Discorso diretto

Giuseppe Sacco giuseppe@eppesuigoccas.homedns.org
Ven 2 Lug 2004 23:15:25 CEST


Il ven, 2004-07-02 alle 23:05, Andrea Celli ha scritto:
> Alle 08:38, venerdì 2 luglio 2004, Monica Badia scrisse:
[...]
> Io aggiungerei un'altra considerazione. Quando si ha a che fare con un  sw 
> commerciale - con un rapporto contrattuale tra produttore/venditore e 
> cliente - è più che giustificato seguire strette regole formali. Chi ha pagato 
> fior di quattrini e/o sottoscritto contratti vincolanti per utilizzare un
> pacchetto è normale che esiga il "lei", il "voi" o altri formalismi.

Non credo proprio che l'essere formali dipenda da quanto si paga un
programma.

> Invece, quando si traduce software libero, rivolto ad un'unica comunità
> di sviluppatori/distributori/utenti, l'uso di formalismi è abbastanza
> contrario allo spirito stesso della comunità. Davanti al mio PC Linux
> io sono a casa mia, il sw che c'è dentro è anche un po'  (nel mio
> caso pochissimo) figlio mio.
> Anche ad un  novellino che entra per la prima volta in Linux si dice che 
> sta entrando in un mondo filosoficamente, più che tecnicamente, diverso
> da quello commerciale.

A me pare proprio che la cosa non sia così. Se all'inizio il software
open source era usato quasi esclusivamente dalla comunità che lo
realizzava, adesso la base installata è completamente diversa: conosco
ad esempio parecchie aziende che utilizzano OpenOffice al posto di
prodotti commerciali, lo stesso dicasi per il recente Thunderbird o per
Mozilla.

In generale chi usa un programma ha solo bisogno di chiarezza. Il
linguaggio non deve assolutamente essere ambiguo cioé deve essere
formale. Personalmente credo che usare un linguaggio impersonale possa
aiutare a eliminare alcune ambiguità che potrebbero essere nascoste in
un discorso non impersonale.

Ciao,
Giuseppe



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