolente,  molto  timido  e assolutamente straordinario.
    Naturalmente sei cambiato,  ma nell'aspetto no.  Vorrei che tu  mi
    dicessi il tuo segreto. Per recuperare la giovent? farei qualunque
    cosa,   salvo  che  fare  ginnastica,  alzarmi  presto  ed  essere
    rispettabile.  La giovent?!  non c'? niente che le stia alla pari.
    Parlare  dell'ignoranza della giovent? ? assurdo;  ormai gli unici
    dei quali ascolto le opinioni con un  certo  rispetto  sono  tutti
    molto pi? giovani di me. Mi sembra che siano pi? avanti di me, che
    la vita abbia rivelato loro le sue ultime meraviglie.  Quanto agli
    anziani,  io  contraddico  sempre  gli  anziani;   lo  faccio  per
    principio.  Quando  chiedi  la  loro opinione su una cosa successa
    ieri,  ti danno solennemente le opinioni  che  erano  diffuse  nel
    1820,  quando  si portavano le calze lunghe,  si credeva a tutto e
    non si sapeva assolutamente niente.  Com'? bello il pezzo che stai
    suonando!  Mi  chiedo se Chopin l'abbia scritto a Maiorca,  con il
    mare che piangeva intorno alla villa e gli spruzzi  salmastri  che
    battevano sui vetri. E' mirabilmente romantico. Che fortuna che ci
    sia rimasta un'arte che non ? imitativa!  Non smettere; stasera ho
    voglia di musica. Mi sembra che tu sia Apollo giovane e che io sia
    Marsia che ti sta ad ascoltare. Dorian,  anch'io ho i miei dolori,
    dei  quali non sai niente neanche tu.  La tragedia della vecchiaia
    non sta nell'essere vecchi, ma nell'essere giovani. A volte la mia
    stessa sincerit? mi stupisce.  Ah,  Dorian,  come sei felice!  Che
    vita  meravigliosa ? stata la tua!  Hai bevuto di tutto,  a lunghi
    sorsi;  hai morso  l'uva  a  piena  bocca;  niente  ti  ?  rimasto
    nascosto;  e  per te tutto questo non ? stato niente di pi? che un
    suono musicale. Non ti ha distrutto; sei sempre lo stesso.
    - Non sono lo stesso, Harry.
    - Ma s?,  che sei lo stesso.  Chi sa come sar? il resto della  tua
    vita!  Non  rovinarla  con  le  rinunce.  Attualmente  sei un tipo
    perfetto;  non renderti incompleto.  Ora sei  assolutamente  senza
    difetti;  non  scuotere  la testa,  perch? sai che ? cos?.  E poi,
    Dorian,  non trarre in inganno  te  stesso.  La  vita  non  ?  una
    questione  di  nervi,  di fibre,  di cellule costruite lentamente,
    nelle quali il pensiero si nasconde e la passione ha i suoi sogni.
    Tu puoi pensare di essere al sicuro e credere di essere forte.  Ma
    una  sfumatura di colore vista per caso in una stanza oppure in un
    cielo mattutino, un profumo speciale che ti piacque un tempo e che
    porta con s? ricordi delicati,  un verso di una poesia dimenticata
    che  torna  a caderti sotto gli occhi,  una cadenza di un pezzo di
    musica che da anni non suoni pi?, ti dico,  Dorian,  che ? da cose
    come queste che dipendono le nostre vite.  Il Browning ne ha detto
    qualcosa,  ma sono i nostri sensi a immaginarle per noi.  Ci  sono
    dei   momenti  in  cui  l'odore  del  "lilas  blanc"  mi  colpisce
    improvvisamente,  e allora devo rivivere il mese pi? straordinario
    della mia esistenza. Vorrei poter fare a cambio con te, Dorian. Il
    mondo ha sparlato di noi due, ma ti ha sempre adorato e ti adorer?
    sempre,  perch?  tu  sei  il  tipo del quale il nostro tempo va in
    cerca e che ha paura di aver trovato. Sono felice che tu non abbia
    mai fatto niente,  che tu non abbia scolpito una statua o  dipinto
    un quadro o prodotto niente al di l? di te stesso. La vita ? stata
    la tua arte.  Hai musicato te stesso e le tue giornate sono i tuoi
    sonetti.
    Dorian si alz? dal pianoforte e si pass? la mano nei capelli.
    - S? - mormor?,  - la vita ? stata deliziosa;  ma non far? pi?  la
    stessa vita,  Harry,  e tu non devi dirmi queste cose stravaganti.
    Tu non sai tutto sul mio conto; e credo che se tu lo sapessi anche
    tu ti allontaneresti da me. Tu ridi; non ridere.
    - Dorian,  perch?  hai  smesso  di  suonare?  Ricomincia  e  suona
    un'altra volta quel notturno.  Guarda quella grossa luna color del
    miele,   sospesa  nell'aria  del  crepuscolo:  aspetta  di  essere
    affascinata  da te e se tu suoni verr? pi? vicina alla terra.  Non
    vuoi?  Allora andiamo  al  circolo.  Abbiamo  passato  una  serata
    deliziosa  e  dobbiamo  concluderla  deliziosamente.  Al White c'?
    qualcuno che desidera immensamente  conoscerti,  il  giovane  Lord
    Poole,  il  figlio maggiore di Bournemouth.  Ha gi? copiato le tue
    cravatte e mi  ha  pregato  di  esserti  presentato.  E'  un  uomo
    simpaticissimo e mi ricorda un po' te.
    - Spero di no - disse Dorian, con un'espressione rattristata negli
    occhi. - Ma stasera sono stanco, Harry. Non vengo al circolo; sono
    gi? quasi le undici e vorrei andarmene a letto presto.
    - Allora rimani.  Non hai mai suonato cos? bene come stasera.  Nel
    tuo tocco c'era qualcosa di meraviglioso; aveva pi? espressione di
    qualunque altra volta che ti ho ascoltato.
    - E' perch? da ora in avanti sar? buono - rispose lui, sorridendo.
    - Sono gi? un po' cambiato.
    - Per me non puoi cambiare, Dorian - disse Henry. - Tu e io saremo
    sempre amici.
    - Eppure una volta mi avvelenasti con un libro  e  io  non  dovrei
    perdonartelo, Harry. Promettimi che non presterai mai quel libro a
    nessuno; ? nocivo.
    - Figlio caro,  stai gi? cominciando a fare il moralista. Tra poco
    te ne andrai in giro a fare il convertito e  il  missionario  e  a
    mettere  in  guardia la gente contro tutti i peccati di cui ti sei
    stancato. Sei troppo delizioso per fare una cosa del genere; e poi
    non serve a niente: tu ed io  siamo  quello  che  siamo  e  saremo
    quello che saremo.  In quanto a essere avvelenato da un libro, non
    esiste una cosa cos?.  L'arte non ha nessuna influenza sull'anima;
    annulla il desiderio di agire; ? superbamente sterile. I libri che
    la gente chiama immorali sono i libri che fanno vedere al mondo la
    sua ignominia,  e basta. Ma non stiamo a discutere di letteratura.
    Vieni da me domani.  Monto a cavallo alle undici;  potremmo uscire
    insieme  e dopo ti porter? a colazione con Lady Branksome.  E' una
    donna incantevole e vuole consultarti riguardo a certi arazzi  che
    pensa  di  comprare.  Oppure vogliamo fare colazione con la nostra
    piccola duchessa?  Mi ha detto che adesso non ti vede pi?.  Ti sei
    forse  stancato  di  Gladys?  Me l'aspettavo;  quella sua lingua ?
    troppo abile per non finire con l'urtare i nervi. In ogni caso sii
    qui alle undici.
    - Devo proprio venire, Harry?
    - Certamente.  In questo momento il parco ? bellissimo.  Non credo
    che  ci  siano  mai  stati  tanti  gigli  dall'anno  in  cui ti ho
    conosciuto in poi.
    - Va bene.  Alle undici sar? qui - disse Dorian.  -  Buona  notte,
    Harry.
    Arrivato  sulla  soglia,  esit?  un  attimo,  come se avesse avuto
    qualche altra cosa da dire; poi sospir? e usc?.



    Capitolo ventesimo.

    Era una bella serata,  tanto calda che Dorian prese  il  soprabito
    sul braccio e non si avvolse nemmeno la sciarpa di seta intorno al
    collo.  Mentre  andava  verso  casa  fumando  una  sigaretta,  gli
    passarono accanto due giovanotti in abito da sera e sent?  uno  di
    loro  sussurrare  all'altro: "Quello ? Dorian Gray".  Gli torn? in
    mente il piacere che era solito provare una volta quando la  gente
    lo indicava,  o lo guardava,  o parlava di lui.  Ora era stanco di
    sentir pronunciare il suo nome.  Il fascino del modesto  villaggio
    dove  negli  ultimi tempi era andato tanto di frequente consisteva
    per met? nel fatto che nessuno sapeva chi  fosse.  Alla  fanciulla
    dalla  quale  era riuscito a farsi amare aveva detto pi? volte che
    era povero e lei gli aveva creduto: una volta le aveva  detto  che
    era  cattivo  e  lei aveva riso e gli aveva risposto che i cattivi
    sono sempre molto vecchi e molto  brutti.  Com'era  dolce  il  suo
    riso!  sembrava il canto di un cardellino.  E quanto era graziosa,
    col suo vestito di cotone e i suoi  grandi  cappelli!  Non  sapeva
    niente, ma possedeva tutto quello che lui aveva perduto.
    Arrivato  a  casa trov? il servitore che lo aspettava;  lo mand? a
    letto,  si  adagi?  sul  divano  della  biblioteca  e  cominci?  a
    riflettere su alcune delle cose che Lord Henry gli aveva detto.
    Era proprio vero che non si poteva mai cambiare?
    Sent?  un  desiderio  violento  della purezza immacolata della sua
    adolescenza;  la sua adolescenza candida e rosea,  come Lord Henry
    l'aveva chiamata un giorno.  Sapeva di aver sporcato se stesso, di
    aver riempito di corruzione  la  propria  mente  e  di  orrore  la
    propria fantasia;  di aver esercitato un'influenza deleteria sugli
    altri e di aver provato in questo una gioia  terribile;  e  sapeva
    che  di  tutte le vite che si erano incontrate con la sua,  quella
    che aveva  portato  all'ignominia  era  la  pi?  bella  e  la  pi?
    promettente.  Ma tutto questo era irreparabile?  Non c'era nessuna
    speranza per lui?
    Ah,  che momento mostruoso di orgoglio e  di  passione  era  stato
    quello nel quale aveva pregato perch? il ritratto portasse il peso
    dei  suoi giorni e a lui restasse intatto lo splendore dell'eterna
    giovinezza!  Il suo  fallimento  era  interamente  colpa  di  quel
    momento.  Sarebbe  stato  meglio per lui se ogni peccato della sua
    vita avesse portato con s? la propria punizione,  sicura,  rapida.
    Nella punizione c'? la purificazione;  non "perdona a noi i nostri
    peccati",  ma  "colpisci  noi  per  le  nostre  iniquit?",  questa
    dovrebbe  essere  la  preghiera  rivolta  dall'uomo  a  un  Dio di
    giustizia.
    Sul tavolino c'era lo specchio curiosamente  intagliato  che  Lord
    Henry gli aveva regalato tanti anni prima e,  come per il passato,
    gli amorini dalle candide  membra  vi  ridevano  tutt'intorno.  Lo
    prese,  come  aveva  fatto in quella notte d'orrore,  quando aveva
    osservato per la prima volta il cambiamento nel fatale ritratto  e
    aveva  guardato  in  quella superficie lucida con occhi sconvolti,
    pieni di lacrime. Un giorno, una persona che lo aveva furiosamente
    amato gli aveva scritto  una  lettera  pazzesca,  che  finiva  con
    queste  parole  idolatre: "Il mondo ? cambiato perch? tu sei fatto
    d'avorio e d'oro.  La curva delle tue labbra riscrive la  storia".
    Queste  frasi  gli  tornarono alla mente e se le ripet? pi? volte;
    poi ebbe disgusto della propria bellezza e,  gettando in terra  lo
    specchio, lo schiacci? con il tallone fino a ridurlo un mucchio di
    schegge d'argento.  Era la sua bellezza che lo aveva rovinato,  la
    bellezza e la giovinezza per la quale aveva pregato;  senza quelle
    la  sua vita avrebbe potuto essere priva di ogni macchia.  Per lui
    la bellezza era stata solo una maschera,  la giovinezza una beffa.
    Che  cos'era,  dopo  tutto,  la  giovinezza?  Un  periodo  acerbo,
    immaturo;  un periodo di stati d'animo superficiali e di  pensieri
    malsani.  Perch?  ne aveva indossato la livrea?  La giovinezza era
    stata la sua rovina.
    Meglio non pensare al passato,  che nessuno aveva pi? il potere di
    modificare;  doveva pensare a se stesso e al proprio futuro. James
    Vane era sepolto in una tomba anonima nel cimitero di Selby;  Alan
    Campbell  si  era  sparato  nel suo laboratorio,  una sera,  senza
    rivelare il segreto che era stato costretto a conoscere.  Quel po'
    di  agitazione  a  proposito  della  scomparsa  di  Basil Hallward
    sarebbe svanita ben presto; stava gi? attenuandosi.  Da quel punto
    di  vista era perfettamente al sicuro.  Del resto,  quello che pi?
    opprimeva il suo spirito non  era  la  morte  di  Basil  Hallward;
    quello  che  lo  sconvolgeva era la morte vivente della sua anima.
    Basil aveva dipinto il ritratto che gli aveva rovinato la  vita  e
    lui non poteva perdonarglielo; quel ritratto era stato la causa di
    tutto. Basil gli aveva detto cose insopportabili e lui tuttavia le
    aveva tollerate pazientemente;  l'omicidio era stato semplicemente
    la pazzia di un momento. Quanto ad Alan Campbell,  il suo suicidio
    l'aveva commesso da solo,  vi si era deciso da solo.  Era una cosa
    che non lo riguardava.
    Una nuova vita: ecco quello che gli serviva, quello che aspettava.
    Certo l'aveva gi? iniziata;  se non altro,  aveva risparmiato  una
    creatura  innocente.  Non  avrebbe  mai  pi?  tentato l'innocenza.
    Voleva essere buono.
    Il pensiero di Hetty Merton lo spinse a chiedersi se  il  ritratto
    nella  stanza  chiusa fosse cambiato.  Certo non doveva pi? essere
    orribile come prima.  Forse,  se la sua vita diventava  pura,  gli
    sarebbe riuscito di scacciare da quel viso tutte le impronte delle
    malvagie  passioni.  Forse  i  segni del male erano gi? scomparsi;
    doveva andare a vedere.
    Prese la lampada dalla tavola e si avvi? su per le  scale.  Mentre
    apriva  la  porta,  un  sorriso  di  gioia  gli  illumin?  il viso
    stranamente giovanile e si ferm? un attimo sulle sue  labbra.  S?,
    sarebbe  stato  buono  e quell'oggetto ripugnante che aveva tenuto
    nascosto non sarebbe pi? stato per lui una fonte di  terrore.  Gli
    sembrava gi? che il peso gli fosse stato tolto dalle spalle...
    Entr? pian piano,  chiuse la porta a chiave dietro di s?,  com'era
    suo abitudine,  e strapp? via dal ritratto  la  cortina  purpurea.
    Diede  in  un  grido  di pena e di sdegno.  Nessun cambiamento era
    visibile,  senonch? negli occhi c'era un'espressione di furbizia e
    sulla  bocca la piega sinuosa dell'ipocrisia.  Era ancora una cosa
    disgustosa,  pi? disgustosa  di  prima,  se  possibile;  e  quella
    rugiada  scarlatta che macchiava la mano sembrava pi? accesa,  pi?
    somigliante a sangue versato di fresco.  Cominci? a  tremare.  Era
    stata soltanto la vanit? a spingerlo a compiere la sua unica buona
    azione?  Oppure  il desiderio di una sensazione nuova,  come aveva
    accennato Lord Henry,  con il suo sorriso  di  scherno?  O  quella
    passione  di  recitare una parte che ci fa fare a volte delle cose
    che sono migliori di noi stessi?  O tutte queste cose  insieme?  E
    perch?  la  macchia  rossa  si  era  allargata?  Sembrava  essersi
    insinuata su per le dita grinzose,  come un'orrenda malattia.  Sui
    piedi dipinti c'era del sangue, come se ci fosse gocciolato sopra;
    c'era  sangue  perfino  sulla  mano  che  non  aveva  impugnato il
    coltello.   Confessare?   Significava  forse  che  avrebbe  dovuto
    confessare?  Costituirsi e lasciarsi mettere a morte? Rise. L'idea
    gli sembr? mostruosa; e poi,  anche se avesse confessato,  chi gli
    avrebbe creduto?  Nessuna traccia della vittima esisteva in nessun
    posto;  tutto quello che gli apparteneva era stato  distrutto;  le
    cose  che  si  trovavano  al  piano di sotto le aveva bruciate lui
    stesso. La gente avrebbe detto semplicemente che era impazzito;  e
    se  avesse  insistito  a raccontare quella storia avrebbero finito
    con il rinchiuderlo in un manicomio... Tuttavia, il suo dovere era
    di confessare,  di subire  l'ignominia  in  pubblico,  di  espiare
    pubblicamente.  C'era un Dio che chiamava gli uomini a dire i loro
    peccati alla terra come  al  cielo.  Qualunque  cosa  facesse  non
    l'avrebbe  mondato finch? non avesse detto il suo peccato.  Il suo
    peccato!  Scroll? le  spalle.  La  morte  di  Basil  Hallward  gli
    sembrava ben poca cosa;  pensava invece a Hetty Merton,  poich? lo
    specchio della sua anima nel quale  stava  specchiandosi  era  uno
    specchio  ingiusto.   Vanit??   curiosit??  ipocrisia?  Nella  sua
    rinuncia non c'era stato altro?  C'era stato qualcosa  d'altro,  o
    almeno cos? credeva;  ma chi poteva dirlo?...  No, non c'era stato
    altro.  L'aveva risparmiata per vanit?,  si era messo la  maschera
    della  bont?  per  ipocrisia,  aveva  sperimentato la rinuncia per
    curiosit?: ora se ne rendeva conto.
    Ma quell'omicidio doveva seguirlo per tutta la vita? Doveva sempre
    essere schiacciato dal suo passato?  Doveva veramente  confessare?
    Mai.  Contro  di  lui  esisteva  solo  un  frammento di prova,  il
    ritratto stesso. La prova era quella: l'avrebbe distrutto.  Perch?
    l'aveva  conservato tanto a lungo?  Un tempo aveva provato piacere
    nel seguirne il cambiamento e l'invecchiamento,  ma  negli  ultimi
    anni  non  l'aveva  provato  pi?.  Gli  aveva  fatto passare notti
    insonni;  quand'era lontano  era  stato  costantemente  spaventato
    dall'idea  che  potesse  essere guardato da occhi estranei;  aveva
    portato la melanconia nelle sue passioni;  il solo ricordo di esso
    era  bastato  a guastargli molti momenti di gioia;  era stato come
    una coscienza per lui. S?, era stato come la coscienza. Lo avrebbe
    distrutto.
    Si guard? intorno e  vide  il  coltello  che  aveva  ucciso  Basil
    Hallward.  Era stato ripulito pi? volte,  finch? non c'era rimasta
    la pi? piccola macchia;  era lucido e brillava.  Come aveva ucciso
    il pittore, cos? avrebbe ucciso l'opera del pittore e tutto quello
    che  essa  significava.  Avrebbe ucciso il passato;  morto questo,
    sarebbe  stato  libero.   Avrebbe  ucciso  quella  mostruosa  vita
    dell'anima  e senza le orrende ammonizioni di questa sarebbe stato
    in pace. Afferr? l'arma e colp? il ritratto.
    Si sent? un grido  e  un  fracasso:  un  grido  cos?  orribilmente
    straziante  che i servi spaventati si svegliarono e uscirono dalle
    loro camere.  Due signori che passavano di sotto sulla  piazza  si
    fermarono  a  guardare  la  grande casa,  poi ripresero il cammino
    finch? incontrarono un agente e lo  portarono  indietro.  L'agente
    suon?  pi?  volte  il  campanello ma nessuno rispose.  La casa era
    tutta al buio,  eccetto una luce a una finestra dell'ultimo piano.
    Dopo  un  po'  si  allontan?,  fermandosi  in  un portico vicino a
    sorvegliare la casa.
    - Di chi ? questa casa? - chiese il pi? anziano dei due signori.
    - Del signor Dorian Gray - rispose la guardia.
    Si guardarono l'un l'altro con un sorrisetto e  si  allontanarono.
    Uno dei due era lo zio di Sir Henry Ashton.
    Dentro,  nel quartiere della servit?, i domestici mezzo vestiti si
    parlavano tra  di  loro  bisbigliando;  la  vecchia  signora  Leaf
    piangeva e si torceva le mani; Francis era pallido come un morto.
    Dopo  un  quarto d'ora circa,  prese con s? il cocchiere e uno dei
    lacch?  e  sal?  le  scale.  Bussarono,   ma  nessuno  rispondeva;
    gridarono,  ma tutto taceva. Finalmente, dopo un vano tentativo di
    forzare la porta, salirono sul tetto e si calarono sul balcone. Le
    finestre cedettero con facilit?; i serramenti erano vecchi.
    Entrando,  trovarono,  appeso al muro,  uno splendido ritratto del
    loro  padrone,  come lo avevano visto l'ultima volta,  mirabile di
    giovent? e di bellezza eccezionali.  Steso sul pavimento c'era  il
    cadavere  di un uomo in abito da sera,  con un coltello nel cuore.
    Aveva il  viso  avvizzito,  rugoso,  repellente.  Solo  dopo  aver
    esaminato gli anelli poterono identificarlo.
      



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